“I, at any rate, am convinced that He does not play dice”, Albert Einstein, 1926. Questa abusata frase di Einstein del dio che non gioca ai dadi non mi ha mai convinto per almeno due ragioni: in primo luogo perchè non è detto che un fisico famoso sia anche un filosofo o teologo o sappia preparare il pesto alla Genovese: a ciascuno il suo mestiere, e smettiamola con gli oracoli. Poi penso che a un eventuale, anche se improbabile, onnipotente debba essere concesso anche il casinò senza chiedere il permesso a Einstein.
Questo taglio dubitativo è presentato molto più autorevolmente nell’articolo di R.Losick e C.Desplan “Stochasticity and Cell Fate”, Science, 230, 65, 2008. Esso illustra diversi esempi di sistemi biologici derivanti da scelte non deterministiche ma stocastiche. Per esempio per quanto riguarda i neuroni olfattivi del topo o i fotorecettori di Drosophila. Gli autori concludono che “La natura sa come fare scelte deterministiche ma, in contrasto col punto di vista di Einstein sull’universo, sa anche come lasciare certe decisioni ai dadi quando ciò risulti a suo vantaggio”.
Franco Ajmar per Ultimissime
Non so se dio o la natura – come credo non lo sapesse Einstein, e nessun altro lo sappia – abbiano mai giocato, e/o continuino a giocare, a dadi…
Per certo so che, come non saprò mai perché e per che cosa sono qui, allo stesso modo non so e non saprò mai perchè c’è ciò che c’è, e perché c’è così come c’è. E se c’è qualcuno che ha la possibilità di giocare a dadi con la mia esistenza, quello sono solo io.
Determinismo e libertà fanno parte allo stesso modo della mia esperienza/esistenza, e io non posso che viverne la contraddizione. Che nessuno potrà mai sciogliere.
O meglio, che si scioglierà definitivamente quando anch’io mi sarò sciolto definitivamente.
Queste riconferme, di come la nostra vita dipenda dal caso sono, a mio avviso, molto importanti.
Per sperare in una rinascita, occorre che ogni certezza sia messa in discussione. E il determinismo è una delle ultime certezze a cui ancora ci si aggrappa. Le altre, direi, sono la concretezza della materia e il divenire del mondo.
Una volta che non si sarà più sicuri di nulla, allora dovremo per forza guardare più lontano.
Difatti, il pensare la nostra realtà come deterministica mette a disagio: “Che ne è allora della mia libertà?”
Ma pure concepire la vita dominata dal caso crea angoscia: “La mia libertà è quindi il caos?”
Tra questi due mostri, può forse nascere l’idea che, se sono libero, se voglio essere libero, allora la mia libertà deve avere a che fare con la Trascendenza.
x Bruno Gualerzi
Quando dico: “Io morirò”, penso solitamente di aver detto un’ovvietà.
Ma penso così perché do per scontato sia cosa significhi “morirò” sia cosa intendere per “io”.
Il fatto però è che, se per il “morire” ho delle evidenze nelle esperienze temporali di vita, per l'”io” ho soltanto delle congetture. E particolarmente opinabili.
Dovrei dire: “Il mio corpo morirà”. Giacché così il divenire mi mostra l’evolversi del mondo.
Solo del Divenire abbiamo un’idea, seppur vaga e probabilmente sbagliata.
Ma dell’Essere, e perciò del “Io”, non sappiamo proprio un bel niente.
Io non posso concepire un Dio che ricompensa e punisce le sue creature, e che esercita una volontà simile a quella che noi sperimentiamo su noi stessi. Né so immaginarmi e desiderare un individuo che sopravviva alla sua morte fisica: lasciamo che di tali idee si nutrano, per paura o per egoismo, le anime fiacche. A me basta il mistero della vita, la coscienza e il presentimento della mirabile struttura del mondo in cui viviamo, insieme con lo sforzo incessante per comprendere una particella, per piccola che sia, della Ragione che si manifesta nella natura.
Albert Einstein
…cosa aggiungere?
Solo due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, e sul primo non sono sicuro.
Albert Einstein
@ Roberto Vai
Pur essendo agnostico, non posso fare a meno di quotare. Il ragionamento mi piace.
A dsitanza di decenni, Stephen Hawking, osservando i buchi neri, ha così risposto:
“Non solo gioca a dadi, ma ci nasconde il risultato con la mano…”
@ Luca Lo Ponte
Si parla di ILLIMITATO e NON di INFINITO!!!!!
“Né so immaginarmi e desiderare un individuo che sopravviva alla sua morte fisica: lasciamo che di tali idee si nutrano, per paura o per egoismo, le anime fiacche.”
Anche qui: desiderare di sopravvivere (o che qualcuno dei nostri cari sopravviva) alla morte fisica sarebbe egoismo (paura in effetti ci sta, ma egoismo..)? Stiamoci attenti a queste posizioni un tantino estreme ed intransigenti, ragazzi. Parafrasando il Moretti, se andiamo avanti così continuiamo a farci del male. Fermo restando che ognuno, ovviamente, é libero di pensarla come vuole al riguardo (tanto più che si tratta di convinzioni strettamente personali), sarebbe opportuno, secondo me, tenersi dette convinzioni per sè ed evitare di divulgarle in occasioni pubbliche. Non si avvicina la gente all’ateismo e cause simili in questo modo.
Mi viene a mente, diversi mesi fa, proprio qui, un articolo di qualche membro Uaar che non ricordo, il quale riportava delle considerazioni di un visitatore del sito, che probabilmente aveva lasciato un messaggio da qualche parte o mandato una mail, dove aveva detto, fra l’altro (cito a memoria): “Come brutto il vostro sito, fa venire voglia di suicidarsi”. Capito? Rendiamoci conto che in questo modo diventa sicuramente più difficile dargli torto. Devo constatare, con un po’ di dispiacere, che su questo versante siamo talvolta un po’ carenti.
Scusatemi se non perdo occasione x ribattere su questo tasto, d’altronde é quello che penso sinceramente, e preferisco dire la verità! 🙂 Tutto questo, resta sottinteso, senza nessuna intenzione polemica nè tantomeno aggressiva nei confronti nessuno, solo nell’intento di proporre critiche il più possibile garbate e costruttive. Cordialmente. 😉
Argh!
La frase di Einstein è comprensibile solo e solamente contestualizzata in un preciso momento della storia della scienza, e cioè al tempo della nascita della meccanica quantistica quando i principi di questa nuova branca della scienza erano ancora tutti da capire ( o definire? 😉 ) e non ha NESSUN senso riportarla con una qualsivoglia altra interpretazione (fintanto che ci si limita a citare Einstein, poi ognuno è libero di ridirla e reinterpretarla come vuole).
E poi l'”He” della frase è semplicemente un binomio letterale per “l’universo”, tanto più, come cita giustamente Luca Lo Ponte einstein poteva essere tante cose, ma non sicuramente un credente (nel senso religioso del termine)!
Quindi è del tutto inutile dire che “non è detto che un fisico famoso sia anche un filosofo o teologo[…]: a ciascuno il suo mestiere”, queste frasi sono totalmente inutili!
In ogni caso, ora si sa che “He” gioca a dadi ( e secondo me si diverte pure molto ).
Saluti!
|Pier>
sarebbe interessante sapere cosa ne pensano del
«Dio che non gioca a dadi»,
e del divino e strombazzatissimo «intelligent design» in generale,
quella bambina nata con due facce,
o quell’altra, con otto gambe,
oppure quei due gemelli, con due teste ma un solo torace,
ecc …
@ Lorenzo G.
Sono d’accordo con te. Occorre stare attenti a proclamare “verità”.
Solitamente sia il credente, sia l’ateo convinto, sono portati ad affermare la loro verità.
Due verità che parrebbero opposte tra loro, ma che sottintendono un comune modo d’intendere il mondo: la realtà è ciò che abita il presente e questa realtà evolve nel tempo.
L’ateo pare più coraggioso, ma che ne sa dell’abisso che il credente ormai vede e vorrebbe evitare?
Penso sia ormai tempo di fare un passo indietro, e mettere in discussione proprio il fondamento comune a entrambi.
Il nichilismo deve essere portato fino alle sue estreme conseguenze, e poi, forse, si potrà andare avanti.
Riguardo alla vita dopo la morte, è vero che la religione ne ha fatto un po’ il suo cavallo di battaglia ma non è detto che la speranza di un dopo sia nessariamente un fatto religioso.
Ipotizzando che esista un successivo stato di esistenza esso farebbe inevitabilmente parte del mondo, sarebbe parte della natura anche se sconosciuto alle nostre conoscenze attuali, e quindi sarebbe materia “scientifica” e non religiosa. L’idea di un aldilà esiste da che esiste l’uomo e non mi risulta che sia un marchio registrato.
@ Roberto Vai
Cos’è l’io’? Se con questo intendo fare l’esperienza di un sé visto da fuori, non conoscerò mai l”io’… ma per una ragione molto semplice (si fa per dire): perché in ogni caso non ho altri strumenti che questo ‘io’ per conoscere l”io’. L’io’ dirà sempre e solo se stesso, quindi, per misterioso che sia, il mistero resterà sempre ‘chiuso in lui’ (sì, lo so, sembra la Turandot), e lui non sarà mai in grado di svelarlo… e quando tenterà di farlo non farà altro che alienarsi. Non farà altro che proiettare sè ‘oltre sé’ credendo di ‘vedere’ una realtà ‘altra da sé’, mentre non vedrà, appunto, altro che un sé alienato… come accade con tutte le religioni, e comunque come sempre accade quando ci si pone nella prospettiva di una qualche trascendenza, comunque intesa.
Lo stesso vale per tutto ciò che ci circonda (il cosiddetto ‘mondo’), primo fra tutti il nostro corpo visto come fisicità: sembra che ci stia davanti, ma in realtà, in quanto noi stessi mondo, ci spinge alle spalle, e non lo potremo mai conoscere se non – per dirla col vecchio Kant – come ‘fenomeno’, cioè come ‘ciò che appare’… mentre ciò che è al di là di come noi ce lo rappresentiamo (di come l”io’ se lo rappresenta), sarà sempre e solo ‘noumeno’, cioè sarà sempre qualcosa che possiamo pensare, ma di cui non possiamo fare alcuna esperienza al di là del pensarlo. E quale che sia la ‘realtà’ che vogliamo dare a questo pensiero, sarà sempre una realtà interna all’io, un prodotto dell”io’, cioè qualcosa mai in grado di trascenderlo.
Quindi io non dò per scontato niente, ma perché non dò per scontato, anzi, che ci possa essere ‘altro’ dal mio pensiero di cui possa fare esperienza reale… e il mio pensiero pensa solo se stesso. E in questa prospettiva io non mi ritengo affatto agnostico, se per agnostico si intende la possibilità di poter accedere a ciò cui ora come ora non posso accedere, ma domani chissà… a meno che per agnosticismo non si intenda un ‘non sapere’ strutturale alla condizione umana, nel qual caso coincide perfettamente con l’ateismo come l’intendo io.
Che ruolo ha, in questo quadro (dipinto con colori che non sono più di moda nel mondo accademico, lo so, ma – scusa l’espressione – ‘chi se ne frega?’) la ‘morte’ del corpo? Non potendo dire di avere avuto una qualche esperienza prima di nascere, cioè prima che assieme al corpo sia ‘nato’ anche l”io’ (o coscienza, chiamala come vuoi), non vedo in che modo, con il disfacimento del corpo, non avvenga anche l’uscita di scena dell”io’.
Si tratta di un mondo ‘povero’? Per alcuni, o anche per tanti, lo sarà: per me la vera povertà consiste nell’alienazione, cioè nel dare corpo a ciò che sarà sempre e solo un’esigenza del cosiddetto ‘io’ destinata a nascere e a morire con lui. Quell’esigenza che, essendo destinata a rimanere tale, fa sì che chiunque pensi di soddisfarla veramente, ‘concretamente’, crei solo infelicità. Non so se per sé, ma di sicuro per altri.
Dio non solo gioca a dadi, ma li nasconde pure.
E “Dio”, naturalmente, è una metafora della natura.
Stop. Il resto è fuffa.
Tutte le domande del tipo di quelle esposte qui sopra, fino a quelle apparentemente non banali di “scopo”, o la speranza della rinascita e la trascendenza, sono solo uno dei tanti prodotti della variabile e peritura attività fisiologica del cervello di alcuni (pochi?) individui, acutamente pensanti o bene indottrinati, o magari un po’ depressi.
Finché ne facciamo un uso del tipo “Che fai tu luna in ciel?” la cosa può essere divertente, o amabile o consolatoria o angosciosa, ma finisce lì. Altrimenti diventa una forma di superbia e rivela l’incapacità umana di riconoscere il proprio limite di autoreferenzialità.
“Altrimenti diventa una forma di superbia e rivela l’incapacità umana di riconoscere il proprio limite di autoreferenzialità.”
Ma quando mai? Perchè? E se la presunzione stesse invece proprio nel contrario?
“per me la vera povertà consiste nell’alienazione, cioè nel dare corpo a ciò che sarà sempre e solo un’esigenza del cosiddetto ‘io’ destinata a nascere e a morire con lui. Quell’esigenza che, essendo destinata a rimanere tale, fa sì che chiunque pensi di soddisfarla veramente, ‘concretamente’, crei solo infelicità. Non so se per sé, ma di sicuro per altri.”
Dipende da come tenta di soddisfarla. Se con la religione, fuori di dubbio, se pretende di imporre la sua dottrina agli altri come fa spesso quella cattolica. Se con la scienza, non credo proprio; se non altro, anche se magari poi non riuscirà a soddisfare quest’esigenza con le scoperte scientifiche, é un modo di ricercarla sicuramente molto più nobile.
@ Pessimista Cosmica
Ecco, appunto. 🙂 Di questo, qualunque fondamento abbia, in effetti non si parla mai; nè qui nè altrove.
Conciliare il determinismo e il libero arbitro, siano veri o no, è possibile. Se l’Universo è completamente deterministico, noi possiamo comunque avere una sensazione di libero arbitrio, senza che il determinismo ne sia minimamente intaccato. Il libero arbitrio è una sensazione, non un fatto.
x Bruno Gualerzi
Sì Bruno, sia che mi muova verso il mondo, sia verso me stesso, non arrivo mai a nulla. L’Essere, ciò che riteniamo sia l’Essere, è in realtà non conoscibile.
E su questo punto mi pare che concordiamo.
Tu dici che non dai nulla per scontato, però, però, qualcosa mi pare che tu consideri invece vero, scontato, perché talmente ovvio da non metterlo in dubbio. E questo qualcosa è il Divenire.
Se vogliamo davvero non accettare niente per scontato, allora occorre mettere in dubbio anche la nostra idea del Divenire.
Le macerie devono essere totali, per sperare in una nuova visione.
Il nichilismo è l’inevitabile risultato a cui giunge la razionalità. Ma un risultato a metà però, perché arriva alla conclusione che tutto è Nulla, tranne… il Divenire.
x faidate
Sì, non vi è alcuna sicurezza. Che vi sia una Verità è solo una speranza.
Ma questo vale sia per lo “scopo” sia per “l’assenza di scopo”.
D’altronde se apparisse un qualcosa di vero, di eternamente vero, potrebbe la vita continuare?
Ma intanto io sono qui, donato a me stesso. E per quanto mi sforzi di ricordare… non mi sono donato a me stesso.
x Lorenzo G.
La scienza è indispensabile. Come potremmo vivere, cercare di capire, senza la razionalità?
Però dobbiamo salirci in groppa, nani sulle spalle dei giganti, per vedere ancora più lontano.
x cullasakka
Però, a ben guardare, pure i fatti sono solo sensazioni, che altro?
L’opinione che mi sento di considerare riguardo all’Io l’ho già espressa in un precedente intervento; non possiamo possederlo; perciò lo dobbiamo constatare all’inconcepibile certezza dell’uguaglianza assoluta di ciò che è al presente della consistenza.
La constatazione è la consapevolezza della propria individualità unica inconfrontabile e irreversibile; riconosciuta al consenso della Vita nella versione Universale, quindi l’Io è in ciò che c’è alla condizione eventuale della consistenza, cioè è l’idealità presente alla globalità dell’esistenza,comprendente ogni cosa, fatto, avvenimento ecc. per cui l’Io è la Vita constatata alla creazione manifestativa della superiorità concettuale.
La Vita è affermata al principio e alla finalità della conoscenza; dalla conferma del concetto globale, rilevato nell’eventualità di ogni consistenza e da questo è pure rilevato il valore, cioè l’intrinsecità del confronto individuale, insito nella coscienza consapevole del concetto umano.
La Vita non è una necessità è la constatazione del consenso.
@ Roberto Vai
Se per divenire intendi evoluzione, intesa a sua volta come continua trasformazione del nostro organismo, e in particolare di quella parte dove sembra formarsi e manifestarsi ciò che chiamiamo ‘pensiero’ (‘io’, ‘coscienza, ‘facoltà di pensare’ ecc.), naturalmente lo dò per scontato… ma questo non significa – anzi significa proprio il contrario – che non posso in alcun modo ‘dare per scontato’ proprio per questo ciò che sarà in grado di ‘produrre’, nel senso di farmi conoscere, il mio cervello. Non credo in ogni caso che il mondo cesserà di essere ‘la mia rappresentazione’ (Schopenhauer). Posso, al solito, ritenere il mio cervello (in realtà il mio corpo) in grado di ‘pensare’ qualsiasi cosa (per esempio di ‘mettere in discussione’ l”idea’ di divenire), ma sarebbe solo un vuoto – anzi spesso controproducente e pericoloso – esercizio mettermi a ‘ontologizzare’ queste idee.
Ancora una volta credo che essere atei significhi soprattutto sintonizzarsi su ciò.
(Per quanti tra i frequentatori del blog sono perplessi – per non dire di più – di fronte a queste elucubrazioni che vedono impegnati, prendendo spunto di una semplice notizia, alcuni di noi, mi sento in dovere di dire: non confrontarci su queste questioni tra di noi, lascia libero il campo a chi le affronta con una sorta di ‘patente’ ufficialmente rilasciata per farlo… insomma ai cosiddetti ‘esperti’ che esercitano nelle sedi deputate… meravigliandoci poi delle conseguenze ‘pratiche’ per tutti noi che questa delega comporta. Certo bisognerebbe cercare di non scimiottarli troppo).
Luca e Pier hanno gia’ mostrato come l’infelicissima frase di Einstein fosse da intendere in senso naturalistico, assolutamente NON teistico.
Il pensiero citato da Luca chiarisce cosa ne pensava Einstein delle divinita’ tradizionali.
Quanto al fatto che un sito razionalista come questo sia “brutto” e “spinga al suicidio”… questo atteggiamento e’ secondo me alla base del terrore delle religioni e dei religiosi per chi non la pensa come loro, e specie per gli atei.
Sono assolutamente in disaccordo con l’idea che queste cose sarebbe meglio tenercele per noi . E per quale motivo, per non disturbare chi e’ troppo debole, o pigro, per affrontare il fatto che altri ritengono che cio’ che crede siano soltanto illusioni?
Ma e’ tanto difficile accettare il fatto che la ricerca di “senso” inteso come ne parlano molti qui sopra, sia semplicemente una domanda mal posta? Che il “perche”, inteso in quel modo, semplicemente possa non esserci?
Personalmente, mi pare che il dare per scontata la necessita’ dell’esistenza di un perche’ dell’esistenza degli esseri umani sia soltanto una mostruosa prova di presunzione… o di infantilismo. Solo i bambini pensano di essere al centro del mondo e che questo esista in loro funziona. Poi, alcuni crescono.
“Personalmente, mi pare che il dare per scontata la necessità dell’esistenza di un ‘perchè’ dell’esistenza degli esseri umani sia soltanto una mostruosa prova di presunzione… o di infantilismo. Solo i bambini pensano di essere al centro del mondo e che questo esista in loro funzione. Poi, alcuni crescono”
Caro Giuseppe,ti rispondo da ateo, da ciò che credo debba ritenere un ateo. Il fatto di pensare di essere ‘al centro del mondo’ è la ragione stessa per cui esistiamo come uomini. Se, per dirlo alla buona, ‘morto io, morti tutti’, o, detto in altro modo, non c’è altra vita che quella che sto vivendo, come posso non vivere la mia vita come un ‘unicum’ irriducibile ad altro? Per esempio il viverla in funzione di un”idea’, o di un ‘valore’ che, come tali mi trascendono? Non è l’evoluzione che, nel caso della specie umana – a diversità, per quanto è dato sapere, di altre specie – ha ‘puntato’ sull’affermazione dell’individuo come condizione per la sopravvivenza della specie? Quindi non ci vedo niente di ‘mostruosamente presuntuoso’, o di infantile, nel chiedere un ‘perchè’ dovuto al fatto che la vita (l’evoluzione) ha ‘voluto’ ciascun uomo dotato della consapevolezza della propria individualità… di cui non si capisce perché debba finire sapendo però che finirà.
Il problema è come si risponde a questo ‘perché’. Si può rispondere come rispondono le religioni, cioè alienandomi (e qui la scelta tra presunzione o infantilismo diventa solo accademica)… si può rispondere come rispondono le ideologie (e qui il discorso cambia in relazione al modo in cui si vivono queste ideologie)… si può rispondere prendendo atto della impossibilità della risposta e vivere responsabilmente questa consapevolezza (a mio parere l’autentica risposta atea)… ma si può anche, magari proprio partendo da questa consapevolezza, ‘rimuovere’ la questione. Il che – a mio parere – è doppiamente pericoloso (non voglio dire ‘mostruoso’) perchè la domanda la si lascia circolare nella nostra psiche al di fuori di ogni controllo.
x Opinione
L’Io è perciò la semplice nuda constatazione dell’esistenza? L’atto di testimonianza, senza testimone?
x Bruno Gualerzi
“Se per divenire intendi evoluzione, intesa a sua volta come continua trasformazione del nostro organismo, e in particolare di quella parte dove sembra formarsi e manifestarsi ciò che chiamiamo ‘pensiero’ (’io’, ‘coscienza, ‘facoltà di pensare’ ecc.), naturalmente lo dò per scontato… ”
Ecco, da un lato si percepisce la nullità del tutto, o almeno la sua non conoscibilità, e dall’altro si crede nel suo divenire.
Se si vuole davvero credere nell’Essere, ed è un atto di fede, allora non si può che postulare che: “l’Essere è Divenire”. Con tutto quello che questo comporta.
Concordo in pieno con la tua risposta a Giuseppe Murante, anche se a mio avviso bisognerebbe aggiungere la possibilità di vivere dubitando.
Io sarò un pò estremista… ma non esiste nulla di casuale…
Se tirando un dado sapessimo calcolare tutto ciò che accade, sapremmo già che faccia uscirà.
In effetti, pur sembrando un concetto soprannaturale, credo nel destino, nel senso che comunque tutte le leggi fisiche di questo mondo sono deterministiche, e quindi, avendo a disposizione abbastanza capacità computazionale, si potrebbe prevedere a priori il comportamento di un sistema, per quanto complesso esso sia…
D’altronde noi ingegneri lo facciamo sempre modellizzando la realtà…
@Bruno:
“Quindi non ci vedo niente di ‘mostruosamente presuntuoso’, o di infantile, nel chiedere un ‘perchè’ dovuto al fatto che la vita (l’evoluzione) ha ‘voluto’ ciascun uomo dotato della consapevolezza della propria individualità… di cui non si capisce perché debba finire sapendo però che finirà.”
Secondo me stai confondendo un “perche'” di tipo scientifico con uno esistenziale.
Attenzione.. l’evoluzione non vuole proprio nulla. Il perche’ scientifico puo’ ad esempio stare nella ricerca del motivo per cui un certo livello di consapevolezza della propria individualita’ venga favorito dall’evoluzione naturale.. tra l’altro ricordiamoci che non e’ affatto caratteristica esclusiva degli esseri umani (…altra presunzione… cattolicheggiando, quella che solo l’uomo abbia l’anima).
Di questo perche’ parli nella prima parte della tua affermazione. Poi pero’, quando dici “non si capisce perche’ debba finire”, passi dal piano naturalistico a quello filosofico/esistenziale… poiche’ dal punto di vista dell’evoluzione e’ chiarissimo perche’ la vita degli individui debba finire! E’ solo dal punto di vista dell’individuo che questo puo’ essere difficile da accettare.
Ed e’ qui che ci sono la presunzione (“ma IO sono diverso”) e l’infantilismo (“il mondo dev’essere per me, non io un pezzo piu’ o meno importante del mondo”).
“si può rispondere prendendo atto della impossibilità della risposta e vivere responsabilmente questa consapevolezza (a mio parere l’autentica risposta atea)”
Ecco, su questo sono del quasi completamente d’accordo con te.
Lo sarei completamente se parlassi non di impossibilita’ della risposta, ma di futilita’ della domanda 🙂
Quanto ai discorsi su essere divenire tutto e nulla… mi perdoni Roberto, ma personalmente li trovo poco interessanti. Ed anche un po’ richiusi completamente verso l’uomo, il suo linguaggio e la sua cultura, di nuovo presi a misura dell’esistente e dell’esistenza, e poco propensi a confrontarsi con il mondo naturale, che dall’uomo puo’ tranquillamente prescindere. Ma questa e’ questione di gusti e culture personali.
Caro Giuseppe, evidentemente per coerenza con ciò che riteniamo più convincente, alla fine finiamo sempre lì: tu distingui tra ciò che è scientifico (un ‘perchè scientifico) e ciò che è esistenziale (un ‘perché’ esistenziale) mentre io ritengo questa distinzione… magari necessaria sotto certi aspetti per una pratica scientifica il più ‘libera’ possibile… ma non eludibile dallo scienziato come da qualsiasi altro, se non rischiando la schizofrenia.
E così capisco perfettamente come dal tuo punto di vista possa apparire ‘futile’ la domanda. Lo sarebbe se – come ritieni tu e come non ritengo io – fosse eludibile, non solo senza danno, ma con vantaggio.
In quanto al discorso sull’evoluzione, riconosco che mi è venuto meglio altre volte. Volevo solo precisare che, per quanto mi riguarda, non ne ho mai ricavato alcuna forma di antropocentrismo… e se ti ho dato questa impressione è perchè evidentemente non sono stato chiaro.
Ti saluto.
Constatare il consenso per me significa ciò che ha senso in sè cioè il senso, mentre ciò che ha senso per l’esistenza è la necessità del ruolo inferiore di creare e manifestare la funzione superiore alla condizione concettuale eventuale, perciò il divenire all’essere conferma la conoscenza all’interpretazione della realtà di cui siamo testimoni e la afferma all’inconcepibilità assoluta della Vita.
*Roberto Vai
Scusami ho dimenticato il riferimento a te.
x Bruno e Giuseppe
Secondo me, il “perché” deve restare sospeso, inevitabilmente senza risposta.
E’ il “come” che occorre investigare. E’ la ricerca del “come”, che ci fa avanzare passando da un’interpretazione all’altra. Ed è per questo motivo che è necessario, secondo me, mettere in discussione il Divenire.
L’Essere e il Nulla sono due impostori. Se si assume per possibile questa affermazione, non si risponde ad alcun “perché”, ma si fa evolvere il “come”.
La risposta al “perché” coincide con la Verità, che è irraggiungibile nel tempo.
E’ inutile che io mi domandi il “perché” sono qua, è importante invece che mi chieda “come” sono qua.
Il Nichilismo nasce da una visione del “come” congelata (un’interpretazione del Divenire presa per “verità”), a cui si pretende di rispondere con un “perché”. Ciò non è possibile, occorre proporre un nuovo “come”.
Opinione, per quello che sono riuscito a intendere, parla del “come”.
x Elia Ballade
Sì, noi ingegneri lo facciamo sempre. E le nostre invenzioni funzionano, magari rifinendole più volte a furia di esperimenti.
Vi è una notevole costanza nel comportamento della natura. Guai se non fosse così. Come potrebbe la vita manifestarsi nel caos?
Ma pure l’ordine, il determinismo assoluto, non portano forse allo stesso risultato? Come potrebbe, in tal caso, la nostra essere davvero “vita”? Non diventa tutto una gigantesca macchina che fa inorridire nella sua nullità?
x Opinione
“Scusami ho dimenticato il riferimento a te.”
Quale riferimento?
Cosa intendi con “la Vita è la constatazione del consenso”?
“Sono assolutamente in disaccordo con l’idea che queste cose sarebbe meglio tenercele per noi . E per quale motivo, per non disturbare chi e’ troppo debole, o pigro, per affrontare il fatto che altri ritengono che cio’ che crede siano soltanto illusioni?”
Sì, però poi non ci lamentiamo se la gente ci vede in un certo modo e si allontana da noi e dalla razionalità. Non viene mai il dubbio che con certi atteggiamenti e prese di posizione talvolta un po’ estreme (tipo le “condanne aspre”, per così dire, del desiderio di vita dopo la morte e cose di questo gnere) possano sortire esattamente l’effetto contrario a quello desiderato?
La cosa migliore mi sembra semplicemente…più concretezza. 🙂 Nelle occasioni pubbliche soprattutto. Io, per esempio, sono del tutto contrario a cercare di convincere un credente che Dio non esiste, come fanno alcuni che ho conosciuto. Primo perchè mi pare perlopiù tempo perso e fatica sprecata, poi perchè l’importante é che questa gente non pretenda di imporre (nè a parole nè tantomeno per legge) nè a noi nè a nessun altro la loro religione e il loro modo di vivere, il che é alla base di qualunque convivenza civile; poi ognuno può credere in quello che vuole, se questo può servire a farlo vivere meglio.
Einstein aveva torto, come dimostrano il teorema di Bell e gli esperimenti basati su esso. Ma questo non toglie nulla alla grandezza del personaggio: non sempre si ha la fortuna che le proprie intuizioni corrispondano alla realtà.
* Roberto Vai
Il riferimento era alla tua domanda: L’Io è perciò la semplice nuda constatazione dell’esistenza? L’atto di testimonianza, senza testimone?
La seconda domanda:Cosa intendi con “la Vita è la constatazione del consenso”?
E’ la constatazione dell’Io Universale che consente il concetto sotto ogni aspetto condizionale.
Per gli animali è considerato istintivo,per le piante, che sò (vegetativo?), per le pietre o per la natura in genere, non sò; chiamiamola inanimata; per l’essere umano è consapevolezza cosciente della propria individualità.
La condizione è ciò che conferma il consenso.