Sulla fine del mondo umano (niente paura)

Bruno Gualerzi*

Bruno Gualerzi

Così come la consapevolezza della fine individuale non la rende meno inevitabile, allo stesso modo tutti gli sforzi, pur doverosi, per rendere più vivibile la vita sul pianeta, rispettando l’ambiente, assecondando la natura invece di violentarla, non saranno verosimilmente in grado di evitare la fine di una qualsiasi vivibilità dell’umanità intera sul pianeta.
Basta un terremoto, un’eruzione vulcanica, le conseguenze di una anche minima variazione del clima, tutti fenomeni che fanno parte del ‘respiro’ della terra, sia che la rispettiamo sia che la inquiniamo con le nostre scriteriate imprese, e tutti fenomeni di cui conosciamo le ‘cause naturali… basta questo per consigliare di lasciar perdere la ricerca delle ‘cause prime’ in quanto non ci riguarderanno più. E non solo come individui, ma proprio come specie. Una specie, la nostra, che non è diversa dalle tante di cui conosciamo il destino finale, l’estinzione, per averne rinvenuto alcune residue tracce non cancellate completamente dal tempo.
Ora, l’avvenuta verificabilità di una dimensione dell’universo tale da trascendere (questa sì, e per davvero!) una dimensione umana che non può che esserne condizionata in toto, ha reso ‘visibile’ quella ‘divinità’ alla quale gran parte dell’umanità si è affidata per soddisfare l’esigenza di uscire dalla precarietà. Il desiderio di entrare in contatto diretto con la divinità, trascendente o immanente che sia, ora può essere ‘appagato’ dalla constatazione, ormai accessibile a tutti, di una dimensione del mondo in cui ci troviamo a condurre la nostra esistenza che da tutto può dipendere meno che da noi. Dio ha trovato chi fa sul serio nei nostri confronti.
È però ancora quasi inevitabile che la precarietà sempre più documentata della nostra presenza sul pianeta, possa spingere, se solo ci si ferma a prenderne atto:
o a rifugiarsi nelle religioni tradizionali più o meno ‘aggiornate’;
o a puntare tutto su quel surrogato delle religioni che sono le ideologie quando non sono vissute solo come esigenza;
oppure – ma con le stesse aspettative messianiche – a puntare concretamente (non più cioè ricorrendo a visioni poetiche o fantascientifiche, ma forti dei risultati della ricerca scientifica) a modificare indefinitamente la nostra bio-fisiologia per potenziarla indefinitamente, cioè alla cieca, senza sapere cosa ne uscirà. Da apprendisti stregoni;
oppure ancora a prospettare una ‘traduzione’ e riproduzione della vita in qualche altra parte del cosmo, dove per altro, almeno statisticamente, potrebbe già esserci…
ma tutto ciò non farà che accelerare la corsa verso il cupio dissolvi, verso una qualche forma di autodistruzione. Perché quanto più l’orizzonte umano viene popolato da aspettative di trascendenza, tanto più la stessa dimensione spazio-temporale umana rischierà di essere trascesa dall’uomo stesso fino a farlo uscire definitivamente dallo spazio e dal tempo. I mezzi ci sono tutti…
Allora è forse giunto il momento per l’umanità di far fronte ad una condizione umana contrassegnata dal bisogno in modo più ‘economico’, cioè più razionale, sforzandosi di non creare altri bisogni con cui appesantirla in modo sempre più insopportabile. È ora necessario rendersi conto che lo sforzo, a suo modo eroico, comunque certamente umano, umanissimo, di liberarsi dal bisogno, forse ha già dato tutto quanto poteva dare… e forse sta togliendo ogni giorno di più proprio in proporzione e in funzione di ciò che sta dando. E dal momento che ciò che da sempre l’uomo si era proposto – soprattutto con le religioni e con i loro surrogati – era liberarsi in assoluto dal bisogno… o si toglie l’assoluto, comunque identificato, dall’orizzonte dell’umanità, o questo assoluto si rivolterà, come si sta rivoltando, contro l’umanità portandola all’autoannientamento.
Se invece si riesce a togliere dall’orizzonte dell’uomo un futuro indefinito mettendolo di fronte alla eventualità più che probabile della fine di ogni tempo umano, chissà che non venga impiegato meglio il tempo disponibile. Che venga occupato meglio lo spazio ancora disponibile senza intasarlo di opere inutili per esistenze solo sofferte in nome di una sacralità della vita che porta solo a sacrificarla. Perdere la Fede e la Speranza quando stanno scagliando l’uomo oltre se stesso, è forse ormai l’unico modo per recuperare fede e speranza come esigenze davvero vitali solo se sono utili alla vita dell’uomo mentre vive. Non per quando arriverà la fine. Non per esorcizzare la fine.

* Già insegnante di storia e filosofia nei licei, è ora in pensione. Sta per uscire un suo libro dal titolo Ateismo o barbarie?

NB: le opinioni espresse in questa sezione non riflettono necessariamente le posizioni dell’associazione.
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59 commenti

Alessandro

Come specie non so quanto potremmo durare, ma la nostra civiltà è destinata ad esaurirsi.. quando? non so, ma faccio fatica ad immaginare che possa continuare ad esistere per più di qualche secolo ancora.
Il perché è semplice.
da 60 anni circa possediamo le atomiche, che di anno in anno diventano più alla portata di chiunque, non vedo perché tra 100-200 anni un singolo riccone malintenzionato non possa essere in grado di produrne a sufficienza per interrompere la civiltà.
Gli sviluppi della ingegneria genetica sono rapidi e i costi in calo. pochi mesi fa Craig veinter ha annunciato la cellula artificiale, quanto tempo ci vorrà prima che qualche “terrorista” possa fabbricarsi virus in ufficio? 50? 100? 200? anni?.
Inoltre, quando il mondo sarà completamente “civilizzato” e l’agricoltura completamente attuata da macchine e relativi sistemi di controllo, quando il lavoro dipenderà completamente dalla rete informatica e dai vari servizi, volete che non ci sia un punto debole da qualche parte in grado di generare un black out di qualche servizio primario e dare il via ad una crisi estrema?
.
E’ un quesito che ricorda le fat tails, o i cigni neri. un singolo evento improbabile, ma non impossibile, altamente distruttivo.
Non è possibile prevedere quando, ma prima o poi succederà… ne sono certo.

bardhi

Riproducetevi come forsennati finche ne avete le risorse effimere, perché queste non dureranno a lungo, e alcuni degli vostri figli dovranno sopravvivere per trovare le prossime.
S.J. Gould

Sergio

Letto e riletto. Ci ho capito ben poco. Curioso di vedere come reagiscono gli altri: forse grazie a loro capirò (almeno qualcosa) del Gualerzi-pensiero.
La marcia in più delle religioni, soprattutto dei monoteismi, è la loro semplicità. È vero che il cristianesimo ha sviluppato una teologia vertiginosa incomprensibile per la “massa” ma poi la pratica religiosa sia del cristianesimo che dell’islam si riduce a pochi concetti e precetti alla portata veramente di tutti, anche dei più zucconi. Al musulmano basta osservare i cinque precetti, il cristiano deve credere (o far finta di credere) le quattro fesserie riassunte nel credo, ma soprattutto deve evitare i sette vizi capitali, santificare la festa, confessarsi e comunicarsi una volta all’anno, obbedire al papa e ai preti e qualcos’altro (insomma, tutto molto semplice).
Si prendano i novissimi: morte, giudizio, inferno, paradiso. Semplicemente geniale. Si deve ovviamente morire, un’evidenza solare (anche se poi arriva il Cacciari o Severino che ti dicono che la morte non esiste, è tutta una fregatura dei Greci), poi ci sarà il giudizio e la sentenza: confutatis maledictis, flammibus acribus addictis, maledictis maledictis (sintonizzarsi sul Requiem di Mozart), mentre gli altri se la godranno. Com’è tutto così semplice. E invece Severino ti fa uscire pazzo.
Giametta a proposito di Nietzsche che ammira e ha tradotto: “Era matto prima di diventarlo.” Be’ ma allora perché leggerlo e studiarlo?
Ragazzi, fatevi capire. Meglio essere banalotti che barocchi. Non dobbiamo far sfoggio di cultura e intelligenza. Mettiamoci nei panni degli altri: bisogna avere sempre presente a chi ci si rivolge. Se no è tempo perso.
Scusa Bruno.

CosmoGioia un Giorno

difficilmente comprensibile si ma non è colpa sua; è tipico dei filosofi. Alcuni, come me, prediligono un linguaggio semplice, perchè in tale linguaggio sono scritti i testi con i quali ho a che fare tutti i giorni. E ignoranza mia, non ci piove; però è anche da dire che non mi metto a spiattellare espressioni matematiche, per puro altruismo.
In effetti questa è una pecca dell’ambiente culturale(in particolar modo italico): la cultura filosofica è ritenuta essenziale e chi non ne mastica in via amatoriale è da ritenere quantomeno ignorante. Un discorso a parte si fa per chi non mastica di cultura scientifica; spesso qualcuno se ne fa un vanto.

Ad occhio comunque, quello che mi risulta palese, per la centesima volta, è l’allergia che Bruno Gualerzi nutre per il progresso scientifico. Signor Bruno, lungi da me l’essere aggressivo nei suoi confronti, ritengo che per una migliore critica alla scientificità, come per quella ad altre categorie culturali, sia necessario addentrarsi almeno in modo amatoriale nella materia. Male che vada, si rischia di arricchirsi di nuove conoscenze.

Bruno Gualerzi

In effetti si vede che il mio linguaggio ‘filosofico’ risulta proprio poco chiaro (lo dico senza ironia… lo sa bene anche Sergio, anche se continua a rimproverarmi)… dal momento che tutto il mio assunto si basa proprio sul fatto che i risultati della ricerca scientifica recente rendono evidente anche a chi non mastica di astrofisica come il sottoscritto come la ‘vita’ del pianeta che ci ospita, per quanto condizionabile dall’uomo e per quanto ancora possa restare abitabile, finirà per esaurirsi. Sempre saputo? Dipende in che modo e con che conseguenze – compresa ovviamente nessuna conseguenza – ognuno ne può tirare. Qui ho provato a esporre come vedo io le cose. Non partire da questa premessa – condivisibile o meno che sia – rende ancora meno chiaro un discorso evidentemente già poco chiaro per conto suo.
Ma, ribadisco, nessuna allergia per il progresso scientifico (qui poi, mi sembra, meno che mai)… solo non riesco a concepirlo al di fuori dei limiti propri della condizione umana. Individuale e, in prospettiva, dell’umanità intera.

Bruno Gualerzi

E aggiungo (ma dovrei aggiungere anche tanto altro): solo visto in questo prospettiva dei ‘limiti’, il progresso scientifico può diventare davvero ‘progresso’, cioè fruibile dall’uomo per vivere meglio. Altrimenti diventa solo ‘sviluppo’ fine a se stesso, con conseguenze non controllabili. Su questo si può essere d’accordo o meno, ma non credo proprio – ripeto – che stia a significare allergia per la scienza. Credo anzi il contrario. ‘Come credo che tutti possano fare queste considerazioni, filosofi (ognuno è filosofo nella misura in cui si sforza di pensare con la propria testa) o meno che si sia.

stefano f.

sinceramente mi frega poco o nulla della nostra specie che non sa fare altro che distruggere il pianeta eliminando una dopo l’altra qualsiasi altra specie animale o vegetale che possa determinare un profitto sul mercato e ricchezza immediata fregandosene delle conseguenze.
chiamatemi pure matto o peggio ma se scomparissimo dalla faccia del pianeta sarebbe quasi una fortuna per la Terra.

Pessimista Cosmica

Non amo la mia specie, l’uomo è capace di azioni così orrende e crudeli e folli e stupide e distruttive che esso per primo non può che provare disgusto verso se’ stesso.
Ovviamente l’idea di un mondo senza umanità o completamente diverso da quello che conosciamo oggi un istintivo smarrimento me lo provoca ma superato il momento ho nei confronti di un eventuale fine umana un atteggiamento epicureo: che importa?
Estinti non sentiremo la mancanza di noi stessi.
L’unica cosa che dovrebbe preoccuparci è non accelerare la fine o di non andarcela a cercare con tutta la gran solerzia che invece ci stiamo mettendo ormai da parecchi millenni.

stefano f.

è importante che la vita sulla terra continui ad evolversi anche senza di noi, anzi senza di noi sarebbe molto meglio.

SilviaBO

La parte che mi interessa di più è quella dei bisogni.
Com’è che, con tutta la nostra tecnologia, con tutta la nostra civiltà, non abbiamo una qualità della vita molto migliore? E’ vero che, rispetto ad altre popolazioni o rispetto agli italiani del passato, qualche vantaggio l’abbiamo: migliori cure mediche, migliore accesso all’istruzione e all’informazione. Ma abbiamo anche tanti svantaggi: ritmo di vita frenetico, inquinamento, con conseguenti problemi di salute, complicazione dei rapporti umani. Siamo sicuri che non sia meglio nascere boscimane?
Io credo di sapere com’è che siamo ridotti così male: perché chi comanda (chi comanda davvero il mondo, intendo, non i politichetti da strapazzo nostrani) ha in mano le redini dell’economia, è padrone degli apparati produttivi, e per arricchirsi ha bisogno di qualcuno che consumi, sempre di più. Ha bisogno di bisogni, che laddove non esistano vanno creati.
Occorre convincere la gente che chi più consuma più è felice, che bisogna fare tanti bambini, tanti consumatori nuovi di zecca. La distruzione dell’ambiente ci fa ammalare? Meglio! Verranno consumati tanti servizi sanitari e tanti farmaci. Per guadagnare quel che ci serve per consumare dobbiamo pensare solo a lavorare? Meglio, così non avremo tempo per pensare, per mettere in dubbio le idee che ci vengono inculcate.
Non siamo neanche più capaci di divertirci senza consumare. Fare una passeggiata? Nooo, bisogna fare footing, jogging, trekking, comprando il relativo equipaggiamento. Lasciare che i bambini giochino all’aria aperta? Nooo, bisogna iscriverli in palestra, in piscina… E via col consumo!
Ci sono idee che ci vengono ficcate in testa senza che ce ne accorgiamo. Le Chiese sono solo uno dei soggetti che ci vogliono indottrinare. In fondo, non credo siano i più pericolosi, perché il loro fine è abbastanza evidente e molta gente riesce a considerare criticamente i loro dettami. Penso che altri indottrinatori siano molto più subdoli.

Chiaro di Luna

Condivido al 100% ciò che dici.
Alla fine si tratta di puro e semplice pessimismo storico (grazie Leopardi, tu che ci sei arrivato 200 anni fa!!).
E’ allucinante come stiamo andando a finire e la gente non lo capisce, persiste nel suo ideale di consumismo.
E ultimamente è ancora peggio, ci controllano. Con la scusa che infrangiamo il limite di velocità o che devono beccare tutti gli assassini e i ladri piazziamo telecamere ovunque, perchè loro sono il male del mondo! Ma se ci fossero i soldi avrebbero DAVVERO bisogno di rubare? O uccidere? No (a meno che la causa sia una malattia mentale!) E allora forza, controlliamo, spiamo, soggioghiamo! \Tutto per il volere di qualcuno che ci manovra e che magari tante persone anche adorano (come adorano i VIP, si sbattono per cercare l’ultimo costume che ha indossato Paris Hilton e via dicendo)…
Che schifo…Se ci fosse un po’ di giustizia e le persone non fossero così ottuse e menefreghiste, dovrebbe avvenire una rivoluzione su scala mondiale.

Pessimista Cosmica

Concordo pienamente. L’uomo è una specie davvero disgraziata, non solo distrugge spietatamente le altre ma non è capace neppure di tutelare se’ stesso.
Il denaro non era uno strumento, un mezzo, un NOSTRO attrezzo?
Noi così intelligenti e razionali che consideriamo inferiori le altre specie abbiamo fatto di uno strumento la misura di tutte le cose.
Come siamo finiti schiavi di un’economia che gestisce noi invece del contrario? Il trono è vuoto e noi restiamo tutti a capo chino lo stesso.

laverdure

@SilviaBo

“E’ vero che, rispetto ad altre popolazioni o rispetto agli italiani del passato, qualche vantaggio l’abbiamo: migliori cure mediche, migliore accesso all’istruzione e all’informazione.”

Quando qualcuno,e sono tantissimi,esprime opinioni di questo tipo,viene da pensare
che in vita sua non abbia mai aperto un libro di storia ne’ di geografia,e alla
televisione abbia sistematicamente seguito soltanto “il grande fratello” et similia”.
E riguardo alla stampa le sue letture non vadano piu’ in la della gazzetta sportiva.
Perche non solo ignora totalmente le condizioni di vita degli Italiani e degli occidentali
in generale anche solo agli inizi del secolo scorso,ma anche quelle di oltre un
miliardo almeno di individui nel mondo ADESSO!
Fino a poco piu’ di un secolo fa,anche in Italia,la grande massa non disponeva
quasi di NESSUNA cura medica,NESSUN accesso all’istruzione,NESSUN accesso all’informazione!
E se le cose sono cambiate,lo si deve alla tanto vituperata tecnologia,non certo ad
un dono della Provvidenza!
Ma sputare nel piatto dove si mangia (con la certezza di trovarlo sempre pulito)e’ da parecchi decenni un segno di distinzione diffusissimo,in Occidente,vero?
Resta da vedere se la pacchia,con questa mentalita’, e ‘destinata a perpetuarsi o se
parecchi dovranno ingoiare da quel piatto le loro esternazioni !

SilviaBO

@ laverdure
Io non vitupero la tecnologia, figuriamoci! Vorrei che progredisse molto più in fretta di quanto fa. Tra l’altro ho anche una malattia degenerativa per cui non esiste cura, quindi pensa un po’ se non mi possono interessare i progressi della medicina.
Ma scienza e tecnologia dovrebbero essere al servizio della consapevolezza e della felicità umane, non al servizio di un’economia malata. Non ce l’ho con gli scienziati, categoria di cui nel mio piccolo potrei anche dire di far parte, ce l’ho con chi governa l’economia mondiale.
Credi davvero che 1000 anni fa la gente fosse così infelice? Ma chi te l’ha detto? Giudichi la loro vita con parametri tuoi (nostri), ma questo non è corretto. Allora anche un ipotetico uomo evoluto dell’anno 4000, studiando su un libro di storia il nostro stile di vita, avrebbe pietà di noi e penserebbe che nessuno di noi sia mai stato felice.
La felicità è un oggetto strano, che non si accompagna necessariamente al benessere economico. Spesso nasce dal paragone con la condizione altrui: chi ha un occhio solo è felice se pensa a chi non ne ha neanche uno. Tu sei triste perché non vedi i raggi ultravioletti? No, perché non li vede nessuno dei tuoi simili. Non si sente la mancanza di ciò che nessuno ha. Ciò che a noi può sembrare indispensabile per una vita dignitosa non lo era affatto 1000 anni fa.
E ti assicuro che il Grande Fratello non lo guardo e la Gazzetta non la leggo, ma, al contrario di te, non mi sento così superiore a chi lo fa. Forse se parlassi con qualcuno di costoro ti accorgeresti che puoi imparare qualcosa anche da loro, se non altro sulla condizione umana.
Prima di insultare gli altri ritenendoli decerebrati, pensa un po’ a quello che dici, chiediti che cos’è che fa star bene la gente,che cosa pensi sia davvero importante nella vita. Forse io e te abbiamo semplicemente idee diverse al riguardo.

laverdure

@SilviaBo
“Forse io e te abbiamo semplicemente idee diverse al riguardo.”

E invece credo che su molte cose coincidano.
Una definizione di felicita e’ “assenza di dolore”,e fino ad un passato molto vicino,
se ci limitiamo al solo dolore fisico,la situazione era ben peggiore.
Pensa soltanto a come se la cavavano anche i personaggi piu’ altolocati se colpiti
da mal di denti .emorroidi,infezioni varie e no potrai fare a meno di rabbrividire.
Pensa alle condizioni di vita e di lavoro in inverno e in piena estate,senza riscaldamento adeguato ne tantomeno condizionamento,il tutto condito da
alimentazione inadeguata,e mi saprai dire se ,anche senza poter immaginare le comodita odierne,tutto questo favoriva la felicita.
Oggi c’e’ il problema dello stress,allora il problema era piu’ volgarmente la fatica,
una fatica spesso letteralmente spaccaschiena .
Certo allora la gente era meno complessata,per il semplice fatto che anche molti
individui nati con una buona intelligenza potenziale subivano una atrofia intellettuale
per mancanza di istruzione e di stimoli,e i complessi non fanno presa sugli stupidi.
Riflettici,e non credo che su QUESTO le nostre idee divergano.

Anthony Logan

A me tutte queste considerazioni circa l’invivibilità dei giorni nostri, mi sembrano più argomenti da testimoni di geova che da evoluzionisti. Il mondo attuale è a mio avviso decisamente migliore di quello passato. La natura si è sempre dimostrata avversa all’uomo e questi ha sempre dovuto violentarla per sopravvivere, e per migliorare le proprie condizioni di vita. Non ci vedo niente di strano ne di scandaloso. Se qualcuno pensa sia meglio vivere nella giungla, o nel deserto, provi a farlo veramente per un po’ e poi ne riparliamo. La tecnologia è un fatto concreto che ha migliorato e migliorerà le nostre condizioni di vita presenti e future, in quanto al consumismo, è un dato di fatto che ha sempre costituito la molla del progresso. Una cosa è certa: quando siamo morti non ci siamo più, e come diceva un mio concittadino: giovinezza, giovinezza che si fugge tuttavia, chi vuol esser lieto sia di doman non ve certezza.

POPPER

la paura è intrinseca alla natura istintiva della mente umana, tuttavia, conoscersi meglio e accettare la propria mortalità aiuta anche a vincere gli attacchi di panico e le superstizioni religiose.

Ragionandoci sopra e scoprendo che l’ignoranza, la paura e la rabbia sono alla base di una mancamza di rilfessione razionale, possiamo scorgere le possibili conseguenze di un ritorno all’idolatria superstiziosa alimentata dalla religlione.

Assurde profezie e oracoli astrologici mal’interpretati, hanno generato nell’inconscio collettivo un’aspettativa messianica all’insegna della lotta tra bene e male, lotta del tutto virtuale ed imaginaria, perchè il vero male è che l’uomo si arrenda alla volontà di dio senza combattere e senza reagire alle avversità naturali, come se dovesse pensarci dio a risolvere tutto, ma abbiamo visto con le preghiere che la marea nera non si è fermata, anzi prosegue l’inquinamento.

La fine del mondo non è prevedibile con gli attuali modelli previsionali in materia di clima, geologia, astronomia e astrofisica; ci sono, è vero, delle sfide a breve termine: Apofis in rotta di collisione con la Terra per il 2036/40 circa, più attuali sono i cambiamenti climatici, i terremoti e gli tsunami, la carestia in alcune zone del mondo, la minaccia nucleare sempre possibile motivo di immani disastri, il Sole con le sue straordonarie eruzioni previste tra l’anno prossimo e il 2013 che provocheranno dei blackout in tutto il mondo.

Al Goore ha decisamente esagerato secondo me, già esiste la natura a saturare di anidride carbonica l’atmosfera ed è improbabile che l’uomo superi la natura in questo caso; si certo l’inquinamento va eliminato e così è necessario una nuova politica delle fonti energetiche rinnovabili, ma il vulcano dell’Islanada ha praticamente mandato a puttane anni e anni di tentativi per diminuire l’inquinamento atmosferico, non è possbile dettare regole dogmatiche alla natura, non è addomesticabile dal disegno intelligente.

nullità

in ecologia, l’andamento numerico delle specie animali (prese isolate) è descritto da una curva sigmoide di accrescimento.

nella prima parte vi è la fase esponenziale, dove il tasso di natalità è massimo e il tasso di mortalità è minimo

si arriva poi a un appiattimento della linea dove tasso di natalità e tasso di mortalità si equivalgono.

questo dipende essenzialmente dal fatto che gli organismi di una stessa specie, competono per le risorse. chi riesce a ottenerle si riproduce, chi non riesce a ottenerle, muore senza prole.
quando quella linea si appiattisce, la competizione è massima.

l’uomo ha sempre trovato un modo per ritardare questo appiattimento. l’agricoltura, il progresso scientifico, l’urbanizzazione, la scienza medica, l’imperialismo, sono tutte strategie per ritardare il raggiungimento della capacità portante, non tanto per potersi riprodurre di più, quanto per ridurre la competizione, in modo che si diffondesse un benessere generalizzato.

questo benessere generalizzato è la chiave del successo delle società moderne dei paesi sviluppati. un popolo affamato, è un popolo che se ne sbatte di ordinamento giuridico, di costituzione, di società, confini e proprietà privata.

siamo animali, e quando l’uomo ha fame, si mostra per quello che è effettivamente.

in futuro probabilmente riusciremo a ritardare il raggiungimento di quella capacità portante, di quella linea piana, sfruttando sempre più le aree e le risorse dei paesi sottosviluppati, ma basta guardare l’andamento numerico della popolazione mondiale per accorgersi che la curva numerica delle specie in fase esponenziale si adatta benissimo con questo trend.

ovviamente la terra, come pianeta non si espande, nè si accresce l’energia che possiede e che riceve dal sole, perciò questa crescita è destinata a frenare, e lì la competizione sarà massima.

i casi sono due. o le società moderne cadranno, provocando anarchia generale, gruppi di uomini combatteranno altri gruppi di uomini riducendosi di numero (anche in virtù dei progressi degli arsenali) e di nuovo si ricostituiranno stati e nazioni, se mai la terra non sarà devastata da questi conflitti…

oppure l’uomo, conscio di questo, metterà un freno alle nascite in un punto stabilito, imparerà a consumare con criterio (perchè ogni attività umana ha un impatto ma si può raggiungere il minimo impatto possibile), imparerà che il suo benessere di singolo è inserito nel contesto della società, e che l’uomo stesso è un animale parte di un sistema che dev’essere capace (perchè può farlo) di progettare strategie in modo da garantirsi la sopravvivenza, nella salute dell’ambiente in cui vive.

questo però significherebbe eliminare differenze e odio, diffondere cultura, possedere autocoscienza e capacità di ragionamento.

a oggi, vedo molto più probabile la prima alternativa.

non si sa quando tutto questo avverrà e le speculazioni temporali sono inutili per non dire pericolose.
però sono dinamiche di cui dovremmo già interessarci adesso, perchè a queste dinamiche non ci si può sottrarre.

E a proposito dell'”aiuto” delle religioni,
il “crescete e moltiplicatevi” è ben lontano dall’essere un modello di crescita sostenibile.
Badandoci bene, oggi questo modello di sviluppo costringe già necessariamente a sfruttare i paesi del terzo mondo.

Sarà la ragione assieme alla cultura scientifica, unite all’autocoscienza di essere animale-uomo, l’unica possibilità per progettare futuri modelli di sviluppo. Anche più corretti eticamente nei confronti dei nostri cospecifici.

Bruno Gualerzi

“Sarà la ragione assieme alla cultura scientifica, unite all’autocoscienza di essere animale-uomo, l’unica possibilità per progettare futuri modelli di sviluppo. Anche più corretti eticamente nei confronti dei nostri cospecifici.”

Condivido in pieno. Aggiungo (da cui il mio articolo) che l’autocoscienza di essere animale-uomo può arricchirsi con la consapevolezza dei limiti propri della condizione umana. Indiduale e collettiva. Con la conseguenza di progettare ‘modelli di sviluppo’ ancor più eticamente avanzati. Cioè, per come vedo io la questione, più razionali.

Dalila

Esatto. Rinnegare la propria animalità (concetto-base di molte religioni che si propongono di offrire un modello morale spesso incompatibile con la vera natura umana) ci fa correre verso un modello che non ci appartiene davvero.Io lo dico sempre: “les pieds sur terre et le tête dans le ciel”

Maurizio_ds

Francamente neanche a me è troppo chiaro l’articolo di Bruno. Se ho capito bene, alla fine sostiene che lasciar perdere le religioni è il modo migliore per ritrovare un senso della vita più autentico, e godersi il tempo a disposizione. Ok, va benissimo. L’ho fatta troppo facile? Mi piacerebbe che Bruno intervenisse con qualche delucidazione.

L’unico appunto che mi sento di fare riguarda la menzione alla fantascienza. Se era una critica non la condivido. Da esperto e appassionato, posso dire che la fantascienza è stata ed è tuttora un modo eccezionale per immaginare futuri ed esorcizzarne la paura. Il verbo “immaginare” non dovrebbe spaventare nessuno, perché spesso la concreta realtà, anche quella della ricerca scientifica a cui fa riferimento l’articolo, ha trovato spunti nell’immaginazione e nell’estrapolazione fantascientifica.

laverdure

Anch’io sono un esperto di fantascienza,e devo dire che sento molto la mancanza dell’ottimismo quasi viscerale del grande Arthur Clarke.
Mi rimase impressa una frase,realtiva ad un futuro dove era iniziata la colonizzazione
del sistema solare in grande stile:”Finalmente l’uomo aveva trovato qualcosa che lo
appassionava quanto la guerra!”

Bruno Gualerzi

In effetti si tratta di una sintesi di un pezzo molto più lungo e posto alla fine di un intero percorso speculativo come appendice. Francamente però non so quale sarebbe il più chiaro…(^_^)
Comunque l’intento era di prospettare l’impatto che potrebbe/dovrebbe avere la consapevolezza ormai basata su dati scientifici della fine del mondo umano sulle varie escatologie mitico-religiose e sulle ricorrenti teorie sulla ‘fine della storia’. Tutti questi concetti dovrebbero lasciare il posto a considerazioni molto meno ‘metafisiche, o quanto meno dare risposte concrete – o comunque ‘verificabili’ come possibilità reale – a domande altrimenti passibili di risposte solo autoreferenziali, tautologiche. Tipiche soprettutto delle religioni.
Le conseguenze, ognuno le può poi trarre da sè (qui sono ipotizzate quelle che ne ricavo io),… però sono convinto che possono avere un senso solo se ipotizzate all’interno di un pensiero ateo. In gran parte proprio come, ad esempio, più di un commentio letto finora credo faccia.

In quanto alla fantascienza… dipende da come si riesce a mediare costruttivamente tra fantasia e scienza. Francamente, a mio parere, molti prodotti cinematografici, soprettutto recenti, sono ben lontani da questo risultato. Quindi nessuna ‘condanna’ della fantascienza, anzi… anche se la funzione esorcizzante la paura che gli dai tu, mi suona un pò troppo come surrogato della religione.
E naturamente nessuna condanna della poesia, ci mancherebbei… soprattutto se a farla è Giacomo Leopradi!

Maurizio_ds

No, non mi sono spiegato. Io non leggo fantascienza per esorcizzare la paura del futuro, che non ho. Le ragioni per cui ne sono appassionato fin da bambino sono varie: inizialmente c’è il meccanismo dell’evasione e del divertimento, che è fondamentale.

Crescendo, ho imparato che la fantascienza è un genere che fa un uso molto ampio della metafora: ovvero si parla del domani per parlare dell’oggi. In questo io non ci vedo nulla di esorcizzante, anzi, è un ottimo modo per fare analisi ed estrapolare “visioni”, in senso razionale, del futuro. Per ragionare su possibili sentieri di sviluppo o anche di “inviluppo”, se si può usare il termine. Naturalmente rispettando i meccanismi della narrativa, perché la narrativa non è saggistica e non lo deve essere (personalmente ho sempre odiato i romanzi didascalici, quelli scritti apposta per far passare una tesina).

La narrativa è narrativa, quindi è prima di tutto emozione e vicenda umana. In questo senso la fantascienza è un genere eccezionale, perché permette di mettere alla prova le reazioni umane in contesti completamente diversi da quelli attuali. Sono solito dire che la fantascienza è il “genere dei generi”, poiché alla fine li comprende e li caratterizza tutti. Basta leggere la fantascienza di Ballard, ad esempio, o di Lem, o del citato Clarke o anche di Dick che, pur con tutte le sue ossessioni metareligiose, è stato uno dei grandi del genere. Ma sono molti gli autori importanti che non hanno nulla da invidiare ai grandi del mainstream.

Riguardo al cinema, beh, c’è molta paccottiglia in giro, è vero. Ma per quelli vanno benissimo le prime motivazioni (evasione e divertimento). Non ci vedo niente di male a divertirsi con un film d’avventura sci fi, anche se poco verosimile. 🙂

Bruno Gualerzi

Prendo atto e condivido. Sono stato evidentemente messo fuori strada dalla tua affermazione: “Da esperto e appassionato, posso dire che la fantascienza è stata ed è tuttora un modo eccezionale per immaginare futuri ed esorcizzarne la paura.”
Visto il tema che avevo trattato ho subito inteso la paura in senso esistenziale.

Maurizio_ds

“Da esperto e appassionato, posso dire che la fantascienza è stata ed è tuttora un modo eccezionale per immaginare futuri ed esorcizzarne la paura.”

Mi riferivo alla paura dell’ignoto che è atavica ed è uno dei motivi dell’esistenza delle religioni. Non so se il concetto di paura “esistenziale” coincide, se è così è soltanto un’equivoco sui termini. Quello che intendevo dire è che leggendo di narrativa d’anticipazione (usiamo la definizione originale francese, che forse spiega meglio), una persona ha la possibilità di “allenarsi” mentalmente a prospettive differenti; le vede scritte nero su bianco, impara a conoscerle e a confrontarle con le prospettive di cui dispone. Non ci vedo una surrogazione della funzione religiosa, ma soltanto un modo diverso di pensare al domani e alle sue problematiche: che poi sono le problematiche dell’oggi spostate avanti nel tempo.

Faccio un esempio: non ho dati precisi sottomano, ma è opinione diffusa (e per la mia conoscenza veritiera) che gli appassionati di fantascienza siano mediamente più scettici sul fenomeno UFO rispetto ai non appassionati. Sembra un controsenso ma non lo è; per quanto mi riguarda, avendo letto molte storie di UFO e alieni, ne conosco le tematiche e i canoni e ormai ho acquisito un certo gusto critico. Aggiungendo una preparazione scientifica discreta, dote comune a gran parte degli appassionati, sono io il primo scettico riguardo agli annunci spettacolari e alle trasmissioni tv che impazzano a intervalli regolari. Come dire, mi sono fatto gli anticorpi; il che non mi impedisce di apprezzare un bel libro o un bel film, o di scrivere una storia che mi diverte (sono scrittore sci-fi, quando ci riesco).

Mi scuso se ho fatto un po’ di confusione e spero di essermi spiegato meglio.

Maurizio_ds

Aggiungo soltanto che parlavo di “esorcizzare” in generale, senza riferirmi a me stesso e nel senso che ho cercato di esporre.

Godverdomme

E´la prima volta che leggo un articolo intelligente su questo sito. Non poteva che venire dalla mente del professore. Ottimo. La invito, attenendomi al tema, a cercare informazioni sul Transumanesimo, tema a mio parere sconvolgente. La definisco “la religione del futuro”.

Lorenzo Galoppini

Il transumanesimo si basa sulla scienza, come può essere religione?? A volte ho l’impressione che ci sia un po’ troppa tendenza ad attribuire l’etichetta di “religione” a qualsiasi cosa.
Il transumanesimo non è la solita illusione ma é un movimento che vorrebbe, fattivamente, concretamente, migliorare, con una certa radicalità, la condizione umana, soprattutto allungando la durata della vita e migliorandone la qualità, attraverso la scienza. Se poi ci riuscirà davvero é da vedersi, ma come intento in sè mi pare più che nobile e condivisibile.

Lorenzo Galoppini

Dimenticavo: “attraverso la scienza e la tecnologia, particolare fondamentale.”

Bruno Gualerzi

Credo che con l’espressione ‘religione del futuro’ qui si intenda qualcosa che prende il posto delle religioni, la funzione avuta fino ad ora dalle religioni. Va bene la scienza… anzi la scienza è lo strumento insostituibile per rendere concreto il ‘nobile intento’ di vivere meglio… purchè si trovi l’accordo sul significato di ‘vivere meglio’ allo scopo di usare la scienza e non di esserne usati.

Goverdomme

La scienza in se’ non ha nulla di male, anzi e’ l’ unico strumento valido riconoscibile universalmente. La scienza nelle mani di gente che segue religioni new age e’ una chimera, assomiglia piu’ agli antichi culti alchemici. I transumanisti vogliono forzare l’ evoluzione. Questo non e’ scientifico. La forza e il successo dell’ evoluzione sta nella casualita’, che fa si che il piu’ adatto a un determinato ambiente abbia maggiori possibilita’ di riprodursi, formando e mantenendo e continuando a fare evolvere una determinata specie. Se Rockefeller e Bill Gates hanno i soldi per pagare un’ equipe di tecnici tale da riuscire a creare specie post-umane artificialmente non oso immaginare cosa puo’ accadere per l’ ecosistema. Informatevi, se volete, sull’ eugenetica nazista (ancora piu’ che viva) e il movimento transumanista, che ha fini “paralleli” con stesso verso a quelli della new age luciferiana (Lucis Trust e’ un’ associazione no-profit delle Nazioni Unite e si rifa’ alla teosofia new age di H. Blavatsky). Vedere per cred… per riflettere.

Un vero ateo non segue culti new age che credono al Grande Maestro!

libero

Il non credente ha paura di morire,
il credente ha paura di morire,
quale è dunque la differenza tra i due ?
La capacità di non illudersi quotidianamente ?

Bruno Gualerzi

La differenza, a mio parere, è che il credente – che crede ovviamente in una qualche forma di vita dopo la morte – che lo voglia o no, se vuole essere coerente (e se non lo è la sua coscienza glielo fa scontare), deve impostare la propria vita in funzione dell’altra. Come è proprio delle religioni, trascendentalista o immanentiste. Con, al di là delle ripercussioni personali, i danni sociali che conosciamo.
Il non credente, certamente teme la morte, ma – se pure lui sarà coerente con la propria convinzione – affronterà la vita per quello che è mentre vive. Del dopo non fa un punto d’arrivo cui finalizzare la propria esistenza, ma lo considererà, quale che sarà, una dimensione estranea alla propria esperienza.
Chi vive meglio? Questo ognuno lo misurerà personalmente… ma è certo che i danni per il prossimo (e tutti siamo ‘prossimo’) viene più dal credente che dal non credente. E, per quanto mi riguarda, tanto basta per dire ‘Ateismo o barbarie’

Dalila

Alla tua domanda finale rispondo con una cruda banalità: vive meglio l’idiota.
Costui non ha domande nè risposte vere o presunte e vive alla giornata sorridendo.
Tutti noi abbiamo le nostre paure ma analizzare diversi, troppi elementi e interrogarsi sul perchè di tutto (il che denota di certo arguzia ed intelletto) non aiuta mai a vivere bene.

Bruno Gualerzi

@ Dalila
Non nego certo che l”idiota’ possa ‘vivere meglio’ di tanti altri, speculatori (nel senso di pensatori) incalliti in testa. Ma non ti sei mai chiesta, eventualmente, il perché?
Perchè lui è ‘idiota’. Non fraintendere, non è detto in alcun modo in senso spregiativo ma solo per definire una condizione esistenziale che, in base a certi elementi di giudizio, viene così definita
Tu, che non sei ‘idiota’, vale a dire che la tua condizione esistenziale non è quella dell’idiota (non metto più le virgiolette perchè spero si capisca in che senso uso questo termine) potresti vivere con un idiota e così, non dico sentirti felice, ma ‘vivere meglio’? Credo che sicuramente vivresti peggio di quanto non viva adesso.
Così come l’idiota, se fosse costretto a cercare di vivere come chi idiota non è, non credo che si sentirebbe meglio.
Come già sosteneva l’antico Arustotele – sia pure in un contesto oggi difficilemte accettabile – ognuno realizza veramente se stesso se si realizza secondo la sua natura. In questo consiste il ‘vivere bene’.

Bruno Gualerzi

@ Dalila
C’è un refuso, uni dei tanti, ma che qui può falsare il senso di tutto il discorso. Non si deve leggere ‘vivere ‘con’ un idiota, ma ‘vivere ‘come’ un idiosa’

Lorenzo Galoppini

“nessuna allergia per il progresso scientifico (qui poi, mi sembra, meno che mai)… solo non riesco a concepirlo al di fuori dei limiti propri della condizione umana. Individuale e, in prospettiva, dell’umanità intera.”

E se fosse proprio il progresso scientifico ad ampliare – non si sa di quanto – i limiti propri della condizione umana? In fondo é anche a questo che dovrebbe servire. Poi non si sa quanto e se ci riuscirà, ma come fine mi pare auspicabile (vedi poco sopra sul transumanismo). Mentre accettarli ciecamente convinti che non si potranno mai assolutamente superare e magari che “sia giusto così”, non lo trovo molto saggio nè razionale (ragionassimo sempre in questo modo per ogni cosa a quest’ora vivremmo sempre nelle grotte).
Certo, nell’ipotizzare queste cose occorre sempre molta prudenza e non lasciarsi prendere la mano.

Bruno Gualerzi

Non hai mai pensato invece che la consapevolezza dei limiti… limiti mobili certamente quindi sempre ampiabili ma non superabili in assoluto (questa avverrebbe se ci fosse vita dopo la morte… come prospettano, non caso, le religioni) sia la vera garanzia per ‘non lasciarsi prendere la mano’? Non è questione di ‘giusto o non giusto’ (questo, ancora una volta lo lascio alle religioni), ma di non operare fughe in avanti. Che non significa stare fermi (‘tornare nelle grotte’), ma avanzare senza illusioni, più o meno inconscie, trascendentaliste.

Lorenzo Galoppini

Nessuna trascendenza, ma anzi, molta immanenza. Chiaro che dilatare tali limiti (quelli della vita umana, credo che s’intenda, se non ho capito male) all’infinito non é concepibile come idea perchè sarebbe come dire che noi siamo lo Spazio e il Tempo, le uniche 2 entità che possono essere infinite (e “devono” esserlo, non si può pensare altrimenti). Dico solo, più in concreto, di andare avanti il più possibile senza stare a pensare troppo al problema del “limite”, altrimenti, a forza di insisterci su, si rischia di…autolimitarsi. La cautela cui mi riferivo va posta, come sempre, nella verifica scientifica delle ipotesi, senza essere convinti di ottenere sempre e necessariamente determinati risultati. Andare avanti, e man mano si vedrà, c’é poco da fare. E’ più una prudenza ‘scientifica’ che ‘filosofica’ (i ‘limiti dell’essere umano’ di cui sopra), insomma, se sono riuscito a spiegarmi a sufficienza.

Bruno Gualerzi

Sì, sì ti sei spiegato benissimo. Francamente però non riesco a distinguere tra un limite ‘filosofico’ e uno ‘scientifico’. La filosofia, almeno come l’intendo io, non è altro che l’esercizio della stessa razionalità che presiede anche alla ricerca scientifica… e il limite, c’è o non c’è, affrontato scientificamente o filosoficamente che sia. Io credo che ci sia, e pensare di tenerne conto con la ‘prudenza scientifica’, scusa ma mi sembra poco… scientifico. Poco razionale. Non sto giocando con le parole: se si ritiene che la scienza solo rimanendo fedele, come deve, al proprio statuto epistemologico, cioè al tipo di conoscenza che la pratica scientifica rende possibile, risolva così anche il problemo deontolgico, rigurdante l’etica, e che è oggi più che mai un problema gigantesco, a me sembra che si vada incontro ad un equivoco molto pericoloso. Detto in altre parole: con tutto il rispetto, non credo ce la ‘prudenza’ sia propriamente una nozione scientifica definibile scientificamente. E proprio per l’enorme potenziale, sia costruttivo che distruttivo (sempre più nazioni dispongono di arsenali con armi nucleari in grado di fare piazza pulita di ogni specie vivente sulla terra), porsi il problema del limite è essenziale. Perchè poi diventa automaticmente il problema etico: a che serve orientare la ricerca in un senso o in un altro? Chi decide e in base a cosa se sia più utile finanziare (si sa che senza l’aiuto economico, nessuna ricerca seria ormai è possibile) una ricerca piuttosto che un’altra?. Lo scienziato come tale? Se lui per primo non è in grado di cogliere fino a che punto il suo lavoro può superare quei limiti… che sono limiti o non lo sono (per le religioni non lo sono)… oltre i quali la ricaduta tecnologia può ritorcersi contro l’uomo …cosa che solo lui in quanto esperto può valutare veramente…. si va incontro a tragiche conseguenze. Si dimentica troppo spesso la grande lezione di Einstein, lo sconcerto che l’ha colto verificando le conseguenze delle sue straordinarie scoperte… facendolo così diventare ‘filosofo’. E che filosofo!
Una cosa – e concludo – che mi stupisce sempre, e che riscontro anche nelle tue parole, è l’accusa rivolta alla filosofia di interessarsi di questioni inutili, senza risultati pratici… salvo poi lasciarsi abbagliare dal mito della scienza che ‘potrebbe arrivare anche al punto di rendere l’uomo immortale’! No, grazie, per queste fughe in avanti c’è già la religione! Che non conosce limiti. o meglio, che ritiene siano superabili. E mi chiedo: ma è più ‘pratico’ riflettere sulla condizione umana per vedere come è meglio affrontarla, oppure considerarla un optional di cui si può anche fare a meno?
Lasciando così mano libera ai preti.
Ti sauto, e grazie per il confronto

Sergio

Ho letto tutti i commenti e … non ne sono contento. Fra parentesi: non capisco perché si rimproveri a Bruno di essere contro la scienza. Ma nemmeno per sogno, mica è scemo. Penso che proprio nessuno sia contro il progresso scientifico, nemmeno il papa (il Vaticano è imbottito di tecnologia, il papa prende l’aereo come i comuni mortali il tram, non disdegna affatto le moderne cure mediche ecc.).
La “coscienza del limite” mi sembra un bel concetto, utile. Che i limiti siano mobili, ampliabili, superabili è certo, però ci sono e sono necessari. La conoscenza stessa è coscienza del limite (e del suo eventuale superamento). Definire significa appunto delimitare
Ma mi soffermo su un punto che mi interessa. Scrive Maurizio: «Mi riferivo alla paura dell’ignoto che è atavica ed è uno dei motivi dell’esistenza delle religioni.»
La religione, lo sappiamo, specula appunto sulla paura dell’ignoto e della morte. Lo fa prospettando inverosimili, risibili paradisi (dove non si sa bene che diavolo si faccia: dicono che “si gode Dio” che sarebbe il massimo dei piaceri, insomma la felicità a cui tutti tendiamo, come c’è scritto nella costituzione americana).
Direi però che l’ignoto non fa per forza paura: può essere fonte d’inquietudine, ma ci attrae anche (per questo si viaggia, si studia, si fa ricerca).
Invece la morte fa davvero paura oppure è difficile da accettare. Forse in futuro potremo vivere mille anni (e bene) o addirittura divenire immortali (non si può escludere, anche se non so come l’immortale di domani possa prevenire e salvarsi da una catastrofe cosmica).
Ecco. Ci ritroviamo, senza ci fosse chiesto un parere (cosa del resto impossibile perché non c’eravamo) a vivere questa vita che sappiamo breve e tribolata. Ma una volta che ci siamo l’istinto ci obbliga a vivere, anche i cristiani non vogliono andarsene nemmeno un minuto prima. Ma la vita non è solo un obbligo, è anche un piacere che vogliamo sempre riprovare.
La paura è anche utile perché ci fa evitare pericoli. Quando è troppa ci paralizza.
L’eterna domanda: che fare? Di questa vita, come sfuggire alla paura paralizzante.
Perché le religioni hanno avuto e hanno ancora così tanto successo? Penso anche perché “tolgono il limite” difficile da accettare (la morte).
Io direi a tutti, compresi certi personaggi inverosimili come Socci: sediamoci, parliamo dei nostri problemi, dei nostri sogni o aspirazioni ecc. ma onestamente, senza cosiddetti libri sacri e ridicole apparizioni madonnesche e padrepiesche. Cosa siamo, cosa vogliamo, come tacitiamo la paura o le paure?
S. Paolo: “Voglio togliervi la paura”. Ecco un bel programma (almeno secondo le intenzioni – purtroppo quel pazzo ha svolto male il programma).
Penso che la paura possa essere mantenuta a un livello basso (ma mai soppressa: sarebbe pericolosissimo) “lavorando”, svolgendo lavori utili. Penso a un personaggio solare come la Hack che ha un bel lavoro, è abbastanza contenta (ma non tanto della nostra organizzazione sociale) e non ha paura della morte.

Bruno Gualerzi

Bè? Allora – a parte alcuni passaggi che, dal mio punto di vista, non condivido del tutto, e a parte, al solito, il linguaggio – nel mio pezzo c’è qualcosa per te, visto ciò che sostieni qui, così difficile da intendere?

Bruno Gualerzi

“Si possa noi vivere a lungo ed estinguerci», ma se qualcuno non vuole vivere a lungo sono affari suoi. In realtà, la sola azione richiesta per diventare Volontario o Sostenitore del VHEMT consiste nel non aggiungere un altro essere umano alla popolazione. Una coppia potrebbe anche essere in attesa d’un figlio e decidere d’aderire al VHEMT. Quel nuovo essere umano sarebbe l’ultimo che metterebbero al mondo. I Sostenitori del VHEMT non sono necessariamente a favore dell’estinzione umana, ma concordano sul fatto che nessun altro dovrebbe essere messo al mondo in questo momento.”
Tratto dal vostro programma (e che giro a Sergio, che credo possa esserne particolarmente interessato)

Siccome sostengo la tesi che proprio di fronte alla prospettiva della ‘fine del mondo umano’, tempi geologici a parte, occorre darsi da fare per non ‘anticipare’ (con tipico comportamento studiato dalla psicanalisi) questa fine… considero anch’io che se non si risolve il problema della sovrapopolazione del pianeta, si getteranno le basi – assieme ad altre – per questa anticipazione.
Da qui, anhe da qui, il mio ateismo considerando che le religioni, trascendentaliste o immanentiste che siano, e non solo, proprio per il loro ritenere che comunque, in un’altra dimensione, la vita contnua… non si preoccupano più di tanto – almeno se vogliono essere coerenti (e nei momenti cruciali – guerre, catastrofi naturali, ma anche l’avvicinarsi della morte come fatto individuale – lo sono, nel senso che si attaccano alla speranza dell”aldilà’) – di questa possibile ‘anticipazione’. E non a caso, quesi tutte le religioni, in nome dell sacralità della vita, sostengono il ‘crescete e moltiplicatevi’.
Solo che non vedo la necessità di un movimento così propositivo (anche se ricusate questo aspetto) e talmente – anche se volutamente, provocatoriamente – paradossale, invece di operare per diffondere, come obiettivo prioritario, qualle cultura del limite che anche voi ritenete becessaria. Come – anche se in modo non sempre condiviso da tutti i soci – UAAR cerca di fare.

Sergio

So da tempo dell’esistenza del VHEMT. Pur avendo realizzato personalmente il loro programma, anche se non proprio coscientemente (non ho figli) non so cosa pensarne, anzi francamente sono contrario. Che l’uomo sia la specie più nociva per tutte le altre e per il pianeta stesso è pacifico, ma volere proprio l’estinzione dell’uomo mi sembra assurdo. Ma leggo per fortuna che “i Sostenitori del VHEMT non sono necessariamente a favore dell’estinzione umana”, il che mi fa piacere. Non tanto perché siamo l’immagine di Dio, ma perché questo bipede assurdo pur qualcosa di buono e di bello ha combinato e continua a combinare.
Oltretutto non credo si possa dire che prima della comparsa dell’uomo la terra fosse un giardino fiorito, un paradiso, e adesso sia una discarica. Circolavano e volavano esseri strani e orrendi (dinosauri, pterodattili ecc.). Poi non è detto che scomparso l’uomo la terra torni a essere il paradiso. Rispetto a duemila anni fa l’umanità ha fatto qualche progresso. Senza l’illuminismo saremmo ancora alla controriforma. Insomma, fare piazza pulita (dell’uomo) non è garanzia di ritorno al felice mondo primitivo (se è mai esistito).

Maleventum

Anch’io ho aderito al VHEMT rinunciando volontariamente a fare figli. Gli obiettivi, come loro stessi affermano, non sono certo quelli di raggiungere l’estinzione dell’uomo ma solo di contrarre la crescita della popolazione.
Non ho nessuna simpatia per la mia razza: siamo solo degli squallidi parassiti che in una frazione di secondo (geologicamente parlando) stiamo distruggendo dissenattamente un capolavoro di perfezione evoltasi in milioni di anni. Anche se ha fattivamente contribuito a peggiorare le cose, non credo comunque che la religione sia alla base di questo modo di approcciarsi all’ambiente circostante: l’Unione Sovietica e la Cina dei giorni nostri sono due esempi lampanti di come l’uono sia comunque in grado di trovare ideologie alternative al “crescete e moltiplicatevi”. Persino gli indiani d’America, con tutta la loro pensiero estremamente rispettoso dell’ambiente contribuirono in maniera preponderante alla riduzione del numero dei bisonti (completamente sterminati poi dagli occidentali).
Insomma, religione o no, stiamo vivendo in una brevissima finestra di opportunità destinata a richiudersi con la stessa rapidità con cui l’abbiamo aperta.

POPPER

OT. Questi casi fanno davvero paura: la pedofilia non è di un passato remoto ma sta continuando anche oggi, quindi, è un male intrinseco alla stessa ccar e al suo sistema di ipocrita moralità.

http://www.blitzquotidiano.it/politica-mondiale/colombia-arrestato-william-de-jesus-mazo-prete-accusato-di-molestie-a-3-bambini-453256/

Lascio all’amministrazione del sito di inserire ulteriori indagini e informazioni sul caso e su altri casi, aprofittiamo intanto che la legge bavaglio non è stata ancora approvata.

Third Eye

Parte un po’ pessimista e si ritira presto su… Ma forse sarò io a peccare di troppo positivismo, chissà…

Cmq lode a Gualerzi, letto con piacere in un break a lavoro :)!

statolaico

Spezzo una lancia in favore di Bruno e spero che vi rendiate conto (mi riferisco agli interventi di sergio ed a quelli eventualmente sintonizzati sulla sua stessa lunghezza d’onda), dell’assurdità delle vs. “amichevoli contestazioni”. Praticamente rimproverate ad una persona colta di esprimersi nella forma che gli è consueta: nel ragionamento astratto la forma è sostanza e la sostanza è –anche- forma. Piuttosto che rigettare l’ignoranza che porta anche a modi di espressione limitati (e nell’immediato limita anche relativamente a quello che si puo’ comprendere, se espresso in modi diversi –perché più ricchi- dai quattro aggettivi conosciuti che compongono l’universo semantico dell’ignorante), chiedete a lui di appiattire il suo linguaggio! Ma, badate, la potenza del pensiero razionale si distingue dall’appiattimento gretto delle religioni anche per questo. Leggere quanto scritto da una persona che si esprime come Bruno dovrebbe –come minimo- invogliare a prendere il dizionario. Saluti.

Sergio

Mah! Qualcosa ho letto anch’io, proprio un analfabeta non sono. Vorrei che ci si esprimesse in modo comprensibile. Per dire, sono allergico anche a espressioni o concetti come trascendenza e immanenza – di cui penso si possa benissimo fare a meno, specie se ci si rivolge a una massa che queste cose non le conosce nemmeno per sentito dire. Massa però che non è spregevole e con cui bisogna pur fare i conti.
Il mio appello: siate semplici (lo so che non è sempre facile, specie se si hanno le idee confuse).
Cercate di farvi capire, a rischio di fare brutta figura presso i letterati e i filosofi da strapazzo. Basta con la trascendenza et similia. È solo fumo.
Ma con Bruno m’intendo abbastanza bene.

peppe

Mi accodo al “Mah”…

Con tutta la stima per Gualerzi, che pure leggo spesso volentieri su questo blog, confesso che ho fatto fatica a leggere fino in fondo l’articolo: non è questione di usare un linguaggio troppo forbito che il popolino incolto pretende di appiattire, è questione di esprimere i concetti senza tanti astratti giri di parole nè voli pindarici… il bel parlare, tanto più se pretende di essere anche un parlare saggio e potente, deve far sua anche la capacità di sintesi.

Periodi brevi, frasi chiare e concise, termini disambigue e concetti espressi con semplicità: questo è quel che serve… gli arzigogoli sono belli certo, ma se constringono il lettore a tornare indietro ripetendo più volte una frase che appare sempre oscura o fumosa, oppure lo scoraggiano dall’andare avanti nella lettura, significa che c’è un problema: di solito quando incontro un testo troppo pesante da leggere lo bollo come pistolotto… in questo caso me ne asterrò, per rispetto all’autore.

Bruno Gualerzi

“…in questo caso me ne asterrò, per rispetto all’autore”

Ti ringrazio, ma non preoccuparti. Dico seriamente, so benissimo che spesso sono involuto, ma cosa vuoi, alla mia età ormai è fatta: non riesco a scrivere diversamente e non mi resta che contare sul fatto che, se c’è qualcosa di valido, venga recepito comunque anche se costa un pò di fatica. E, credimi, non è neanche questione di modestia, perchè in realtà mi ritengo un grande scrittore, ma io per primo non so se andrei avanti nella lettura dopo le prime pagine di un mio scritto.

Però dài, Sergio, non mi dire che un grande e appassionato lettore come so che sei, e anche di filosfia, ritiene termini come ‘trascendenza’ e ‘immanenza’, specialmente in un blog come questo, troppo specialistici!

statolaico

Sergio perdonami non volevo dare dell’ignorante a nessuno, non mi sarei mai permesso… in effetti rileggendo il mio intervento sembra quello il senso tuttavia il mio è un ragionamento in linea di principio, quello che volevo esprimere è che leggere anche di cose che sul momento apparentemente non si comprendono (e mi ci metto dentro io per primo, quando leggo di filosofia per esempio), dovrebbe invogliarci a capire (per poi eventualmente criticare); personalmente quel tipo di letture mi affascina, leggere i grandi pensatori, provare a star dietro ai loro ragionamenti mi fa toccare per un attimo vette per me irragiungibili, è quasi un’orgasmo razionale contrapposto a quello mistico-ignorante. Preferisco di gran lunga affannarmi per star dietro al primo, preferisco coltivare quella pulsione che mi spinge a conoscere piuttosto che rifugiarmi in quello che già comprendo, altrimenti è come piluccare in un piatto scartando quello che non si è mai assaggiato. Ecco tutto.

Anacleto

Farò qui qualche considerazione stilistica, precisando in anticipo che nel merito, limitatamente alle parti meno incerte, posso condividere le tesi sostenute.

Io apprezzo chi si prefigge di essere chiaro.

Questo articolo non è ‘tecnico’, nel senso che non deve ricorrere ad un linguaggio specialistico (come accadrebbe ad un articolo di astrofisica, biologia molecolare, o relatività generale) per esprimere le proprie tesi. Non è neppure un articolo ideologico e quindi non è costretto a piegare i fatti ad una verità precostituita.

Questo articolo ci vuole comunicare alcune conclusioni a cui l’ autore giunge nel modo più corretto, cioè argomentando: A=>B=>C=>…

Quindi l’ autore può permettersi il lusso di essere chiaro, coerente e coinciso.

E allora perchè appare una frase (tra le altre) come questa:
“…Perché quanto più l’orizzonte umano viene popolato da aspettative di trascendenza, tanto più la stessa dimensione spazio-temporale umana rischierà di essere trascesa dall’uomo stesso fino a farlo uscire definitivamente dallo spazio e dal tempo. I mezzi ci sono tutti…”?

Ma queste cose lasciamole ai teologi che ne hanno bisogno!
Loro sì che necessitano di proposizioni ‘aperte’, dai termini mai ben definiti, suscettibili di molteplici interpretazioni e quindi necessariamente da interpretare. Loro ‘devono’ essere oscuri, perchè hanno seri problemi di consistenza interna nel proprio procedere da premesse a conclusioni.

Chi invece questi problemi non li ha (o non dovebbe averli), come l’ autore di questo pezzo, dovrebbe evitare accuratamente di esprimersi in modo ‘inutilmente elevato’ e invece esprimersi per massimizzare la comprensibilità minimizzando i punti ambigui.

Perchè essere chiari richiede più talento che essere ‘elevati’.

Bruno Gualerzi

Cito il me stesso chiamato in causa da te:
“…Perché quanto più l’orizzonte umano viene popolato da aspettative di trascendenza, tanto più la stessa dimensione spazio-temporale umana rischierà di essere trascesa dall’uomo stesso fino a farlo uscire definitivamente dallo spazio e dal tempo. I mezzi ci sono tutti…”?

Il primo ad avere perplessità su un periodare e su un uso dei termini come questo, sono stato io. Perchè allora non ho cambiato registro? Per pigrizia, lo riconosco. Mi era venuto così e mi sapeva fatica formularlo in altro modo, come invece, non so con quanto successo, ho provato a fare altrove.
Per pigrizia… e perchè comunque ritenevo la frase comprensibile. In questo senso.
Appena sopra avevo elencato una serie di reazioni come possibili fughe in avanti di fronte alla constatazione della precarietà non solo della vita individuale, ma della stessa specie umana. Fughe in avanti’ che ritenevo, e ritengo, niente altro che espressioni di un desiderio inconscio di ‘andare oltre’ una condizione umana così precaria. Cioè trascenderla. Ad opera di chi? Ovviamente dell’uomo stesso che – e i mezzi per farlo oggi ci sono tutti – può ‘sfruttare’ questi mezzi per ‘uscire dallo spazio e dal tempo’… ammetto che si tratta di un’espressione non molto chiara, ma che sta ad indicare le coordinate che determinano la dimensione di ogni realtà fisica uscendo dalle quali si annulla ogni realtà oggettiva. Cioè ci si autodistrugge.
Ecco, questo avrei detto se fossi stato meno pigro. Più chiaro? Non lo so, ma più chiaro di così, trattando questi argomenti, non sono in grado di essere.

In quanto poi al fatto che ‘richiede più talento essere chiari che essere ‘elevati’… permettimi che si tratta di una di quelle affermazioni apodittiche tutte da dimostrare, e per le quali comunque vale sempre anche il contrario. Non nel mio caso, oviamente, ma in tanti altri che pure hanno arricchito il patrimonio culturale dell’umanità questa equazione ‘chierazza=talento’ non è stata certo sempre rispettata.

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