Scienza e speranza

In uno dei momenti più alti della sua vita politica l’Europa, nel 2001, riuscì a indicare una via e un modello per il suo sviluppo: era quella strategia di Lisbona che tendeva a fare del nostro continente l’economia più competitiva e dinamica del globo, attraverso la leva del sapere e della conoscenza. Era forte la consapevolezza che la rivoluzione tecnologica in atto necessitasse di un intervento forte e deciso per la crescita scientifica del continente e che da quell’investimento discendesse la possibilità di avere uno spazio e una funzione nello scenario internazionale.
Se quella strategia è stata determinante per consentire un nuovo boom economico in alcuni Paesi, prime fra tutti Finlandia e Spagna, in Italia non siamo riusciti a cogliere quella occasione ammodernando il nostro sistema dell’istruzione e dell’università e aggredendo il nodo, tuttora insoluto, della formazione lungo tutto il corso della vita. E il nostro Paese soffre pesantemente questo ritardo, come dimostrano tutte le ricerche internazionali, ultima in ordine di tempo quella dell’OCSE, che classifica al 36° posto nella graduatoria sulle competenze scientifiche gli studenti italiani.
Ma da dove nasce questo ritardo della cultura scientifica nazionale?
Sicuramente è frutto dei limiti del capitalismo familiare, che ha caratterizzato l’economia del nostro Paese dal dopoguerra, e della miopia di una classe dirigente che, nel corso del boom economico, non ha avuto il coraggio di investire nell’alfabetizzazione di massa come leva dello sviluppo. Il semplice dato che fino al 1962 i risultati nello studio del latino fossero il parametro su cui valutare le capacità degli allievi ci racconta di questo drammatico ritardo.
Ha pesato grandemente una impostazione gentiliana secondo la quale l’istruzione umanistica era considerata il punto centrale e la sintesi della preparazione culturale del giovane: il liceo italiano, che ha garantito positivamente una formazione alta ed unitaria, ha visto affastellarsi innovazioni disorganiche senza che questo mettesse in discussione una anacronistica gerarchia dei saperi. E tale cultura vive ancora, quando si considera il liceo più “importante” dell’istruzione tecnica, e quando un Ministro come la Moratti, per rilanciare la scuola italiana, ha proposto di rinominare tutte le scuole in licei, senza cogliere gli elementi di valore dei diversi ordini scolastici, oppure quando, ancora oggi, il numero degli studenti iscritti a facoltà umanistiche è nettamente superiore alle facoltà scientifiche anche se queste ultime assicurano maggiori opportunità occupazionali.
Pesa fortemente anche la cultura antiscientifica della parte più retriva del mondo cattolico, che se fino ad ora era rimasta sotto traccia, oggi diventa fatto pubblico. Con l’enciclica Spe Salvi Joseph Ratzinger pone all’ordine del giorno una opzione di inconciliabilità tra la vita moderna fondata sulla scienza e l’esperienza di fede, giungendo a indicare nel pensiero di Francesco Bacone, uno dei padri della rivoluzione scientifica, il momento della contraddizione tra scienza e ragione da un lato e fede dall’altro.
Si tratta di una sfida di prima grandezza nei confronti di quella storia e cultura che hanno portato l’Europa ad essere luogo di progresso e democrazia, luogo faticosamente conquistato e che quotidianamente deve essere riaffermato. Sembra quasi la sconfessione della posizione assunta da Karol Wojtyla che riconobbe le colpe della Chiesa nei confronti di Galileo Galilei.
Positivismo e marxismo, teorie scientifiche della società, sono il frutto della Rivoluzione Francese, momento fondativo della cultura del nostro continente, che, egemoni, spinsero la Chiesa di Leone XIII a misurarsi nell’enciclica Rerum Novarum con le questioni sociali del tempo.
Oggi, con la Spe Salvi, viene meno il fondamento di quei messaggi pastorali.
La cultura e la politica in essa contenuta impensieriscono e preoccupano, perché riducono gli spazi di confronto tra laici e cattolici, rifiutano le categorie di un linguaggio comune, a partire dall’idea di progresso, e rischiano di avere effetti profondi su un senso comune fragile e contraddittorio caratterizzante il nostro tempo.
Quella posizione rischia di indebolire e distrarre da scelte strategiche non più derogabili, perché l’Italia non sia superata da un contesto globale dove proprio scienza e conoscenza sono i principali elementi di innovazione e ricchezza. E’ questa una strada che solo negli ultimi mesi il Paese ha imboccato, grazie alle indicazioni del programma dell’Unione e alla determinazione delle forze laiche e di sinistra della maggioranza di Governo.
Si apre allora, insieme al lavoro istituzionale, il fronte di una convinta azione nel Paese, una rivoluzione culturale che affermi il rapporto tra laicità e scienza, premesse di progresso e speranza.

Maria Pellegatta
Senatrice PDCI
Vicepresidente Commissione Istruzione

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5 commenti

forzalube

Tante belle parole condivisibili ma non mi pare proprio che “[…] E’ questa una strada che solo negli ultimi mesi il Paese ha imboccato, grazie alle indicazioni del programma dell’Unione e alla determinazione delle forze laiche e di sinistra della maggioranza di Governo […]”.
Mi sembra piuttosto che questa strada siamo ben lontani dall’imboccarla.

statolaico

E poi chi l’ha detto che vogliamo tutti, per forza, leggere solo notizie che “riguardano” l’ateismo o la laicità? Che siamo monotematici? Ben vengano anche queste notizie, anzi io ringrazio tutti coloro che le postano perchè ultimissime è una bella finestra di informazione e tenerla in vita non dev’essere un lavoro facile-facile. Grazie ancora!

statolaico

Ops, ho sbagliato post… era riferito alla notizia della password sprocoarabo ed ai commenti che seguivano…

statolaico

…ma non si puo’ nemmeno piu’ scrivere li… sono arrivato tardi… 🙁 sob!

elio

a forzalube: la strada dell’ammodernamento e dello sviluppo della cultura scientifica è stata imboccata ; faccio due esempi di discontinuità con il passato: l’adesione al VII programma europeo per la ricerca scientifica bloccato dal precedente governo per remore ideologiche; la valorizzazione dell’istruzione tecnica e professionale che con la Moratti sarebbe diventata di serie B; è invece vero che ci sono fortissime resistenze ( ma è indubbio che alcune decisioni sono state prese) e l’articolo della Senatrice si sofferma su quelle, molto preoccupanti, provenienti da parti del mondo cattolico che ” rifiutano le categorie di un linguaggio comune, a partire dall’idea di progresso, e rischiano di avere effetti profondi su un senso comune fragile e contraddittorio caratterizzante il nostro tempo”.

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