TheLocal informa che la città di Göteborg si è appellata alla Corte Suprema per evitare di pagare i danni a due donne musulmane, cacciate da una piscina per essersi rifiutate di togliere il velo. Un mese fa la Corte d’Appello della Svezia occidentale aveva riconosciuto la città colpevole di discriminazione etnica, imponendole di pagare alle due donne 20.000 corone di danni (2.100€ circa) ciascuna. La città era stata citata in giudizio dal difensore civico per le discriminazioni (Discrimination Ombudsman, DO).
Le donne erano alla piscina per accompagnare i figli, ma non avevano intenzione di nuotare. Entrambe indossavano i veli, pantaloncini e maglie a maniche lunghe, dato che la loro religione non permette alle donne di mostrare parti del corpo in pubblico.
Il bagnino ha giudicato l’abbigliamento non consono in caso fossero cadute in acqua, perchè avrebbe impedito loro di nuotare.
La Corte Distrettuale si è dichiarata in favore della città, ma la Corte d’Appello ha ribaltato il verdetto, dicendo che le donne sono state oggetto di discriminazione quando il bagnino ha intimato loro di cambiarsi o di lasciare la piscina. La città ora ha chiesto un ricorso in Corte Suprema.
Velo, Svezia: musulmane discriminate, il caso alla Corte Suprema
10 commenti
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Quando si capirà che portare il velo è un atto di autodiscriminazione e non di libertà non sarà mai troppo tardi…
A parte la giusta considerazione sull’autodiscriminazione, è vero che delle donne bardate in quella maniera se fossero cascate disgraziatamente in acqua sarebbero molto probabilmente affogate: con i vestiti impregnati di acqua, anche un esperto bagnino avrebbe avuto molte difficoltà ad aiutarle.
Impeccabile dunque la decisione dei responsabili della piscina, e assolutamente assurda l’accusa di discriminazione. Qui si parla di puro e semplice buon senso.
L’utilizzo del velo islamico, di qualsiasi foma e dimensione, per imposizione o per presunta “libera scelta”, sta assumendo sempre più contorni grotteschi. Per molte donne islamiche che girano qui in occidente, sia residenti o turiste, sono convinta che si tratti di una pura e semplice provocazione. Basta notare come alcune di loro siano fiere del proprio foulard (spesso firmato!) che stride in modo ridicolo con il trucco pesante del viso e gli atteggiamenti tutt’altro che morigerati e innocenti.
Quando non è imposto da mariti, padri, iman, ecc. quella del velo sembra addirittura una carnevalata. Basta che non sia in contrasto con le ovvie regole civili (es. no al viso coperto) e di sicurezza (come nel caso della piscina svedese), a mio parere andrebbe tranquillamente ignorata. Potrebbe essere una “moda” passeggera come tante.
Fossi stati io il bagnino avrei dato la stessa motivazione alle donne, cioè le avrei avvisate del pericolo che correvano, ma non le avrei cacciate dalla piscina.
quoto schock, il velo non creava nessun problema agli altri, e poi guardiamoci in faccia, quante sono le possibilità di cadere in acqua? Per la questione dellìautodiscriminazione, bè penso che a qusto punto dobbiamo impedire di portare il velo anche alle suore, visto che il significato è lo stesso. dovremo pensare a promuovere una cultura laica, non una costrizione con leggi (che è quello che vogliono anche molti cattolici)
Non dimentichiamo quelle povere ragazze turche annegate in pochi metri d’acqua perchè trascinate a fondo dai loro paludamenti sacri; non dimentichiamo che i presenti volenterosi che intendevano aiutarle sono stati impediti dai fanatici maestri accompagnatori che non potevano permettere ad un maschio estraneo al sangue familiare di toccare le disgraziate anneganti…
Non si tratta di discriminazione ma di autolesionismo.
Riflettiamo sulle parole di Chahdortt Djavann, Giù i veli!, Lindau 2004…
Ordinate il libro – non si trova facilmente – divulgatelo, divulgatelo e finiamola con la falsa democrazia, la falsa e ipocrita “E’ lei che lo vuole”. In Europa è vietata la discriminazione di genere: il velo è un marchio sessuale.
Se fosse religioso si farebbe indossare dalla nascita alla morte, ma si mette dalla prima mestruazione, quando da bambina si diventa femmina pronta per la compravendita delle mogli.
Quoto Giovanna.
Io non farei una questione di velo come “marchio sessuale” o “autodiscriminazione”, anche se effettivamente è segno dello stato di sottomissione della donna nei paesi islamici confessionali.
Ma non è con la proibizione indiscriminata che si faranno fare passi avanti a quei paesi (e a certi fedeli musulmani nei paesi occidentali) sui temi di civiltà e rispetto delle donne.
Secondo me ognuno dovrebbe essere libero di portare il velo che gli pare e piace, se non viola delle leggi (come quella del divieto di viso coperto).
Così come il bagnino ha tutto il diritto (anzi, dovere) di vietare quell’abbigliamento in piscina, per meri motivi di sicurezza (così come lo potrebbe/dovrebbe fare se uno, per esempio, si presentasse a bordo vasca dentro un costume da coniglio gigante …).
Assurda e piena di retorica “politically correct”, quindi, la motivazione della Corte d’Appello. Mi auguro che la Corte Suprema svedese ristabilisca il buon senso.
Concordo con Schock, avrei agito alla stessa maniera.
@lacrime e sangue
Anche l’autolesionismo è un diritto che deve essere garantito, non proibirei mai il cilicio alla Binetti. E Chahdortt Djavann non ha intervistato tutte le donne musulmane d’Europa, per chieder loro se davvero il velo lo portassero per pura imposizione maschile, contro la loro volontà.
Pienamente daccordo con Paguro!Il velo è una libera scelta…è sufficiente andare in Tunisia o in Marocco per capirlo meglio: ogni donna è libera di utilizzarlo senza obblighi. Ovviamente in alcuni casi estremi ci saranno situazioni di pressione da parte dei mariti più bigotti ma nessuno le obbliga a sposarsi, sicuramente non in Svezia come nei paesi del Nord Africa.