“In Tibet è perfino proibito pronunciare il mio nome”. Il Dalai Lama, in questi giorni a Roma, parla delle persecuzioni del governo cinese nei confronti dei buddisti (“hanno tolto qualsiasi riferimento alla religione, è proibito fare pellegrinaggi”), nega di voler puntare all’indipendenza del Tibet ed esprime rammarico per non avere potuto incontrare Benedetto XVI. “Il Papa però rappresenta una importantissima spiritualità e la spiritualità deve essere ferma quando si tratta di principi”. Perché non ha incontrato il governo italiano? “Chiedetelo a loro” ribatte con un sorriso disarmante.
“Sono ingombrante, che posso farci?”. Piedi scalzi, seduto in posizione yoga e avvolto nella sua tunica giallo-arancione, “Oceano di Saggezza” ha modi semplici, informali. Stringe la mano con convinzione, fa spazio dentro alla suite dell’hotel Exedra di Roma. Eccoci dice, go on, parliamo. Perché non ha incontrato il governo italiano? “Già, perché? Chiedetelo a loro” ribatte, con il suo solito, disarmante sorriso. L’icona mondiale del pacifismo, 72 anni di cui 48 passati in esilio, torna serio. “Me ne dispiace. Un piccolo rimpianto c’è anche per non aver visto il Papa. Ma se ha trovato qualcosa di sconveniente, nell’incontrarmi, per me va bene, non c’è problema. Il Papa però rappresenta un’importantissima spiritualità. E la spiritualità deve essere ferma quando si tratta di principi”.
Sua Santità, crede che le pressioni della Cina abbiano condizionato il governo italiano?
“Ovunque io vada, cerco sempre di non recare disturbo, quindi se provoco imbarazzo a qualche governo rispondo “Ok, nessun problema”. Non sarò certo io a protestare. Il mio obiettivo più grande è la promozione dei valori umani e l’armonia tra le religioni. Ecco, l’unica cosa che mi sento di dire è forse che anche i governi e i leader politici dovrebbero fare qualcosa di più per promuovere i diritti umani e i valori (ride)”.
Lei ha parlato più volte di un genocidio culturale in Tibet.
“Nel nostro paese, è vietato tenere una statua di Budda in casa, o esibire qualsiasi oggetto religioso. E’ proibito fare pellegrinaggi ai templi. Nelle scuole, le autorità cinesi hanno tolto ogni riferimento alla religione, mentre nei monasteri buddisti sono incominciati gli indottrinamenti politici, divisi in punti. Il primo punto è quello che invita a criticare il Dalai Lama”.
In Tibet è addirittura proibito pronunciare il suo nome, giusto?
“Hanno anche tolto tutte le mie fotografie. Ma non fa niente. La cosa fondamentale è che nel nostro paese c’è un’insofferenza sempre maggiore e che qualsiasi manifestazione di protesta o critica alle autorità cinesi viene repressa con la violenza. Arresti e torture sono all’ordine del giorno. I tibetani vengono trattati come cittadini di seconda classe nel loro stesso paese. Anzi, come animali da bastonare, a cui è negata qualsiasi dignità”.
Le capita di provare rabbia o frustrazione?
“Non sono abituato a lasciarmi andare a questi sentimenti. E’ molto meglio rimanere calmi, proteggere la propria pace mentale”.
La Cina l’accusa di essere un leader politico che cerca l’indipendenza, un separatista.
“Sono accuse calcolate, perché da tempo i cinesi sanno che non cerchiamo l’indipendenza. Purtroppo è ormai chiaro che è in atto una strategia di denigrazione nei miei confronti. Volontaria e costante”.
Se non cercate l’indipendenza, quali sono gli ostacoli per trovare un accordo con Pechino?
Il Dalai Lama e Gorbaciov
“Dal 2001 ci sono stati sei incontri tra la nostra delegazione e il governo cinese. Fino all’anno scorso, nel nostro penultimo colloquio, avevamo fatto molti progressi. Nella primavera 2006 sono invece ricominciate le accuse nei miei confronti e la repressione all’interno del Tibet. Prima dell’estate, durante il nostro ultimo incontro, Pechino ha rotto il dialogo. Dicendoci soltanto: “Non c’è nessuna questione aperta sul Tibet”. Oggi devo ammettere che la situazione è molto critica, difficile. Da parte nostra nulla è cambiato. Siamo sempre in cerca di un riconoscimento della nostra autonomia, all’interno della Costituzione della repubblica popolare cinese”.
E’ a favore del boicottaggio delle Olimpiadi?
“No. Da subito, mi sono pronunciato contro il boicottaggio. La Cina è un grande paese, si merita le Olimpiadi. Penso però che per essere un buon ospite, Pechino dovrebbe prestare più attenzione alle preoccupazioni di governi e Ong sulle violazioni di diritti umani, libertà religiosa e di espressione, e sul rispetto dell’Ambiente”.
Cosa possono fare i governi occidentali per aiutare la causa tibetana?
“La mia opinione su questo è che la Cina non deve essere isolata dalla comunità internazionale. E se guardiamo all’economia, l’integrazione dei cinesi è già nei fatti, ma non è sufficiente. Il mondo libero ha la responsabilità morale di portare la Cina nell’ambito della democrazia. La relazione economica deve essere un’amicizia alla pari, in cui vengono tenuti fermi i valori delle società aperte e democratiche. Se ci si presenta solo per fare affari, ripetendo unicamente “Sì, ministro”, allora si rischia di perdere la faccia, e anche il rispetto dei cinesi”.
Se non fosse stato un Dalai Lama, cosa avrebbe fatto?
“Ma è impossibile! Un sogno! (ride) E’ vero però che la mia mente è molto scientifica. Anche Mao Zedong me lo aveva detto. Forse avrei fatto qualche mestiere attinente alla meccanica”.
E’ vero che ama riparare i motori?
“Certo, usando gli attrezzi e sporcandomi le mani di grasso. Quando ero giovane, però. Ora non lo faccio più”.
Come sarà scelto il prossimo Dalai Lama?
“Ci sono tre opzioni. La prima, prevede che il mio successore sarà eletto con una procedura simile a quella del Papa, scelto da un conclave di religiosi. La seconda, potrebbe essere la scelta del Dalai Lama prima della mia morte. E’ già successo. Infine, è possibile la mia reincarnazione, dopo la mia morte. In questo caso, se morirò in esilio, la mia nuova reincarnazione dovrà portare a termine quello che non ho potuto fare in questa vita. E quindi il prossimo Dalai Lama nascerà fuori dalla Cina”.
I cinesi potrebbero scegliere loro il suo successore, come già è accaduto per il Panchen Lama.
“Se fosse così non sarebbe un Dalai Lama, ma soltanto un pupazzo (ride). Speriamo non lo facciano, anche se lo temo: i nostri fratelli e sorelle cinesi sono molto furbi e amano complicare le cose (ride)”.
E lei si ricorda il momento in cui è stato riconosciuto come la quattordicesima reincarnazione del Dalai Lama?
“Avevo due anni, vivevamo in un remoto villaggio del Tibet orientale. Mia madre racconta che nei giorni precedenti all’arrivo della delegazione in cerca del nuovo Dalai Lama, ero stranamente eccitato. Poi quando i lama arrivarono, corsi verso di loro e riconobbi come miei gli oggetti del precedente Dalai Lama. E dopo due giorni, mentre andavano via, mi misi a piangere. Un comportamento molto strano: quale bambino vuole seguire degli estranei, invece che rimanere con la propria madre? (ride)”.
Non deve essere stato facile diventare improvvisamente, così piccolo, un Dio Re.
“Fortunatamente, venivo trattato come un bambino normale. Durante le cerimonie ero sul trono, ma quando giocavo con gli altri bambini ero uno di loro. Mi capitava spesso di perdere, e mi arrabbiavo parecchio. La sera, ci sedevano in cerchio a bere tè, mangiando zuppe. Mi ricordo che guardavo con invidia la ciotola degli inservienti, molto più grande della mia (ride). Noi bambini ci raccontavano storie di fantasmi, che di notte mi terrorizzavano (si copre gli occhi e ride). Ero davvero un bambino come gli altri, felice. Se io e mio fratello facevamo capricci per non studiare, il maestro ci prendeva a frustate. L’unica differenza era che il frustino per me era giallo, del colore sacro. Il dolore, però, era lo stesso! (ride)”.
Durante l’adolescenza, il suo paese è stato invaso e lei si è ritrovato a trattare con il Grande Timoniere, Mao Zedong.
“Lo incontrai nel 1954 a Pechino. Mi trattò come un figlio, mi diede consigli. Mi aveva quasi convinto ad iscrivermi al partito comunista. Ancora adesso mi considero metà buddista, metà marxista. Davvero, credo che il marxismo sia ancora la chiave di una giustizia sociale ed economica”.
Eppure nel marzo 1959 dovette scappare dal Tibet, in piena notte e a dorso di uno yak.
“Dal palazzo reale di Potala vedevo l’artiglieria cinese avanzare. Non ho scelto l’esilio, sono stato costretto. E adesso è quasi mezzo secolo che sono un homeless, un senza casa, per fortuna ho trovato tanti amici all’estero, anche in Italia (ride)”.
Ha voglia di esprimere un desiderio per il 2008?
“Spero che la Cina si aprirà al mondo, con fiducia e speranza”.
A parte per il fatto che il Dalai Lama viene chiamato “Sua Santità”… Sarà un lapsus tipico del giornalismo italico.
Io sono iscritto all’UAAR e sono anche buddhista. In particolare modo, seguo la tradizione theravada (Thailandia, Sri Lanka ecc.ecc.).
Ho molto rispetto per il Dalai Lama e, condivido moltissimi suoi insegnamenti, pur astenendomi dal chiamarlo in pubblico “Sua Santità”. Non perchè non riconosca le sue qualità -pur evidenti- ma perchè quel titolo a chi non conosce il buddhismo fa venire in mente sempre l’italico papa ed è causa di tanti equivoci… Da un certo punto di vista condivido il disappunto di chi ha postato l’articolo e spero che questi condivida anche le mie riflessioni che sto per enucleare…
In questo caso, Vorrei chiarire due cose. Primo, nel buddhismo non esiste una figura unica, paragonabile al papa e, secondo me, questa è una grandissima fortuna; non è infrequente che nello stesso buddhismo tibetano non tutti riconoscono in maniera unanime l’autorità del XIV Dalai Lama, soprattutto per vecchie questioni dottrinali e/o temporali che oggi non hanno più motivo d’essere. Secondo, in molti che leggono questo sito e che postano anche alcune loro riflessioni su “L’ateo” (mi riferisco soprattutto al n.54 6/2007) non è mai abbastanza chiara la differenza fra buddhismo e cristianesimo, per non parlare del cattolicesimo…
Spesso leggo articoli e commenti scorretti ed approssimativi generati -secondo me- soltanto da un’ingiustificabile bramosia di stroncare a tutti i costi tutto ciò che somiglia a una religione.
Il Buddha storico, Siddharta Gotama, non si è mai espresso sull’esistenza di dio. A questo titolo, senza dubbio potremmo definirlo agnostico. Quindi, perchè non iscriverlo post-mortem alla nostra associazione?
saluti
maurizio
Io credo che da parte di un ateo la diffidenza verso il Dalai Lama sia pienamente giustificata, non perchè il buddhismo “assomigli ad una religione”, ma perchè l’idea della reincarnazione, ribadita in questa intervista, presuppone la realtà di quacosa di spirituale, di extracorporeo, di trascendente, di indimostrabile.
L’idea di qualcuno messo a capo di una comunità perchè è la reincarnazione di qualcun’altro e di questo conserva il carattere e i ricordi, non è più facile da accettare dell’idea che il papa sia scelto dallo spirito santo o che Gesù sia nato da una vergine.
L’Italia tanto per cambiare si è dimostrata serva del più forte economcamente.
E’ un vero peccato che non abbia dato il giusto spazio al Dalai Lama, che santo o no, rappresenta comunque una civiltà pacifica massacrata dall’arroganza di un governo padrone. infatti immagino che se fosse dipeso dai comuni abitanti della Cina, la questione tibetana e la cacciata del Dalai Lama non sarebbero mai avvenuti.
Anche io sono contrario alle forme di anientamento indiscriminato di ogni forma di culto, per il fatto che se questa forma di culto non fa male al prossimo non vedo perchè dovrebbe essere disintegrata.
Un conto sono la religione cristiana e quella islamica che non vedono altro che loro stesse ed hanno sempre usato violenze fisiche e psicologiche per durare nel tempo, ed un conto è un culto che si basa su regole di vita cdhe chiunque se vuole può scegliere senza imporre nulla a nessuno e senza che ci sia un capo spirituale che cerca di dominare il mondo!
Infatti una concezione così stringente della reincarnazioe è tipica del lamanesimo tibetano che, ricordiamecelo, era una teocrazia molto, ma molto arretrata. Il dogma così forte (leggersi il bardo thodol) sul meccanismo reincarnzione=punizione o premio, più che avere come fine lilluminazione ha come fine il manteniento del potere di una casta di autoeletti illuminati. Che storicamente, in barba ai vari discorsi reincarno-pacifisti, ha fatto le sue brave guerre.
Personalmente preferisco il buddismo zen che pone l’accento sull’essere umano e le sue responsabilità, facendo diventare la reincarnazione un concetto del tutto secondario, portando fral’altro alla luce l’idea di una strada migliorativa che passa per i gesti quotidiani e no per assurde privazioni o atti estremi. I koan del maestro Wungmen sono molto istruttivi in merito.
Che la cina si democratizzi me lo auguro di cuore e altrattanto dicuore mi auguro che la teocrazia tibetana resti dove le compete: chiusa nei templi e ben lontanta dalle leve del potere.
Io, che ho postato l’articolo, sono sostanzialmente d’accordo con Apoftegmatico. Il riferimento che ho fatto a “sua santità” era volutamente ironico, e permettetemi di essere un minimo scettico, in quanto ateo, su tale appellativo – che va al di là delle caratteristiche morali e fa riferimento a questioni spiritualistico-religiose, di fatto.
D’altra parte, non si può pretendere che l’UAAR supporti le religioni, o una religione rispetto alle altre, o sistemi di pensiero di matrice irrazionalistica: su L’Ateo si fa appunto critica religiosa di matrice razionalistica (non si vuole “demolire” nulla a prescindere, quanto far pensare, riflettere, conoscere), e ciò può piacere o meno, ma non significa settarismo.
In particolare due cose: L’Ateo, come è stato giustamente scritto, non è “L’Anticattolico” e basta; poi non è che il buddismo sia più razionale del cristianesimo – diciamo che è meno peggio, con tutto il rispetto per i buddisti e i simpatizzanti.
Rispondo a Valentino Salvatore.
Io non ho mai preteso -da buddhista- che l’UAAR supporti una o qualche religione. A me non serve, così come non serve a voi. Personalmente, condivido molte tesi a supporto dell’ateismo o dell’agnosticismo, ma devo constatare che, qualche volta, c’è uno scetticismo fine a se stesso, semplicemente improduttivo.
Io volevo sottolineare le differenze profonde fra buddhismo e religioni monoteiste. Il buddhismo non è una religione. E’ un misto fra metodo psicologico, filosofia di vita e sistema fideistico (nel senso di fiducia, non di credenza). Da un certo punto di vista, il buddhismo è anche una religione, ma questo è in dipendenza dall’uso che viene fatto dai popoli o dai singoli individui. La filosofia marxista -atea per principio- nel momento in cui si è sciaguratamente affermata, è diventata essa stessa una sorta di religione…atea.
Rispondo a Apoftegmatico
La teoria della reincarnazione non è affatto buddhista come si pensa. Altrimenti, la teoria dell’anatta (anatman, cioè della non-esistenza del sè)) come si concilia? Se hai tempo, leggiti qualche testo di Buddhadasa.
ciao
maurizio
maurizio
Mi sento di concordare su parecchi punti con Maurizio.
per quale ragione il papa dovrebbe ricevere la concorrenza ?
Ho partecipato a qualche funzione buddista, a parte la lingua (incomprensibile, ma lo e’ anche il latino per chi non ha fatto il liceo) sarebbe stato difficile distinguerla da una messa. Litanie, campanellini, candele, mancava solo l’ incenso e l’ ostia.
La non esitenza del se è semplicemente molto simile al concetto di apokastasi greco. Autodistruzzione psicologico-mistica per divenire uno con il tutto.
La reincarnazione E’ dottrina buddista infatti tutto l’ambaradan ha proprio lo scopo di distruggere l’anima\ego per fondersi con il tutto e fare cessare il ciclo delle reincarnazioni e della sofferenza. Togliendo la reinarnazione si disintegra la dottrina buddista in quanto si toglie il concetto di dolore=espiazione di peccati di vite passate, illuminazione come modo di scappare dalla vita per non soffrire. Scusami ma sono le basi teologiche espresse da Sidartha Gautama, lo stesso tizio che lottava con Maya dio del male e signore delle illusioni.
Che poi tu abbia fatto una tua paticolare rielaborazioni del buddismo è unconto, ma la tologi è resta quella.
E’ un sistema di fideistico (nel senso di fede e no di fiducia) in quanto in TUTTI i suoi testi si presuppone come l’esitenza dicose indimostrabile come: anima, reincarnazione, effetti taumaturgici di data ritualistica, divinità, poteri sovrannaturali, ecc..
Personalmente ritengo il buddismo 100 spanne sopra i moneteismi per il suo metere l’accento sulla responsabilità personale, la maggiore umanità verso le persone e la forma mentis decisamente più propensa al rispetto altrui. Cose non di poco conto per quello che mi riguarda.
Ad ogni modo non puoi chiederci di considerare la teologi abuddista come più razionale di quella cristiana, le favole restano favole.
Così come non puoi chiedere che venga approvata una teocrazia che ha tenuto per secoli un intero popolo nel medioevo, solo perchè il teocrate di turno si chiama dalai-lama ed ha la facina simpatica. Lui non era meglio dei cinesi, ha danneggiato il suo popolo on l’osurantismo in egual misura.
@ Maurizio
Ammetto di non avere una profonda conoscenza del buddhismo, o meglio, dei buddhismi.
Mi limito a far notare che il Dalai Lama, a più riprese indicato dai giornalisti come “la massima autorità del buddhismo” è un tizio che sostiene di essere la reincarnazione di qualcun’altro conservandone i ricordi fin dall’età di due anni.
Il che è un po’ come se io dicessi di essere Napoleone, riconoscessi come miei i suoi oggetti e cominciassi a raccontare episodi della campagna d’Egitto come se li avessi vissuti in prima persona.
Se poi ci sono all’interno dei buddhismi degli “indirizzi” che non riconoscono nè l’autorità del Dalai Lama, nè la “realtà” della reincarnazione, è un elemento che ammetto di non conoscere non avendo del buddhismo che una superficiale conoscenza. Il mio commento si limitava ai contenuti dell’articolo che, da ateo, non possono che lasciarmi perplesso.
Giudicare lo scetticismo “improduttivo” perchè viene applicato al proprio modo di vivere la spiritualità mi pare quantomeno comodo. Non vedo perchè dovrei applicarlo al cristianesimo e al buddismo no. Chiaro che chi è buddista trovi nel buddismo molto, e su questo non discuto, fa parte delle scelte personali e delle emozioni che suscita.
Il buddismo, per come la vedo, nasce come filosofia con una forte matrice spiritualistico-religiosa, ma bisogna anche rilevare che nelle sue forme più recenti – e soprattutto in quelle impiantatesi in occidente – tende a scimmiottare parecchio le religioni preesistenti. Le differenze rispetto alle religioni monoteiste le ritengo essenzialmente di gradazione, non di sostanza: anche perchè si basa su presupposti di fatto fideistici (reincarnazione, ecc.).
Non voglio difendere il marxismo, ma si basa su presupposti in po’ diversi rispetto alle religioni, seppure condivido l’analisi sulla sua degenerazione. Insomma, non è che possiamo giustificarci applicando il “tu quoque”…
Condivido l’idea che il buddismo sia comunque meglio dei monoteismi che girano dalle nostre parti, ma appoggio anche quello che dice Asatan.
Insomma, non vorrei che da un lato si vuole criticare il cattolicesimo, il papato, i monoteismi irrazionali ecc., mentre dall’altro si usano schemi di pensiero per certi versi simili, chiudendo di fatto il cerchio.
ciao a tutti, sono daccordo con Valentino, e lo dico da praticante del dharma buddhista, non si tratta ti tessere le lodi del buddhismo e condannare il cristianesimo o un’altra religione monoteista, se una persona ritiene che degli assunti di una specifica religione o filosofia siano irrazionali, ha tutto il diritto di contestarli anzi direi che in un certo senso direi che addirittura “deve”, nel senso che lo deve alla propria coscienza. Il punto è farlo con rispetto
ciao marco : )
anzi direi che in un certo senso direi che addirittura “deve”, nel senso che lo deve alla
SCUSATE CORREGGO CON:
anzi direi che addirittura “deve”, nel senso che lo deve alla propria coscienza
ciao m
Asatan scrive:
16 Dicembre 2007 alle 22:05
L’apocastasi è la salvezza dell’anima. Il Buddha storico, Sakyamuni, negò esplicitamente l’esistenza di un’anima eterna, incorruttibile, capace di sopravvivere la morte corporea. Vedi http://www.linguaggioglobale.com/filosofia/oriente/buddismo.htm il paragrafo che inizia con le parole: “La teoria della anatta”. Altro testo molto autorevole ed esplicativo è il capitolo “C’è un’anima eterna?” (“Is there an eternal soul?”) del monaco theravâda srilanchese Sri Dhammananda Thera. È reperibilie on-line a quest’indirizzo, ne traduco volentieri un paio di brani:
http://www.buddhanet.net/budsas/ebud/whatbudbeliev/115.htm
«Il Buddha insegna che quello che chiamiamo ego, il sé, l’anima, la personalità ecc., sono meramente termini convenzionali che non fanno riferimento a nessuna entità reale e indipendente. Secondo il buddhismo non c’è ragione di credere all’esistenza di un’anima eterna che viene dal cielo o che si è creata da se e che trasmigrerà o procederà direttamente o nel paradiso o nell’inferno. I buddhisti non possono accettare che ci sia qualsiasi cosa in questo mondo o in un altro mondo che sia eterno od immutabile. Siamo noi che ci attacchiamo a noi stessi e speriamo di trovare qualcosa d’immortale. Siamo come dei bambini che sperano di afferrare un arcobaleno. Ai bambini l’arcobaleno è qualcosa di vivido e reale, ma gli adulti sanno che è soltanto un’illusione creata da certi raggi di luce e da gocce d’acqua. La luce è soltanto una serie di onde o oscillazioni che non hanno maggiore realtà dello stesso arcobaleno.
«L’uomo se l’è cavata bene senza scoprire nessuna anima. Non mostra segni di fatica o di degenerazione per il non aver incontrato alcuna anima. Nessun uomo ha prodotto alcunché per il beneficio dell’umanità postulando un’anima e le sue opere immaginarie.»
Questo “tutto” cosa sarebbe nel buddhismo? A me non viene in mente nulla. Tui che conosci tanto il buddhismo dal poterne scrivere, riferendo anche quello che avrebbe o che non avrebbe insegnato il Buddha, mi puoi rispondere, per favore?
È una dottrina induista. Il buddhismo nega esplicitamente la reincarnazione.
Su questo sito se n’era già trattato in precedenza, vedi l’ultimo intervento all’indirizzo http://www.uaar.it/news/2007/11/29/sempre-piu-buddhisti-italia-presto-matrimoni-funerali-celebrati-dai-monaci/
Impossibile distruggere quello che non esiste.
Di nuovo ti chiedo le fonti di queste dottrine cui ti riferisci. A quale buddhismo ti riferisci?
La reincarnazione, ripeto, è una dottrina induista esplicitamente negata nei canoni buddhisti in lingua pâli (buddhismo theravâda) e in sanscrito (molte scuole di buddhismo mahâyana). Credo che anche le versioni cinesi lo sostengano esplicitamente (in genere sono traduzioni dei due precedenti canoni).
Al contrario, introducendo la reincarnazione nel buddhismo si disintegra la sua dottrina dell’anatta (in pâli, anatman in sanscrito): http://it.wikipedia.org/wiki/Anatman
Quello che la dottrina del kamma (in pâli, karman in sanscrito) intende è che la volizione, causa delle azioni, delle parole e delle opinioni di un individuo, è seguita da conseguenze che influenzano la vita presente e futura, sia di chi le ha commesse e coltivate, che degli esseri che saranno al mondo ancora dopo la sua morte. Non esiste il peccato né la sua espiazione nel buddhismo. Esistono invece la volizione, gli atti, le parole e le loro conseguenze.
Mi risulta il contrario. Di nuovo, t’invito a produrre le tue fonti. Una delle mie è l’insegnamento a Vacchagotta, contenuto nel Samyutta Nikaya, disponibile on-line solo in inglese, ad esempio su http://www.purifymind.com/EternalSoul.htm , di cui traduco un estratto:
«Per comprendere la dottrina dell’anatta si deve capire che la teoria dell’anima eterna, il “io ho un’anima”, e la teoria materialista, “io non ho un’anima”, sono entrambe di ostacolo per l’autorealizzazione e la salvezza. Entrambe sorgono all’erronea concezione “IO SONO”. Per cui, per comprendere la dottrina dell’anatta non ci si deve attaccare ad opinioni o a punti di vista riguardo la teoria dell’anima; piuttosto si devono vedere le cose obbiettivamente così come sono senza proiezioni mentali. Si deve imparare a vedere il cosiddetto “io”, o “anima” o “se” per quello che è in realtà: una mera combinazione di forze cangianti. Questo richiede una certa spiegazione analitica.»
Per il resto ti rimando al seguito dell’articolo. In breve, tutte quelle cose, l'”io”, il “se”, l'”ego” e l'”anima”, non sono che il prodotto temporaneo ed effimero di una serie di presupposti e di forze, naturali e psicologiche, che agiscono sulla materia e sulle predisposizioni mentali degli esseri senzienti. Questo è aquello che afferma la dottrina buddhista theravâda e molte di quelle mahâyana.
Volessi leggere un documento originale del canone pâli che espone un insegnamento a riguardo, non ci sono (o non trovo) on-line traduzioni in italiano, ma in inglese puoi cominciare con questo: http://www.accesstoinsight.org/tipitaka/mn/mn.072.than.html
Nel buddhismo esiste sicuramente la dottrina, il Dhamma (in pâli, Dharma in sanscrito), ma nessuna teologia.
Tutte queste cose sono esplicitamente negate nei canoni buddhisti. Qualunque testo tu abbia usato per farti una cultura buddhista, ti consiglio di gettarlo.
Riguardo la fiducia (e non la fede), riporto parte di un colloquio contenuto in un testo antico, il Milindapañña:
Il re disse: «Che vantaggio (attha) traete, venerabile Nagasena, dall’abbandonare il mondo (pabbajjâ), e qual è per voi lo scopo supremo?»
L’anziano disse: «Sire, che questa sofferenza possa essere interrotta e che un’altra non sorga. È con questo scopo, sire, che noi abbandoniamo il mondo; il nostro scopo supremo, inoltre, è il nibbana definitivo privo di base (anupâdâparinibbâna)».
«Venerabile Nâgasena, abbandonano tutti il mondo per tale scopo?»
«No, sire. Alcuni abbandonano il mondo per tale scopo, altri, invece, lo abbandonano per paura di re, di ladri, perché hanno debiti o per ottenere mezzi di sostentamento. Ma coloro che abbandonano il mondo correttamente lo fanno per lo scopo da me esposto.»
«Voi, venerabile, avete abbandonato il mondo per tale scopo?»
«Io, sire, abbandonai il mondo quando ero un ragazzo; non sapevo che stavo abbandonando il mondo per questo scopo, eppure pensai: “Questi asceti, figli dei Sakya, sono saggi. Costoro mi istruiranno”. Pertanto adesso che sono ben istruito grazie a loro, so e vedo che lo scopo di abbandonare il mondo è questo.»
«Siete sagace, venerabile Nagasena.»
Senza rancore, ma documentati, prima di sparare sentenze e commenti così sprezzanti.
Ciao,
Alessandro S. scrive:
17 Dicembre 2007 alle 14:06
Scusate, ho dimenticato qualche parola: «l capitolo “C’è un’anima eterna?” (”Is there an eternal soul?”) del libro “A cosa credono i buddhisti” (“What Buddhists Believe”)»
Secondo il punto di vista del buddhismo, l’origine e la fine del cosmo non sono umanamente percepibili o comprensibili, come pure tutte le qualità inerenti alla mente stessa. L’universo ha connaturato la sensazione, la percezione, la conoscenza e le relative riverberazioni mentali. Riconoscere questo spazio in sé ed in ogni cosa e giungere a trascenderlo è raggiungere la piena illuminazione. Spesso erroneamente interpretato come un niente, una mancanza o un buco nero, esso invece connette ogni cosa. Dal Buddha questo spazio viene definito vacuità che comprende e riconosce tutti i tempi e tutte le direzioni. Questo cos’è se non “unione con il tutto”?
Sull’esitenza delle divinità Siddhartha evitò accuratamente di esprimersi. La mitologia buddisto però gli attribuisce alcune cose pittoresche come la nascita “senza parto” (storia dell’elefante bianco), divinità che andavano ad ascoltare i suoi discorsi, cobra giganti che aprono il cappuccio per ripararlo dalle intemperie, nonchè la famosa lotta con dio Maya e via discorrendo.
Sull’io\anima più che una negazione (poco probabile per la “via di mezzo”) c’è una descrizione di inutilità. Perenni o transitori sono “oggetti” di cui sifarsi per raggiungere il nirvana. Ad ogni modo il fatto stesso che ci si periti tanto di distruggere qualcosa per raggiungere uno scopo dovrebbe fare riflettere. Si nega l’ego\io\anima\vattelapesca, ma poi è un qualcosa che và abbandonato\distrutto per giungere al nirvana.
Può non piacere ma il buddismo ha una sua forte componente mitologica, nonchè una seire di dogmi e rituali religiosi. Basta farsi un giro ai vari templi pernotare offerte di vario genere per propiziarsi questo o quello. Nonchè un numero elevato di correnti di pensiero spesso contraddittorie fra loro.
Ad ogni modo Alessandro, se vivi le critiche come un offesa imperdonabile, cosa ci fai qui?
Io non ho fatto affermazioni sprezzanti sul buddismo, ne ho anzi lodato alcuni aspetti che ritengo molto positivi e detto di avere trovato ispiratori i koan del maestro Wungmen (credo si noti una mia predilizione per lo zen, con la concezione di equilibrio fra nirvana e samsara).
Sulla teocrazia tibetana… non ho mentito quando ho detto che ha tenuto quel paese nel medioevo per secoli. Privo di contatti col mondo esterno, con la scienza, ecc… Può anche esserti simpatico l’attuale Dali Lama (a me sembra un brav’uomo), ma questo non può cancellare le colpe di quel regime… il rifiuto del progresso e del contatto col resto del mondo ha servito il Tibet alla Vina su un piatto d’argento, purtroppo.
Su una cosa hai ragione. Ho confuso i termini non volevo dire apokastasi. Il concetto era atarassia. Chiedo venia.
@Apoftegmatico: guerda per quel ne sò il Dalai Lama è capo del solo buddismo laminista tibetano. Il resto del buddimo ha strutture e gestioni proprie.
Asatan scrive:
17 Dicembre 2007 alle 16:35
È vuna “vacuità” (la tua fontge dev’essere Mahâyana), ossia qualcosa di inesprimibile. Non un “tutto”, che per me è pienamente esprimibile.
Al contrario, si espresse chiaramente: http://groups.google.com/group/it.cultura.religioni.buddhismo/msg/abe52645db21a4da
Ma bisognerebbe chiarire cosa siano le divinità nel buddhismo.
Il dio Mara, il dio della morte e dell’illusione esistenziale. Maya è una dea, poco o nulla presente nel buddhismo (forse in qualche corrente mahayana?).
L’anima come ente eterno e immutabile è esplicitamente rigettato. Uno dei cardini del buddhismo è l’impermanenza di tutto. Per il resto, l’anima è comunque un’idea futile e fonte di problemi, invece che di rimedi, vero.
Diceva che vanno abbandonati gli attaccamenti, le erronee opinioni e il fare il male. Tanto basta, è riportato che disse, per conseguire la liberazione.
Il punto è che però tutta la parafernalia mitologica è inutile ai fini della liberazione. Non sono condannati esplicitamente (anche se lo sono invece la magia e la divinazione), ma sono contorni culturali, non sono la dottrina.
Imparo! 🙂
Scusa l’intemperanza, ho esagerato.
Sono d’accordo con te. Ma questo l’ha riconosciuto lo stesso Dalai Lama. Una volta disse che due cose positiva l’occuapzione cinese le avevano prodotte: avevano permesso a lui di vivere come monaco tra i monaci e non più come gerarca attorniato da lacché. E che i cinesi avevano portato il progresso tecnologico in Tibet.
Cosa ha mai trovato il papato di positivo in Porta Pia?
Ah, Asatan, non mi risulta poi che esitano dogmi in qualsiasi scuola buddhista. A te si? Quali? Nel buddhismo tibetano?
Ciao,
Vorrei salutare Alessandro che credo di conoscere personalmente. Lo ringrazio per l’intervento e per la dovizia di particolari. Mi ha risparmiato un sacco di fatica… 🙂
Io, però, vorrei aggiungere qualcos’altro.
Quando parlo di scetticismo improduttivo, mi riferisco alle affermazioni che nascono dalle conoscenze approssimative. Basterebbe una semplice documentazione su alcuni termini e molti equivoci verrebbero chiariti. In questo caso, mi riferivo soprattutto ai due articoli pubblicati nell’ultimo numero de “L’ateo”. Alessandro Scalzo, per esempio, nel suo “Sotto a chi tocca, pag.15” conclude in questo modo: “…la reincarnazione è una solenne idiozia. Qualcuno pensa che partendo da una solenne idiozia possa venire fuori qualcosa di buono?” Ecco: questo è scettiscismo improduttivo (a parte il tono offensivo e stupido). Nel tentativo maldestro e ridicolo di sostenere le proprie tesi, il sig. Scalzo proclama la sua solenne idiozia. E’ un clamoroso autogol… Proprio perchè la reincarnazione non è una tesi buddhista, contrariamente a quanto si crede!
Naturalmente, la mia riflessione nasce da buoni propositi. Non mi interessa convincere nessuno, ma nella discussione gradirei moltissimo una buona documentazione della mia controparte. Ho letto affermazioni che neppure nel peggior “Reader’s digest” si trovano più…
In ogni caso, l’ironia, il dubbio, l’analisi e la riflessione sono sempre benvenute. Ci mancherebbe altro!!!