Un incontro tra Paolo Flores D’Arcais, Michel Onfray e Gianni Vattimo si è trasformato in un libro, “Atei o credenti?”, edito da Fazi. La recensione, curata da Valentino Salvatore, è già disponibile nella biblioteca del sito UAAR.
Nuova recensione sul sito: “Atei o credenti?”
16 commenti
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Qualche giorno fa avevo pure io recensito questo libro.
http://www.sitosophia.org/forum/viewtopic.php?f=5&t=340
http://www.siciliainformazioni.com/giornale/cultura/3652/argomenti-pensiero-forte-degli-atei-devoti.htm
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E’ uscito da pochi giorni presso Fazi Editore un bel volume dal titolo Atei o credenti? Filosofia, politica, etica, scienza (173 pp., € 15,00). Si tratta della rielaborazione di un dialogo a tre fra Paolo Flores d’Arcais, Michel Onfray e Gianni Vattimo, avvenuto a casa di quest’ultimo a Torino l’8 dicembre 2006, con l’aggiunta di tre “Poscritti”, in cui ciascuno dei tre filosofi fa un bilancio della discussione ed espone in maniera più sistematica la propria posizione. È una bella lotta, anche perché i tre sono anticlericali per ragioni diverse. Vattimo, autore di testi sul tema come Credere di credere (1996) e Dopo la cristianità. Per un cristianesimo non religioso (2002), assume il ruolo del credente eretico e soggettivista, che non aderisce ai dogmi della fede cattolica e difende un cristianesimo pragmatico, storicista, relativista ed ermeneutico. Flores d’Arcais, che da Direttore di “Micromega” conduce da anni una coraggiosa battaglia laicista in un Paese baciapile come il nostro, oppone la ragione scientifica illuminista e un individualismo democratico agli argomenti irrazionali della fede istituzionalizzata e intrinsecamente collettivista e antidemocratica. Onfray, invece, già autore di un memorabile Trattato di ateologia (2005), difende un’antimetafisica post-nietzscheana che mira a decostruire il discorso religioso opponendogli un edonismo corporale ateo sospettoso anche della razionalità scientifica e aperto a “un’etica, una politica, una bioetica, un’estetica, una pedagogia al di là del Bene e del Male ebraico-cristiani” (p. 173). La lettura è molto avvincente, perché i tre filosofi, pur concordando su diversi punti (ad esempio la condanna del neoimperialismo teocon americano, scimmiottato in Italia dai teocon del centro-destra e dai teodem del centro-sinistra, nonché dagli intellettuali cosiddetti “atei devoti” alla Giuliano Ferrara, Marcello Pera e altri berluscones), si rifanno a tradizioni di pensiero diverse e ricapitolano, ciascuno a suo modo, buona parte del pensiero occidentale.
Confesso che sono rimasto molto deluso da Vattimo. Quando ero un giovane apprendista della filosofia, i suoi studi su Nietzsche, Heidegger e Gadamer mi sono stati preziosi e di lui ho sempre avuto un’idea altissima come studioso. Negli ultimi anni, poi, ho ammirato la sua importante battaglia civile a difesa dei diritti degli omosessuali contro le discriminazioni guidate dalla Chiesa cattolica. Tuttavia, nella sua peculiare difesa della credenza religiosa, in questi anni dominati da uno scontro quasi ottocentesco tra laicismo e clericalismo, con un Vaticano sempre più presente negli affari legislativi dello Stato italiano e con i difensori della laicità ridotti quasi al silenzio dalla grancassa mediatica totalmente asservita a papi opportunamente trasformati in star televisive, Vattimo sembra attardato su posizioni filosofiche del tutto ignare della reale posta in gioco e di una valida percezione della portata del pensiero scientifico contemporaneo.
Quando, nel corso del dialogo, si mette a citare con grande approvazione le assurde idee sulla scienza di Croce (“la scienza è un affare della pratica”, p. 32) e Heidegger (“la scienza non pensa”, p. 161), cioè di due filosofi dominati da un pregiudizio antiscientifico dovuto a pura e semplice ignoranza, si ha l’impressione che egli sia rimasto prigioniero dell’umanismo poetante e misticheggiante tipicamente italiano, che ancora oggi dà i suoi frutti velenosi nell’arretratezza culturale della nostra scuola, in gran parte rimasta all’impostazione gentiliana e quasi del tutto incapace di sfornare menti autenticamente scientifiche. Sulla sua posizione religiosa, che è difficilmente contestabile a causa del suo carattere soggettivistico e che quando fa uso di nozioni come “grazia” e “carità” guarda non alla Dottrina ufficiale ma rispettivamente alle nozioni di “evento” e “cura” di Heidegger, valga il fulminante giudizio espresso da Onfray nel suo Trattato di ateologia: “Ovvero come immergere la Bibbia nell’acqua lustrale di Essere e tempo per ottenere una soluzione – in senso chimico – miracolosa” (Fazi Editore 2005, p. 204).
Ben diverso l’approccio di Onfray, che pure, da francese laico educato alla scuola di Camus, Sartre, Deleuze e Foucault, condivide con Vattimo il sospetto umanista nei confronti della ragione scientifica e del suo (presunto) imperialismo occidentalista. In questi anni Onfray è impegnato in una monumentale opera di recupero delle filosofie occidentali dimenticate da una tradizione storiografica – ben rispecchiata nella scansione dei manuali scolastici – appiattita quasi esclusivamente sull’impostazione idealistica platonico-cristiana, che da Platone e dal cristianesimo ha ereditato senza discussione la violenta messa all’Indice di tutte le opzioni materialiste, edoniste, immanentiste e relativiste (sono ben noti il silenzio sprezzante di Platone su Democrito e Aristippo e i suoi ritratti mistificanti dei sofisti, nonché la demonizzazione isterica dell’epicureismo ad opera del cristianesimo dominante). Quest’opera si tradurrà nella realizzazione di una “Controstoria della filosofia” in sei volumi, di cui finora hanno visto la luce solo i primi due: Le saggezze antiche (2006), sui filosofi dimenticati o quasi del mondo greco e romano, da Leucippo a Diogene di Enoanda, e Il cristianesimo edonista (2007), sulle correnti cristiane denigrate dall’ortodossia, dalla Gnosi a Montaigne (entrambi i volumi sono editi in italiano da Fazi Editore).
Da parte sua, Flores d’Arcais è l’unico dei tre a inserirsi in quella corrente di pensiero contemporanea che difende la scelta illuminista e radicalmente atea in nome delle dettagliate conoscenze scientifiche sul mondo fisico e biologico che l’umanità ha raggiunto da Darwin in poi e che portano alla confutazione senza appello di qualsiasi fantasia su una presunta origine divina dell’universo e dell’uomo, nonché a una risposta inequivocabile alle famose grandi questioni della filosofia tradizionale: “Sappiamo chi siamo: delle scimmie appena modificate, benché questo ‘appena’ (una percentuale irrisoria del DNA) abbia aperto l’animale-uomo a possibilità sconvolgenti. Sappiamo da dove veniamo: da un inizio che chiamiamo Big Bang e da uno svolgersi di universi ricostruito con sempre maggiore precisione dalla scienza, senza alcun bisogno di far intervenire l’ipotesi-creazione da parte di una ipotesi-Dio. E sappiamo dove andiamo: da nessuna parte, poiché nessun destino è già iscritto nel nostro futuro” (p. 4).
In tal modo, Flores d’Arcais, insieme a Piergiorgio Odifreddi, Maurizio Ferraris e pochi altri in Italia, si aggancia alla grande offensiva atea di questi anni guidata da filosofi e scienziati di prim’ordine, come Richard Dawkins, l’autore dei fondamentali Il gene egoista (1976 & 1989) e L’orologiaio cieco (1986), e Daniel Dennett, autore del monumentale e controverso L’idea pericolosa di Darwin (1995). Lo scorso anno i due hanno pubblicato rispettivamente L’illusione di Dio e Rompere l’incantesimo (in italiano usciti quest’anno), che costituiscono i più distruttivi attacchi mai sferrati non solo contro la credenza religiosa, ma anche contro quello che Dennett chiama il “credere nella credenza”, cioè l’idea apparentemente tollerante secondo cui è politicamente e socialmente conveniente e auspicabile che gli altri, cioè la massa, abbiano credenze religiose di un qualche tipo.
Personalmente considero ormai superata la questione dell’esistenza o meno di Dio. Tutti gli dèi esistono allo stesso modo, ma solo nel linguaggio umano che li crea (e non è poco, vista l’influenza che hanno sulla vita di moltissimi esseri umani). Si tratta di un’esistenza culturale, non certo oggettiva, per cui non c’è alcuna differenza di status ontologico, ad esempio, tra Zeus e il Dio ebraico-cristiano. Da qualche tempo mi interessa di più analizzare le forme del discorso religioso, chiedendomi ad esempio (con Dennett e Ferraris) in cosa crede chi asserisce di credere e quali sono le ragioni cognitive alla base della credenza in una qualche divinità da un punto di vista logico ed evolutivo.
Il libro di Dennett cui mi riferisco, ad esempio, è il già citato Rompere l’incantesimo. La religione come fenomeno naturale (Raffaello Cortina 2007), che tra qualche anno sarà considerato probabilmente una pietra miliare del settore, perché, sulla scia di Hume e con gli strumenti concettuali del neo-darwinismo (tra cui l’approccio “memetico” del suo amico inglese Dawkins), indaga il fenomeno della credenza religiosa sul piano puramente biologico. Maurizio Ferraris, invece, ha pubblicato di recente un pamphlet spassosissimo (Babbo Natale, Gesù adulto. In cosa crede chi crede, Bompiani 2006), la cui sorprendente conclusione è che oggi, soprattutto in Italia, chi dice di credere in realtà non crede in Dio (visto che non ne sa nulla), ma nel Papa (di cui si sa tutto grazie alla sovra-esposizione mediatica), cioè in uno che dice di parlare in nome di un altro che non s’è mai visto.
Com’è noto, molti oggi credono per tradizione, senza sapere nemmeno bene in cosa credono, anche perché l’oggetto preciso della credenza non è una cosa che in genere si è disposti a confessare in una pubblica discussione. E già questa è una circostanza estremamente preoccupante, perché in Italia gente così costituisce una maggioranza in grado di influire sulla vita civile e politica (penso al referendum sulla procreazione assistita e alla reazione della Chiesa alla proposta di legge sui DICO, già PACS e ora CUS). A mio parere, la situazione italiana attuale della credenza nella religione cattolica (ma il discorso vale anche per le altre confessioni religiose, mutatis mutandis) è la seguente.
Per dirla con metafore desunte dall’epistemologia di Imre Lakatos, c’è un nucleo di “fatti” teologici, ontologici ed epistemologici, che costituisce il corpus dottrinario, l’ossatura della fede cattolica custodita dalla Chiesa. Questo corpus duro è depositato in testi canonici cui in genere pochi hanno accesso (né la loro attenta lettura è incoraggiata dalla Chiesa più di tanto). Attorno a questo nucleo “fattuale”, espresso con linguaggio e concetti oggi obsoleti e francamente imbarazzanti, si è andata formando una “cintura protettiva” costituita essenzialmente da interpretazioni di carattere etico-pratico (morale sessuale in primo luogo, più altre regole di condotta ordinaria) e politico. Queste interpretazioni sono ciò che ci sentiamo ripetere a tutte le ore del giorno, grazie alla compiacenza di molti media. La relazione logica di derivazione di questa cintura dal nucleo è anch’essa occultata, e la sua intelligenza e istituzione è affidata ufficialmente ai capi, in genere il Papa e il presidente della CEI. I fedeli hanno il compito, al più, di prenderne atto e di fidarsi (ad esempio: cosa c’entra la posizione della chiesa sui DICO con la Dottrina, ovvero con Cristo? Qualcosa c’entrerà, pensa il fedele, visto che loro dicono che c’entra, e così evita il fastidio di una verifica diretta e autonoma). Ora, lo scandalo, l’impostura di questo circo sta in questo. La cintura delle interpretazioni etico-politiche è come la gomma di una ruota, che è riempita d’aria e si regge sulla solidità del cerchione. Ma se il cerchione è fradicio, la ruota non può reggere. Invece, la ruota della Chiesa continua a girare nonostante il nucleo “fattuale” della Dottrina sia del tutto “scaduto”. Penso, ad esempio, all’anacronistico lessico aristotelico, condito con residui di pensiero magico, cui ricorre il Catechismo della Chiesa Cattolica per spiegare la presenza fisica di Cristo nell’ostia nel corso della transustanziazione: “Che cosa significa transustanziazione? Transustanziazione significa la conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo di Cristo, e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo Sangue. Questa conversione si attua nella preghiera eucaristica, mediante l’efficacia della parola di Cristo e dell’azione dello Spirito Santo. Tuttavia, le caratteristiche sensibili del pane e del vino, cioè le ‘specie eucaristiche’, rimangono inalterate” (Compendio, § 283).
A ben vedere, quasi mai ormai si sente un alto prelato che parli pubblicamente di questi dogmi imbarazzanti, mentre tutti, dal Papa in giù, sono interessatissimi a parlare di politica e di sesso (e mica degli angeli, che pure sarebbe un argomento di gran lunga più pertinente sul piano dei “fatti” teologici del nucleo…). Come fanno allora delle interpretazioni a sopravvivere alla morte storico-culturale, oltre che empirica, dei fatti? Ebbene, io ritengo che a sostenere sul nulla referenziale la camera d’aria delle interpretazioni sia soprattutto il fiato delle trombe della propaganda, che naturalmente non è un pasto gratis, visto che a mantenere in vita un morto così c’è da guadagnarci per molti parassiti della massa dei poveri di spirito. L’economia del sacro, infatti, fattura miliardi di euro e finanzia la politica compiacente, per esempio quella che elimina l’ICI su certi immobili ecclesiastici, garantisce l’8 x mille ecc. ecc., in un circolo vizioso (o virtuoso, a seconda dei punti di vista) di interessi in cui a rimetterci è solo l’intelligenza collettiva media di una nazione, che è una cosa che non si vede e non si mangia e se va a rotoli nessuno se ne accorge sul medio-breve termine, mentre sul lungo termine, per dirla con il grande economista John Maynard Keynes, saremo comunque tutti morti.
consco tutti e tre i filosofi è devo dire che l’unico dei tre di cui apprezzo vivamente gli scritti e il pensiero è paolo flores d’arcais, vattimo non riesco a digerirlo, è irritante e ogni volta che lo leggo faccio sempre più fatica a comprendere le sue parole che sono confusionarie e e non vanno mai al nocciolo delle questioni.
D’accordo con Daniela su Vattimo, come emerge chiaramente dalla mia recensione.
@Valentino Salvatore
Bellissima la chiusa della recensione! 😀
Su Vattimo: cosa aspettarsi da uno che pensa di essere un “Heideggeriano di sinistra”? Il romanticume irrazionalista del blateratore di Messkirch, combinato all’educazione cattolica, travia completamente la razionalità di Vattimo. Per me non c’è significativa differenza (filosofica) tra lui e Buttiglione.
Non a caso d’Arcais ha detto a Vattimo che le stesse obiezioni gliele faceva Buttiglione! Se si vuole cambiare la sinistra e renderla davvero laica, bisogna partire con l’accantonare certi filosofo, secondo me…
L’ateismo devoto diventerà nel prossimo futuro la religione professata dalla chiesa. Il vecchiume ideologico verrà fatto sparire lentamente sotto il tappeto, cambiando probabilmente le motivazioni, ma salvaguardando il proprio business stramiliardario. Non è da dimenticare che nella Roma antica i cristiani venivano considerati “atei” perché credevano “in un uomo” come scriveva l’imperatore Giuliano. Già ha messo in campo alcuni teologi. E’ straordinaria la pubblicità che sta facendo a Vito Mancuso (che ha occupato una intera serata da Ferrara) il quale sta appunto cercando di teologizzare “l’ateo devoto”. Insomma, infine, anche se uno non sa cos’è la trinità o non sa nulla della verginità di Maria… tanto meglio! L’importante non è nemmeno che vada sempre in chiesa (anzi, meglio di no, tanto i preti non ci sono più per celebrare le messe) ma che versi l’8 per mille.
@Valentino Salvatore
Appunto, il fatto è che il paragone di Vattimo a Buttiglione non deriva solo da una contingente, occasionale convergenza tra i due su una specifica questione politica, come l’aborto (anche io e un cattolico la pensiamo allo stesso modo sulla pena di morte, ma per motivi diversi), bensì da una profonda comunanza di radici culturali (queste sì cristiane, cioè irrazionali e fideistiche). Entrambi vogliono che gli uomini pensino in maniera dogmatica. (Buttiglione secondo i dogmi della CCAR, Vattimo secondo un dogma qualunque…)
Valentino Salvatore scrive:
25 Dicembre 2007 alle 08:44
Non a caso d’Arcais ha detto a Vattimo che le stesse obiezioni gliele faceva Buttiglione! Se si vuole cambiare la sinistra e renderla davvero laica, bisogna partire con l’accantonare certi filosofo, secondo me…
— Secondo me Vattimo è una voce isolata nella sinistra: la sua teoria e la sua pratica del cristianesimo, infatti, le capisce solo lui (non a caso difende il carattere soggettivistico della sua religiosità). La cosiddetta sinistra confluita nel PD non ha alcuna speranza di realizzare la laicità in questo paese, sia perché si è fatta mettere i piedi in faccia dai teodem sia soprattutto perché i suoi leader sono cresciuti nella scuola del cinismo togliattiano, che ieri ha votato l’articolo 7 della Costituzione per garantirsi un posto al sole nella neonata Repubblica e oggi sacrifica le regolamentazioni delle coppie di fatto e altre battaglie laiche in nome della poltrona.
La cosa che accomuna tutti gli autori è che sono un poco ignoranti di storia delle religioni. In Italia si parla ormai solo per sentito dire ed in effetti ci troviamo di fronte ad un semplice repertorio di slogan, petizioni di principio, annunci vari ecc. Una volta si diceva “a ciascuno il suo mestiere”, adesso invece si guarda al “mercato”. Sotto la spinta del Codice da Vinci e di una leteratura collaterale estesa (anche il Ratz è entrato nel mercato) e di altri testi è nato un filone letterario da best seller. Il rischio è che esaurito il filone per far soldi vendendo libri sull’argomento, tutto cada nel dimenticatoio. Almeno, per incominciare a parlare del cristianeismo si dovrebbe partire (ad esempio) da qui:
http://www.radikalkritik.de/index.htm
comunque questa soria dell’ateo devoto è un pò una bufala, lo stesso ferrara che si definiva così ha ammesso in una recente intervista di essere teista e di credere in un essere superiore.
e poi non mi sembra che d’arcais sia ignorante di storia delle religione, anzi è molto preparato.
Credenti,atei,agnostici;non credo che queste tre categorie possano esaurire i modi dell’uomo di rapportarsi con la religione,mi spiego:io mi sento non uno che crede o meno;se c’e un Creatore o se l’universo é sempre esistito e sempre si trasforma io non so’.Onestamente ammetto peró che io spero,fortissimamente spero che un qualcosa,un Dio o una legge dell’universo dia a me ed a tutti gli esseri che provano sentimenti ed emozioni,di non finire con la morte e di poter reincontrare tutte le persone che abbiamo amato,che hanno dato un senso alle nostre vite.Quando penso che forse cosí non é mi dispero,perché se anche nel nulla non c’e dolore,che senso avrebbe aver vissuto per poi né rivedere le persone piú amate!?Che senso viver 20 o 100 anni se fosse solo un’isola dell’essere in mezzo al nulla infinito?In ció io spero;sono agnostico?Chi si rivede in me?
@ Marco T.
Secondo me invece la posizione di Vattimo non è per niente isolata, ma anzi rispecchia una tendenziale apertura della sinistra verso il cristianesimo, soprattutto dopo il crollo del comunismo che ha imposto la ricerca di nuovi punti di riferimento ideologico-esistenziali. Vorrei far notare che per una certa cultura di sinistra il cristianesimo è interpretato come una sorta di socialismo ante-litteram (basta leggersi quello che scriveva ad esempio il Mussolini socialista sul tema agli inizi del ‘900 – cito lui perchè ci sto facendo una ricerca); anche la lettura marxista delle religioni ha un approccio simile verso il cristianesimo (vedi Ambrogio Donini).
Leggasi qualche analisi di “Ecce Comu”, libro scritto da Vattimo all’inizio di quest’anno, che tratta della ridefinizione della sinistra oggi, di cui il cattocomunismo (anzi, cristanocomunismo) dovrebbe essere una delle basi.
http://www.margheritaemiliaromagna.it/articolo.asp?idarticolo=583
@ Valentino Salvatore
Valentino, ma i deliri di “Ecce comu” confermano quello che dicevo io! Vattimo non può servire né ai teodem rutelliano-veltroniani (perché comunista, per quanto debole) né agli esponenti della sinistra laica socialista (perché cristiano e perché “davvero” comunista quasi-sovietico):
“Il proposito di queste pagine è stato quello di prender atto realisticamente (e certo emotivamente e sommariamente) del fallimento del capitalismo e delle democrazie formali che lo sostanziano sul piano istituzionale; e del ritorno, come sola alternativa possibile, del comunismo “autentico”, fatto di sviluppo tecnologico moderato dall’ideale direttivo del soviet […]. Questo ideale non sembra molto vicino a realizzarsi nelle condizioni effettive del mondo. Resta però il solo, a nostro parere, per cui valga la pena di impegnarsi”.
Con una cosa del genere, penso, nell’attuale panorama politico, potrebbe convenire solo un Bertinotti alticcio con Guzzanti che gli fa da gobbo.
Ciao
La questione è che tali “deliri” di Vattimo sono espressione di un ambiente culturale generale che è profondamente cambiato a sinistra dalla fine degli anni Ottanta. Non a caso, io, di sinistra laica ne vedo pochissima, e quella poca laica tende a vergognarsi e potrebbe fare molto di più. Di fatto, nella situazione odierna, è il cattocomunismo (o cattosinistrismo che dir si voglia) che vince a sinistra: seppure i partiti che citi sono chiaramente estranei alla linea espressa da Vattimo, di fatto subiscono l’influenza di quella cultura che poi genera le idee di Vattimo. Considerando ad esempio, soprattutto a livello giovanile e protestatario, l’importanza che hanno figure di sacerdoti (mi si passi il termine cattocomunismo per capirci, pur sapendo che è quello che è), vedi Zanotelli, Ciotti, Gallo, ecc.
Valentino, concordo con molte delle cose che dici nel tuo ultimo post. Nella nostra cosiddetta classe dirigente, di sinistra laica ce n’è davvero pochina. Tuttavia, per quanto non condivida quasi nulla nella posizione di Vattimo, mi piacerebbe vederne molti di più come lui: almeno avremmo qualche anticlericale in più in giro. E’ verissimo che Vattimo è generato dalla stessa cultura che lui combatte, ma se non altro la combatte e lotta per una Chiesa diversa da quella dei Ratzinger e dei Ruini. Invece, il cattolicume che abbiamo in Parlamento è per la stragrande maggioranza assolutamente servile nei confronti del Vaticano e ritiene un tabù mandare a quel paese il papa e la Cei quando esternano e insultano il principio di autonomia legislativa del nostro Stato. Insomma, ci tocca scegliere il male minore. A questo siamo arrivati.