«Se hai rubato sul lavoro, per avere l’assoluzione restituisci il maltolto e mantieni l’anonimato» spiega il vescovo Gianfranco Girotti, viceministro vaticano per le confessioni.
I confessionali sono sempre più vuoti, ma a dire dei prelati la gente comincia a pentirsi di crimini commessi “a causa della crisi”, come evasione fiscale, furto di informazioni o materiali in ufficio.
La “crisi” colpisce anche i sacramenti: il 30% dei fedeli non ritiene necessari i confessori, il 10% li considera un impedimento al dialogo con Dio, il 20% ha difficoltà a parlare di propri peccati a un’altra persona.
I prelati vorrebbero rilanciare i sacramenti grazie a una migliore formazione dei confessori, che devono avere «prudenza, pazienza, saggezza e mitezza». La confessione deve essere spontanea, e se il confessore intravede che il penitente vorrebbe dire di più ma non riesce, lo può aiutare con domande, ma «con tatto e nel rispetto della privacy». Le penitenze devono «essere pertinenti al peccato e valutare la situazione del fedele»: mai metterlo in difficoltà. La penitenza per chi ruba o evade tasse deve «bilanciare l’esigenza di restituire in qualche modo ai singoli o alla società ciò che si è sottratto, con quella di non mettere il penitente in condizione di essere individuato».
Per chi ha commesso o praticato un aborto si tratta di «individuare atti in favore della vita, come opere di beneficenza o aiuto a chi soffre».
Pietro Sigurani, parroco di Roma, racconta: «Prima l’evasione fiscale o le mazzette non venivano mai confessate, i peccati sociali erano taciuti come un tabù. Quando mi dicono di non aver pagato le tasse o di aver sottratto fondi, chiedo di rimediare e di ridare quanto ingiustamente si sono messi in tasca». «Ai commercianti o artigiani che non hanno emesso scontrini o ricevute fiscali propongo un’elemosina congrua da fare quando e dove ritengano più opportuno. Di fronte a furti, malversazioni o corruzione, esorto alla restituzione del maltolto senza doversi autoaccusare. Agli amministratori disonesti cerco di togliere l’alibi, la cattiva coscienza del “lo fanno tutti”».