Governo e Chiesa, che errore non ascoltare il dalai lama

Qualche giorno fa, su La Repubblica , un’intervista al Dalai Lama che parla dell’esilio del popolo tibetano, un popolo torturato, un popolo che si vuole annientare. Parla del suo volto, del suo nome che si vorrebbe cancellare. Parla della Cina. E colpisce che metta sempre davanti a queste parole d’accusa, al resoconto di queste ingiustizie, di questi dolori, il suo sorriso. Ride quando parla del governo italiano e della Chiesa che non hanno avuto il coraggio di incontrarlo ufficialmente. Così come ride quando dice di se stesso che se non fosse diventato il Dalai Lama sarebbe forse voluto diventare un meccanico, con le mani sporche di grasso. Come ride quando parla del suo essere per metà buddista e per metà marxista.
E’ veramente triste che il nostro governo e la nostra Chiesa, così preoccupati di non offendere il capitale cinese, o di non perdere qualche nuovo vescovo da esportare in Cina a difendere la vera fede, il vero Dio, la vera salvezza eterna, abbiano preferito questo rifiuto piuttosto che affrontare con coraggio l’incontro con un uomo che avrebbe molte cose da insegnare proprio a loro, detentori di quella fede e di quella politica “socialmente corretta”. La gioia, per esempio: una parola così dimenticata dalla nostra Chiesa, che preferisce molto di più parlare di colpe, di peccati, di danteschi inferni e purgatori. Molto attenta ai peccati corporali, ai peccati morali e molto meno preoccupata dei peccati Capitali, intesi come abusi di potere del Capitale-soldo. E i nostri politici molto attenti a non contraddire la Madre Chiesa: vedi per esempio il sempre irrisolto tema della regolarizzazione delle unioni diverse. Per non urtare, forse, quel grande contenitore di possibili consensi elettorali, che possono essere dati o tolti a seconda se si agisce o meno in conformità coi principi moralmente corretti.
Quindi niente unioni diverse. Ma il nostro, si sa, è un paese col mito del maschio, o piuttosto del mascherarsi da maschio marito padre. Un paese dove ancora un politico compagno dice, rivolgendosi ai giovani: «Sapete, anch’io penso che i matrimoni siano giusti solo fra eterosessuali, chissà, forse anch’io mi sto avvicinando alla fede…». Confondendo fede – o facendo finta di confonderla – con i dogmi imposti dai leader conservatori del potere politico spirituale della Chiesa. Riducendo la parola fede al culto dell’unico Dio proposto dalla religione cattolica. Negando così alla parola fede il potere di denominare qualcosa che va oltre l’ego, oltre il potere, oltre l’apparire, oltre il possedere, e che culture diverse hanno chiamato Budda o Allah o Universo o Natura o Amore o Libertà o Comunismo o Umanità o Gioia.
Quella gioia che è propria di quella gente dell’Oriente, come quei monaci diseredati che non molto tempo fa hanno offerto la vita per combattere uno stato tiranno. Ma le immagini di quei religiosi seminudi affogati nell’acqua per essere stati dei ribelli spirituali, sono già dimenticate. E infatti sono ormai arrivati i film di Natale, si riderà molto con gli intrighi di amanti sui yacht o su esotici atolli. (O anche, perché no, con quelli della gente comune, che sembrano più “di sinistra”). Si riderà cercando di coprire istericamente il vuoto, gli scandali, le vergogne, si riderà per dimenticare che esiste anche la gioia. Quella gioia che ci comunica quell’esotico santone, ignorato perché politicamente sconveniente, e che ha detto, ridendo (con il suo riso che non è strumento per nascondere ma anzi saggezza e coscienza): «Se provoco problemi non importa, il mio obbiettivo è più grande: promuovere i diritti umani e l’armonia tra le religioni».

Fonte: Liberazione

31 commenti

BX

Non entro nel merito sulla mancata dovuta accoglienza al dalai lama, ma perché per denunciare la miseria di una chiesa si deve sempre ricorrere alla ‘superiorità’ di un’altra chiesa? Va bene che l’erba del vicino è sempre più verde, ma se ne sa davvero a sufficienza del buddismo per proporlo come modello? E’ sufficiente riferirsi al ‘sorriso’ per riconoscervi una migliore qualità della vita? Basta aprire il televisore a qualsiasi ora per trovarvi un qualche prete che spiega beato e ridente quanto sia gioiosa la pratica religiosa. Per non parlare del Berlusconi ridens…

San Gennaro

Accogliere e confortare chi è ingiustamente perseguitato è da Cristiani, non certo da cattolici. Com’è che diceva quel tale? “Prima che il gallo canti…”

Vash

Ovviamente nell’articolo quando si parla del sorriso del Dalai Lama, non lo si fa per dire che siccome lui è sorridente allora è migliore, ma si descrive una persona, rappresentante di un popolo martoriato ed anche di un culto, che si rapporta agli altri con semplicità. I membri del clero cattolico invece sono di una superbia senza paragoni, e il bello è che Ratzinger nella sua enciclica condanna tra le altre cose anche la superbia (detto da uno che continua a dichiararsi infallibile…). Non è che per criticare la chiesa allora si ricorre ad un altro culto. Semplicemente il Buddhismo diventa uno dei numerosissimi metri di paragone per far capire quanto sia sbagliata la politica della Chiesa. Secondo me poi la chiesa sa benissimo di dbagliare, ma vedendo i vantaggi di cui gode, continua a farlo!

Flavio

Infatti Tibet e Mongolia prima dell’invasione cinese erano teocrazie. Non saranno democratici adesso, ma non lo erano neanche prima. Si spera che il Tibet venga restituito alla sovranità dei suoi cittadini, non ai monaci…

Alessandro S.

# Flavio scrive:
19 Dicembre 2007 alle 11:17

Infatti Tibet e Mongolia prima dell’invasione cinese erano teocrazie. Non saranno democratici adesso, ma non lo erano neanche prima. Si spera che il Tibet venga restituito alla sovranità dei suoi cittadini, non ai monaci…

Quando il Tibet sarà restituito al suo popolo e alla democrazia, sarà restituito anche ai monaci.
Se non ci credi, vedi come vivono i tibetani che sono espatriati, sia in India che in occidente: fanno quadrato attorno ai loro lama, fanno dei loro templi il centro d’aggregazione delle loro comunità. E quelli che restano in Tibet non disdegnano il pericolo insito nel possedere e nel far circolare le foto del Dalai Lama o di altri monaci e scritti religiosi che il regime cinese tenta di sopprimere.
A te può non piacere, ma non vorrai mica decidere contro la volontà degli altri in nome della tua idea di libertà, vero?

Flavio

Ovviamente intendevo restituito ai cittadini, punto. I monaci sono cittadini. Il problema secondo me è che identificare la battaglia dei tibetani con il clero non è migliore degli atei devoti che qui temono l’Islam o il secolarismo e fanno quadrato intorno a piazza san Pietro.
Sono affiliazioni che spesso ti si ritorcono contro.

ALESSIO DI MICHELE

Se promuovessi una secessione o una resistenza allo stato italiano, rischierei l’ ergastolo (insurrezione armata…), e avrei probabilmente lo sdegno di molti, che pero’ si dichiarano pronti a difendere le ragioni del Tibet, regione della cui storia si sa poco (eufemismo). In genere si ignora come sia nato, se magari qualche trattato strano lo levo’ alla Cina,… . Sicuramente si trascura che si confrontano cola’ una teocrazia celeste contro una teocrazia terrena (il partito cinese), e che mediamente le teocrazie terrene sono di gran lunga meno peggio di quelle celesti, soprattutto di quelle che hanno lungamente affamato (e infreddolito) gli abitanti del loro paese: certo che i preti tibetani ridono, sono i laici i tibetani che piangono (vedi ad esempio il differente tenore di vita tra monaci e contadini, in quel posto). Cioè: ogni popolo ha il diritto di affossarsi come meglio crede, lungi di me l’ idea di esportare il progresso, ma smettiamola col ritenere che i nemici dei cattivi siano ipso facto dei buoni.

rick-iun

non capisco tutto sto piangere… se si dice che il dalai pagliaccio arancione, andava ricevuto per evidenziare lo stato in cui vive il tibet, allora appoggio l iniziativa, e cmq non vedo in quale veste! è un capo di stato in esilio, regolarmente eletto dai suoi cittadini e poi rovesciato? NO! è un buffone che gira il mondo, dormento nei migliori hotel… rappresentante di una setta e supersistizione…

Gino Pieri

Quante storie per un pagliaccio che ci fa da pagliacci.
lasciatelo gironzolare tra i suoi hollywoodiani ammiratori
Gino

marco

Come al solito, c’è gente che si distingue per tatto, intelligenza e rispetto delle differenze,
vedi Gino e rick

ciao marco

Alessandro S.

ALESSIO DI MICHELE scrive:
19 Dicembre 2007 alle 12:06

teocrazie terrene sono di gran lunga meno peggio di quelle celesti

Vorresti dire che i contadini tibetani erano trattati peggio di come sono trattati gli operai cinesi?

Alessandro S.

# Flavio scrive:
19 Dicembre 2007 alle 11:48

Ovviamente intendevo restituito ai cittadini, punto. I monaci sono cittadini. Il problema secondo me è che identificare la battaglia dei tibetani con il clero non è migliore degli atei devoti che qui temono l’Islam o il secolarismo e fanno quadrato intorno a piazza san Pietro.

Concordo. Ma che il Tibet possa tornare ad essere quello che era cent’anni fa è impossibile, lo dice anche il Dalai Lama, e non in senso negativo. L’avevo già scritto altrove: in un libro di interviste, questi disse che due cose positive l’occupazione cinese le avevano prodotte: gli avevano reso possibile vivere come monaco tra i monaci, invece che da monarca attorniato da lacché, e avevano portato in Tibet infrastrutture e tecnologie che il popolo tibetano non sarebbe stato capace di sviluppare o costruire da solo. Come ebbero a notare Giuseppe Tucci e Fosco Maraini, che vissero in Tibet anni ancora prima dell’invasione cinese, se il Tibet non si fosse mantenuto così isolato e avesse fatto come il Bhutan, che di fronte all’imperialismo cinese allacciò relazioni diplomatiche e commerciali con le potenze occidentali e con l’ONU, avesse sviluppato un ceto medio colto grazie all’istruzione e alla diffusione della cultura e delle notizie, si sarebbe forse salvato da una fine così drammatica. Tali errori sono oggi apertamente ammessi dal Dalai Lama e dagli altri membri del clero e del governo tibetano in esislio.

Alieno

Alla sua origine il Buddhismo era effettivamente estraneo da qualunque preoccupazione religiosa. Buddha, nella sua ricerca e nella sua predicazione, si rifiuta di affrontare questioni di tipo religioso riguardanti l’esistenza di un principio divino assoluto, o l’eventuale natura di un’anima separata dal corpo: questioni di questo genere non vengono né negate né affermate, ma semplicemente lasciate nel silenzio. Da questo punto di vista il Buddhismo, nelle sue prime fasi, si distacca nettamente dall’induismo del tempo, il quale aveva invece al suo centro l’identità tra l’io individuale e l’Assoluto divino. Anche riguardo al Nirvana, che pure è l’obiettivo ultimo della pratica Buddhista, il Buddha e la letteratura Buddhista successiva preferiscono definirlo in negativo, senza affermarne nulla al riguardo. Ciò non significa che il Nirvana consista nel nulla: significa semplicemente che è al di là della possibilità del linguaggio e del pensiero, che è inesprimibile attraverso delle categorie concettuali avendo la sostanza della vacuità.

Tuttavia, già entro un breve tempo successivo alla scomparsa del Buddha, si verificò un processo di «divinizzazione» del maestro, concepito sempre meno come semplice uomo e sempre più come creatura dotata di facoltà prodigiose e sovrumane. A questo processo di divinizzazione si affiancò un vero e proprio culto popolare relativo al Buddha e alle sue reliquie (vedi la voce stupa).

Il tibet era governato dai monaci tibetati il cui rappresentante piu alto era il dalai lama,ma non confondiamolo come se fosse il Papato,perchè non è cosi,i monaci sono amati per la loro spiritualita ed il loro carisma e per il loro alto profilo morale,vedi l’esempio dei monaci del myanmar è bastato che i monaci girassero le loro ciotole dove ricevevano la carità nei confronti dei governanti è stato come una scomunica.

Free Tibet

Alessandro S.

ALESSIO DI MICHELE scrive:
19 Dicembre 2007 alle 12:06

[…] molti, che pero’ si dichiarano pronti a difendere le ragioni del Tibet, regione della cui storia si sa poco (eufemismo). In genere si ignora come sia nato, se magari qualche trattato strano lo levo’ alla Cina,… .

Questo mi ricorda di una città sottratta al suo legittimo sovrano plurisecolare con la forza delle armi e, a quanto mi risulta, senza l’entusiastico apporto del popolo oppresso. Seguendo il tuo ragionamento, Roma dovrebbe essere restituita al papa con tuttle le scuse del caso e magari anche con un bell’assegnone pagato dagli italiani a compensare i danni subiti dallo stato della chiesa in questi ultimi centrotrent’anni.
Ti dice nulla “autodeterminazione dei popoli”? Tu preferisci attaccarti agli antichi pezzi di pergamena firmati da antichi sovrani per decidere che cosa sia giusto o sbagliato negli affari tra gli stati e i popoli?

Sunrise

Sicuramente non sono in grado di giudicare se le richieste del popolo tibetano siano da ritenersi nazionaliste e reazionarie o il contrario, fatto sta che esiste un popolo che rivendica la propria autonomia da un’altra nazione prevaricatrice… in questo senso, dovremmo magari lasciar perdere tutta la questione religiosa e vedere il dalai lama come un (autonominato) portavoce di un popolo che soffre… è anche vero che questo girare il mondo parlando a nome di tutto un popolo mi fa riflettere su cosa vogliano realmente questi monaci: un tibet nuovamente teocratico? Rimpossessarsi dei loro privilegi? o la libertà e l’autodeterminazione per il popolo tibetano?

Sunrise

Aggiungo che anche la favoletta dei monaci buoni, forse, andrebbe rivista: in oriente c’è un rapporto molto più intenso e quotidiano con la religione e non tanto perchè i loro esponenti siano migliori di quelli cristiani (che magari è anche vero), è questione di evoluzione e laicizzazione della società. Parliamo sempre di religione e manipolazione delle coscienze, non è mica diverso perchè si parla di buddha (i culti e le reliquie lo dimostrano)… comunque, in Tibet i monaci hanno governato con un regime medievale che spero non si riproporrà mai più.

BX

In questo come in altri post precedenti riguardanti il buddhismo ho ricevuto molte notizie interessanti in merito ad una religione (o a una ‘filosofia’, non l’ho capito bene) di cui avevo, e continuo ad avere, una vaga conoscenza, e di questo ringrazio sinceramente quanti ne hanno parlato con cognizione di causa… ma mi resta una perplessità di fondo in quanto ateo-libero pensatore:
esiste o non esiste una casta sacerdotale che, per quanto non paragonabile al clero nostrano (così come il dalai lama non credo possa essere paragonato al papa), svolge un ruolo di ‘dirigenza spirituale’ non diverso da ogni altra casta sacerdotale? Che i monaci siano amati dal popolo – cosa di cui non ho elementi per dubitare – è garanzia sufficiente perché si possa dire che una qualche forma di libero pensiero abbia modo di svilupparsi senza che necessariamente si debba parlare di teocrazia?
In quanto poi al riconoscimento degli errori del passato espresso dal dalai lama, sono veramente troppe le analogie con le ‘richieste di scuse postume’ dei vari papi per allontanare il sospetto che si tratti, in buona o mala fede, di un opportunistico aggiornamento.
Tutto questo, ripeto, lo dico in quanto ateo-libero pensatore. Se fossi credente…

BX

Ho letto in un secondo tempo gli interventi di Sunrise. Li condivido pienamente anche per quanto vi si dice che non compare nel mio.

Silesio

Mi dispiace, ma io sto dalla parte di Garibaldi. I religiosi vanno schiacciati da piccoli perché poi, quando cresceranno, diventeranno tanti Benedetti XVI. Tra la Cina e il Dalai Lama, con tutti i rischi del caso, sceglierei sempre la Cina.

giuseppe

Nelle tue parole c’è l’essenza del liberalismo e di una società aperta. Mi complimento!
W i diritti dell’uomo!

apoftegmatico

Le critiche al regime tibetano precedente all’invasione cinese sono assolutamente doverose e nulla hanno a che vdere con le (eventuali) considerazioni sul buddhismo.
Il quale, da quanto sto imparando di recente ha al suo interno diverse anime, partendo da un pensiero “originale” che sembra escluda ogni orizzonte trascendente dalla realtà che viviamo, e giungendo al buddhismo tibetano che sceglie il proprio leader, tra le modalità possibili, cercando di individuare la reincarnazione del Buddha.
Questa idea non può trovare asilo in un contesto razionale come non possono trovarlo i principi che reggevano lo stato del Tibet.
Credo che si possa provare simpatia o anche qualcosa in più nei confronti di alcune forme di buddhismo, ferme restando le critiche espresse prima.

Magar

OK, il regime feudale e teocratico che avvolgeva il Tibet prima del 1959 non era certo una forma di governo libera, democratica e aperta. Ma non è corretto identificare l’attuale Dalai Lama, Tenzin Gyatso, con quel regime. Innanzitutto, lo ha “guidato” solo pochi anni, in cui aveva dai 15 ai 24 anni! Inoltre ha passato molti più anni in esilio che sul trono, viaggiando, studiando, facendo esperienza del resto del mondo, e imparando molto più di quanto gli avessero insegnato i monaci. Il risultato è che oggi è una persona dalla visione della vita aperta e liberale, che non sostiene affatto il ritorno del Tibet all’epoca feudale e alla teocrazia.

darik

che errore non ascoltare il dalai lama…..

ma per gli italiani, per il parlamento e per il governo, un errore ancor più deleterio
è quello di ascoltare il papa!

😉 darik

giuseppe

Potrei risponderti per le rime, ma non mi va di ridurre tutto a banalizzazione e polemica.
Non è possibile un dialogo meno aggressivo?Perchè tutto questo odio dentro? Credete veramente che sia la strada per avvicinare le persone?
Anche noi trent’anni fa pensavamo che la rabbia ci portasse da qualche parte, la storia ha sentenziato cose diverse e ti ricredi, cambi stile, cambi vita.

non possumus

personalmente pratico il buddhismo zen, quindi non vedo nel dalai lama un riferimento religioso, ma indubbiamente quest’uomo è molto aperto e sicuramente non riporterebbe il Tibet indietro nel tempo, prova ne è il suo rapporto con la scienza e la tecnologia, sicuramente più moderno dei cristiani sia cattolici che protestanti o ortodossi, per non parlare dei mussulmani. rimane però il fatto della meschinità dei nostri politici che sono in ogni frangente incapaci di essere coerenti e liberi, per riceverlo così era meglio ignorarlo del tutto avendo il coraggio di dire che il commercio con la Cina è più importante di un premio nobel per la pace, tra l’altro, dato lo scarso ricambio politico, molti di quelli che non lo hanno ricevuto sono gli stessi che inorridirono per i fatti di piazza Tien an men. E di che pasta siano fatti i nostri politici lo vediamo tutti i giorni quando si parla di diritti civili.

nicola

Ha perfettamente ragione Alessio di Michele. Per quanto riguarda invece gli accenni al fatto che il Dalai Lama vinse il premio Nobel per la pace, vorrei ricordare, tanto per far capire quanto vale quel cosiddetto premio, che anche Kissinger, che ha sulla coscienza i morti di mezza Indocina e del Cile, lo ricevette.

darik

giuseppe scrive:
19 Dicembre 2007 alle 21:40

“Potrei risponderti per le rime, ma non mi va di ridurre tutto a banalizzazione e polemica.
Non è possibile un dialogo meno aggressivo?”

sarebbe possibile se i credenti si limitassero a praticare la loro religione senza cercare
di imporre agli altri il loro credo. cosa impossibile poiké il proselitismo è parte essenziale di quasi tutti i culti; quindi lotterò fintanto posso contro la multinazionale
dello spaccio di idee deleterie per l’umano intelletto.

darik

giuseppe

Ognuno ha le sue esperienze,e da queste parte, non discuto, ma perchè non si può portare la propria esperienza, confrontandola, dialogando, dopo uno rimane libero, senza accuse gratuite e aggressioni anche solo verbali. In democrazia poi, dal momento che ci può essere spazio per tutti, si tirano le conclusioni. Mi sbaglierò ma il rischio del “proselitismo” è di tutti, e tanto peggio il pensare che urlando di più si possa ottenere qualcosa, mentre spesso si fomentano divisioni e rivalse. Mi immagino un mondo, probabilmente, mi considererai ingenuo, dove l’ascolto preceda le parole e non viceversa. Per quanto riguarda il lottare fai bene se ci credi, non contesto i contenuti. Sapessi, nella mia mente molti più atei consapevoli, così come più credenti consapevoli, aiuterebbero l’Italia ad essere migliore: da sempre penso che la diversità sia un arricchimento e che noi cattolici siamo indietro nel confronto ed ascolto con voi.Con sentiti ringraziamenti.

Alessandro S.

BX scrive:
19 Dicembre 2007 alle 15:20

ma mi resta una perplessità di fondo in quanto ateo-libero pensatore:
esiste o non esiste una casta sacerdotale che, per quanto non paragonabile al clero nostrano (così come il dalai lama non credo possa essere paragonato al papa), svolge un ruolo di ‘dirigenza spirituale’ non diverso da ogni altra casta sacerdotale?

Qui tento una risposta che deve essere presa un po’ con le pinze, che la mia esperienza diretta di come il buddhismo moderno sia strutturato e vissuto dai popoli asiatici è piccola e non copre il Tibet, ma il Sudest asiatico.
Il “clero” buddhista, la cominità dei monaci, è tenuta, per disciplina monastica e a ragione della dottrina (che li identifica quali asceti rinuncianti e mendicanti) a rinunciare a qualsiasi bene mondano, sia materiale che politico. La sola via che devono coltivare per influenzare glie venti del mondo dev’essere la loro saggezza, comprensione e il loro stile di vita tale da suscitare ammirazione e devozione. Grazie a tanto, devono potersi guadagnare ogni cosa che gli possa servire per vivere.
Tanto dovrebbe bastare per poter concludere che di monaci buddhisti nel pieno senso canonico oggi ce ne siano pochi pochi, un’esigua minoranza anche in Asia. In più, si deve tenere conto che non tutte le scuole e tradizioni buddhiste moderne hanno mantenuto la dottrina e la disciplina come dettagliate dai canoni più antichi tramandati nelle lingue indiane pâli (tradizioni buddhiste dello Sri Lanka e del Sudest asiatico) e sanscrito (Tibet, Bhutan, Cina, Mongolia, Corea e aree limitrofe). Molte scuole “riformiste” mahâyana hanno introdotto col tempo nuove dottrine e nuove regole, alcune mantenendo la struttura di base compatibile con quella antica, alcune stravolgendo completamente molte delle strutture portanti di quelle per sostituirle con le loro nuove concezioni (nuove in senso storico). Non essendoci nel buddhismo un’autorità centrale cui sia delegata l’ultima parola e la sentenza definitiva su cosa sia ortodosso e su cosa sia “eretico”, spesso neanche in seno alla stessa singola tradizione e scuola, la progressiva differenziazione dell’insegnamento e dello stile di vita delle diverse tradizioni buddhiste ha prodotto nei 25 secoli della sua storia una quantità di dottrine e regole di vita molto diverse, tutte più o meno dichiarantesi originate dal “vero”, primordiale insegnamento del Buddha storico, Gotama Sakyamuni. Tante di queste tradizioni si sono estinte, altre sono sopravissute e si sono ulteriormente differenziate (come lo Zen vietnamita confronto a quello giapponese).
Una delle cose che hanno mantenuto tutte in comune, però, è che i monaci non hanno diritto a regolare la vita delle comunità laiche locali. Questo è a volte, sotricamente, rimasta una proibizione solo sulla carta, come quando ad esempio in Giappone nel medioevo di quel paese dei potentati o signorotti locali o della famiglia imeriale si facevano monaci: in barba alle dottrine e alle regole diventavano immediatamente i primi monaci dei monasteri e non rinunciavano, a volte neanche simbolicamente, alle loro proprietà e diritti legislativi sui villaggi della regione. Inoltre, mantenevano delle nutrite scorte di armati dentro i monasteri a difesa dei loro averi e autorità o vite, scorte che spesso vedevano nei loro ranghi anche dei monaci.
Il tutto perché, ripeto, nel buddhismo non c’è definita nessuna autorità, nessuna figura che possa proibire o coercere altri in nome della dottrina o della disciplina del Buddha, o dei patriarchi o altri, a parte l’autorità del monaco più anziano a guida della comunità del monastero o tempio di cui è maestro.
Come possono costoro dichiararsi allora buddhisti? In più modi, uno dei quali è il rifarsi non tanto al Buddha quale primo maestro, ma al loro vivere e al loro insegnamento quale il migliore, o almeno uno di quelli validi, ai fini del conseguimento della “bodhi”, ossia del risveglio, detto illuminazione in occidente, termine dal quale prendono il nome il Buddha (=”essere svegliato”) e il buddhismo (termine coniato dai coloni europei, avvezzi a ragionare per “-ismi”).
In alcuni paesi buddhisti moderni, come la Thailandia e la Birmania, lo stato ha riempito questo vuoto di autorità istituendo ministeri che registrano e certificano lo stato di monaco degli individui, come pure lo stato di monastero o di tempio dei luoghi. Ciò per motivi sia fiscali che di vero o presunto “ordine sociale”. Più volte con esiti orrendi (vedi ad esempio http://alessandro.route-add.net/Testi/Dhammico/la_persecuzione_di_phra_Phimontham_bhikku.html).
Aggiungo ancora che in molti posti, in Asia, la superstizione, la magia, la divinazione e la promessa di benefici terreni legati a pratiche spiritiche ha fatto il resto del danno che si vede in giro. A difesa di ciò non vale più la pur autentica ignoranza che tanti monaci hanno avuto delle scritture buddhiste (ad esempio, in Cambogia, dopo i Khmer rossi, l’analfabetismo regnava sovrano e le scritture canoniche dei monasteri erano state ovunque distrutte). I monaci che qua e la si oggi levano contro tali pratiche sono ignorati nella maggioranza dei casi, tranne che presso certe piccole comunità spesso bollate come “bigotte”.

Che i monaci siano amati dal popolo – cosa di cui non ho elementi per dubitare – è garanzia sufficiente perché si possa dire che una qualche forma di libero pensiero abbia modo di svilupparsi senza che necessariamente si debba parlare di teocrazia?

Ritengo di poter affermare con fermezza che, dal punto di vista della dottrina e della disciplina della scuola Theravâda, quella che fa capo al canone in lingua pâli, la maggiore deriva autoritaristica e “teocratica” dei monaci verso i laici denuncia un’altrettanto maggiore allontanamento dal rispetto dei dettami di vita e di pratica che in quei testi si tramanda il Buddha Sakyamuni raccomandava di seguire a quelli che si volevano dire suoi discepoli.

Ciao,

BX

Ringrazio intanto sentitamente Alessandro S. per tutte le notizie fornite…
Non riesco comunque a vedere (sempre da ateo-libero pensatore, oltre che da pur sempre scarso conoscitore) nella storia del buddhismo – anche con le radicali e certamente interessanti differenze che vi si riscontrano – qualcosa di molto dissimile dalle storie delle altre religioni (o ‘filosofie’ vissute secondo me comunque come religioni), compresa quella cristiana. I principi costituiscono risposte a ciò che la condizione umana per sua natura reclama, e quindi rispondono ad una necessità reale sufficiente per non farle ritenere gratuite, ma poi, poste al vaglio della ragione, perdono per strada nel tempo gran parte della loro necessità originaria, rimanendo vive e praticate – per lo meno dalle grandi masse – quasi sempre solo come vuoti rituali ottundenti la capacità di pensare, per quanto è possibile, liberamente.
Un cordiale saluto.

Alessandro S.

BX scrive:
19 Dicembre 2007 alle 15:20

Ringrazio intanto sentitamente Alessandro S. per tutte le notizie fornite…

ti sei letto tutto il papiro? 🙂

Non riesco comunque a vedere (sempre da ateo-libero pensatore, oltre che da pur sempre scarso conoscitore) nella storia del buddhismo – anche con le radicali e certamente interessanti differenze che vi si riscontrano – qualcosa di molto dissimile dalle storie delle altre religioni

Pur con tutte le diffrenziazioni, capisco cosa intendi.
Se il cristianesimo oggi fosse rimasto quello che si legge nei vangeli o che si evince dalle vite di personaggi come san Francesco, non si porrebbero i problemi di convivenza tra laici e credenti.
Forse addirittura la visione di un papa come Giovanni xxiii, se pienamente realizzata, avrebbe risolto questo secolare scontro tra le concezioni del mondo e i relativi centri di azione politica.
Non voglio mettere su una diatriba dotto-storiografico su quanto il buddhismo sia o sarebbe stato meglio delle religioni abramitiche, né su quanto sia considerabile una religione teista, atea, non-teista, alfa-teista o gentile, come diverse persone hanno provato a etichettarlo. Ma a me pare evidente che il peggio che abbia fatto sia stato quello d’aver mantenuto certe popolazioni asiatiche in uno stato di “beata primitività” o arretratezza, evitando quasi sempre nel corso della sua storia ogni violenza. Sospendo anche il giudizio su come sia positivo o negativo il modello di vita industriale, tecnologico e mercantile moderno, ma certo il buddhismo non ha avuto nessuna difficoltà scritturiale ad accettare qualsiasi scoperta scientifica o ritrovato tecnologico. Anzi, anche se vestita di mitologia, la sua visione dell’esser venuto al mondo quello che noi ne conosciamo è di matrice prettamente evoluzionistica. I suoi tre pilastri dottrinari fondamentali sono: (1) tutto è imperfezione (o sofferenza, dukkha); (2) tutto è mutevole e perituro (anicca); (3) nulla è dotato di un “sé” eterno e immutabile (anatta). Si, anche il buddhismo stesso, come la sua storia dimostra.
Neanche questa dottrina è riuscita a rendere sagge e illuminate le masse dei popoli asiatici. Personalmente dubito che in ciò possano riuscire le idee e i principi ateo-razionalistico-agnostici. Forse, anzi, io sono convinto fosse proprio per questo, che il Buddha insegnava a togliersi dalla testa l’idea di cambiare il mondo, pensando piuttosto a trascenderlo, a liberarsene nel modo più completo possibile. E no, per lui il suicidio non migliorava il mondo per nessuno, anche se certi monaci sono passati alla storia per il loro suicidio rituale. C’è speranza? Boh, nel buddhismo la speranza, la saggezza come la liberazione, è una faccenda personale; il buddhismo, mi sono fatto l’idea, non crede nelle masse. Anche per questo, forse, non sa che farsene del potere.

«Fra chi vince in battaglia mille volte mille nemici e chi soltanto vince se stesso, costui è
il migliore dei vincitori di ogni battaglia» (Dhammapada, verso 103)

Ciao,

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