Le convinzioni etiche hanno mostrato la capacità di generare schemi di attivazione simili a quelli delle certezze matematiche
“La cosa mi puzza, non ci credo”. Questa comunissima frase è in un certo senso direttamente implementata nel nostro cervello, o quanto meno riflette una realtà neurologica. Uno studio condotto da ricercatori dell’Università della California a Los Angeles e pubblicato on line sugli Annals of Neurology ha infatti dimostrato che quando crediamo, non crediamo o siamo incerti su un’affermazione, nel nostro cervello si attivano regioni distinte. E non solo: le regioni interessate dalla credenza/non-credenza sono in stretta relazione con quelle che valutano la piacevolezza o il fastidio provocato da odori e sapori.
Nella ricerca, diretta da Sam Harris, un gruppo di volontari è stato sottoposto a risonanza magnetica funzionale mentre essi dovevano valutare come vere, false o dubbie una serie di brevi frasi di varia natura, riguardanti i più diversi argomenti, dalla matematica, alla geografia, da esperienze della propria vita a questioni fattuali o religiose.
Gli esperimenti hanno mostrato che uno stato di credenza o non-credenza determina un forte segnale a livello di corteccia prefrontale ventro-mediale, che è coinvolta nel collegare conoscenza fattuale ed emozioni. “Il coinvolgimento della corteccia prefrontale ventro-mediale nei processi di credenza suggerisce un legame anatomico fra gli aspetti puramente cognitivi della credenza e le emozioni umane e la ricompensa”, osservano gli autori. E aggiungono che il fatto che le credenze etiche mostrino schemi di attivazione simili a quelli matematici suggerisce che la differenza fisiologica fra credenza e non credenza non sia correlata al contenuto o ad associazioni emotive.
Il contrasto fra credenza e non credenza è dato da un aumento del segnale nell’insula anteriore, una regione coinvolta nella percezione del gusto, e in particolare nella sensazione di disgusto, e del dolore. Ciò indica, notano gli autori che “le frasi false possono realmente disgustarci. Il nostro risultato dà un senso alla coloritura emotiva della non-credenza, collocandola in un continuo con altre modalità di valutazione e rifiuto dello stimolo.”
L’incertezza evoca invece un segnale positivo nel cingolato anteriore e un segnale decrescente nel caudato, una regione dei gangli basali che ha un ruolo nell’azione motoria. Osservando che sia credenza, sia non-credenza stimolano nel caudato un segnale più marcato rispetto all’incertezza, gli autori ipotizzano che i gangli basali possano avere un ruolo di mediazione nella gestione delle differenze cognitive e comportamentali fra decisione e indecisione.
Lo studio suggerisce infine la possibilità che in futuro si possa distinguere fra certezza e incertezza con tecniche di visualizzazione cerebrale e conclude: “Ciò avrebbe ovvie implicazioni per la rilevazione delle frodi, per il controllo sull’effetto placebo nella filiera di progettazione dei farmaci e per lo studio di tutti quei fenomeni cognitivi superiori in cui le differenze fra credenza, non-credenza e incertezza possono costituire una variabile importante.”
E lo dicevo che le sciocchezze fanno tanfo…
con tutto il rispetto per il grande Sam, i credenti il cervello non ce l’hanno proprio o in alternativa è arrugginito dalla nascita
un esperimento inutile
la stupidità è la malattia più diffusa al mondo
mi chiedo se un giorno scopriranno un’attinenza tra l’essere credenti e prendere le cose sottogamba