Gentile Dott. Granzotto, sono passato alla stazione Termini a Roma e ho notato le steli intitolate a Papa Wojtyla con la scritta: «Stazione Termini – Giovanni Paolo II». Al che mi è tornata alla mente la gazzarra scoppiata per l’intitolazione della stazione all’amato Papa, da parte dei talebani laicisti con petizioni «in difesa della laicità dello Stato». E poi? Come da articoli che accludo, sembra che si sia trovata la solita soluzione all’italiana: la stazione è stata «detitolata», quindi non è più a nome del Papa, ma la stele è ancora lì come se lo fosse. Se è così, oltre all’ipocrisia abbiamo rasentato il vertice dell’idiozia: far finta che sia intitolata sapendo che non lo è. Sono certo che però la stazione sia ancora intitolata al Papa e che Veltroni si sia – alla fine – fatto sentire. Dico bene? Altrimenti uno che aspira a fare il premier, con pastrocchi levantini di questo tipo, si squalifica alla grande, dimostrandosi persona di scarso spessore, un Re Travicello e quindi la splendida imitazione di Crozza del «maanchismo» veltroniano assumerebbe una connotazione non più comica ma tragica (soprattutto per noi).
Guido Rosati – Roma
Come ufficialmente si chiami la stazione centrale di Roma resta un mistero, caro Rosati. Perché è vero che in un primo tempo Walter Veltroni detitolò ciò che aveva titolato. Ma poi ha in qualche modo rititolato quanto aveva precedentemente detitolato avendo cura, nei vari passaggi, di attenuare la portata sia del titolamento che del successivo detitolamento. In queste faccende Veltroni è un mago: la sua narcisistica aspirazione a piacere, a macinare consenso, si traduce in flessibilità – spinta fino al contorsionismo – ideologica e intellettuale. Egli non ha opinioni: le adegua in corso d’opera conformandole agli orientamenti, alle aspirazioni, ma anche agli umori e ai capricci dell’interlocutore di turno. La vicenda della stazione Termini è esemplare. Volendo dar corpo al plebiscitario cordoglio per la morte di Papa Wojtyla, ancor col ciglio umido annunciò – era l’aprile del 2002 – che gli sarebbe stata intitolata la stazione Termini. L’annuncio compiacque i Sacri Palazzi, ma indispettì quella scheggia della società civile capitolina che si riconosce nell’«Unione degli atei e degli agnostici razionalisti» facente parte della «Consulta per la Libertà di Pensiero e la Laicità delle Istituzioni» istituita dal Comune di Roma. Liquidando come «delirio idolatrico» la decisione di intitolare una stazione a Giovanni Paolo II, la Consulta tacciò Veltroni di papismo. E Veltroni, che intende piacere al Papa senza dispiacere ai mangiapreti, subito replicò: «Non ho mai detto di sostituire il nome della stazione Termini con il nome di Giovanni Paolo, ma solo di aggiungerlo».
A quel punto a prendere cappello fu l’Oltretevere: «Fra dedica e intitolazione abbiamo assistito – scrisse l’Osservatore Romano – a un inedito capolavoro di ibrido politico: la detitolazione». Chiunque altro avrebbe incassato il colpo chiudendola lì, ma non Veltroni il quale, quatto quatto, riaprì il gioco inaugurando le (orrendissime) steli a Wojtyla poste nell’atrio della stazione Termini «scelta, in quanto luogo di incontro e di scambio, per la dedicazione». Dedicazione. Che non è titolazione, ma nemmeno detitolazione perché «dedicare» sta anche per «intitolare a qualcuno» (vedi il De Mauro, il meno papista dei dizionari). E così ancora una volta al contorsionista è riuscito uno dei suoi più sperimentati numeri: non schierarsi facendo però convinti i contendenti d’averlo dalla loro parte. In che modo poi si debba chiamare la stazione di Roma, se Termini o Giovanni Paolo II, a Veltroni non gliene importa un fico secco. Come ipocritamente si dice per i regali senza valore, l’importante è il gesto.
Paolo Granzotto
Due precisazioni a proposito di una vicenda che, un anno fa, letteralmente infiammò i navigatori del sito UAAR. La prima: l’UAAR non operò all’interno della Consulta. Preso atto che il sindaco Veltroni aveva ritenuto opportuno non consultarla, l’assemblea del circolo romano dell’UAAR decise di uscire da un organismo evidentemente inutile. L’UAAR lanciò invece una mobilitazione on line e poi un sit-in, a cui aderirono tanti cittadini, diverse associazioni e alcuni esponenti politici della stessa maggioranza, e furono proprio la mobilitazione e il sit-in a portare alla “detitolazione” che tanto fece arrabbiare “Avvenire” e “Osservatore romano”.
Seconda precisazione: l’inaugurazione non avvenne dopo la titolazione, ma prima, il 23 dicembre, durante uno sciopero della stampa e alla presenza dello stato maggiore vaticano, tanto che fu proprio la rabbia per il modo dissimulato con cui Veltroni, “quatto quatto”, cercò di mettere la sordina all’evento a dar vigore alla successiva mobilitazione.
Quanto all’estetica delle steli, diamo senz’altro ragione a Granzotto: qualunque buon cattolico dovrebbe restare inorridito di fronte a due simboli fallici che puntano turgidi verso le reclame di reggiseni e mutandine di pizzo. Dubitiamo che la cosa tolga il sonno a Ruini e Bertone: pur sempre di marcatura territoriale si tratta, e tanto basta loro.