Imane Boudlal, da due anni impiegata come hostess in un ristorante di Disneyland, ha denunciato la società lamentando una discriminazione: di religione islamica, scrive il sito Examiner, non le è consentito di indossare il velo, tanto che è stata ripetutamente mandata a casa senza stipendio per aver rifiutato di toglierselo sul posto di lavoro. Lo Storyteller Café, come tutti i ristoranti a tema della catena, ha infatti un codice di abbigliamento, e impone una divisa a tutti coloro che sono a contatto con il pubblico. Una portavoce di Disneyland, Suzi Brown, ha ricordato che a Boudlal è stato anche proposto di lavorare dietro le quinte, oppure di indossare un copricapo “in tema”, ottenendo però soltanto un rifiuto.
Vuole indossare il velo in un ristorante a tema, dipendente islamica denuncia Disneyland
40 commenti
Commenti chiusi.
E allora? Se la mia religione mi impone di stare nudo, il fatto che mi licenzino non può essere considerato una discriminazione.
“Lo Storyteller Café, come tutti i ristoranti a tema della catena, ha infatti un codice di abbigliamento, e impone una divisa a tutti coloro che sono a contatto con il pubblico. ”
Lo sapeva prima di cominciare il lavoro, si arrangi o si trovi una religione meno misogina.
Di questa cosa ce ne siamo occupati anche noi come testata giornalistica specializzata nel settore dei parchi di divertimento e dunque perfettamente a conoscenza di quelle che sono le regole Disney accettate all’atto dell’assunzione. Non voglio fare pubblicità alla nostra testata per cui riporto solo il testo dell’articolo, che credo sgombri ogni tipo di dubbio:
“Imane Boudlal sostiene di avere il diritto di indossare l’hijab – un tipo di velo islamico – sul luogo di lavoro dimenticando che il regolamento Disney prevede dettami rigorosi per quanto riguarda la divisa e gli accessori che ogni dipendente può indossare.
I Media e parte dell’opinione pubblica, che pare sostenere la donna, ignorano però colpevolmente le motivazioni che stanno a monte di questa rigorosità. La cura del proprio aspetto, l’impeccabilità della divisa, la limitazione quasi totale degli accessori, sono infatti da sempre sinonimo dell’eccellenza del servizio Disney ai propri ospiti.
Il preservare l’esperienza dell’ospite e la ricerca della massima immersione in essa, possono infatti essere condizionate negativamente da atteggiamenti o particolari – come il velo, ma anche i capelli acconciati in modo non convenzionale, la barba, il piercing, etc. – che non calzino perfettamente con la “storia” che si vuole raccontare. E la storia, l’esperienza, la magia, si raccontano anche mentre un cast member serve un drink o pulisce un tavolino e non solo quando si performa al massimo livello indossando gli abiti di Cenerentola o del Principe Azzurro.
Imane, tra l’altro, è stata assunta in Disney già da due anni e mezzo, ma solo qualche giorno fa, in occasione dell’inizio del Ramadan, ha voluto indossare il velo durante il suo turno di lavoro. Contrariamente al messaggio che si vuole fare passare all’opinione pubblica, non si tratta affatto di discriminazione. Alla donna infatti è stato proposto di lavorare “backstage” e cioè dietro le quinte, dove non avviene il contatto col pubblico.
Nessun licenziamento o sospensione dal lavoro, dunque, ma addirittura un tentativo di accontentare il legittimo desiderio della donna di indossare il velo – che non è ovviamente integrale – anche sul luogo di lavoro.
Ma ovviamente – quale migliore occasione per farsi pubblicità? – questo è servito solo ad innescare ulteriori polemiche da parte di chi non conosce, appunto, le motivazioni che stanno alla base di un regolamento aziendale sottoscritto all’atto della stipula di un contratto di lavoro. L’alternativa, se non piace, è quella di rifiutarlo prima di firmare e trovare un’altra azienda. Almeno così vorrebbe la logica…
Dal momento che ogni cast member Disney che opera “on stage” – cioè a contatto col pubblico – è un attore che interpreta una parte indipendentemente dalle sue mansioni, ci pare logico sostenere la Disney quando propugna che “l’abito di scena” debba essere sempre conforme alla storia che si sta raccontando.
Ma questo lo capirà quella parte dell’opinione pubblica sempre pronta a scagliarsi contro qualsivoglia tipo di regolamento aziendale, soprattutto se è quello della Disney Company? E soprattutto, lo capirà la Commissione cui si è rivolta la donna?”
Se per certe islamiche è necessario coprire la testolina, le sarebbe bastata eccome una bella cuffia con orecchie da Minnie o fiocco da Biancaneve. Si è rifiutata? Cavolissimi suoi!
Questi fideisti si credono sempre e comunque al di sopra di tutte le regole.
Questi religiosi si accorgono che non possono vestirsi come vogliono sempre dopo l’assunzione.
Novembre scorso c’e’ stato un caso simile in Bolivia: un ospedale finanziato dal governo iraniano aveva imposto il velo islamico come ¨codice di abbigliamento¨ a tutto il personale femminile. Il discorso era: se vuoi il posto di lavoro, devi accettare il velo.
ma l’imposizione era avvenuta prima o dopo l’assunzione?
e’ una enorme differenza: nel secondo caso chi non accettava l’imposizione come minimo avrebbe dovuto ricever una barca di soldi di risarcimento per la perdita del posto di lavoro
In questo caso mi pare che il velo sia imposto non da esigenze di immagine, ma perché si vuole imporre una religione ai dipendenti.
Lo stesso meccanismo funziona anche al contrario. Prova a pensare a quali sono i valori che ti vengono imposti nel momento in cui accetti di indossare una ‘divisa’.
Esempio: le battaglie fatte da molti per l’eliminazione dei grembiuli obbligatori nelle scuole elementari e medie. A sua tempo parve una cosa piuttosto logica sulla base del principio di liberta’ di espressione della propria individualita’ ecc. oggi qualcuno ci sta ripensando perche’ si e’ scoperto che in realta’ accentua le differenze di classe.
La questione non e’ cosi’ banale.
E un invasata fanatica che vuol sopratutto fare parlare di Lei . E poi arriva il discorso già conosciuto da tutti : discriminazione, razzismo, islamofobia etc etc…
Esatto, sono sempre gli altri ad essere razzisti.
È assurdo volersi vestire a proprio piacimento quando il posto di lavoro ha una norma sull’abbigliamento. Si viene pagati anche per vestirsi in una certa maniera, durante l’orario di servizio. Un medico non può entrare in sala operatoria con il costume da carnevale.
Beh guarda che non e’ proprio cosi’, le leggi europee normano efficacemente la questione. Un datore di lavoro non puo’ imporre una divisa a meno che questa non sia funzionale al lavoro svolto. L’esempio del medico e’ sbagliato proprio in questo senso; non si puo’ mettere il costume di carnevale perche’ non e’ ‘funzionale’ alla professione, non e’ una questione di gusti.
Alla base di queste leggi c’e’ il rispetto dell’individualita’ del lavoratore, come essere umano, come persona, non puo’ essere trattato come una ‘merce’ per cui c’e’ un prezzo con il quale si puo’ pagare qualsiasi prestazione.
Uno dei fatti imprensionanti della religione è che quando si pretende che tutti quanti (religiosi comrpesi) rispettino la legge, questi lamentino di essere dei PERSEGUITATI.
Sono sinceramente convinti che la loro fede debba costituire un’eccezione nei codici civile e penale.
“Sono sinceramente convinti che la loro fede debba costituire un’eccezione nei codici civile e penale.”
si’
di piu’: alcuni pensano che la religione in cui hanno fede debba sostituire il codice civile e penale
Insomma, è il solito metodo degli integralisti religiosi: “andiamo e pretendiamo di cambiare le regole a nostro uso e consumo. Che gli altri si adeguino”. Facendo causa a ripetizione, ovunque, in modo che prima o poi la gente sia talmente all’angolo da lasciargli fare quello che vogliono in sordina. Mi sembra il caso di quel magazziniere musulmano che ha avuto un attacco di devozione e ha chiesto i danni morali al datore di lavoro per tutto il periodo passato in cui aveva immagazzinato casse di alcoolici. (PS: questo ha pure vinto, è con questo che ci si deve confrontare e che ci porta alla resa)
Ma dove è successo? in Italia?
Mi pare in Inghilterra.
beh certo che anche là giudici amano fare sentenze fantasiose
Si parla di Disneyland : o sara Disneyland di Anaheim negli Stati Uniti oppure quello di Parigi .
Conoscendo i miei polli, potrebbe benissimo essere quello di Parigi !
io lo so dove dovrebbe lavorare ma non lo dico
Fossi il giudice sentenzierei un trattamento sanitario obbligatorio per la “velista”.
È stonato indignarsi con la donna, ha torto e perderà la causa, ma è pur sempre la parte debole di fronte a Disneyland. E non ha colpa di essere cresciuta membro di una confessione, anzi ha diritto di professare la sua fede. È la stessa laicità che glielo permette, perciò deve imparare la laicità, e lo farà a sue spese. Trovo un po’ triste che continui a sfuggirci come il laico non sia il nemico della religione.
Non lo trovo stonato. Se accetti un lavoro che prevede una divisa la indossi oppure te ne cerchi un altro. Lei non è la parte debole, visto che non ha subito discriminazione alcuna. Anzi disenyworld le è anche andato in contro: dato che chi è a contatto col pubblico a l’obbligo della divisa, le hanno offerto una posizione non ha contatto con il pubblico dove avrebbe potuto tranquillamente tenersi sia il velo che il lavoro. Questa fanatica invece pretendeva privilegi ingiusti e di imporre a tutti la propria morale. Non chiedeva di professare la sua fede, chiedeva privilegi che non le spettavano.
concordo!
A meno che tu voglia suggerire che la fede comporta infermita’ mentale, questa persona e’ padrona delle proprie azioni e puo’ essere criticata per il suo comportamento. Il suo capo e’ sostanzialmente accusato di intolleranza, quindi non e’ che sia in una bella posizione nemmeno lui/lei.
Io sono ateo e sono nemico delle religioni perché esse sono mie nemiche in quanto i loro fedeli mi vogliono imporre le loro regole.
Questa cretina fanatica fa la prepotente perché crede, come tutti gli altri fanatici, che la laicità e la tolleranza occidentali siano sinonimi di debolezza e servilismo.
Io non ho mai consciuto un buddhista che mi volesse imporre niente.
1) la responsabilità e’ individuale (a meno del caso gia’ suggerito da Flavio, infermità mentale)
2) le parti deboli non acquisiscono ragione anche quando hanno torto perche’ parti deboli
3) nessuno impedisce di professare la propria fede alla signora: ma perche’ sarebbe suo diritto farlo mentre e’ pagata per lavorare?
cioe’ indossare un velo, non si specifica quale, sarebbe professare la propria fede? Al massimo lo testimonia, stop, finisce li’, non impone niente a nessuno, non penso incida sul suo rendimento lavorativo. Impediamo allora anche di portare la fede al dito, una croce al collo, il simbolo di pigreco sulla borsa (io ce l’ho ;)) ), di indossare i colori della propria squadra di calcio?
Hostess musulmana che non vuole stare a capo scoperto = farmacista cattolico che non vuol vendere anticoncezionali.
Se soltanto certa gente riuscisse a guardarsi da fuori e a riconoscersi in questa uguaglianza…
bè è molto peggio il farmacista o il ginecolo che si rifiuta di praticare l’aborto. Questi dovrebbero cambiare lavoro. Certo anche questa ha delle pretese…non è una semplice divisa tipo Mc Donalds che potrebbe avere la variante del velo invece del cappellino come in Egitto, questo è un parco a tema, dai!!!E pi le è andato bene per due anni, tutto d’un tratto è diventata fondamentalista!!!Ma per favore, che ipocrisia! qui c’è sotto come al solito l’avvocato-avvoltoio che ci vuole guadagnare!
Guarda che non è meno peggio: il principio è lo stesso: c’è una regola per me, per la mia religione non vale. E provo a farmelo riconoscere dal tribunale. E in America, le sentenze fanno giurisprudenza. Rischiare di vincere cause di questo genere, aprirebbe la porta ad un trattamento differenziato dei cittadini su base religiosa, ossia proprio ciò che avviene nei Paesi integralisti. Questa non è solo un’esaltata in cerca di notorietà, questa è un pezzo del Cavallo.
Lo ha fatto perchè ha motivo di credere che le diano ragione, mi ricordo che già vent’anni fa a Londra gl’addetti alla metropolitana erano tutti rigorosamente in divisa, tranne gl’indiani col turbante e pure in giro per le strade in moto, potevi riconoscere gl’indiani dal turbante. Finchè ci sarà una maggioranza di idioti che spalleggiano i loro simili di altre culture in simili demenze, ci saranno idioti prepotenti che faranno “battaglie” simili, circa l’abbigliamento, il cibo, le festività…
per la precisione: non gli “indiani”, ma i fedeli della religione sihk
che in Italia vengono assolti se portano per la strada un pugnale di 17 cm, perche’ loro possono, lo fanno per “motivi religiosi”:
http://www.uaar.it/news/2009/01/15/cremona-sikh-porta-pugnale-per-motivi-religiosi-assolto/
Dove vivo io c’è un nutrita comunità di sick, è debbo dire in loro difesa che non sono soliti essere rissosi, invece c’è una minoranza mussulmana che dà proporzionalmente molti più problemi.
La cosa più scandalosa comunque è che tutta questa comunità di immigrati, che oramai ha raggiunto il 15% della popolazione locale, è trattata dall’amministrazione locale coi guanti dalla feste, a momenti il sindaco e la giunta vanno pure a pulirgli il moccio dal naso quanto starnutiscono, e se l’amministrazione locale si tira giù così le braghe non c’è da stupirsi se poi alzano la cresta e pretendono.
Ciao a tutti,
lurko le news di UAAR da qualche mese e questo e’ il mio primo post. Non vorrei sembrare eccessivamente polemico ma non pensate che molti integralisti ciechi alla ragione e al buon senso siano proprio coloro che definiscono ‘cretina’ e ‘fanatica’ l’hostess in questione? Oppure l’assurda equivalenza proposta tra hostess e farmacista? (entrambi possono essere lavori in ‘libera professione’, diverso sarebbe il caso di un medico che lavora in un ospedale pubblico) Vogliamo tornare a percorrere la follia degli stati etici? O la storia del turbante? Perche’ la nostra giacca e cravatta da portare obbligatoriamente anche d’estate vi pare normale, logico, sano? Qualche buon libro di antropologia di base aiuterebbe molto a capire come anche la vita di atei e agnostici (il mio caso) e’ piena di atti di fede; fede nel valore della vita, nella comunita’, nella scienza, ecc. Non sostengo un banale relativismo assoluto, in cui tutto e’ accettabile e va bene, ma la tolleranza e rispetto verso un pensiero diverso dal mio quello si’. Inoltre nel regolamento che bisogna accettare per postare qui sulle news, e’ giustamente sottolineato che: “In particolare, sono vietati gli insulti sulla base delle scelte religiose, di ateismo o di agnosticismo, delle ideologie politiche, del genere, dell’orientamento sessuale, della nazionalità.” Invece in sola questa news si e’ insultata una musulmana per il suo credo, per il suo abbigliamento e degli indiani per il loro turbante.
Ultimo e poi non vi rompo piu’ le scatole; non sarebbe male nemmeno una lettura sulla legislazione italiana e di molti altri paesi europei (di quella USA non so molto) sulle ‘divise’ da lavoro. Lo schiavismo padronale in cui poteva venir imposto una divisa o una tenuta da lavoro, o censurato un tipo di abbigliamento e’ finito da un pezzo. Immaginate cosa succederebbe se per avere un lavoro qualcuno volesse obbligarvi a portare il velo o a farvi crescere la barba stile studente talebano? La legge tutela la propria dignita’ e le proprie convinzioni. Per fortuna.
Direi che il licenziamento ci stia tutto. Se in un posto di lavoro è necessario indossare una certa divisa o comunque attenersi ad un certo regolamento, ci si deve comportare di conseguenza.
Avrebbe potuto fare dell’altro, sapeva a priori quale lavoro andava a fare, e cosa le era richiesto per svolgerlo.
Ciao a tutti
Di questa cosa ce ne siamo occupati anche noi come testata giornalistica specializzata nel settore dei parchi di divertimento e dunque perfettamente a conoscenza di quelle che sono le regole Disney accettate all’atto dell’assunzione. Non voglio fare pubblicità alla nostra testata per cui riporto solo il testo dell’articolo, che credo sgombri ogni tipo di dubbio:
“Imane Boudlal sostiene di avere il diritto di indossare l’hijab – un tipo di velo islamico – sul luogo di lavoro dimenticando che il regolamento Disney prevede dettami rigorosi per quanto riguarda la divisa e gli accessori che ogni dipendente può indossare.
I Media e parte dell’opinione pubblica, che pare sostenere la donna, ignorano però colpevolmente le motivazioni che stanno a monte di questa rigorosità. La cura del proprio aspetto, l’impeccabilità della divisa, la limitazione quasi totale degli accessori, sono infatti da sempre sinonimo dell’eccellenza del servizio Disney ai propri ospiti.
Il preservare l’esperienza dell’ospite e la ricerca della massima immersione in essa, possono infatti essere condizionate negativamente da atteggiamenti o particolari – come il velo, ma anche i capelli acconciati in modo non convenzionale, la barba, il piercing, etc. – che non calzino perfettamente con la “storia” che si vuole raccontare. E la storia, l’esperienza, la magia, si raccontano anche mentre un cast member serve un drink o pulisce un tavolino e non solo quando si performa al massimo livello indossando gli abiti di Cenerentola o del Principe Azzurro.
Imane, tra l’altro, è stata assunta in Disney già da due anni e mezzo, ma solo qualche giorno fa, in occasione dell’inizio del Ramadan, ha voluto indossare il velo durante il suo turno di lavoro. Contrariamente al messaggio che si vuole fare passare all’opinione pubblica, non si tratta affatto di discriminazione. Alla donna infatti è stato proposto di lavorare “backstage” e cioè dietro le quinte, dove non avviene il contatto col pubblico.
Nessun licenziamento o sospensione dal lavoro, dunque, ma addirittura un tentativo di accontentare il legittimo desiderio della donna di indossare il velo – che non è ovviamente integrale – anche sul luogo di lavoro.
Ma ovviamente – quale migliore occasione per farsi pubblicità? – questo è servito solo ad innescare ulteriori polemiche da parte di chi non conosce, appunto, le motivazioni che stanno alla base di un regolamento aziendale sottoscritto all’atto della stipula di un contratto di lavoro. L’alternativa, se non piace, è quella di rifiutarlo prima di firmare e trovare un’altra azienda. Almeno così vorrebbe la logica…
Dal momento che ogni cast member Disney che opera “on stage” – cioè a contatto col pubblico – è un attore che interpreta una parte indipendentemente dalle sue mansioni, ci pare logico sostenere la Disney quando propugna che “l’abito di scena” debba essere sempre conforme alla storia che si sta raccontando.
Ma questo lo capirà quella parte dell’opinione pubblica sempre pronta a scagliarsi contro qualsivoglia tipo di regolamento aziendale, soprattutto se è quello della Disney Company? E soprattutto, lo capirà la Commissione cui si è rivolta la donna?”
stessa pasta:
divisa religiosa contro divisa lavorativa.
Possibile che ci sia sempre bisogno di irregimentare la gente?