Un commento UAAR sulla vicenda della Sapienza

L’inopportunità di una pastorale

Il messaggio preparato dal papa per l’inaugurazione dell’Anno Accademico all’Università “La Sapienza” di Roma, non affronta per nulla, come parrebbe più opportuno dato il contesto, il tema della centralità delle Università nello svilupparsi del sapere; e dunque non ci fornisce, come invece sarebbe regola delle ‘lectio magistralis’ una visione condivisa fra pari, dunque ‘allo stato dell’arte’, dei rapporti fra Università, cultura e società. L’inaugurazione dell’Anno Accademico deve essere piuttosto il momento riservato alla esposizione dell’indirizzo culturale da dare all’insegnamento.

Quella che il cardinale Tarcisio Bertone ha definito «una parola culturalmente significativa, da cui trarre indicazioni stimolanti nel personale cammino di ricerca della verità» è in concreto solo la proposizione di un poco condivisibile giudizio di parte. Invitato personalmente dal rettore, ma non gradito dai docenti, Benedetto XVI si limita infatti nel suo discorso a prendere in esame, dal solo punto di vista della propria chiesa, alcuni aspetti del rapporto fra fede e sapere: l’aspirazione alla verità ed al bene; la fondazione delle Università come centri in cui i saperi pratici potevano trovare solido riferimento nelle verità teologiche; il ruolo della teologia nello sviluppo dell’atteggiamento razionale, anche e soprattutto in difesa della fede; il pericolo derivante dallo svincolarsi dei saperi da ogni riferimento alla verità cristiana.

Quasi subito, quella che era equivocamente presentata come ‘lectio magistralis’ filosofica si dimostra niente altro che una ordinaria allocuzione pastorale del Vescovo di Roma non solo al suo gregge, ma anche a chi non ne condivide la fede, con un più che sottinteso invito (non potendo, nella nostra epoca, esservi più obbligo) ad attenervisi.

Dopo una lunga ed articolata premessa, che riporta solo opinioni di parte su come la ricerca della verità si rifletta nella funzione delle Università, il vero messaggio del papa è solo quello pastorale; e consiste nella risposta alla domanda «Che cosa ha da fare o da dire il Papa nell’università?». Ovvero: il papa viene a parlare per sollecitare la ragione a «scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro», e pretende dunque di sottomettere gli argomenti della “ragione comune” a quelli della “ragione” che sostiene la fede. Dunque, più in generale, egli auspica che la ragione venga sottomessa alla fede, e che dunque l’Università sia cristianizzata.

Poiché l’oggetto dell’intervento papale era questo, ed essendo dunque chiara l’intenzione di trasformare la solenne cerimonia laica di una libera Università in luogo di esternazione di una ‘pastorale’, era ben motivata nella sostanza la protesta di un autorevole e per nulla sparuto gruppo di docenti. Il papa, infatti, può andare liberamente a parlare come rispettato ospite in qualunque Università, in qualunque momento adatto a ciò, proponendo come ogni altro invitato le sue idee, senza atteggiamenti dogmatici né presunzioni di fede.

Premesso ciò, e dunque rigettata la parte essenziale della allocuzione papale, in quanto assolutamente contraria al significato più autentico della cerimonia ufficiale di inaugurazione dell’Anno Accademico, proprio come segnale di rispetto verso la sua persona, è doveroso esaminare pacatamente le argomentazioni papali.

Il ruolo del papa

Nella sua allocuzione, Benedetto XVI spiazza subito quanti potrebbero contestargli l’opportunità di affrontare determinati temi: «Nella mia lezione a Ratisbona ho parlato, sì, da Papa, ma soprattutto ho parlato nella veste del già professore di quella mia università, cercando di collegare ricordi ed attualità. Nell’università “Sapienza”, l’antica università di Roma, però, sono invitato proprio come Vescovo di Roma, e perciò debbo parlare come tale». Se qualcuno ritiene che il papa sia stato invitato come autorità intellettuale e morale, e che dunque parlerà attenendosi a tale ruolo, è bene che cambi subito idea. Il filosofo Ratzinger precisa senza mezzi termini di essere stato invitato proprio come papa e vescovo di Roma (ovvero come pastore che si prende innanzitutto cura della sua comunità guardandola «da un punto di osservazione sopraelevato») e dunque parlerà come tale, anche perché l’Università è luogo elettivo di perseguimento della ‘Verità’. E quale verità può essere più grande se non quella cristiana (perché Gesù è egli stesso la verità), di cui la società moderna ha così grande bisogno?

Nell’immaginario del papa, come sempre nel pensiero cristiano, da un lato ci sono i credenti, dall’altro il resto dell’umanità, sulla quale si ripercuotono, con flusso unidirezionale, le «condizioni delle religioni» e «la situazione della Chiesa– le sue crisi e i suoi rinnovamenti». Poiché, in un certo senso, i cristiani sono responsabili verso il resto dell’umanità, «il Papa, proprio come Pastore della sua comunità, è diventato sempre di più anche una voce della ragione etica dell’umanità». Date le premesse, in realtà è chiaro che il papa si presenta non come ‘una voce’, ma piuttosto come ‘la voce’ etica dell’umanità.

Come infrequentemente gli accade, in questo discorso egli non cita esplicitamente il relativismo, ma è inevitabile che il rapporto fra verità e saperi ‘relativi’ o parziali venga preso subito in considerazione, per risolvere una obiezione di fondo strettamente attinente al problema dell’istruzione: «Qui, però, emerge subito l’obiezione, secondo cui il Papa, di fatto, non parlerebbe veramente in base alla ragione etica, ma trarrebbe i suoi giudizi dalla fede e per questo non potrebbe pretendere una loro validità per quanti non condividono questa fede».

La ragione

A questo proposito, Benedetto XVI, appoggiandosi a John Rawls, sostiene che le «dottrine religiose comprensive» hanno una propria «ragione» (o ‘ragionevolezza’) che va loro riconosciuta anche da parte di quanti la ritengono non conforme ai caratteri della «ragione pubblica».

Questa razionalità della dottrina cristiana riguarda anche le norme morali. In tal senso Benedetto XVI intende rispondere alla domanda: «Come può […] una norma morale dimostrarsi “ragionevole”?»; e per far questo si appoggia ancora a John Rowls, ricordando che «egli vede un criterio di questa ragionevolezza fra l’altro nel fatto che simili dottrine derivano da una tradizione responsabile e motivata, in cui nel corso di lunghi tempi sono state sviluppate argomentazioni sufficientemente buone a sostegno della relativa dottrina. In questa affermazione mi sembra importante il riconoscimento che l’esperienza e la dimostrazione nel corso di generazioni, il fondo storico dell’umana sapienza, sono anche un segno della sua ragionevolezza e del suo perdurante significato».

Dunque, esisterebbero due ragioni contrapposte: una ‘storica’ (la ‘tradizione’) ed una ‘a-storica’. Fra le due, si dovrebbe privilegiare ovviamente la prima, ovvero «di fronte ad una ragione a-storica che cerca di autocostruirsi soltanto in una razionalità a-storica, la sapienza dell’umanità come tale – la sapienza delle grandi tradizioni religiose – è da valorizzare come realtà che non si può impunemente gettare nel cestino della storia delle idee».

Non si tratta di un argomento nuovo. La pretesa dimostrazione razionale delle verità del Cristianesimo è un abusato esercizio retorico, particolarmente come risposta alla pretese illuministiche. Ma molti argomenti addotti in passato a dimostrazione degli articoli di fede trovano ben poco spazio nella manualistica corrente, dove si trasformano in incerti balbettii. Le affermazioni basate sul ‘consenso universale’ non hanno infatti alcun valore: il consenso universale, ad esempio, ha per lo più ritenuto che la terra fosse piatta e che il sole le girasse intorno; che esistessero dei progenitori umani ed una età dell’oro; che l’uomo non avrebbe mai potuto volare e che le malattie fossero delle punizioni divine. Ma tutto ciò è dimostratamente falso; anzi, la realtà è in molti casi palesemente controintuitiva. Le conoscenze di oggi, anche se non condivise o non conosciute dalla maggioranza dell’umanità, hanno maggiore validità di quelle di ieri, così come le medicine di oggi funzionano molto meglio di quelle di una volta.

Invece, per il papa, la ‘ragione storica’ e la ‘sapienza’ sono rappresentate al meglio dalla comunità credente, nella quale «durante i secoli della sua esistenza è maturata una determinata sapienza della vita». Per tale motivo, egli oggi «parla come rappresentante di una comunità che custodisce in sé un tesoro di conoscenza e di esperienze etiche, che risulta importante per l’intera umanità […] come rappresentante di una ragione etica».

Opinione non condivisibile. Giacché, per quanto questa etica abbia delle sue ragioni storiche, non vi è dubbio che proprio queste ne costituiscano il limite. Queste ragioni si presentano ai nostri occhi, in una certa parte, solo come delle ‘superstitio’, come sopravvivenze arcaiche: più mature delle etiche a cui si sostituirono, ma meno mature di quelle sviluppatesi successivamente.

L’Università

La brama di ‘vera conoscenza’ spinse Socrate, in nome di una religiosità «più profonda e più pura» di quella di Eutifrone, a non credere in ciò che si diceva comunemente intorno agli dei. Allo stesso modo avrebbero agito i primi cristiani, che avevano compreso la propria fede «come il dissolvimento della nebbia della religione mitologica per far posto alla scoperta di quel Dio che è Ragione creatrice e al contempo Ragione-Amore».

Benedetto XVI sottolinea con orgoglio questo processo, ma vi si arresta compiaciuto. La sua ‘lectio magistralis’, con assoluto disprezzo di quanto è a-religioso o anti-religioso, non prospetta il cammino ulteriore, ovvero il superamento delle sclerotizzate ed inadeguate formule teologiche in favore di una rappresentazione della realtà più vicina all’evidenza.

Se è vero che le Università sono nate proprio nel segno della ricerca del vero, va oggi riconosciuto che il cristianesimo, nel bene e nel male, è solo una tappa in questo processo. Per cui, se Benedetto XVI vede nell’ antico «interrogarsi della ragione sul Dio più grande […] non una forma problematica di mancanza di religiosità» ma anzi un approfondimento della religiosità, oggi questa “religiosità” appartiene allora paradossalmente alla scienza. È una caratteristica del libero pensiero filosofico e tecnico-scientifico, ma non di quello teologico, che è invece isterilito come tutte le scienze o conoscenze arcaiche. Ma questo il papa non lo può riconoscere, a motivo del suo angolo visuale.

Nell’analisi della contrapposizione fra ragione teologica e ragione comune, e soprattutto a dimostrazione della sua incompletezza, Benedetto XVI introduce inoltre un elemento spurio. Sostiene infatti, rifacendosi ad Agostino, «una reciprocità tra “scientia” e “tristitia“: il semplice sapere, dice, rende tristi». Ovvero, se la ragione si ferma al solo passo del sapere, rifiutandosi di conoscere il bene e di giungere ad una verità «non soltanto teorica», ha fallito nel suo compito.

La Verità cristiana sarebbe invece superiore a queste verità teoriche, in quanto «si è rivelata insieme come il Bene, come la Bontà stessa»; sarebbe una verità che coniuga teoria e prassi.

È proprio questo, secondo Benedetto XVI, il senso dell’ordinamento dell’Università medievale. Grazie alla razionalità propria della teologia e della filosofia «l’arte del guarire stava sotto la guida della ragione e veniva sottratta all’ambito della magia»; nell’ambito della giurisprudenza la ragione teologica dava «giusta forma alla libertà umana» in quanto ispirata a ‘processi di argomentazione sensibili alla verità’ e non piuttosto sensibile (dunque condizionata) ad interessi particolari.

Il riconoscimento pratico della verità

Nell’Università medievale, secondo Benedetto XVI, proprio agli insegnamenti di filosofia e di teologia «era affidata la ricerca sull’essere uomo nella sua totalità e con ciò il compito di tener desta la sensibilità per la verità. Si potrebbe dire addirittura che questo è il senso permanente e vero di ambedue le Facoltà: essere custodi della sensibilità per la verità, non permettere che l’uomo sia distolto dalla ricerca della verità».

Se dunque la Verità non va semplicemente letta e commentata sulle Scritture, ma è liberamente (anche se non completamente) accessibile alla ragione umana, qual è la strada pratica per giungere ad essa?

Il papa ammette: «neppure io posso offrire propriamente una risposta, ma piuttosto un invito a restare in cammino con questa domanda – in cammino con i grandi che lungo tutta la storia hanno lottato e cercato, con le loro risposte e con la loro inquietudine per la verità, che rimanda continuamente al di là di ogni singola risposta». Ma a questo punto egli sostiene che Teologia e Filosofia «formano in ciò una peculiare coppia di gemelli, nella quale nessuna delle due può essere distaccata totalmente dall’altra e, tuttavia, ciascuna deve conservare il proprio compito e la propria identità».

In realtà, proprio il cristianesimo dei padri aveva operato una distinzione fra teologia e filosofia, affermando che solo la fede cristiana è vera filosofia, e che «questa fede corrisponde alle esigenze della ragione in ricerca della verità; che la fede è il “sì” alla verità, rispetto alle religioni mitiche diventate semplice consuetudine».

Nei fatti, il cristianesimo, negando qualunque fondamento di verità alle altre religioni ed alle diverse concezioni del mondo, contraddiceva ed ha sempre contraddetto profondamente la presunta aspirazione ad una inesausta ricerca di verità, osteggiando qualunque ripensamento sul suo fondamento e sulle sue espressioni. La condanna del modernismo, energicamente ed ostinatamente represso, è solo l’ultimo esempio di come la gerarchia abbia sempre osteggiato ogni onesta ricerca del vero all’interno dell’istituzione. L’antigalileismo e l’antievoluzionismo sono invece classico esempio di quanto una analoga ricerca del vero sia stata contestata al di fuori dell’istituzione. E le condanne, in nome di un’etica superiore, comportavano penitenze che sconcertano anche la “ragione comune”.

Ma il papa ovviamente non accenna a cosa ha fatto il cristianesimo per reprimere, anche con crudeltà, la ragione degli altri; esalta invece lo sforzo fatto da Tommaso d’Aquino per «sottolineare in modo nuovo la responsabilità propria della ragione, che non viene assorbita dalla fede», anche se la filosofia resta «partner autonomo della teologia e della fede in questa riflessa». In pratica, mentre prima di Tommaso la teologia si giustificava sulla sola base delle scritture, a partire da lui i cristiani hanno ritenuto di potere dimostrare la verità della propria fede anche con i soli mezzi della ragione; e vi sarebbero riusciti. Ma così evidentemente non è stato, se solo si consideri che proprio al nascere della civiltà moderna la chiesa ha rafforzato il suo dogmatismo.

Il rapporto fra teologia e filosofia

Piuttosto che affrontare il rapporto fra scienza in genere e teologia, il papa preferisce aggirarsi, in un lungo passaggio, nel mare meno agitato dei rapporti fra teologia e filosofia, con una precisa concezione gerarchica dei due diversi saperi: «l’idea di san Tommaso circa il rapporto tra filosofia e teologia potrebbe essere espressa nella formula trovata dal Concilio di Calcedonia per la cristologia: filosofia e teologia devono rapportarsi tra loro “senza confusione e senza separazione”. “Senza confusione” vuol dire che ognuna delle due deve conservare la propria identità. La filosofia deve rimanere veramente una ricerca della ragione nella propria libertà e nella propria responsabilità; deve vedere i suoi limiti e proprio così anche la sua grandezza e vastità. La teologia deve continuare ad attingere ad un tesoro di conoscenza che non ha inventato essa stessa, che sempre la supera e che, non essendo mai totalmente esauribile mediante la riflessione, proprio per questo avvia sempre di nuovo il pensiero. Insieme al “senza confusione” vige anche il “senza separazione”: la filosofia non ricomincia ogni volta dal punto zero del soggetto pensante in modo isolato, ma sta nel grande dialogo della sapienza storica, che essa criticamente e insieme docilmente sempre di nuovo accoglie e sviluppa; ma non deve neppure chiudersi davanti a ciò che le religioni ed in particolare la fede cristiana hanno ricevuto e donato all’umanità come indicazione del cammino».

Nessun ripensamento, dunque, sull’assunto che la filosofia è e deve restare l’ancella della teologia, come ribadito da ognuno dei suoi predecessori.

Ma dopo il parziale mea culpa ‘storico’ di Giovanni Paolo II, e visto l’auditorio, è importante per l’oratore ribadire che, anche se talvolta gli uomini sbagliano nell’ossequio personale a quella che erroneamente ritengono ‘verità’, la vera ‘Verità’ comunque non difetta alla chiesa: «Varie cose dette da teologi nel corso della storia o anche tradotte nella pratica dalle autorità ecclesiali, sono state dimostrate false dalla storia e oggi ci confondono. Ma allo stesso tempo è vero che la storia dei santi, la storia dell’umanesimo cresciuto sulla basa della fede cristiana dimostra la verità di questa fede nel suo nucleo essenziale, rendendola con ciò anche un’istanza per la ragione pubblica».

Dunque, in ossequio al proclamato indispensabile riferimento alla Verità, «il messaggio cristiano, in base alla sua origine, dovrebbe essere sempre un incoraggiamento verso la verità e così una forza contro la pressione del potere e degli interessi».

Meglio sarebbe stato però sorvolare su questo punto. Giacché sempre, ed in particolare oggi, potere e interessi materiali sono al centro delle preoccupazioni della Chiesa, più che il tragitto verso le beatitudini dell’aldilà.

Ma questo importa poco nella presente occasione. Torniamo dunque all’Università, ed in particolare a quella moderna, all’ambito delle scienze naturali «che si sono sviluppate sulla base della connessione di sperimentazione e di presupposta razionalità della materia», ed all’ambito delle scienze storiche e umanistiche «in cui l’uomo, scrutando lo specchio della sua storia e chiarendo le dimensioni della sua natura, cerca di comprendere meglio se stesso».

Non si può negare, ma il pontefice non lo dice e verosimilmente non lo ammette, che ciò è avvenuto proprio perché l’Università ha fatto sua l’esigenza di cercare la verità, senza i paletti della fede. Come riconosce lo stesso pontefice, grazie a questo sviluppo del sapere «sono cresciuti anche la conoscenza e il riconoscimento dei diritti e della dignità dell’uomo, e di questo possiamo solo essere grati». Ma questi saperi (ed il papa non lo dice) per lo più sono cresciuti nonostante o addirittura contro le pretese di verità della teologia: dalle nuove concezioni sulla natura dell’universo alla consapevolezza della disumanità della pena di morte. Modelli provvisori e paradigmi conducono infatti alla verità in modo più consistente degli a-priori teologici.

Paradossalmente, Benedetto XVI teme che l’uomo «proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità», che la ragione si pieghi «davanti alla pressione degli interessi e all’attrattiva dell’utilità, costretta a riconoscerla come criterio ultimo», che la filosofia «si degradi in positivismo»; e di conseguenza che la teologia «col suo messaggio rivolto alla ragione, venga confinata nella sfera privata di un gruppo più o meno grande».

Sono più o meno le accuse di sempre; assolutamente ingiustificate, in quanto molto di ciò che oggi è patrimonio indiscutibile dell’umanità e condiviso dalla stessa chiesa (la democrazia, la giustizia sociale, la libertà di pensiero e di parola, il diritto d’accesso alle risorse) non proviene affatto dal pensiero originario o dall’elaborazione dottrinale della chiesa, bensì dall’umanitarismo dell’epoca dei grandi cambiamenti sociali, così aggressivamente contestati dal papato.

In ultima analisi, la ragione cui si appella il papa non è quella illuministica, secondo lui «inaridita»; non è il primato dell’osservazione propugnato da Galileo; né l’incondizionato anelito alla verità del ‘sapere aude’ kantiano, ma l’esercizio limitato di una facoltà all’interno del solo ambito consentito dalla teologia, controllato a vista dai custodi del sacro.

Quando la ragione, secondo Benedetto XVI, «perde il coraggio per la verità […] non diventa più grande, ma più piccola. Applicato alla nostra cultura occidentale ciò significa che: se essa vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e – preoccupata della sua laicità – si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma». Non è così, ovviamente. Sappiamo bene cosa vuole invece la Chiesa; pretende che l’uomo scelga ‘liberamente’ di essere comandato; che qualunque affermazione dei saperi non teologici contraria al contenuto della fede sia riconosciuta falsa se si può praticamente dimostrare che è in contrasto con il deposito della fede, e sia addirittura dichiarata ‘falsissima’ qualora non si può altrimenti dimostrare che è falsa.

Nella prima delle sue conferenze per la Quaresima del 1835, a Parigi, il passionista Lacordaire affermava: «Signori, incomincerò da un fatto incontrastabile, dal fatto che l’uomo è un essere insegnato. Perchè io mi trovo qui a parlare? Io vedo intorno a me persone di ogni età, capelli incanutiti sui libri, fronti solcate dal dolore, volti che portano le tracce di aspre battaglie o ani­mati dalle dolci emozioni di studi letterari, e giovani, infine, che hanno colto appena il terzo fiore della vita… Uomini e donne qui conve­nuti, che volete? Che domandate? Che aspet­tate da me? La verità. Voi allora non la possedete, voi la cercate, volete trovarla, siete dunque venuti qui per essere ammaestrati».

I tempi cambiano, ma l’arroganza resta. Per questo non sembra per nulla opportuno che un predicatore venga oggi ad insegnare la sua verità incondizionata in una istituzione liberale ed in una occasione solennemente laica.

Francesco D’Alpa -Responsabile “Osservatorio UAAR sui fenomeni religiosi”

Archiviato in: Generale, UAAR

32 commenti

Silesio

La politica del Vaticano è abbastanza intuibile. Non è da escludere che la “visita” alla Sapienza sia nata più da un “suggerimento” della Curia che non una iniziativa del rettore (poveretto). Non dobbiamo dimenticare che la chiesa sta correndo dietro i tempi e deve trovare nuovi sistemi per incastrarsi nella realtà contemporanea. Deve “rioccupare” il territorio. Da qui si capisce la necessità di una “ingegneria retorica” per rimettere in circolo il lessico tradizionale ecclesiatico all’interno delle comunità scientifiche. Il concetto di “verità” dovrebbe servire da concetto “ponte” per introdurre la religiosità nella scienza. Il concetto di “verità” di Ratzinger è però tautologico, formale, assoluto e perciò erede di quelle violenza impositiva di cui la chiesa è stata paladina. Il lupo perde il pelo, ma non il visio. Oggi i ricercatori sanno che questo concetto di “verità” non esiste più. Le nuove logiche sono quelle che lavorano con il probabile e la natura stessa ha rivelato che il concetto di verità di Ratzinger è solo una impressione popolare. Almeno credo che questo i fisici lo sappiano.

Silesio

La politica del Vaticano è abbastanza evidente nonché ripetitiva. Non è da escludere che la “visita” alla Sapienza sia nata più da un “suggerimento” partito dall’entourage del Papa che non una iniziativa del rettore (poveretto). Non dobbiamo dimenticare che la chiesa sta correndo dietro i tempi e deve trovare nuovi sistemi per incastrarsi nella realtà contemporanea. Deve “rioccupare” il territorio. Da qui si capisce la necessità di una “ingegneria retorica” per rimettere in circolo il lessico tradizionale ecclesiatico all’interno delle comunità scientifiche. Il concetto di “verità” dovrebbe servire da concetto “ponte” per introdurre la religiosità nella scienza. Il concetto di “verità” di Ratzinger è però tautologico, formale, assoluto e perciò erede di quelle violenza impositiva di cui la chiesa è stata paladina. Il lupo perde il pelo, ma non il vizio. Oggi i ricercatori sanno che questo concetto di “verità” non esiste più. Le nuove logiche sono quelle che lavorano con il probabile e la natura stessa ha rivelato che il concetto di verità di Ratzinger è solo una impressione popolare. Almeno credo che questo i fisici lo sappiano.

Marco T.

Propongo un mio articolo apparso ieri sul settimanale della mia città (“Corriere di Gela” del 19-1-08):

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Il Papa e la Sapienza

I 67 professori di Fisica della Sapienza che avevano manifestato al Rettore il loro disagio per la decisione di quest’ultimo di invitare Ratzinger alla cerimonia di apertura dell’anno accademico di giovedì 17 gennaio, giustificavano il loro punto di vista non solo con argomentazioni generali relative alla ben nota posizione reazionaria del Papa in materia di scienza, ma anche con un riferimento preciso a un fatto accaduto 18 anni fa. Nel 1990, infatti, in un discorso tenuto a Parma, l’allora cardinale Ratzinger citò a proprio sostegno le parole di un noto filosofo della scienza, Paul Feyerabend (1924-1994), in cui si sosteneva che la Chiesa aveva avuto le sue ragioni a condannare Galileo: «La Chiesa dell’epoca di Galileo si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina galileiana. La sua sentenza contro Galileo fu razionale e giusta, e solo per motivi di opportunità politica se ne può legittimare la revisione» (citato in J. Ratzinger, Svolta per l’Europa? Chiesa e modernità nell’Europa dei rivolgimenti, Ed. Paoline, Roma 1992, p. 78). Tutto ciò, hanno detto i docenti dissidenti della Sapienza, umilia ancora oggi il lavoro di qualsiasi uomo di scienza.
In merito a questo particolare della vicenda, non si sono adeguatamente rilevate due cose.
1) È ovvio che Feyerabend aveva ottime (ancorché discutibilissime) ragioni per fare quella famigerata osservazione, legate all’impostazione generale del suo pensiero anarchico. In Contro il metodo (1975), la celebre opera in cui essa ricorre, si trovano numerosi dettagli sulla vicenda Galileo, e Feyerabend spiega provocatoriamente che, per sostenere le sue tesi eliocentriste, lo scienziato ha dovuto violare molte regole ‘scientifiche’ codificate nel corso di una tradizione lunghissima (e non solo quelle di Aristotele, ma anche quelle che tanto sarebbero piaciute ai teorici del metodo scientifico come Karl Popper, il suo grande bersaglio polemico). In sostanza, Feyerabend voleva dire che Galileo ha agito in maniera anarchica contro qualsiasi metodo scientifico prescrittivo e vincolante, sia esso quello aristotelico della Chiesa di allora, quello neopositivista di Carnap o quello falsificazionista di Popper, e pertanto lanciava una sfida aperta e libertaria all’istituzione, che dunque aveva le sue ‘ragioni’ per condannarlo, come, secondo lui, le avrebbe oggi un popperiano per fare la stessa cosa. Viceversa, Ratzinger non aveva alcun motivo per far sua quella affermazione, o meglio, ne aveva solo uno: strumentalizzare un filosofo della scienza per assolvere la barbarie repressiva della Chiesa del XVII secolo e legittimarne il ruolo di arbitro competente in materia di scienza sia ieri che oggi.
2) Tuttavia, è giusto porsi dal punto di vista di un clericale e osservare onestamente che Feyerabend non si è dimostrato affatto scontento della citazione di Ratzinger. Nell’autobiografia (Ammazzando il tempo. Un’autobiografia, Laterza 1994, p. 202), in un contesto in cui stava rievocando un viaggio in Italia nel 1990 per ritirare il Premio Fregene, egli scrisse: «Fu più o meno allora che il cardinale Ratzinger, l’esperto del Papa nelle questioni dottrinali, tenne a Parma una conferenza discutendo il caso Galilei e mi citò a sostegno della sua posizione». Vuol dire che Feyerabend era orgoglioso di questa menzione speciale? Non si può escludere, conoscendo il suo anarchismo metodologico che lo ha spinto a sostenere che anche le idee più aberranti (comprese quelle naziste) meritano di essere prese in considerazione. Ma erano altri tempi, e all’epoca la sottile strumentalizzazione poteva non essere colta. Oggi siamo più smaliziati, perché ci scottiamo ogni giorno con la prepotenza e con l’arroganza culturale della Chiesa
Sappiamo come è andata a finire. Io penso che sia stata già una gran cosa il fatto che alcuni docenti e studenti abbiano avuto il coraggio di opporsi esplicitamente e fermamente a una cosa inutilissima nella sostanza (Ratzinger non avrebbe ripetuto che i soliti infondati luoghi comuni sulla fede che in Dio con Dio e per Dio, vero Logos, fonda e invera ogni sapere vero) e dannosa nella forma (perché avrebbe rinforzato nella maggioranza dei semplici il luogo comune infondato e implicito secondo cui la Chiesa ha da dire cose rilevanti e autorevoli sul mondo che ci circonda).
La vicenda rispecchia esemplarmente la situazione italiana di questi anni. È stato stupefacente vedere come, presso i politici nostrani, si sia scatenata la corsa in soccorso del più forte. Anche il Presidente del Consiglio è sceso in campo rilasciando dichiarazioni indignate contro i docenti di fisica rei di aver voluto imbavagliare il povero e indifeso Ratzinger. Nessuno di questi si è vergognato per aver fatto finta di non capire che è proprio chi ha avuto la bella idea di invitare il Capo di uno stato estero, notoriamente nemico della conoscenza libera e laica, all’inaugurazione dell’a.a. del più prestigioso ateneo della Capitale che dovrebbe giustificare con argomenti validi una scelta di questo tipo. Ma è ovvio che tali argomenti non esistono, perché la scelta è stata un puro atto di sottomissione compiacente a un potere oscurantista che ormai sta dilagando. Non c’è stato un solo giornalista che abbia chiesto al Rettore di spiegare su quali basi ritenga che il Papa rappresenti una voce autorevole e competente in materia di scienza e di pena di morte, al punto da rendere desiderabile una sua prolusione alla Sapienza su tali temi. In Italia, gente influentissima in Parlamento e nel mondo dei media è sinceramente convinta che quello religioso, e cattolico in particolare, sia un magistero dotato di una autorevolezza epistemologica intrinseca, a priori, che pertanto non deve dare dimostrazioni sul campo con risultati concreti in termini di contributi allo sviluppo della conoscenza. È un magistero autoprotetto posto al di là della discussione e del libero esame. È un assegno in bianco che la Chiesa è riuscita ad estorcere e che nessuno più si sogna di chiedere indietro. Ecco perché ci si indigna ipocritamente se qualcuno osserva che il re è nudo e che non ha alcun titolo per tenere lezioni di qualsiasi tipo in una università laica di un regno non suo.
Il “gran rifiuto” di martedì 15 ha salvato Ratzinger dai fischi, cui non è abituato chi vive circondato da schiere di adoratori. La cosa scandalosa è stata leggere le dichiarazioni di Prodi, Veltroni, Fioroni, Cesa e altri notabili di entrambi gli schieramenti, tutti compatti nel mostrare indignazione per il gesto di “maleducazione” e di “intolleranza” dei professori di fisica e degli studenti. Dovrebbero capire che la colpa è solo loro se la Chiesa ha potuto alzare la cresta al punto da presentarsi ormai come un attore ascoltatissimo e autorevolissimo nello spazio della discussione pubblica su questioni civili, politiche e culturali, e che questo non poteva non scatenare una reazione (inevitabilmente scomposta) nella minoranza autenticamente laica che percepisce in tutto ciò una indebita intromissione negli affari del nostro Stato da parte di una setta di anacronistici ierofanti stranieri. Abbiamo una classe politica miope e miserabile che per puro opportunismo elettoralistico agisce con una logica culturalmente così arretrata (la religio come instrumentum regni) da risultare più vicina a quella del mondo islamico che a quella delle democrazie moderne, e gli effetti sono sotto gli occhi di tutti, a tutti i livelli, dalla spazzatura figlia del clientelismo e del nepotismo di casta all’orribile idea – condivisa praticamente da tutti i papaveri, dal Rettore al Presidente del Consiglio, dal leader dell’opposizione al Ministro dell’Istruzione – che un Papa, cioè una figura fondata su un’ideologia infondata sopravvissuta al Medioevo, sia dotato ancora oggi di autorevolezza in materia di etica, scienza e politica (proprio lui che in campo etico si basa ancora su un vademecum settario fissato 2000 anni fa, in campo scientifico non sa nulla per principio e in campo politico è fermo alla teocrazia).

Luciano

Benedetto XVI teme che l’uomo “proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità”. Perchè lui si è dunque arreso davanti alla contestazione di un manipolo di studenti e professori? Io sono un semplice diplomato e non so come funziona l’università, ma la contraddizione mi sembra lapalissiana.

Luciano

che la ragione si spieghi ” davanti alla pressione degli interessi e all’attrattiva dell’utilità costretta a riconoscerla come criterio ultimo”. La costruzione del duplicato della cattedrale di S. Pietro in scala 2:1 in mezzo al deserto della Costa d’Avorio ne è un esempio incontrovertibile.

Red Passion

Colgo l’occasione per dire che all’angelus di quest’oggi la politica ha risposto nel seguente modo:
1. Centrodestra=presente. Come sappiamo tutti, nessuno escluso, ha espresso solidarietà al papa
2. Centrosinistra=ognun per se e dio per tutti. C’erano Mastella (triste perchè non poteva esserci anche la moglie) e polemico con il premier e il ministro degli Esteri che «avrebbero dovuto chiamare il Segretario di Stato Bertone per scusarsi»; Francesco Rutelli, che chiarisce però che «la politica non c’entra: oggi c’è stato un gesto di riconciliazione, di affetto e di amicizia dei romani verso il Pontefice»; Dario Franceschini che ha voluto compiere un «atto di solidarietà», perché «le basi di uno Stato laico sono la libertà di parola, di pensiero e delle idee altrui»; i cattolici del Pd, Paola Binetti, Enzo Carra, Pierluigi Castagnetti e Giorgio Tonini. ASSENTI il premier Romano Prodi, i leader della sinistra arcobaleno e della rosa nel pugno e la ministra Rosi Bindi, che ha detto: «Non ci sarò anche per non essere accomunata a chi, non andando mai a sentire l’Angelus, domani sarà invece presente allo scopo di strumentalizzare».
Ma è mai possibile che mi sia ridotto ad apprezzare le parole di Rosi Bindi?

Luciano

Quando la ragione “perde il coraggio per la verità non diventa più grande , ma più piccola. Applicato alla nostra cultura occidentale ciò significa che: essa vuole autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e – preoccupata della sua laicità- si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più ragionevole più pura, ma si scompone e si frantuma”. Proprio per ovviare a questi dirompenti problemi la chiesa ha provveduto a fare strage di valdesi, ugonotti, albigesi, eretici e scienzati ad ogni livello. E questo per secoli e secoli, mica per un anno o due.

Lorenzo G.

Continuano ad aumentare a vista d’occhio (nel momento in cui scrivo sono arrivate a 4262). Non voglio con questo fare del triofalismo, ma una partecipazione di questo livello onestamente non me la aspettavo.

Pino

Se il Pastore ripensasse a come sono state trattate le pecore per 2000 anni chiederebbe perdono al suo gregge in nome di quel Gesù che tutti a sè invitava e per una sola pecora abbandonava il gregge per cercarla.Questo pastore fà di tutto per disperdere il gregge, invece che segno di unità è portatore di separazione.
Ut omnes unum sint per lui significa venite da me perchè solo a me è stata rivelata la Parola!Non c’è niente da discutere con questo signore,con uno che pensa di essre l’unico portatore di verità.

nasoblu5

Caro Franco hai fatto un articolo da incorniciare e da pubblicare come editoriale sui principali quotidiani italiani.

Razionalismo

Vogliamo dirla tutta?

Il magnifico rettore della Sapienza aveva annunciato che il Papa sarebbe stato l’ospite d’onore e avrebbe parlato della pena di morte, questo era il tema dell’inaugurazione!

Ratzinger è andato semplicemente fuori tema.

paolo di palma

Rosi Bindi, a parte i quattro gatti della RNP, quattro gatti non è una provocazione è purtroppo una realtà, e qualc’un altro in ordine sparso su tutto lo schieramento, sembra essere l’unica vera laica. Per cui dalla politica c’è poco da sperare.
Ottimo il commento di Francesco D’Alpa, altrettanto l’articolo di Marco T. sui quali credo sia ben poco da aggiungere.

Andrea

E’ reperibile da qualche parte su Internet il testo integrale dell’intervento che avrebbe dovuto fare Ratzinger?

Aborted

«scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro»,

Qualcuno mi spiega cosa vuol dire?

Questo parla per metafore e usa paroloni solo per controllare meglio i suoi asserviti…

Scardax

Notevole… Si é arrivati a 5067 firme sulla petizione: quanto meno é un segno che da un po’ di speranza…

strangerinworld

con la mia (Solidarietà ed ammirazione ai professori della Sapienza in questo Paese sempre meno democratico e sempre più teocratico. E’ in gioco, anzi in pericolo, la Libertà.), 5297

strangerinworld

Il testo del discorso conferma, se ce ne fosse stato il bisogno, l’assoluta insensatezza, inopportunità e assurdità che una Lectio Magistralis sia tenuta da un qualunque rappresentante religioso. In particolare di questo papa che viene unicamente per ri-affermare la supremazia della religione sulla scienza, dell’irrazionale sul razionale, della superstizione sulla ragione. Per imporre una visione del mondo che affonda le sue radici nell’età del bronzo, concepita da ignoranti e superstiziosi pastori nomadi e sulla quale si basa la favola del cristo, poi manipolata lungo i secoli dalla teologia, la ‘filosofia’ della masturbazione spirituale, ad uso e consumo del potere politico della chiesa dall’imperatore Teodosio ad oggi. Tutti gli imperi, tutte le dittature prima o poi implodono. Quello religioso purtroppo si appoggia sull’ignoranza e la paura dei ‘fedeli’ e sull’opportunismo della classe politica, in particolare quella italiana.

rocco

Complimenti all’autore dell’articolo sul Corriere di Gela.Rocco

rocco

Complimenti all’autore dell’articolo sul Corriere di Gela.Rocco

enrico

Sono d’accordo con Pino.Non si può dialogare con chi dice di essere depositario unico della verità rivelata così come non è possibile farlo con gli “unti dal Signore” (ne abbiamo almeno uno anche in casa nostra) investiti del compito di esportare la Democrazia…con le armi.

enrico

Sono d’accordo con Pino.Non si può dialogare con chi dice di essere depositario unico della verità rivelata così come non è possibile farlo con gli “unti dal Signore” (ne abbiamo almeno uno anche in casa nostra) investiti del compito di esportare la Democrazia…con le armi.

Massimo

Francesco D’Alpa giustamente rileva che “La Chiesa… pretende che l’uomo scelga ‘liberamente’ di essere comandato; che qualunque affermazione dei saperi non teologici sia riconosciuta falza…”
In questo modo, quando i luoghi collettivi saranno ormai privi di tutti gli anticorpi di laicità, si tornerà all’inquisizione.
Semplicemente, grandi discorsi a parte (grandi discorsi = grandi imbrogli), se ci siamo, se siamo qui e ci organizziamo è perchè siamo contro a che questo accada di nuovo e difendiamo gli spazi di vera libertà di ognuno; contro questa che, in fin dei conti, è la libertà di uno soltanto (dove gli altri dovrebbero godere di questa “libertà” solo su basi siflesse).
Per questa ragione i credenti si fanno pericolosamente aggressivi, per celare in sé la vera sostanziale repressione che questa apparente libertà comporta e lo fanno contro quelli indicati come nemici della loro fede da chi che riceve da essi, in questo modo, il potere ad ognuno di essi alienato: perché, così facendo, vanno a comporre quella categoria di deboli che si fanno forti solo con quelli ritenuti più deboli di loro, che trovano da soli e che non vogliona alienarsi insieme a loro a chi essi stessi si alienano.
In questo modo e per questa ragione sono stati e tornano a farsi pericolosi.
Solo per questa ragione chi ha altre libere convinzioni è costretto a organizzarsi per difendersi dalle imposizioni dei credenti, pretese anche in spazi altrimenti collettivi, e in questo modo viene messa a rischio la libertà di tutti: perché in nessun luogo può più esservi quella di ognuno.
Ma questa aggressività non dipende certo da chi non cerca di andare in luoghi impropri a imporre le proprie convinzioni ad altri.
Dunque, prima che sia troppo tardi, da dove provengono i rischi di alienazione delle libertà di tutti e di ciascuno?

Mifepristin

ci sono diversi aspetti inquietanti in questa vicenda: che il papa e il suo pensiero teologico-teocratico sia divenuto un punto di riferimento per la cultura laica, è una conseguenza della crisi dell’umanesimo, per cui non esiste più altro che la religione da contrapporre al mondo della tecnologia e delle scienze esatte, che senz’altro ha migliorato la nostra vita, ma non è totalmente in grado di fornire risposte culturali e indirizzi politico-sociali. è infatti sconvolgente che gli unici professori che si sono opposti all’intervento del papa siano dei fisici, dove sono finiti gli umanisti, gli storici, i giuristi, i letterati, i filosofi in tutto ciò? l’unico libro attualmente in circolazione che tenti una critica alla storicità dei fatti narrati nei vangeli(sulla quale ci sono oggettive ragioni di forte dubbio)non è stato scritto da un esperto di storia antica, ma da un matematico, cosa succede agli umanisti, hanno tutti paura di sfidare l’egemonia vaticana? siamo ancora fermi ai tempi di Reimarus, quando il professore di filologia non osava pubblicare i suoi appunti critici contro la storicità della figura di Cristo presentata dai Vangeli? Ancora più inquientate il mondo politico, che non ha speso una parola in difesa dell’autonomia della cultura laica, preferendo nel migliore dei casi tacere e latitare. Per non parlare poi dei mezzi di comunicazione, che poi sono quelli che hanno costruito, amplificato e montato questo caso, facendo, consapevolmente o meno, il gioco della Chiesa, che ha potuto così godere di diversi giorni di sovraesposizione mediatica e di continua apologia, che purtroppo in una qualche misura ha giovato alla sua popolarità.

Mifepristin

Sono davvero stanca di vivere in un mondo che si lascia guidare dalle idee dei rappresentanti di una religione falsa e bugiarda, fondata sui detti e i fatti di una figura semi-leggendaria, su cui nessuno potra mai sapere la piena verità, che ha sempre prodotto effetti contrari a quelli che si propone a parole e non ha mai portato nessuna felicità, nessun progresso all’umanità!

Mifepristin

che il papa e il suo pensiero teologico-teocratico sia divenuto un punto di riferimento per la cultura laica, è una conseguenza della crisi dell’umanesimo, per cui non esiste più altro che la religione da contrapporre al mondo della tecnologia e delle scienze esatte, che senz’altro ha migliorato la nostra vita, ma non è totalmente in grado di fornire risposte culturali e indirizzi politico-sociali. è infatti sconvolgente che gli unici professori che si sono opposti all’intervento del papa siano dei fisici, dove sono finiti gli umanisti, gli storici, i giuristi, i letterati, i filosofi in tutto ciò? l’unico libro attualmente in circolazione che tenti una critica alla storicità dei fatti narrati nei vangeli(sulla quale ci sono oggettive ragioni di forte dubbio)non è stato scritto da un esperto di storia antica, ma da un matematico, cosa succede agli umanisti, hanno tutti paura di sfidare l’egemonia vaticana? siamo ancora fermi ai tempi di Reimarus, quando il professore di filologia non osava pubblicare i suoi appunti critici contro la storicità della figura di Cristo presentata dai Vangeli?

Riccardo

Sono purtroppo tanti gli scenziati osteggiati dalla chiesa che potrebbero essere oggetto di un “day”. Forse varrebbe la pena di fare un “controcalendario”, ove al posto dei santi vi siano elechi di uomini o associazioni che avrebbero svolto il proprio lavoro in modo più proficuo per l’umanità se non fossero stati ostacolati. Darwin prima di pubblicare le proprie tesi aspetto l’inverosimile e lo stesso Cartesio rimodulò le proprie più volte al solo scopo di cercare di evitare la scomunica, ecc….

salvatore rizzi

Condivido tutto l’argomentare rispetto alla questio, che mette in “conflitto”, la cultura(La Sapienza) e le argomentazioni addotte per smontarne l’architrave astratto del dogma della chiesa, e nello specifico, le “ragioni” del papa. Cordiali saluti!

sandra

Cari amici,
attraverso la rete (fonti: http://www.gennarocarotenuto.it e http://www.tafanus.it) ho appreso una notizia gravissima, che se confermata richiede a mio parere una presa di posizione drastica da parte di tutti noi, laici o laicisti che dir si voglia.
Copio/incollo:
La vendetta dei teo-con è già iniziata. Nel peggiore dei modi. Il Senato ha bloccato la nomina a presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche del fisico Luciano Maiani.
La sua colpa? Essere tra i firmatari del documento noto come “lettera dei 67″.

Tempi duri per i laici, ma anche per milioni di cattolici onesti in Italia. Tempi così duri da evocare davvero il processo “onesto e giusto” contro Galileo Galilei. Così duri da evocare le liste di proscrizione dei regimi totalitari. Così duri da paventare che presto tra i requisiti per accedere alla docenza universitaria potrebbe essere necessario un giuramento di fedeltà a Benedetto XVI speculare a quello che Benito Mussolini impose l’8 ottobre del 1931 ai docenti universitari. Un Benedetto XVI che va subito riconosciuto come innocente (ma magari soddisfatto) rispetto alla voglia di fanatismo, alla voglia di talebanizzazione dei rapporti tra Stato e Chiesa voluta innanzitutto dai cosiddetti atei devoti e teocons. In un’Italia dove non si possono condannare i corrotti, questi hanno trovato un nuovo nemico: il laico. Laico come alieno, laico come grillo parlante, come paria in uno stato che ha scelto una versione confessionalista della laicità

Il caso è facilmente riassumibile, ma siccome è una cosa così vergognosa (soprattutto per il parlamento della Repubblica) e insostenibile ne troverete ben poca nozione sui media. Al prestigioso fisico Luciano Maiani non è stata ratificata la nomina a presiedere il CNR proprio perché colpevole di essere tra i firmatari della lettera dei 67, con la quale si riteneva inopportuno l’invito a Joseph Ratzinger per l’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Roma La Sapienza.

Appena pochi giorni fa il fisico romano Luciano Maiani era stato nominato Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Sulla base dei suoi titoli tutti si erano dichiarati soddisfatti. Restava la ratifica del Senato, un proforma da tenersi ovviamente solo sulla base del curriculum scientifico dello studioso. Ma non è andata così: con un dibattito surreale in Senato, la sua nomina non è stata ratificata ed è stata chiesta un’audizione del ministro Fabio Mussi. La colpa di Maiani è apertamente ammessa: ha firmato la lettera dei 67 e quindi sarebbe incompatibile. Il dibattito in Commissione è simbolico dell’Italia di oggi e merita di essere riassunto.

Per il senatore di Forza Italia, Franco Asciutti (per far queste cose si usano apparatnik di seconda fila), alla luce della posizione espressa contro il papa, Maiani sarebbe “incompatibile con un atteggiamento equilibrato e laico”. Prova a difenderlo Andrea Ranieri del PD ma la pezza è peggiore del buco: suvvia, Maiani è su posizioni moderate, ha firmato sì la lettera ma solo per il Rettore, non voleva diventasse pubblica. Insomma, per Ranieri Maiani è colpevole ma di peccato veniale. In generale gli interventi del PD sono tutti improntati a prudenza e cerchiobottismo. Si rendono conto della pretestuosità, della gravità e della pericolosità come precedente, ma preferiscono restare nel mezzo, ribadire la loro condanna dei rei e alla fine far passare uno scandaloso rinvio.

Dopo Ranieri prende la parola Maria Agostina Pellegatta Verde lombarda e finalmente dice una cosa banalmente sensata: “siamo chiamati a giudicare i titoli di Maiani, non le sue opinioni”. Basta ciò per fare impazzire di rabbia l’italoforzuto Egidio Sterpa. E’ il più noto tra i coinvolti, già ministro in quota PLI durante la prima repubblica, con una condanna in via definitiva per tangenti nel caso Enimont: “abbandono l’aula per protesta contro l’intolleranza”. Amen.

Da lì, se mai ve n’era stato, si perde il lume della ragione. Luca Marconi dell’UDC teme addirittura che Maiani non sia in grado di assicurare la libertà d’espressione. Ma è Giuseppe Valditara di AN che passa il segno: Maiani deve chiarire la sua posizione per poter valutare se è compatibile con l’incarico. Che “chiarire la sua posizione” riecheggi l’abiura chiesta a Galileo non può sfiorare Valditara. Parlano vari altri, ma alla fine la decisione è presa, il Senato della Repubblica non ratifica la nomina di Maiani e convoca il Ministro Mussi.

Questo è quanto è successo in Commissione. Luciano Maiani passerà, prima sotto le forche caudine, poi, a meno di incredibili novità, come presidente del CNR. Ma il segnale che viene dato al paese e all’Università è gravissimo: abbiamo i vostri nomi e possiamo danneggiarvi nella vostra carriera come stiamo facendo con il più potente di voi. In questi giorni centinaia di docenti, ricercatori e precari della ricerca, oltre a migliaia di liberi cittadini stanno firmando due appelli, che trovate qui e qui. E’ di fatto una lista nera. Come fatto in Senato per Maiani chi dice che non possa essere tirata fuori per un concorso universitario o per un posto pubblico?

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