Un nuovo sondaggio è ora disponibile sul sito UAAR. Questa la domanda: “Rispondendo a sondaggi e inchieste sociologiche, i credenti si dichiarano felici in misura maggiore rispetto alle dichiarazioni dei non credenti. Secondo te, qual è la causa?”
Sono sette le opzioni tra cui scegliere la risposta:
– La fede rende felici
– La fede svolge una funzione consolatoria
– Queste inchieste non sono attendibili
– I non credenti soffrono di maggiori discriminazioni sociali
– I non credenti tendono a enfatizzare meno i propri sentimenti
– Altre inchieste mostrano come i credenti diano più spesso risposte non veritiere
– Non so / altro
Si è nel frattempo concluso il precedente sondaggio. Il quesito era: “Arcigay ha annunciato di voler denunciare Paola Binetti (medico, psicologa, membro dell’Opus Dei e deputata del PD) a causa di alcune sue dichiarazioni ritenute omofobe. Tu che ne pensi?”
Questi i risultati:
44% Sono d’accordo, ma bisognerebbe denunciare anche altri parlamentari, anche di altri schieramenti
22% Sono d’accordo
15% Sono contrario: non si processano le opinioni
13% Per me è sufficiente che non faccia più parte di alcun albo professionale
4% Sono contrario: l’omosessualità è un’inclinazione intrinsecamente disordinata
2% Non so / altro
Secondo altri studi, invece, sembra essere la socialità, non la fede, il motivo che rende felici.
non so perché ma ai sondaggi sono sempre tentata d’istinto a votare, quando possibile, “altro”; analizzando le risposte, mi dò sempre ragione. e anche in questo caso sono per la 7: nessuna delle risposte è completamente esauriente, penso che ci sia un misto di un po’ di tutte a monte di una possibile spiegazione del sondaggio (sempre che questo sia attendibile)
non credo che la fede renda automaticamente felici e nemmeno che svolga sempre una funzione consolatoria; anzi, penso che generalmente sia accettata più come una delle tante verità di cui non si dubita mai nella vita più che vista come una promessa di vita futura migliore (questa seconda accezione è più usata per “minacciare” noi non credenti, ma i credenti ai funerali piangono e soffrono lo stesso, e non basta la fede a consolarli.)
non ho capito chi l’abbia fatta l’inchiesta, potrebbe anche essere attendibile; certo che se la si fa qui in italia è ben facile che i non credenti si dichiarino meno felici, la mentalità generale e la situazione politica non sono esattamente favorevoli. e quindi un po’ della 4 la ritengo sicuramente plausibile. anche la 5 probabilmente è vera in alcuni casi.
la penultima mi pare un po’una boiata.
però ho letto di sondaggi in cui si dice che i non credenti hanno un maggiore senso di responsabilità sociale ed etica e hanno un rapporto migliore con la morte (anche veronesi se non erro diceva che, per la sua esperienza, atei e agnostici in generale accettano più facilmente e con meno depressione l’idea di una malattia con rischio di morte rispetto ai credenti)
E prevedere una risposta secondo cui i non credenti sono più lucidi e realisti e pertanto hanno meno ragioni per essere felici sarebbe stato troppo da sfigati? 🙂
ho messo non so altro…
ma secondo me sono piu felici perchè non ragionano.
Difficile dare risposte oggettivamente valide visto che molte di esse sono riconducibili ad una dimensione soggettiva schematizzata quei valori nei quali si riconosce chi da la risposta.
Difficile dare risposte oggettivamente valide visto che molte di esse sono riconducibili ad una dimensione soggettiva schematizzata da quei valori nei quali si riconosce chi da la risposta.
Concordo con quanto detto sopra da altri, e aggiungo.
I razionalisti sono ‘meno felici’ perché più lucidi e realisti. Certo che inventarsi di stare su una nuvola rosa magari rende felici, ma bisogna crederci davvero…
Inoltre, credo anche che i credenti siano meno sinceri. Ovvero, che rispondano quello che non possono non rispondere. Accidenti, c’è dio che pensa a loro, di che dovrebbero lamentarsi? Una specie di felicità obbligatoria e tutto sommato falsa.
Nel complesso, credo che se un non credente è felice, lo è davvero, se un credente dice di essere felice, nutro qualche dubbio.
La fede svolge una funzione consolatoria esattamente come le droghe….
– La fede rende felici: in tal caso avrebbe ragione il vostro amico karl Marx
– La fede svolge una funzione consolatoria: e che me ne faccio
– Queste inchieste non sono attendibili: cosa da dimostrare però
– I non credenti soffrono di maggiori discriminazioni sociali: da quando?
– I non credenti tendono a enfatizzare meno i propri sentimenti: perchè?
– Altre inchieste mostrano come i credenti diano più spesso risposte non veritiere: e quali?
– Non so / altro
il sondaggio mi sembra mal posto e orientato a far dare risposte negative rispetto al sondaggio.
La fede o riesce a rendere più forti alle sofferenze, e senza darne ne una consolazione ne una razionalizzazione, oppure non è fede.
Il sofferente ha tutta la ragione di lamentarsi e di arrabbiarsi, ma la fede è tale non se si accetta la sofferenza come redentrice (pensiero eretico che deriva dall’idealismo trascendentale), ma se si accetta la sofferenza come un qualcosa che comunque è destinato a finire.
Questa sarebbe stata la mia risposto.
Poi, come diceva il buon Nietzsce, ch crrisitnao non era, “ciò che non uccide, rende più forti”.
Si dichiarano più felici perché sono più IPOCRITI. Come diceva Pasolini: “sei così ipocrita che quando l’ipocrisia ti avrà ucciso sarai all’inferno e ti dirai in paradiso”.
Ma quelle “inchieste” chi le ha fatte?
Il brunovespa o la silvanagiacobini?
Quale attendibilità “scientifica” hanno?
Poiché “non c’è nessun bene senza il suo male contrario” la felicità dipende sostanzialmente da un’asimmetria omissiva a svantaggio del male (purche, come accade nelle religioni, non lo si produca a questo fine).
Questo è un processo mentale che appartiene a tutti e a ciascuno: che però ciascuno pone in relazione a cose diverse.
C’è chi lo mette in relazione alla religione e, dunque, può sostenere che è felice per questo: in quella relazione, ma non in rapporto ad altre cose, e se dice che è “infinitamente felice” mente sapendo di mentire.
Appunto, da tale ossessione l’inquisizione di chi la pensa diversamente ed è felice di altre cose (ma non certo di quella). Ad esempio è felice di una vita sana, sessualmente libera e in buona relazione con gli altri, ricusa il compiacersi dei dolori della vita “per godere nella prossima del suo bene contrario”.
Dopodiché, intanto, chi gli ha messo in testa queste fesserie, gode (come può) in questa.
Io mi ricordo di un’altra inchiesta qualche anno fa in cui emergeva il contrario..
Il che mi fa pensare che poiché dato un gruppo a e un gruppo b composti da un certo numero di persone, è presumibile che non si sentano tutti felici allo stesso modo e, quindi, un gruppo che si sente più felice dell’altro è soluzione più probabile rispetto ad un completo equilibrio. Insomma che sia l’uno o l’altro sarebbe casuale..
solita solfa, da cui discende il “teorema” (su base statistica, per cui falso per definizione) secondo cui gli atei sono infelici. Da cui discenderebbe, di conseguenza, che credere a delle falsità rende felici. Ad esempio, il marito cornuto che CREDE che la moglie non lo tradisca, è felice!
A parte le fesserie, sono d’accordo con chi dice che è la socialità a rendere felici.
Appunto: bisogna vedere come era fatto il campione, se era abbastanza ampio e distribuito uniformemente. Se fanno i sondaggi tipo gradimento-di-berlusconi, sulla base di un campione di fedelissimi del PDL stiamo freschi..
L’inchiesta è certamente poco attendibile. Penso che sia esattamente il contrario: siano più felici i non credenti, hanno meno problemi e maggior capacità di godere di ciò che la vita offre. Mi riferisco ovviamente ai veri non credenti e ai veri credenti, non a quelli che “se ne fregano” ma in fondo “non si sa mai”.
Salve a tutti!
Chi ha fede è più felice degli altri (in genere), perchè viene consolato…. le scritture, e la prospettiva di una rivincita nell’eternità, svolge una funzione consolatrice e quindi rende meno “appesantiti”… chi non crede non ha questa consolazione, e ogni giorno che passa si avvicina di più alla fine!
Non è da sfigati affermare che i non credent sono più lucidi e razionali: è un dato di fatto: E per fortuna lo sono
ho scelto la 3 ma anche la 2 potrebbe essere corretta.
sem si parte dall’assunto dei credenti che si dichiarano sono felici perchè loro sarà il regno di dio mentre gli atei dovrebbero essere infelici perchè dovrebbero andare all’inferno 😉 bhe diciamo che qualsiasi statistica a riguardo non può dare che risultati inattendibili.
“La prospettiva della vita eterna rende più buoni anche i tortellini” (G. Biffi)
x il don
la prospettiva di una bella vita in terra senza religioni tra i piedi mi rende di gran lunga più felice del vostro inesistente paradiso ultraterreno.
i tortellini sono buoni comunque, specie quando si mangiano a sbafo con i soldi dell’8×1000.
@ Stefano
Complimenti x la risposta!!!!!
Un po’ più di originalità, no eh?
Scelgo la n,3: “Queste inchieste non sono attendibili”… ma non tanto per il risultato, quanto per il fatto che ritengo inattendibile ogni inchesta che pretenda di stabilire ‘quanti’ e ‘perchè’ sono felici.
Proprio volendo, anzi (ma sarebbe ugualmente arbitrario) si potrebbe – ricorrendo ad un pò di psicanalisi da rotocalco – rovesciare specularmente il segno del risultato. Chi ‘dice’ di essere felice più che dare una risposta alla domanda vuole convincere se stesso (quindi al fondo non è poi così felice), mentre chi ‘dice’ di essere infelice lo fa più che altro per non esporre più di tanto la sua intima felicità che verrebbe turbata, appunto, dall”esposizione’.
Questo ‘rovesciamento’ – ripeto – lo prospetto non perchè sia più attendibile dell’altro, quello preteso ‘oggettivo’, ma proprio per sottolinrare la poca attendibilità di queste inchieste.
Più corretto, se mai (anche se non vedo a cosa possa servire al di là del puro dato statistico a sua volta tutto da interpretare) sarebbe mettere l’accento su quanti ‘si dichiarano’ felici, dando per scontato che la risposta non riflette nulla di oggettivo.
(Io – tanto per esemplificare col riferimento che ho più a portata di mano, cioè me stesso – sono ateo per scelta ragionata, e non essere coerente con questa scelta in un certo senso mi renderebbe infelice… ma per questo posso dire che l’ateismo mi rende felice? Quante altre componenti della condizione umana dovrei considerare per ritenermi felice o infelice?
Quando me lo chiedo mi viene tautologicamente da rispondete:
“Sono felice quando sono felice, e sono infelice quando sono infelice”…
Cosi come risponderei a chi mi chiedesse, alla Benigni, se per me ‘la vita è bella’:
“E’ bella quando è bella, fa schifo quando fa schifo”.)
“La prospettiva della vita eterna rende più buoni anche i tortellini” (G. Biffi)
Sicuro che anzicchè di G. Biffi non sia farina di G. Rana?
E’ un bene essere felici?
x silvia bo
è un bene se sei felice e cattolico 🙂
se non sei cattolico non puoi essere felice, infatti gli “altri”, quelli che vivono lontano dai precetti vaticani sono per natura “nemici” dei fedeli alla SSede, capisci? questo è il messaggio che deve passare, si è felici solo sotto al cupolone…roba da medioevo.
@ SilviaBo
Chi vorrebbe non esserlo?
Forse la domanda giusta è se e in che modo è possibile esserlo.
Sicuramente sperare di esserlo lo è.
C’è poi chi preferisce la resa alla speranza, perché non se la sente di combattere…
Vedi un po’ tu.
@ ateismo
“a parte le fesserie… ecc.”
Freud scrisse: “nulla all’infuori di un desiderio è in grado di mettere in moto il nostro apparato psichico”.
Perciò, così come abbiamo una naturale tentenza a volgerci a cercare il piacere abbiamo una naturale tendenza a sfuggire il dolore, anche dei pensieri.
Perciò che (è ancora Freud che cito): “Perchè vi sia rimozione non occorre che l’inibizione del dispiacere sia completa: è sufficiente ammettere un inizio di dispiacere che indichi la natura del ricordo… per questa ragione la tendenza del pensiero è volta ad affrancarsi dalla prigionia del dispiacere, limitando lo sviluppo dei suoi stati affettivi a un minimo utilizzabile come segnale capace di scatenare la fuga… l’allontanamento dal ricordo è una semplice ripetizione della fuga originaria dalla percezione dolorosa…”.
Questo intendo per asimmetria percettiva fra piacere e dolore (a vantaggio del piacere), fra bene e male, ecc.
Perciò è questo che rende piacevole e, dunque, vivibile la vita piuttosto si che no: di fatto, senza nulla essere di per se stesso (perché, infine, sempre a resto zero è: come in caso di morte).
Fesserie?
Forse occorrerebbe indagare meglio, andando oltre questo stesso meccanismo di autodifesa del “bene” (che nelle religioni diviene “bene in assoluto”) che, in fondo, è lo stesso che inibisce l’indagine razionale.
secondo me credenti e non credenti non condividono lo stesso concetto di felicità, quindi l’indagine sociologica è viziata nell’impostazione
Il punto di vista secondo cui il credente sarebbe più felice dell’ateo è assurdo, … tanto quanto la diffusa convinzione che l’ubriaco è più felice del sobrio – G. B. Shaw