Antonietta Dessolis*
Vorrei sviluppare la frase che ho scelto per caratterizzare la mia posizione rispetto alla non credenza e alla mia adesione all’uaar: “Credere o non credere in Dio sono legittime opinioni. Che in Suo nome non pochi credenti si arroghino il diritto di sottrarre libertà e risorse pubbliche sono fatti, meno legittimi: vorremmo leggi non confessionali ma rispettose dei valori plurali”. Che, messo in forma meno prosaica da un socio che si diletta a far versi, meglio sarebbe: “Se credi in dio amico mio/meglio per te, ma a me/per il tuo credo ch’io non possiedo/perché togli/denaro e libertà?”
In questa lista intervengono credenti e non credenti, ma nemmeno tra i secondi è scontato il fatto che sia la credenza sia la non credenza siano delle opinioni e che come tali andrebbero affrontate; tra i primi, moltissimi, anzi troppi, pretendono poi che non sia affatto un’opinione, ma che l’esistenza di un dio (solo il proprio però) sia una verità assoluta: è da questa convinzione che nascono tutte le pretese e tutte le prepotenze che nel mondo e nella storia si perpetuano.
Altri, sulla legittimità di entrambe le posizioni sembrerebbero in teoria d’accordo; nei fatti, lo sappiamo bene, molto meno. Al motto “liberi di non credere” più di uno storce il naso e commenta “perché, non siete liberi? Chi vi impedisce di essere atei o agnostici?” Qui appunto si evidenzia lo scarto tra teoria e pratica, tra libertà formale e libertà concreta. È vero, non siamo in uno Stato teocratico, e ce ne sono purtroppo, dove gli atei sono perseguitati; siamo in una democrazia almeno formalmente liberale dove è sancita la libertà religiosa e la libertà di non averne alcuna. Il problema si pone, dico una banalità ma, ripeto, per niente scontata, quando da un’affermazione di principio si passa alla realtà dei fatti, perché c’è sempre qualcuno più uguale di altri; c’è una religione di Stato, “figlia legittima”, anche se sulla carta non ci sarebbe più dal Concordato del 1984, e ci sono religioni “figliastre” che hanno meno voce e meno opportunità di affermarsi; poi ci siamo noi, i “paria”, atei e agnostici che vanno bene purché non si facciano sentire, purché rimangano ai margini e non rompano le scatole. E’ per questo che ho proposto come motto più esplicito, se proprio un motto dobbiamo adottare da discutere al prossimo congresso, “piena cittadinanza alla non credenza”.
In fondo, la frase iniziale che ho scelto vorrebbe riassumere gli scopi statutari dell’Uaar:
1. Rendere fattiva la legittimità della non credenza e del libero pensiero, prima di tutto facendola conoscere nelle sue diverse articolazioni ed espressioni.
2. Difenderci, come atei e agnostici, quando veniamo discriminati, quando non ci è riconosciuta cittadinanza morale e pari opportunità di espressione, nello spazio pubblico che per definizione è plurale, perché dire libertà senza parità è vuota retorica.
3. Denunciare e contrastare i fatti che dimostrano come in nome della religione si perpetuino privilegi anacronistici, ingiustizie palesi, sottrazione indebita di denaro pubblico e, non ultimo in ordine di importanza, sottrazione di libertà, con la negazione di diritti civili e di autodeterminazione in diversi campi, per esempio quello che correntemente, ma forse impropriamente, viene chiamato “bioetica”, dove la pretesa superiorità morale di una comunità religiosa si sostituisce alla libera scelta individuale, perpetrando una società opprimente dove ancora è imperante la mistica della sofferenza e del dolore da propinare a chi in questo mondo non avrebbe diritto alla felicità: nascerai con dolore, partorirai con dolore, vivrai con dolore e, dulcis in fundo… morirai con dolore; nell’altro mondo però sarai premiato per aver ben sopportato.
Perciò chi dice che la nostra associazione è contro la libertà religiosa dice il falso, e sa di dirlo in mala fede, perché applica una pessima regola per contrastare un avversario, denigrarlo. È esattamente il contrario, come lo è il principio di laicità: è affermare la libera convivenza tra le diversità; ma affinché ciò sia possibile è necessario che ognuno, nello spazio pubblico, faccia un passo indietro dalla esasperazione identitaria e comunitaristica, riportando allo spazio privato le sue credenze, che non significa negazione dell’ espressione pubblica di quelle, ma negazione dell’imposizione nelle leggi dello Stato delle morali di parte che da quelle derivano. L’invito ossessivo delle gerarchie ai cattolici ad impegnarsi in politica, come se non ce ne fossero abbastanza, altro non è che la rivendicazione del “ruolo pubblico”, in opposizione appunto all’invito dei laici a fare quel passo indietro necessario.
Gli esempi dall’attualità sono tanti: il testamento biologico o il riconoscimento delle coppie omosessuali, la legge 194 o la legge 40 sulla fecondazione assistita, il crocefisso nelle istituzioni pubbliche o il burqa per gli islamisti integralisti, i privilegi economici a una religione o il divieto di costruire moschee ad un’altra, la religione cattolica nella scuola pubblica insieme alla mancata attivazione dell’ora alternativa…
In altre parole, semplicemente (?), applicare la nostra bella Costituzione, disattesa non solo in questa sfera naturalmente, ma in altre di vitale importanza.
* Referente UAAR nella provincia del Verbano-Cusio-Ossola
Giustissime le sue considerazioni. Ma quando si ha un capo del governo che si permette di dire che “la Costituzione non è un dogma” c’è poco da ben sperare. Già questa frase contiene due messaggi sbagliati e certo poco laici e legalitari, perchè sottintende che i dogmi, prerogativa delle religioni, vanno accettati in eterno, mentre alla Costituzione, che sta alla base delle leggi di una democrazia, si può anche disubbidire e infischiarsene.
Questa volta Berlusconi ha detto una cosa giusta: la Costituzione non è un dogma. E’ qualcosa di molto più serio e credibile. Ma forse lui l’ha detto senza saperlo…
Di per se la frase “La costituzione non è un dogma” non è assolutamente sbagliata in quanto i Dogmi non dovrebbero esiste in nessun contesto: tutto deve essere passibile di critica, di analisi, di revisione. Ovviamente questa stessa frase espressa nel contesto politico specifico, e da questa persona, è decisamente discutibile. Ma in generale, non esistno dogmi!
Ovviamente condivido l’analisi, ma farei un passo oltre, chiedendo a tutti: nella pratica -parlo di proposte concrete- come si fa noi (tutti insieme, non in ordine sparso) a farci rispettare finalmente? Come si uniscono i laici/sti attualmente divisi e dispersi?
http://laicitta.blogspot.com/2010/02/quelli-che-serie-b.html
Ottima domanda e ottimo l’articolo di laicittà
Tuttavia nessuna proposta. Questo è il guaio, e il nostro problema…
Premetto che l”opinione’ di Antonietta Dessolis più che un’opinione mi sembra esponga con forza e chiarezza una posizione, quella di UAAR, che dovrebbe essere riconosciuta e rispettata senza obiezione di sorta da tutti. Formalmente e, soprattutto, sostanzialmente.
Ma perchè così non è? A mio parere perchè esiste una contraddizione di fondo – o se si preferisce un equivoco di fondo – proprio per quanto riguarda l’eterno problema della laicità, difficilmente risolvibile. Quando si arriva al dunque del famoso “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”, questa ‘formula’ – tradotto laicamente in ‘libera chiesa in libero stato’ – mostra tutta la sua contraddittorietà.
In sostanza. Per un credente coerente, al di là del richiamo evangelico, a Dio dovrebbe ‘spettare’ anche quel che è di Cesare nel senso che Cesare – e quel che gli ‘spetta’ – deve assoggettarsi alla legge divina come tutti… per cui quando entra in contrasto la volontà di Cesare (dello stato) e la volontà di Dio, per un credente non dovrebbero esserci dubbi da che parte stare. Perchè poi non si tratta altro che di un aspetto del rapporto/contrasto tra fede e ragione. E quando il papa si arrampica sugli specchi parlando di ‘laicità positiva’ (che poi è l’ossequio dei valori/dogmi cristiani) in realtà cerca di far valere le prerogative dello stato teocratico… e non potendo farle valere formalmente punta a mobilitare i cattolici – forte anche sia del fatto che in Italia i cattolici sono la stragrande maggioranza e che esiste un rapporto privilegiato della chiesa cattolica con lo stato che il concordato del 1984 ha solo ridimensionato – richiamandoli al primato dei valori religiosi rispetto a quelli laici imbrogliando le carte con la storia della ‘laicità positiva’.
In questa situazione, cosa può fare un cattolico? A rigore, o sceglie di testimoniare la propria fede al di fuori del magistero della chiesa… o ne segue le direttive fino in fondo cercando con ogni mezzo di imporlo… oppure, se intende rispettare le leggi dello stato e contemporaneamente il magistero della chiesa… si vota alla schizofrenia.
In realtà – per fortuna – molti cattolici all’atto pratico operano quest’ultima scelta tacitando in qualche modo la propria coscienza… ma l’equivoco resta.
Evidenziarlo? Tacitarlo? Francamente non saprei,
Condivido in pieno, articolo e commento.
In ogni caso i seguaci della superstizione dovrebbero ricordarsi che non sono soli in questo paese. Il fatto che comunque la gente si comporti in maniera diametralmente opposta a quello che dice la ccar ci fa ben sperare.
Critica liberale, la rivista diretta da Enzo Marzo, redige ogni anno, di solito, il rapporto sulla laicità e la secolarizzazione dei costumi in italia.
Il rapporto è arrivato alla 5 edizione e lì sono descritti i comportamenti degli italiani nella vita pratica, non ci son santi, la gente va per la sua strada.
@Bruno
L’unica conclusione possibile dal tuo commento è che i credeti coerenti non esistono. O per meglio dire, è impossibile essere credenti e al tempo stesso “moderni”, ovvero stare nella civiltà moderna e riconoscersi in quei valori. Chi dice di riuscirci ovviamente mente, agli altri e forse anche a sé stesso.
Esatto. Ma questo non volevo dirlo perchè… mentre sul piano teorico laicità e religione (ragione e fede) non possono – checchè ne dicano i teologi – essere in conflitto… sul piano della prassi c’è da sperare che – come dice bismarck – ‘la gente vada per la sua strada’.
Correzione.
Nella frase “(…) mentre sul piano teorico laicità e religione (ragione e fede) non possono – checchè ne dicano i teologi – essere in conflitto (…)”, manca un ‘che’. Si intendeva ovviamente “non possono CHE essere in conflitto”.
… “Se credi in dio amico mio/meglio per te…”
Si sarà trattato di un lapsus ma a me quel “meglio per te” non piace.
E’ ora di dire chiaramente “peggio per te”, che continui a obnubilare il tuo cervello e ad impostare la tua vita senza prescindere da alcuni testi mitologici, che probabilmente non hai mai letto.
Il “meglio per te” mi ricorda la posizione di quegli atei timidi, che giustificano il loro non credere con la stereotipata frase “non ho avuto la fortuna di ricevere il dono della fede”.
Peraltro senza spiegare chi sarebbe dovuto essere il donante.
“Peraltro senza spiegare chi sarebbe dovuto essere il donante.”
e soprattutto senza spiegare quale dovrebbe essere la fortuna!!
@ Rothko61
per molti credenti la fede è una risorsa che li aiuta a vivere, in questo senso “meglio per loro” e finchè rimane nella loro sfera privata è rispettabilissima e, se non invadono quella pubblica, se non invadono l’altra corsia ostacolando percorso opposto, possono essere anche amici; lo dico sinceramente perchè ho amicizie con credenti nel reciproco rispetto; il problema sorge quando non si rispetta il codice stradale (uso questa similitudine quando devo spiegare la laicità a giovanissimi). Se affrontiamo la fede come “opinione legittima”, la discuto e la critico come qualsiasi opinione; se l’intolleranza è parte di quell’opinione, allora non basta più la critica, ci vogliono paletti più decisi: non penso che si debbano tollerare gli intolleranti, bisogna combatterli. Questa posizione non penso che c’èntri con “l’ateismo timido”, pittosto col saper discernere tra fideismo rispettoso e fideismo arrogante
Purtroppo la religione non tollera di essere contenuta nel privato. Un conto è qualche amico che se la vive a modo suo e può sembrare rispettoso, un conto è il pensiero reale della chiesa. Se per i laici è il codice stradale il punto di riferimento, i religiosi di codici ne hanno ben altri. Lo scontro è inevitabile.
Sono d’accordo su quello che hai scritto, sia nell’articolo sia in questa breve replica. Non mi piaceva solo quel “meglio” e per questo avevo ipotizzato un lapsus.
io penso che la religione sia un fenomeno talmente diffuso (purtroppo) nella società che è inevitabile e giusto che abbia rilevanza sociale e pubblica. vorrei fare un parallelo con lo sport: non siamo assolutamente obbligati a praticare una attività sportiva. siamo liberi di fare o non fare sport ma a nessuno di noi viene in mente di negare la rilevanza pubblica che ha lo sport nella nostra società.
piuttosto, il problema è un altro: l’importanza e l’influenza della religione nella cultura della nostra società (positiva o negativa che sia a seconda dei punti di vista) non dà alcun diritto alla religione e ai suoi esponenti di monopolizzare la società.
per fare un esempio, io penso che sia un bene che un cattolico indossi anche bene in vista un crocefisso ma sono assolutamente contrario che lo stesso crocefisso sia esposto su pareti pubbliche di una scuola, di un tribunale o di qualsiasi altro ente pubblico. in fondo, il cattolico è assolutamente libero di dire, fare o mostrare ciò che crede ma il muro della scuola o del tribunale è tanto mio quanto suo. abbiamo già dei simboli in cui si possono riconoscere tutti gli italiani senza distinzione: la bandiera e il Presidente della Repubblica. perchè non usare questi al posto di un simbolo che rappresenta solo una parte degli italiani per quanto grande questa parte possa essere?
@ JSM
per “ruolo pubblico” generalmente si intende la rivendicazione di quella data religione di intervenire nelle istituzioni, nella politica e nelle leggi dello Stato, come fa la ccar in Italia o altre religioni (esempio islam) nelle teocrazie di altri paesi; niente a che vedere con la pubblica espressione di tutte le visioni del mondo religiose e no, che spetta però in modo paritario, senza privilegi, come avviene oggi. Capisci che se ha “ruolo pubblico” una religione, confligge inevitabilmente con chi ha una visione liberale della cittadinanza: una legge ispirata a una morale di parte va contro la mia etica che prevede l’autodeterminazione su alcune questioni, per esempio, e che perciò viene considerata illeggittima. Questo è il succo della questione
@ antoniadess 14:13
Detto tutto.
Ottimo articolo, lo condivido in pieno!
Cara Antoietta Dessolis,
condivido il suo pensiero che vado anch’io diffondendo da molto tempo. Permettimi di darti del tu e di aggiungere una riflessione. Dopo aver letto che tutti devono aspirare alla libertà di opinione, di religione, alla libertà di non essere obbligati a pagare per favorire una religione piuttosto che un’altra, vorrei aggiungere anche la libertà dalla paura e dal raggiro.
Troppo spesso la religione non più ufficiale di nome ma certamente di fatto, continua ad esercitare un indebita influenza, condizionando e sottomettendo le menti dei più semplici con definizioni minacciose e terroristiche oltre che irragionevoli. Es: Se muori senza battesimo vai all’inferno e brucerai per i secoli, sei un eretico e andrai a bruciare.
Secondo me sono affermazioni terroristiche e ricattatorie che andrebbero del tutto censurate essendo minacciose oltre che false. E denunciate per abuso della credulità popolare.
Ho provato a dare un’occhiata al Catechismo cattolico
h**p://3w. vatican.va / archive / catechism_it / p1s2c1p2_it
Il Catechismo – Professione di Fede – parte prima dice:
“237 La Trinità è un mistero della fede in senso stretto, uno dei « misteri nascosti in Dio, che non possono essere conosciuti se non sono divinamente rivelati ». 280 Indubbiamente Dio ha lasciato tracce del suo essere trinitario nell’opera della creazione e nella sua rivelazione lungo il corso dell’Antico Testamento. Ma l’intimità del suo Essere come Trinità Santa costituisce un mistero inaccessibile alla sola ragione, come pure alla fede d’Israele, prima dell’incarnazione del Figlio di Dio e dell’invio dello Spirito Santo. “
Un mistero in senso stretto, uno dei « misteri nascosti in Dio, che non possono essere conosciuti se non sono divinamente rivelati »…un mistero inaccessibile alla sola ragione“
Ma, il mistero per definizione è inconoscibile a maggior ragione se è pure nascosto è due volte non conoscibile, ma se anche qualcuno dovesse avere una divina rivelazione privata che gli dicesse questo mistero come potrebbe capirlo se è “inaccessibile alla ragione” ? E a loro chi lo ha fatto capire ?
Forse dovrebbero morire prima ma poi non lo potrebbero nemmeno spiegare per lo stesso motivo.
E poi, perchè mai il buon Dio si dovrebbe contraddire ? Non lo avrebbe detto neanche al Figlio che è stato mandato proprio per spiegare il Padre ? Ebbene come potrebbe il povero credente acquistare conoscenza di Dio se poi è un mistero così ben nascosto e inaccessibile perfino alla ragione che nemmeno il Figlio ne ha mai parlato ? E non dice il papa che la ragione ha la precedenza sulla fede ?
Ci raccontano anche che Gesù è umano e divino ed è uno con il Padre, per cui essendo Maria madre di Dio, è anche madre di Gesù, divenendo così madre del Padre ma figlia del Figlio che è anche il Padre per cui il Figlio è figlio di se stesso ma anche suo Padre essendo nato prima della madre poiché è eterno.
Ebbene io credo che tutto questo sia oltre il limite della decenza e del tollerabile e non capisco come mai se i tribunali hanno avuto il coraggio di condannare Vanna Marchi per aver sfruttato e ingannato, perchè accettano che milioni di italiani possano essere turlupinati essendo abusati nella mente in questo modo violento e irragionevole che oltre che indignare fa ridere anche i polli.
Sarà mica la paura dell’inferno ?
Concordo in pieno con Antonietta! 😉
Ottimo intervento.
Una sola domanda: visto che cio’ che manca nella ns Repubblica e’ l’applicazione pratica del supremo principio costituzionale della laicita’ dello Stato – come tu affermi giustamente in tutto il tuo articolo – non sarebbe meglio richiamare proprio questo aspetto nel motto dell’UAAR, anziche’ quel ‘liberi di non credere’ che fa storcere a molti il naso?
@ neverclean
infatti, se leggi tutto, io ho proposto un altro motto: “piena cittadinanza alla non credenza” che vorrebbe essere più esplicito; ma se devo dirla tutta, io preferirei che non ci fosse nessun motto, le semplificazioni degli slogan sono sempre parziali, vanno bene per una manifestazione, per sintetizzare un pensiero, meno per condensare l’ispirazione dell’associazione, che ha più di uno scopo statutario