Genitori: Se troppa scuola fa male

Oggi i nostri bambini trascorrono a scuola più tempo di quello che noi genitori trascorriamo in ufficio. Ed è emergenza educativa. Ecco perché il mito del “tempo pieno” lavora contro la famiglia. E contro la Chiesa.Si, avete letto bene: troppa scuola può far male ai nostri ragazzi, ed è pura illusione pensare che più ore trascorse dentro l’edificio scolastico siano sempre un bene. Non è così e, in un certo senso, non è mai stato così nemmeno in passato

Primi in Europa
Ma andiamo con ordine e partiamo dai fatti. Oggi l’Italia si ritrova in testa a una classifica molto particolare: le scuole Primarie del Bel Paese – quelle che i comuni mortali e le persone di buon senso continuano a chiamare “elementari” – impegnano i bambini in una maratona di 980 ore per anno scolastico. è il dato più alto di tutta Europa. In Germania – dove la gente è notoriamente tutt’altro che pigra e men che meno ignorante – i kinder stanno in classe 698 ore. Qualche cosa come 300 ore in meno dei coscritti italiani, circa 60 giorni di differenza. La media europea per le scuole Primarie è di 755 ore all’anno, nettamente al di sotto della prassi italica. L’unico Paese con un monteore molto simile al nostro è la Francia (958), ma è notizia di queste settimane – invero clamorosa – che oltralpe si prepara una controrivoluzione dell’orario: il governo Sarkozy ha deciso di ridurre i giorni di scuola da 5 a 4, lasciando i fanciulli a casa il mercoledì, oltre che il sabato. Fra l’altro, è curioso notare che la “vacanza centrale” fu inventata proprio in Francia da Jules Ferry (1832-1893), il padre dell’insegnamento pubblico e gratuito, che volle la chiusura delle scuole il giovedì con lo scopo di “permettere ai genitori di dare ai figli un’istruzione religiosa fuori dagli edifici scolastici”. Insomma: un curioso “giorno del catechismo” che nasceva dal giacobinismo francese, ma che alla fine conteneva anche aspetti positivi per la Chiesa e i cattolici.

Il caso italiano
Intendiamoci: non è detto che l’Europa sia sempre un modello, e nessuno ci obbliga ad allinearci con le abitudini del vecchio continente, che spesso sono lontane anni luce dal buon senso e dalla tradizione cristiana. Ma, in questo caso, è l’Italia a essere in errore. E a pagare un prezzo altissimo al peso enorme che la cultura marxista ha giocato – e continua a giocare – nella nostra società. Fu l’Italietta sabauda e massonica a creare un modello di insegnamento obbligatorio statale, capillare nel territorio e diffuso per ogni ceto sociale. Un modello al quale vanno riconosciuti – pur fra non poche ombre – meriti indubbi: la promozione dell’alfabetizzazione di base, da un lato, e la promozione di un’educazione della persona che, magari in chiave laica, attingeva a piene mani dalla sapienza e dalla tradizione cattolica. Una scuola da Libro Cuore di De Amicis, nella quale magari si faceva dell’anticlericalismo a buon mercato, ma non si staccavano i crocefissi dalle aule. Questo modello aveva il pregio di non pensare mai, nemmeno per un minuto, di sostituirsi alla famiglia, luogo deputato alla educazione della prole. Anche se si trattava di genitori molto ignoranti – spesso privi delle nozioni elementari che i figli invece andavano acquisendo – la scuola aveva fiducia nel padre e nella madre, all’interno di un contesto che non aveva mai messo in discussione il principio di autorità.

Tutto nella scuola, niente al di fuori della scuola Con l’Italia repubblicana le cose per un certo periodo restano immutate, fino a quando la scuola (ma non solo la scuola) viene progressivamente colonizzata dalla cultura marxista, all’interno del ben noto disegno di occupazione gramsciana del potere. Il tutto avviene sotto l’abile regia del Partito comunista italiano e nella sostanziale indifferenza del partito dei cattolici, la Democrazia cristiana. Anzi, il modello pedagogico marxista viene progressivamente assunto come valido anche in larghe fette del mondo cattolico. I “miti” della scuola progressista conquistano il cuore e la mente di politici, intellettuali, presidi di formazione cattolica. E fra questi miti, su tutti trionfa il “tempo pieno”. Esso si fonda sull’idea – di impronta tipicamente hegeliana – che l’intera crescita umana e culturale del bambino debba essere guidata e gestita dallo Stato attraverso la scuola, e che il resto – a cominciare dalla famiglia – abbia un ruolo residuale, accidentale, sostanzialmente inadeguato, insufficiente. Come disse il filosofo Umberto Galimberti, columnist di Repubblica, «i genitori non sono in grado di educare i propri figli». È il capovolgimento della dottrina cattolica della “sussidiarietà”, in base alla quale l’uomo, la famiglia e la società debbono essere liberi dì fare da sé tutto ciò che è buono e lecito, lasciando allo Stato il compito di intervenire solo dove il cittadino non ce la fa da solo. In questa visione la scuola non è il fulcro della crescila del bambino, ma un supporto al padre e alla madre, che non possono delegare. Per ragioni evidenti, il pensiero comunista e, in seguito, progressista e liberal-radicale, ha attaccato frontalmente questa idea, per strappare alla famiglia il timone dell’educazione dei figli. Non è un caso che la pur discutibile “Riforma Moratti” avesse introdotto la “straordinarietà” della scuola al pomeriggio, e che invece l’attuale Governo di sinistra abbia reintrodotto trionfalmente il “tempo pieno”.

Più scuola, meno famiglia: in fuga dalla fede
In questo processo di tragica spoliazione, la cultura di sinistra è stata supportata da fette importanti del mondo cattolico, che ha creduto di aiutare la famiglia e soprattutto le fasce meno abbienti della società con un sistema scolastico ispirato all’idea del “parcheggio prolungato”: più tempo i figli stanno in classe, e meno sono esposti ai pericoli del mondo. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: i famosi “pencoli” – che prima attendevano i nostri figli per le strade, come la droga o la devianza o il bullismo – adesso sono entrati trionfalmente nella scuola, che non sa come (e talvolta nem-meno vuole) reagire. Parole come ordine e disciplina, concetti come fede e pudore, sono stati defenestrati dai contenuti educativi, per essere rimpiazzati dall’ambientalismo e dal pacifismo. Un tempo il bambino imparava dal maestro laico dello Stato sabaudo il valore del sacrificio e il saluto alla bandiera del re; oggi il pupo si erudisce sulla raccolta differenziata e si inchina davanti alla bandiera arcobaleno. Non solo: imbottendo le liste dei docenti di Stato di uomini e donne di sinistra – oggi traghettati sulle sponde di uno squallido nichilismo gaio pansessualista – si è giunti a capovolgere la positività originaria del tempo trascorso in aula. Per cui oggi – salvo lodevoli eccezioni – più tempo il figlio trascorre in aula, più ideologia conformista assorbe. Meno resta in famiglia, meno educazione riceve, meno è introdotto in un cammino di fede cattolica,

Una scuola a misura di adulto
A dar manforte all’idea totalizzante di scuola ha contribuito il modello di sviluppo capitalistico, esploso in Italia con il boom economico degli anni Sessanta. Occorreva spingere le donne fuori dalla casa, e convincerle non solo della legittima opportunità, ma addirittura della doverosa necessità di lavorare in fabbrica o in ufficio, abbandonando le tradizionali incombenze femminili, soprattutto educative e assistenziali. Questa strada ha prodotto spesso nelle madri lavoratrici dolorose lacerazioni – in realtà il lavoro va ad aggiungersi agli impegni domestici – e ha incentivato ancor di più l’idea di una scuola per tutto il giorno, tutti i giorni. Affiancata dal mito che “più asili nido aiutano la famiglia”, cavalcato ancora una volta dai governi progressisti, con il beneplacito di cattolici un po’ ingenui. Il risultato è che oggi noi abbiamo a che fare con modelli scolastici che non sono pensati per il bene dei nostri figli, ma – riconosciamolo – per i comodi degli adulti: da un lato, l’interesse della corporazione sindacale degli insegnanti, che ottenne ad esempio l’assurda riforma dei tre maestri per classe, al solo scopo di salvare posti di lavoro; dall’altro, i bisogni dei genitori, effettivamente costretti non di rado a lavorare entrambi. Certo, uscire da questa situazione non è facile. Ma, almeno, riconosciamo qual è il vero bene per i nostri bambini. Che cosa c’entra tutto questo discorso con l’apologetica e con la fede cattolica? Beh, un giorno fu proprio Gesù a dire: «Lasciate che i bambini vengano a me». Se la scuola li allontana sempre più dal Maestro buono e dai genitori, c’è davvero qualche cosa che non funziona.

Ricorda: “So che nel nostro mondo pluralista è difficile avviare nella scuola II discorso sulla fede. Ma non è affatto sufficiente che i bambini e I giovani acquistino nella scuola soltanto delle conoscenze e delle abilità tecniche, e non i criteri che alle conoscenze e alle abilità danno un orientamento e un senso. Stimolate gli alunni a porre domande non soltanto su questo e su quello – cosa buona anche questa – ma a chiedere soprattutto sul “da dove” e sul “verso dove” della nostra vita. Aiutateli a rendersi conto che tutte le risposte che non giungono fino a Dio sono troppo corte». (Benedetto XVI, Omelia per la celebrazione dei Vespri, Monaco, 10 settembre 2006).
Fonte: Orizzonte Scuola

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10 commenti

fabrizio

Ah, Ah, Ah, ma questo articolo è esilarante. Stupenda poi la minaccia del “nichilismo gaio pansessualista” di cui sarebbero piene le scuole. Capperi, questa sì che è classe! Certo, bisogna dire che anche BXVI ha superato se stesso con queste “risposte troppo corte” (mi erano sfuggite!) Ci penseranno queste menti squisite di Orizzonte Scuola a garantire la prolunga!

monica

Divertentissimo! Ma forse non era satira?
Mi sorgono spontanee due considerazioni/interrogazioni
1) Le domande che non giungono fino a dio sono anch’esse troppo corte?
2) Vorrei gli indirizzi delle scuole citate dalla “mente squisita” autrice/autore dell’articolo, perchè io ho trovato dovunque solo strutture foderate di vomitevole, bieca e ottusa anticultura cristiana, fatto salvo qualche insegnante eroe incompreso che si batte per una sana laicità.

Sephiroth 1311

Appena ho letto per la prima volta “marxista”, sai che risate… e, continuando, diventa sempre più assurdo. 🙂

BX

Prendo in considerazione l’ultima parte di questa omelia.
Amici atei, attenti a non sottovalutare quanto vi si dice, ad accusare di banalità una domanda (“da dove veniamo?” “verso dove andiamo?”, cioè domande sul senso della vita) da sempre oggetto di dileggio, soprattutto proprio da parte di certo pensiero ateo, in accordo con questo con la cultura efficentista dominante. Non è la domanda che è banale, sono quasi sempre le risposte ad esserlo, ciò che si ritorce poi sulla domanda.
E il discorsi diventa particolarmente stringente proprio quando in ballo c’è la scuola. E’ chiaro che è strumentale un’accusa del tipo “troppa scuola fa male” quando viene fatta da chi ritiene che in questo modo ‘il discorso della fede’ diventa ‘difficile’… ma vogliamo per questo eliminare dalla scuola – il luogo dove dovrebbero formarsi coscienza libere – la domanda di cui sopra? Non è questo il modo migliore – dal momento che la domanda c’è, c’è stata, e ci sarà sempre, essendo connaturata alla condizione umana – per lasciarla in esclusiva ai religiosi? Volete davvero che si giudichino “troppo corte” le risposte che non “giungono fino a Dio”? Se si snobba la domanda, poi diventa facile dimostrare che ‘le risposte non risposte’ sono ‘troppo corte’!
(Mi rendo conto che quando c’è in ballo la scuola si finisce, almeno io finisco, sempre lì… ma non credo cha si tratti solo di paranoia).

malex

Oggi i miei figli trascorrono a scuola lo stesso numero di ore che trascorrevo io oltre 30 anni fa, se un problema c’è non è un problema d’oggi.

Jamp

Quoto Malex, il problema della scuola italiana va avanti dalla riforma del 1928 (ottant’anni, tanto per dare i numeri) che è l’ultima ancora attiva in questa repubblica delle banane, ed è destinata ad andare ancora avanti a lungo, purtroppo. A parte le evidenti idiozie sparate in questo articolo, che in Italia si faccia una scuola (e un’università) retrograda nei metodi e nei concetti è ormai di dominio comune.
L’evidente incapacità di offrire una scuola di qualità viene compensata con una scuola di quantità, e tutt’oggi, se si parla di ridurre il numero di ore di anno scolastico, la gente si inalbera blaterando cose come “Vogliamo i figli ancora più ignoranti di quelli che sono?”. Peccato che con la qualità media dei docenti che c’è in questo paese, specialmente nelle scuole medie inferiori e superiori, probabilmente tenere i figli a distanza dai professori potrebbe essere un modo per far tornare un po’ di braccia rubate all’agricoltura ed avere un pugno di ragazzi in grado di imparare qualcosa.
Quanto alle Domande con la D maiuscola, lasciatele a chi non ha niente di meglio da fare che chiedersi che ci sia dopo la morte. La maggior parte delle persone serie ha da preoccuparsi di cosa c’è durante la vita.

g.b.

L’articolo esprime chiaramente posizioni ultrareazionarie sul piano non solo scolastico, ma anche sociale.
Ciò premesso, è vero che negli ultimi anni c’è stata la tendenza ad un ampliamento del tempo – scuola parallelamente al diffondersi dell’idea che vede nella scuola non solo un luogo di istruzione, ma anche un momento di socializzazione, che in alcuni contesti ha finito per essere considerato prevalente. Questa idea di scuola è però un’arma a doppio taglio e non è detto che favorisca sempre una visione laica e razionale della realtà.
Ricondurre la scuola alla sua originaria ed esclusiva funzione di luogo di istruzione è un’esigenza avvertita anche da persone per niente bigotte e reazionarie: in fondo così ci potrebbero essere risparmiati presepi, cori natalizi, recite a sfondo più o meno apertamente religioso e varie altre amenità del genere.

Anticlericale

Strano che non se la sia presa con l’insegnamento dell’evoluzionismo e della cosmologia che si permettono di contraddire la bibbia.

Comunque, scommettiamo che quanto detto nell’articolo non si applica alle scuole cattoliche, dove invece la permanenza è sicuramente troppo breve?

Bruna Tadolini

All’unità di Italia l’analfabetismo sulle dolomiti (ex austroungarico) era quasi nulla (bambini che si facevano chilometri nella neve per ottemperare all’obbligo scolastico!!) mentre nello stato pontificio era altissima ……..

Ignoranti ci vogliono!

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