La laicita’ e’ anticlericale?

«Passare dall’autonomia come rifiuto dell’ingerenza alla ricerca della convivenza tra diversi: è qui la nuova frontiera della laicità» ha detto Fausto Bertinotti in un’intervista a La Repubblica (29/11). Più che «nuova frontiera», questo è l’abc della laicità, come ripete da tempo il protestante Jean Baubérot, che ne è uno dei più autorevoli esperti, per il quale «la laicità è un vivere insieme su uno stesso territorio ed essa permette di fare società tra individui e gruppi differenti».È stato così fin dall’inizio nel Paese che ha inventato il termine stesso di laicità. All’inizio, si trattava di permettere la convivenza tra cattolici, protestanti, ebrei e non credenti in un Paese che i papi chiamavano «figlia primogenita della Chiesa» e in cui i non cattolici non avevano diritto di cittadinanza. Per questo, la legge del 1905 istituì «la separazione tra le chiese e lo Stato»: proprio per impedire che una chiesa qualsiasi pretendesse di imporre i propri principi all’intera società, come vorrebbe fare oggi in Italia la Chiesa di Roma in nome del «bene comune». La laicità infatti – dice ancora Baubérot – «è costituita da tre principi essenziali: a) il rispetto della libertà di coscienza e di culto; b) la lotta contro ogni dominio della religione sullo Stato e la società civile; c) l’uguaglianza delle religioni e delle convinzioni, compreso il diritto di non credere». È quanto recita il primo articolo di quella legge: «La Repubblica assicura la libertà di coscienza. Essa garantisce il libero esercizio dei culti». Non dice che la religione viene relegata nel privato, come spesso si sostiene, ignorando sia la lettera sia lo spirito della legge.
Anche Bertinotti sembra condividere questo luogo comune quando dice che «non si può pretendere di rinchiudere la fede in un fatto unicamente privato». Non è questo il punto. Piuttosto, come diceva un altro protestante, Paul Ricœur, in una delle sue ultime interviste: «Il merito dell’Occidente [sta] nell’avere dissociato la sfera politica da quella religiosa, non per ricacciare quest’ultima nel privato bensì per collocarla in un pubblico non fornito di potere e posizione istituzionale». E lo diceva dopo aver affermato che c’è «un aspetto dell’America» che gli era «non solo estraneo ma addirittura insopportabile: il fondamentalismo protestante, che consiste nell’attribuire una specie di simbolismo biblico agli avvenimenti politici». E aggiungeva: «Bisogna liberare la politica da criteri che non le appartengono».

La Francia di 100 anni fa non era meno cattolica dell’Italia di oggi ma la cultura laica che poco alla volta si è affermata ha fatto sì che la Chiesa cattolica ha accettato di essere parte integrante, ma non egemone, di quella società civile che è lo spazio pubblico dove avviene la discussione sostanziata da specifiche argomentazioni. In questo spazio – che non va confuso appunto con quello politico istituzionale dove i parlamentari, anche cattolici, prendono le decisioni in piena libertà di coscienza – la Chiesa di Roma può legittimamente intervenire, alla pari con tutte le altre associazioni, sforzandosi – come dice Jürgen Habermas (cf. La Repubblica del 30/11), che però lo esige solo per la sfera istituzionale – di «tradurre laicamente» le proprie argomentazioni in modo da renderle comprensibili a tutti.

Se invece si ostina ad affermare fondamentalisticamente che certe questioni etiche sono «non negoziabili», si taglia fuori ipso facto dalla laica «convivenza tra diversi». Infatti, contrariamente a quanto ha detto la senatrice teodem Paola Binetti dopo la bocciatura a grande maggioranza dell’emendamento alla Finanziaria che chiedeva l’abrogazione dell’esenzione Ici sugli immobili di proprietà della Chiesa che svolgono un’attività commerciale («Questa compattezza è il segnale che nel Partito Democratico la cifra della laicità non sarà quella dell’anticlericalismo bensì della ragione, che vuol difendere le attività che servono al bene comune senza fare battaglie ideologiche»), l’anticlericalismo non va confuso con un atteggiamento anticattolico o antireligioso. La laicità ha sempre avuto un carattere anticlericale in quanto è stata e sarà sempre una «sana» reazione contro qualsiasi tipo di clericalismo, sia quello delle gerarchie cattoliche sia quello di chiunque pretenda di imporre la propria visione alla società e allo Stato.

Fonte: Chiesa Valdese

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8 commenti

Rudy

Ma è possibile che le argomentazioni della chiesa valdese siano immensamente più decenti di quelle dei devoti (mi rifiuto di chiamarli atei)?

écr.l'inf.

Proprio grandi questi valdesi !

Non concordo però su un punto:
“l’anticlericalismo non va confuso con un atteggiamento anticattolico o antireligioso”

Siccome i cattolici sono per il clericalismo… l’anticlericle (e dunque il laico) non potrà non essere anticattolico.

ALESSIO DI MICHELE

E’ vero sono grandi i valdesi ! Se poi anche rinunciassero alla fetta di IRPeF, sarebbero eccelsi: ma non si puo’ essere perfetti ! E se invece definissimo laicita’ come irrilevanza giuridica del sentire religioso, semplicemente perchè non dimostrabile ? Piu’ o meno quello che sta avvenendo con l’ omosessualita’: chi se ne importa di chi ti piace eroticamente/affettivamente. Dimostrami, invece, quanto vali, ad es. sul lavoro.

Massimo

“La laicità è anticlericale?”
Ma che cavolo di domanda è mai questa?
Cerchiamo di capirci: è il clero ad essere anti laico (infatti il clero ammette il laicismo solo come stato civile, ma non riguardo a “ciò che si deve credere”).
Evidentemente chi fa questa domanda non ha capito da che parte vengono gli attacchi alla laicità dello Stato, o ci vuole ciulare nel manico.
Chi è clero in funzione di “qualcosa di assoluto” non permette obiezioni alla propria fede.
Non a caso Voltaire di Sant’Agostino scriveva: “Sant’Agostino predicava la tolleranza, ma quando fu lui potente praticò l’intolleranza”.

BX

Bravi i Valdesi, ma sono pur sempre una chiesa, e non si può non condividere ciò che afferma Massimo. Chi tollera chi? E cosa significa poi veramente tollerare? E’ un caso che come termine usato nel linguaggio corrente sta a significare più che altro ‘sopportare’?. Che rapporto di vera reciprocità puoi avere con chi ‘ti sopporta’?
Allora dobbiamo essere intolleranti? No di certo, ma ci dobbiamo tollerare come uomini, come individui appartenenti ad una specie che ha come prerogativa quella di essere razionale, cioè di essere in grado di capire che l”homo homini lupus, il ‘bellum omnium contra omnes’, è un andare contro se stessi, è un anticipare stupidamente quella fine che per altro prima o poi si sa (l’uomo lo sa perchè è razionale) toccherà ad ognuno… non perché qualcuno che viene considerato ‘trascendere’ la condiziona umana ci avrebbe insegnato, in qualche modo ci avrebbe imposto, di amarci.

Senofane

io quoto Massimo, ormai è un’abitudine, perdonami Massimo.
fino a quando il credere sarà considerato normale, e non una seria e invalidante patologia mentale, servirà la figura del laico o finto tale in tutti i sensi. la religiosità non ammette obiezioni e vuole sempre la ragione, come lo definireste questo atteggiamento?

Daniela M

@senofane

la tua affermazione è proprio un chiaro esempio di intolleranza: dire che credere è una seria e invalidante patologia mentale è proprio l’opposto di quello che contrassegna una seria civiltà dei rapporti. Volere imporre un pensiero unico sugli altri (la razionalità che vede i credenti idioti, come i credenti che vedono gli atei degli stolti) è sintomo di arroganza, non certo di ragionevolezza. Io sono credente (valdese) e rispetto gli atei, tanto da partecipare spesso in questo spazio sostenendone le tesi, e non ti permetto certo di additarmi come pazza o visionaria. Rispetta chi non la pensa come te, come sei rispettato da altri. Non c’è una ragione “esterna” che possa decidere se la mia credenza sia meno valida della tua. O ci accettiamo nel rispetto, o facciamo la guerra, non ci sono mezzi termini. Che poi una religione voglia imporre il suo credo a tutti, è ovvio che questo è condannabile ed esecrabile, e sono la prima io a pensarlo, ma la fede e la religione sono due cose diverse, che a volte combaciano altre volte no, e la storia lo dimostra. Come la storia dimostra che i valdesi sono l’unica confessione religiosa davvero laica e rispettosa dello stato e delle coscienze. Dunque il male non è una fede (ognuno è libero di credere, o a Dio o alla scienza) ma l’arroganza di voler imporre la sua fede agli altri. Su questo possiamo essere d’accordo. Ma sul dire che credere è una patologia mentale, mi spiace, Senofonte, ma questa è solo un’offesa e nient’altro, e non c’entra nulla con la laicità, ma solo con il disprezzo.

Flavio

La laicità è anticlericale?
I clericali vogliono imporre la propria concezione del mondo e la propria morale a tutti i cittadini. La laicità glielo dovrebbe impedire, quindi è anticlericale, contro il clericalismo.

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