Se si cerca su google “Partito Democratico Europeo”, il primo risultato che appare, come spesso accade, è una voce di Wikipedia, l’enciclopedia virtuale teoricamente di libero accesso. Veniamo subito avvertiti che potrebbe trattarsi di una “nota disambigua”, vale a dire che, anziché il “partito democratico europeo” forse stiamo cercando qualcos’altro sempre corrispondente alla sigla “pde”, ma che non c’entra niente con la politica: “equazione differenziale alle derivate parziali”.
Eppure, proprio l’operazione che sta alla base del Partito Democratico Europeo potrebbe essere definita come un’equazione differenziale, visto che, in Europa come in Italia, l’obiettivo dei suoi fondatori è quello di equiparare tradizioni, storie e visioni politiche assai differenti.Nato ben prima del Partito Democratico italiano, il Pde nasce da un’idea di Romano Prodi, Francesco Rutelli e François Bayrou e dimostra, tra le altre cose, come vi sia una netta inversione di tendenza nei rapporti di causa-effetto tra come si organizza la politica nei singoli stati e nell’intera Europa. Se, fino a circa 10 anni fa, il Parlamento europeo, la Commissione europea e le politiche comunitarie erano totalmente figlie di quanto avveniva nei singoli stati membri, adesso è molto chiaro come l’Europa, presa nella sua collettività alto-gerarchica, costituisca una causa essenziale dell’organizzazione politica nelle varie nazioni, più che esserne un effetto. Il Partito Democratico Europeo nasce prima di quello italiano e ne è la cellula madre.
Allo stesso tempo, la Sinistra Europea, che in Europa ospita i partiti dell’estrema sinistra, ha già fondato la propria costituente e la propria sezione italiane. Si pensi a come, zitta zitta, Rifondazione Comunista abbia cambiato il nome ai propri gruppi regionali in Prc-Sinistra Europea. E sappiamo bene che in Europa, gente come Buttiglione eserciti un forte potere su Fini e Berlusconi, che, senza l’aiuto dei vetero-clericali italiani, non avrebbero avuto le credenziali neanche per dialogare coi popolari europei.
Il Ppe, il Pse, i liberali europei (che rappresentano un vero e proprio gruppo misto) e la Sinistra Europea sono le assi portanti del Parlamento europeo, le assi di un genuino bipolarismo che a Bruxelles e a Strasburgo si gioca tutto intorno alla lunghissima tradizione dei popolari, da una parte, e dei socialisti dell’altra. E mentre in Francia, in Spagna, in Germania, in Portogallo, in Scandinavia, ovunque, i socialisti, i conservatori, i laburisti e gli stessi popolari continuano, da che vi è democrazia, a rappresentare le idee e gli interessi del proprio elettorato, in Italia, abbiamo visto sparire di colpo il più grande partito della sinistra, per la seconda volta nel giro di 15 anni. La seconda metamorfosi degli ex (molto ex) comunisti (poco comunisti) ha subito un’accelerazione drammatica tra novembre ’96 e gennaio ’97, accelerazione caratteristica della moda consumistica, la quale, non più ristretta al marketing dei vestiti e degli elettrodomestici, ormai si è estesa anche al consorzio civile e alla vita stessa dei partiti che nascono e muoiono alla velocità di una linea di design. Soltanto 15 anni è durata l’asfittica avventura dei Democratici di sinistra, i quali, nell’incessante inseguimento di un logo, di un nome e di un’apparenza sempre nuova, hanno finito col fondersi con gli eredi più diretti della Democrazia Cristiana.
“I progressisti”, “L’Ulivo”, “L’Unione”, “L’asinello”, “I Democratici”, “Alleanza democratica”, “I democratici per Prodi”, “I Democratici per l’Ulivo”, “Il Partito dei Democratici di Sinistra”, i “Democratici di Sinistra”, e, alla fine, soltanto i “Democratici”: che gran turbinio di sigle, nomi, bandiere, colori, slogan! Lo scopo di questo indecente turbinio di idee e frasi ad effetto è stato quello di farci dimenticare la contiguità della sinistra italiana con quelli che dovevano essere i suoi due nemici principali e che sono invece presto diventati i suoi complici di anti-democrazia: Sivlio Berlusconi e la Chiesa Cattolica. Senza tutto questo mutar di giacche, sarebbe troppo plateale e vergognoso dar luogo al Partito Democratico, ossia alla fusione di Ds e Margherita ossia alla fusione di Partito Comunista Italiano e Democrazia Cristiana.
Ve l’avessero detto 20, 30 anni fa! Il tempo e il marketing hanno invece permesso ad un elettorato smemorato e ad una classe dirigente con la coscienza sporca di dissimulare non solo questa fusione tra gente che si rifà a valori completamente opposti, ma soprattutto di cercar di mettere il meno in ridicolo possibile la contrapposizione Pci-Dc su cui tutta la politica italiana si è basata dal dopo guerra a oggi. Quanto a Berlusconi, è ovvio che tutto questo affannarsi a cambiar nomi e statuti distoglie l’attenzione dell’opinione pubblica e dell’elettorato da talune vergogne quali il non aver ancora intaccato le leggi vergogna e il non aver ancora presentato una legge sul conflitto di interessi.[…]
Testo integrale dell’articolo raggiungibile sul sito Resistenza Laica
“I progressisti”, “L’Ulivo”, “L’Unione”, “L’asinello”, “I Democratici”, “Alleanza democratica”, “I democratici per Prodi”, “I Democratici per l’Ulivo”, “Il Partito dei Democratici di Sinistra”, i “Democratici di Sinistra”, e, alla fine, soltanto i “Democratici”: che gran turbinio di sigle, nomi, bandiere, colori, slogan!”
In questa evoluzione trasformistica il Partito Democratico, per sopravvivere come identità politica, sarà costretto eleggere, dopo Veltroni, Henry Potter! Il segretario con la bacchetta magica!