La giornalista sudanese Lobna Ahmed al Hoseini, processata per aver indossato pantaloni in pubblico (Ultimissima dell’11 agosto) è stata condannata al pagamento di 200 dollari invece delle 40 frustate che avrebbe dovuto ricevere, sulla base della legge islamica che punisce i comportamenti giudicati immorali. La giornalista con sdegno rifiuta di pagare, preferendo il carcere. “Sono pronta ad affrontare ogni tipo di pena e non ho paura” spiega la giornalista “il mio obiettivo principale è quello di arrivare alla cancellazione dell’articolo 152 del codice penale che prevede questo tipo di reato che io ritengo ingiusto in quanto contrasta con la nostra Costituzione e con la sharia“.
Davanti al tribunale dove si è svolto il processo si sono raccolte per manifestare centinaia di donne, disperse con la forza dalla polizia e contestate da decine di uomini che hanno scandito slogan religiosi e le hanno accusate di essere prostitute.
Sudan, giornalista condannata per pantaloni: “non pago multa, vado in carcere”
22 commenti
Commenti chiusi.
Da notare la richiesta:
“cancellazione dell’articolo 152 del codice penale che prevede questo tipo di reato che io ritengo ingiusto in quanto contrasta con la nostra Costituzione e con la sharia”
E’ inutile che ci giriamo attorno, a questa piace la sharia. Punto.
Qualche giornalista dovrebbe chiederle secondo lei quale sia la condanna penale più adatta per la sodomia e l’adulterio.
Lo ha detto anche Gheddafi: nella società araba la donna è considerata poco più di un mobile, fanno dunque bene le donne tra cui la giornalista a ribellarsi a leggi e religioni prodotte da culture retrograde ed antievoluzioniste.
@ Aldissimo
Bisogna vedere se il riferimento alla Sharia viene fatto per convinzione oppure se è solo una tattica per rendere più probabile, perlomeno, la cancellazione dell’articolo 152.
Si fa presto, parlando da un paese occidentale (ancorchè si tratti di un Paese a laicità limitata come il nostro), a pretendere che anche in regimi dittatorial-teocratici come il Sudan vi siano degli eroi pronti ad immolarsi, criticandoli non appena “difendono” la loro battaglia per un diritto dietro il paravento di una religione: io non so se la giornalista sudanese condivide o no la sharia, ma ne apprezzo l’impegno (e anche il sacrificio personale) teso a far compiere almeno un passo avanti a quel Paese.
Certo: un purista vorrebbe tutto e subito.
Ma nella realtà concreta, soprattutto quando è disperata e disperante come quella sudanese, forse i risultati tangibili riesce ad ottenerli chi, come la giornalista in questione, si dimostra disponibile a mettere in gioco la propria vita e il proprio impegno, anche se per fare solo un primo passo di un cammino che certamente si prospetta lungo e accidentato.
Vogliamo scagliarci proprio contro i pochi che dimostrano di voler fare seriamente almeno questo?
poveracci…islam religione di pace ETERNA!
La cosa scandalosa è che a queste notizie seguono dei commenti di tanti/e italiani/e, pressocchè simili: “Ma cosa gliene frega se sono obbligate a vestirsi in un modo? Pensino alle cose più importanti!”.
MA EVA ?? ERA NUDA??? ECCO ??DIO VOLEVA LE DONNE NUDE FORZA DONNE DIO VI VOLEVA NUDE ;
E FATEGLI VEDE CHE VOI OBBEDITE A DIO E NON AI TONACONI NERI, W LE DONNE COME EVA TUTTE NUDE.
“contestate da decine di uomini che hanno scandito slogan religiosi e le hanno accusate di essere prostitute.”
Perchè l’islam è religione di pace, ovviamente…
Viva le prostitute…. (detto con ironia, ma anche senza)
Concordo pienamente con Maurizio D’Ulivo.
E nessuno che dichiari che, senza un movimento razionalista che nei secoli ha domato il cristianesimo, oggi saremmo nelle stesse condizioni…
Premesso che ad una tal ribelle, 2 frustatine gliele avrei date!(avrebbero giovato alla sua causa) Direi che fa bene la tipa a non mollare l’osso e a tenere viva l’attenzione sul suo caso, poichè è il solo modo di risvegliare le coscienze nel suo paese e nel mondo. Vi rendete conto che molte altre sconosciute si sono dovute beccare 40 frustate (che piacciono solo ai veri masochisti) solo perchè indossavano i pantalononi!
Mi dispiace solo che le forme di ribellione e protesta contro queste assurde posizioni religiose siano ancora così poche.
battaglia ammirevole quella della giornalista, forse qualcosa si sta muovendo, am più di tutte ci deve essere un grande movimento popolare femminile.
Questo è coraggio!
Questa è resistenza!
Questa è liberazione!
Tutto quello che in Italia e in Europa è stato dimenticato…….
Per correre appresso al profitto, per compiacere il potere, e per psicolabile insipienza!
una donna da sposare!!!!!! loro lobna, noi la santanchè e la carfagna…umiliati anche dal sudan!
Ammirevole il coraggio della giornalista e la perseveranza nelle proprie idee…
Se fuori dal tribunale c’erano DONNE a protestare disperse dalla police, e UOMINI che scandendo slogan religiosi, le chiamavano prostitute, potete ben immaginare come tutto andra’ tristemente a finire… 🙁
Laggiu’ la donna non ha e non avra’ mai il potere…Si dovrebbero rovesciare secoli di storia islamica per cambiare qualcosa. Noi occidentali possiamo apprezzare il gesto di sfida alla legge coranica, ma oltre a quello possiamo solo constatare la loro arretratezza. 🙁
Beh, però sembra ieri che le donne non avevano il diritto di voto…
Il 1948 non è tanto lontano.
E, ancora oggi, abbiamo un ministro per le “pari opportunità”. Magari vuol dire che ne abbiamo bisogno.
Questi ultimi 50 anni ci sono serviti.
Siamo andati avanti.
Magari adesso stiamo andando un po’ indietro…
Comunque speriamo che vadano avanti anche loro.
Il fatto è che loro hanno ufficializzato la legge religiosa, mentre noi no.
Certo, anche da noi c’è una pesante influenza, ma non è la stessa cosa.
Sono messi molto peggio.
E se continuiamo a dargli addosso si isoleranno e forse si “integralizzeranno” ancora di più.
Non è facile affrontare questo problema…
ho appena letto che la giornalista e’ stata liberata:il sindacato ha pagato la multa per lei
Sul Corriere della Sera di oggi, a pagina 17, ce’ un bell’articolo di Luigi Accattoli, “Giovanna d’Arco e i vestiti da uomo”.
Quella di indossare i pantaloni fu una delle «colpe» per cui Giovanna d’Arco finì sul rogo nel 1431, a 19 anni: come si vede il vestire da uomo fu a lungo pericoloso anche in Europa. In abiti maschili Giovanna si presenta a Carlo VII a Chinon, con essi combatte e bivacca sulle rive della Loira, li riprende infine una volta imprigionata.
Sperimentò presto che in prigione le sue brache «ben serrate e legate» le erano più necessarie che tra i soldati: perché questi la riverivano come un’inviata da Dio, mentre i carcerieri inglesi si «burlavano di lei» e le gridavano «puttana» come già i loro connazionali dai baluardi di Orleans. Nella fase istruttoria del processo sono in molti a tentare di convincerla a lasciare l’abito maschile. La minacciano dicendo che non avrà l’Eucarestia neanche a Pasqua se continua a portarlo. …
g
Sono anch’io d’accordo con la valutazione di Maurizio d’Ulivo. Ce ne fossero di donne coraggiose come questa Lubna, Invece di “esportare la democrazia” con le armi, noi della “civiltà ” occidentale dovremmo dare il massimo appoggio e incoraggiamento possibile a queste persone, donne in particolare, che lottano contro le ingiustizie e le assurde regole imposte dai regimi teocratici . Naturalmente non si può pretendere che, in quel contesto dittatoriale in cui vivono, arrivino a rischiare la morte per lapidazione attaccando frontalmente ed espressamente la religione islamica. E’ già tanto se riescono ad ottenere qualche scampolo di libertà, un po’ alla volta. Ed è comunque una gara dura.
Allah è grande!
Si, un grande impotente che odia le donne perchè non gli ha mai tirato…
Poteva promettere: “Non lo farò mai più.”.
E andare nuda dalla vita in giù.
Ritengo sia una questione interna all’islam in quanto in Sudan vige una doppia legislazione (e forse dovrebbe funzinare così anche da noi) e le donne non islamiche possono andarsene in giro con tutti i pantaloni che vogliono…
Resta il fatto che uscire dall’islam è una impresa per nulla semplice….