Si moltiplicano le facoltà che fanno lezioni ed esami solo nella lingua di Harvard. E gli iscritti non mancano
Il più spiccio ma sicuramente il più creativo è stato il rettore del Politecnico di Torino, Francesco Profumo: ha cancellato due corsi di laurea in italiano (Ingegneria tessile e Ingegneria elettronica) e li ha riaperti in inglese. Se si aggiunge Ingegneria automobilistica che è, a scelta, in doppia lingua, fanno tre. E non basta. Per invogliare i (pare) poco entusiasti studenti piemontesi a cimentarsi con la lingua di Shakespeare (e di Harvard) ha promesso uno sconto di ben millecinquecento euro di tasse scolastiche. L’offerta sembra di quelle che non si possono rifiutare e, invece, il rettore non è ancora soddisfatto: «Abbiamo pensato allo sconto sulle tasse, come uno degli aspetti del progetto di internazionalizzazione e di apertura dell’Università agli stranieri, perché ci siamo resi conto che i ragazzi delle superiori non hanno la minima percezione dell’importanza di sapere l’inglese».
Profumo sa di provocare con lo sconto per gli anglofili. E infatti c’è già persino un’interrogazione parlamentare sull’opportunità di sacrificare la nostra lingua in nome dell’«internazionalizzazione», parolone sulla bocca di ogni rettore. E a protestare per l’abbandono delle tradizioni è, caso singolare, la Rosa nel Pugno con Bruno Mellano, che ne fa una questione di libertà per gli studenti […]
E se i mercati cinesi e indiani possono salvare l’economia, gli studenti di Pechino e Nuova Delhi possono salvare le università. Sono loro l’oggetto del desiderio degli atenei italiani: il rettore della Luiss di Roma Massimo Egidi è in partenza per un tour proprio in India a caccia di studenti. A Roma ne arrivano parecchi dagli Emirati Arabi grazie ai rapporti di Confindustria con i Paesi del petrolio: «Il sistema universitario italiano — spiega — deve attrarre giovani intelligenti dall’estero, anche con prospettive culturali e professionali. Noi proponiamo in inglese una laurea in economia del lusso e del turismo».
Gli esperimenti per rendere meno provinciale e chiusa l’università non mancano neanche negli altri atenei. Anche se le tasse, tranne che a Torino, sono uguali per tutti. All’inizio furono i master, poi i corsi di specializzazione e il secondo biennio, ma adesso anche il corso triennale è diventato multilingue. Il ministero dell’Università a febbraio, in risposta alle numerose richieste di svolgere corsi in lingua straniera, ha inviato una lettera di incoraggiamento agli atenei. […]
Dall’anno prossimo dovrebbero iniziare anche a scienze forestali a padova, sia per la specialistica in tropicale che montano.
e in parlamento si leggono mozioni per la diffusione dei programmi radiofonici in dialetto
Sarà pure un tributo al progresso e alla modernità ma io provo comunque un sentimento…come dire…di spossessamento. Come si mi avessero rubato qualcosa.
A mio modo di vedere non ci siamo. La lingua ufficiale dell’Italia, per quel che mi risulta, è l’italiano. QUELLA è la lingua che chi sta in Italia DEVE conoscere, Italiano doc o forestiero che sia (compresi gli studenti stranieri).
visto che in italia non ci sono abbastanza laureati, adesso vogliono importarli da Cina e India. Bravi!
Per quanto mi riguarda, vedrò di laurearmi al più presto per andarmene altrove
e’ un’ ottima idea. le lingue vanno conosciute realmente. dovrebbero essere tenuti in una lingua straniera almeno meta’ degli esami (nelle discipline tecniche)
carina l’idea dell’inglese…
peccato però che in linea di massima gli italiani non sappiano parlare neanche la loro lingua madre.
Sono totalmente in sintonia con il progetto di “internazionalizzazione”. Con buona pace di incompetenti bigotti come Ernesto Galli della Loggia, l’inglese è la lingua che permette di avere accesso a un mercato del sapere (prima) e del lavoro (poi) che rimarrebbe irraggiungibile per un individuo che sappia parlare solo l’italiano. Del resto è inconcepibile che il più alto livello di istruzione (se si eccettua il dottorato) possa essere conseguito senza conoscere perfettamente la lingua in cui la maggior parte delle pubblicazioni scientifiche – qualsiasi “scienza”, anche le discipline umanistiche – sono scritte, la lingua che costituisce la nuova koiné per comunicare veramente con il resto del mondo. perché è bene ricordarsi che su questo pianeta siamo 6 miliardi e mezzo di persone, non 58 milioni…
Kaworu ha perfettamente ragione quando dice che noi italiani non sappiamo parlare nemmeno la nostra lingua, ma è altrettanto ragionevole che l’italiano venga appreso un po’ prima dei 20 anni…
I agree with Kaworu! 😀
Un grave problema dell’Università italiana è che gode di scarso prestigio internazionale, visto che pochi studenti stranieri vengono a studiare in Italia, e ciò ci esclude o ci mette ai margini del “circuito”: i nostri cervelli sono in fuga, e non vengono neppure compensati dall’arrivo di cervelli stranieri! Una delle cause è lo scarso uso della lingua inglese nelle lezioni, a differenza di quanto avviene in altri paesi, come l’Olanda.
Nella mia Università certi corsi della Specialistica sono in inglese da un paio d’anni: amici che li hanno frequentati mi dicono che per loro non è stata una gran difficoltà.
@ulv
appunto, direi che a vent’anni l’italiano medio dopo uhm… 5 anni di elementari, 3 di medie e 5 di superiori dovrebbe almeno aver appreso l’uso del congiuntivo.
invece purtroppo…
vi è mai capitato di andare su siti tipo studenti.it o simili? una mia ex compagna di classe rumena, in italia da un annetto, parlava e scriveva in italiano più correttamente degli utenti di quei siti.
il che fa un filo riflettere…
con questo ovviamente non sto dicendo di evitare di insegnare l’inglese o altre lingue straniere, anzi!
ma una cosa non esclude l’altra e sarebbe meglio imparare alla perfezione PRIMA la propria madrelingua e POI (o contemporaneamente se proprio vogliamo) un’altra lingua.
per la seconda o terza lingua secondo me sarebbero i metodi di insegnamento a dover cambiare.
non è possibile che gente che sulla carta fa inglese dall’asilo, all’università si ritrovi a saper dire “the cat is on the table” e poco altro e a non capire una mazza se sente parlare qualche straniero.
Una societa’ che e’ in grado di comunicare in Inglese e’ molto piu’ esposta al confronto e molto meno facilmente indottrinabile. Basti pensare al diverso livello di accesso alle fonti di cultura offerto da Internet grazie appunto all’Inglese stesso. La religione, cosi’ come l’ignoranza, il pregiudizio, l’omofobia, la chiusura mentale e la mentalita’ antiscientifica, trionfa proprio in quei paesi che hanno scarsa apertura alle lingue e alle culture straniere. Per questo, noi atei razionalisti prima e piu’ di tutti dobbiamo auspicare che la nostra societa’ compia finalmente questa transizione.
Il migliore modo di introdurre il decisivo cambio culturale che ci consentira’ finalmente di liberarci dall’influenza delle religioni e dai vari atteggiamenti di intolleranza e provincialismo, sta proprio nell’introduzione ad ampio raggio di inglese e altre lingue straniere, nella coesione con altre culture europee e internazionali e nella diffusione di Internet e di altri mezzi di comunicazione democratica. Non sembri un caso che le societa’ piu’ retrive sono anche quelle con minori conoscenze delle lingue e culture straniere. Al contrario, sono societa’ come quella olandese o quelle scandinave (dove praticamente TUTTI parlano correntemente Inglese) che dimostrano di essere all’avanguardia per i diritti civili e la tolleranza interculturale.
Il giorno che l’Inglese sara’ veramente diffuso nel nostro paese coincidera’ con l’eliminazione sistematica dell’influenza del Vaticano sulle vicende politiche e la mentalita’ degli Italiani.
L’unica efficace strategia per cambiare le cose in Italia consiste nella sua apertura alla cultura internazionale. A mio avviso, bisognerebbe iniziare dalla progressiva eliminazione del doppiaggio nei film a favore dei sottotitoli, che ha portato tanti frutti positivi proprio in Nord-Europa. Certo, l’istituzione di corsi in Inglese a livello universitario e’ comunque un notevole passo in avanti.
@ Kaworu
Avevo perfettamente capito cosa intendevi dire! 🙂
Ho voluto precisare il mio pensiero perché spesso il tuo argomento è usato dagli ignoranti – di certo non da te – per sostenere il proprio conservatorismo e la propria diffidenza verso ogni apertura al mondo (linguistica ma anche sociale).
Anch’io mi sono accorto dello stato pietoso in cui versa l’italiano oggidì – e come non accorgersene? – ragion per cui sarebbe bene far schioccare la frusta (figurata, s’intende) fin dalle elementari. E insegnare bene lingua madre e inglese, come nel Nord Europa.
Ulv
è un’ottima idea. ma quanti ragazzi conoscono bene l’inglese da poter seguirne un corso universitario intero?
Non è come andare in inghilterra a studiare. Lì sei circondato da inglesi e sei costretto a imparare.
Qua no. Esci dall’aula e sei in italia. Nessuno ti costringe a parlare inglese.
Io non potrei seguirne uno ad esempio. Non ho la possibilità economica di seguire un corso intensivo in patria e i corsi privati servono a una segonzia.
Magari servono più agli stranieri. Ma non stiamo in bengodi, la lingua italiana è una bella lingua e può essere utile. Senza contare che la maggior parte degli studenti stranieri quando viene qua a studiare sa già almeno 2 lingue straniere.
Invece che valorizzare la nostra cultura e lingua ci mettiamo a pi greco mezzi anche stavolta -__-
I masters, i corsi di specializzazione, magari materie specifiche (insegnate da pezzi grossi) e cose così vanno anche bene in lingua.. ma non i corsi interi.
preciso meglio.
Per come è strutturato il sistema di istruzione italiano si arriva all’università che non si riesce a comprendere una lingua straniera in modo decente.
Ad esempio, prendo me stessa.
Capisco inglese, francese e spagnolo SCRITTO quasi perfettamente (più l’inglese che le altre), ma per il parlato sono completamente OUT. Capisco pochissimo, non sono abituata alla fonetica originale e negli anni mi son portata dietro grossi errori di “accento” (es. literèciar invece di litèraciur – literature) e solo all’università sono riuscita a correggerli grazie a un corso base di lingua in lingua con professori madrelingua (la mia era neozelandese, bravissima). Dopo il corso si fa l’esame, si manda a cambridge e si aspetta l’agognato risultato: avere o non avere la certificazione PET.. preliminary english test. Vale a dire *cazzabubbole*. Con quello non vai da nessuna parte.
I corsi avanzati ci sono solo per chi, al test di ingresso prima dell’anno accademico, ha dimostrato di avere *conoscenze superiori*, cioè l’1% o meno, gente che magari ha avuto la fortuna di viaggiare. I poveracci come me, che magari avrebbero la voglia di impararlo seriamente, si devono accontentare del PET.
Allora, se questo è il sistema, i corsi universitari (triennali o meno) solo per *fortunati* non li voglio. O danno anche a me l’opportunità di imparare la lingua o non ha senso.
E io ci son portata per le lingue, solo che non ho il becco di un quattrino. E’ tanto se sono andata all’università.
Se si vogliono tenere corsi in doppia lingua, a scelta tra italiano ed inglese, ben venga.
Se certi corsi saranno solo in inglese allora è una discriminazione bella e buona perchè una simile dimestichezza linguistica ce l’hanno solo quegli studenti che da liceali, o anche prima, hanno svolto costosi “soggiorni” studio a londra, USA, ecc..
Per molti ma non per tutti…
chi vuol fare corsi “solo in inglese” emigri, please.
quella dell’Inghilterra è una violenza politica, culturale e linguistica inaudita, risparmiano miliardi all’anno per la loro egemonia linguistica e noi gli corriamo dietro come degli idioti, vallo a proporre in Francia di fare i corsi in inglese! se tutti i paesi parlassero la loro lingua solo gli inglesi parlerebber inglese e si passerebbe all’Esperanto che non discrimina nessuno come lingua degli Stati Uniti d’Europa sempre ostacolati da quell’isoletta di m****..
@Giuliano, pero’ anche i manager francesi parlano l’inglese nelle loro riunioni, nonostante la grandeur di Chirac. E’ inutile, e magari triste da ammettere, i nostri giovani possono benissimo fare a meno del latino, ma senza inglese non si va da nessuna parte.
Legetevi questo blog e vedete se continuate ad essere d’accordo con questa cosiddetta internazionalizzazione che, in parole povere discrimina chi non ha un genitore inglese o chi si è fatto magari un mazzo per studiare il francese invece dell’inglese.
http://lepolitichelinguistiche.cafebabel.com/it/
Ulv
“Non sembri un caso che le societa’ piu’ retrive sono anche quelle con minori conoscenze delle lingue e culture straniere. Al contrario, sono societa’ come quella olandese o quelle scandinave (dove praticamente TUTTI parlano correntemente Inglese) che dimostrano di essere all’avanguardia per i diritti civili e la tolleranza interculturale.”
Tolleranza interculturale in Olanda non direi proprio con tutto quello che sta succedeno dopo l’assasinio di Van Gogh. Comunque le società scandinave non sono tolleranti grazie alla conoscenza dell’inglese, mi risulta che il primo riconoscimento delle coppie gay è avvenuto in Danimarca, non nel mondo anglosassone. Vorrei segnalare inoltre che in Pakistan, in Arabia Saudita e in Iran i giovani che studiano conoscono tutti l’inglese, quindi questa teorie finisce definitivamente con le gambe all’aria. Il corso in Inglese mi va bene se c’è l’alternativa in Italiano. E vi segnalo che lo spagnolo sta minacciando molto più di quanto si pensa l’inglese, negli Stati Uniti stessi.
Il commento precedente era per marco b. scusate.
x Marco B. e altri.
Infatti i capi politici, liberamente e inglesemente eletti, nei paesi di cultura anglosassone (Bush e Blair, tanto per citarne due) sono quei campioni di cultura antireligiosa che tutti conosciamo, anche se poi magari fanno qualche guerra perchè ispirati direttamente da dio (v. il fino ad ora insospettato Tony Blair).
Questo non per dire che non si debba, per tante ragioni che sono state qui giustamente ricordate, imparare bene l’inglese… ma per favore, non lo si spacci per il vero veicolo della vera cultura!
Concordo con BX, anzi direi che l’Italia ha una grande capacità di assimilare dal mondo anglosassone tutto il negativo, vedi i gruppi di cura per i gay che sono nati negli USA.
Sono d’accordo con lik, post 26 Novembre delle 21.17
Poi vi è da dire che nella democratica Inghilterra l’omosessualità è stato considerato reato, da condannare anche con l’ergastolo, fino al 1967, mentre in Italia, nella redazione del proprio codice del 1931, Rocco si era rifiutato di considerare reato la “sodomia”. Così poteva succedere, ancora prima del fascismo, che Oscar Wilde fosse condannato in Inghilterra per “sodomia”, scampando per miracolo l’ergastolo, e che poi, scontata la pena, provato nello spirito e nel corpo, venisse a vivere apertamente la sua omosessualità nella “retriva Italia” a Napoli e a Taormina che lui stesso considerava all’epoca aperta e libera. Fino a convertirsi, forse per riconoscenza, forse per un legittimo moto di coscienza, prima di morire, al cattolicesimo. La storia è molto complessa e a volte sorprende.
Sbaglio, ma negli Stati Uniti, si parla l’inglese e non mi pare che ci sia questa apertura apertura mentale…
Deciso concordo con lik 26 Novembre 2007 alle 21:17 e con Lotario Innocenzo 26 Novembre 2007 alle 23:48. Se dall’Italia i cervelli fuggono, perché non ci si attiva per arrestarne la fuga? Perché si ritiene più utile (=economico) importarne dal Pakistan, dall’India o dall’Africa (anche in Kenia molti parlano inglese)?