Padre Giacinto Cataldo, sacerdote napoletano, ha scritto al vescovo di Nola per interrogarlo “sulla possibilità-opportunità di impartire il battesimo ai bimbi nel grembo materno che, per ragioni diverse sono destinati a non nascere”. Lo rende noto Il Mattino: la cronista, Gaty Sepe, ha commentato la richiesta scrivendo che “di battesimo per i non nati la Chiesa, che pure si è spesa e si spende per la difesa del nascituro fin dai primi istanti del concepimento, non ha mai parlato”.
L’affermazione è errata. Chi scrive questa Ultimissima ha trattato il tema in Uscire dal gregge (pp. 107-108). Sulla scia della pubblicazione, nel 1745, del libro Embriologia sacra, overo dell’Uffizio de’ Sacerdoti, Medici, e Superiori, circa l’eterna salute de’ Bambini racchiusi nell’utero, scritto dal teologo Francesco Emanuele Cangiamila, nel mondo cattolico prese piede per almeno un secolo la ‘moda’ di battezzare i feti in pericolo di vita, praticando tagli cesarei (una pratica frequentemente letale, all’epoca). Cangiamila mise anche per iscritto che tutti coloro che si fossero opposti a tale pratica (congiunti o magistrati civili che fossero) sarebbero stati considerati in peccato mortale. Diverse diocesi arrivarono a emanare provvedimenti contro l’usanza “deplorevole” di sotterrare le madri senza provvedere all’estrazione e al battesimo del feto. Nei casi delicati la scelta veniva affidata alla madre, che veniva tuttavia spinta a ‘sacrificarsi’; sant’Alfonso de’ Liguori riaffermerà poi autorevolmente il principio che la madre è tenuta a preferire la vita spirituale del figlio alla propria esistenza materiale.
E’ molto significativo che idee del genere riaffiorino in parallelo alle virulenti battaglie pro life condotte dalle gerarchie ecclesiastiche.