La Cassazione spiana la strada per equiparare le coppie di fatto alla famiglia legittima. Infatti chi picchia reiteratamente la convivente si macchia del reato di maltrattamenti in famiglia al pari di un uomo regolarmente sposato. E’ quanto affermato dalla Suprema corte confermando il carcere preventivo nei confronti di un 45enne di Torre del Greco che, per anni, aveva picchiato la sua compagna, dalla quale aveva avuto anche una figlia. Contro la decisione del Tribunale del Riesame di Napoli, che aveva confermato la custodia cautelare in carcere disposta dal gip di Santa Maria Capua Vetere nei confronti dell’uomo, la difesa aveva presentato ricorso alla Suprema Corte, rilevando che non poteva configurarsi il reato di maltrattamenti in famiglia, dato che la persona offesa era una “semplice convivente”. Di tutt’altro avviso la quinta sezione penale della Cassazione che ha dichiarato inammissibile il ricorso: “ai fini della configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia – si legge nella sentenza n.20647 – non assume alcun rilievo la circostanza che l’azione delittuosa sia commessa ai dani di persona convivente more uxorio”. Infatti, spiegano i giudici di piazza Cavour, “il richiamo contenuto nell’art.572 c.p. alla ‘famiglia’ deve intendersi riferito ad ogni consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un apprezzabile periodo di tempo, ricomprendendo questa nozione anche la ‘famiglia di fatto'”. Basta soltanto che “si tratti di un rapporto tendenzialmente stabile, sia pure naturale e di fatto – continuano gli ‘ermellini’ – instaurato tra due persone con legami di reciproca assistenza e protezione”. Nel caso di specie, dunque, risulta “l’esistenza di una vera e propria stabile convivenza di fatto, durata oltre 10 anni, dalla quale sono nate due figlie, dando luogo – conclude la Suprema Corte – ad una situazione qualificabile come famiglia di fatto, i cui componenti sono ricompresi nella tutela prevista dall’articolo 572 c.p.”.
Cassazione sulle coppie di fatto: in caso di maltrattamenti equiparate alle coppie sposate
8 commenti
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Appunto. Quindi a legge non serve. Ci può pensare la giurisprudenza.
E volevo vedere che la madre delle due figlie di quella sottospecie di uomo non venisse qualificata dai supremi giudici quale familiare.
Per quanto riguarda “equiparare le coppie di fatto alla famiglia legittima” bisogna fare alcuni distinguo:
se vuoi tutelare il/la compagno/a ai fini della successione o della pensione ai superstiti o ti sposi, o fai testamento, o trasferisci la nuda proprietà, o fai una donazione, o un’assicurazione sulla morte a favore del/la compagno/a. Voglio dire che non si possono richiedere diritti “forti” (leggi: quattrini, specie se pubblici) a fronte di un impegno debole (convivenza senza matrimonio civile). C’è da dire che il regolamento di anagrafe (DPR 223/1989) consente l’iscrizione delle famiglie “di fatto” e di conseguenza l’accesso al diritto all’Assegno Nucleo Familiare. Resterebbero da regolamentare questioni “di coscienza” (autorizzare l’espianto d’organi, le modalità del funerale e cose del genere). Ciò che manca a questo paese di … è la possibilità di unire in matrimonio persone dello stesso sesso: questa sì che è una grave limitazione ai diritti delle persone.
8 X 1000 AI VALDESI
5 X 1000 ALL’UAAR
giusta decisione! E’ da un po’ che la cassazione si muove su questa linea condivisibile
come su molte altre cose la magistratura si dimostra essere più avanti del Parlamento
Anche se dovrebbero spiegarci quali sono le pene…. Mi pare che la moglie debba riportare 40 giorni di prognosi perchè sul marito venga presa una qualche misura cautelare, per non parlare dei 12 anni senza patteggiamento per l’assassinio….
Speriamo solo che di dovere recepisca il messaggio. anche se purtroppo ho i miei dubbi
Personalmente ritengo sia un peccato (non in senso cattolico!) che il problema della legislazione riguardante le coppie di fatto sia stato risollevato da un fatto così doloroso.
@ Stefano Bottoni
Invece io no. E’ il solito problema dei diritti negati a chi e’ di fatto una famiglia.
Negare il riconoscimento del cadavere del marito ad una donna che con lui ha convissuto e avuto un figlio (capitato una settimana fa in classe di mia figlia) pone anche i piu’ fanatici religiosi di fronte al fatto che l’aver sottoscritto un atto o (peggio) una formula religiosa e’ nulla a confronto di cio’ che e’ nella realta’.
Infatti sentivo il padre della donna in questione dire che era una cosa assurda e che Gesu’ non avrebbe voluto.
Nel caso in questione l’aggravante dei maltrattamenti in famiglia e’ un diritto che la parte debole (la donna maltrattata) ha avuto riconosciuto dalla giustizia. Sostenere che tale condanna dovesse scattare solo se c’era stata una firma 10 anni prima su un pezzo di carta e’ assurdo. Molto piu’ ovvio non comminare la pena in oggetto ma quella di maltrattamenti “normale” nel caso di due coniugi legalmente sposati che, separati da anni, si menano in un iincontro casuale.
Ciao
Roberto Grendene