Raffaele Carcano*
Gran parte dell’umanità vive oggi in società in cui non esiste più la certezza dell’esistenza di Dio. Non che nei tempi andati ci fossero evidenze di diverso tenore, ora venute improvvisamente meno: molto più semplicemente, a venir meno sono state quelle leggi che garantivano adeguate punizioni a coloro che osavano mettere in discussione un simile assunto. La laicizzazione e la secolarizzazione hanno fatto il loro corso: il numero dei non credenti è cresciuto esponenzialmente con il crescere dell’istruzione, del tenore di vita, del riconoscimento della libertà di espressione, ma anche la gran parte dei credenti sa che, ormai, affidarsi a Dio significa affidarsi a qualcuno sulla cui esistenza si può solo congetturare. La conseguenza più eclatante di tale situazione è che qualsiasi morale, la cui legittimità riposi su presunte leggi istituite da un essere divino la cui esistenza è opinabile, e la cui interpretazione sia lasciata ad esseri umani inevitabilmente fallibili, si trova ora priva di qualsivoglia fondamento.
Dell’enormità della posta in gioco sono molto più consci in Vaticano che alla Mecca – anche perché i leader arabo-musulmani rientrano tra coloro le cui affermazioni sono tuttora protette con l’uso della coercizione. Benedetto XVI prova probabilmente un po’ di invidia per i fratellastri islamici, ma deve fare di necessità virtù: è per questo che la Chiesa cattolica, dopo averlo combattuto a lungo, ha negli ultimi anni valorizzato il «diritto naturale», accompagnandolo con la richiesta del «riconoscimento delle radici cristiane». Succedanei dal valore argomentativo praticamente inesistente, e che infatti possono attecchire soltanto in ambienti già aprioristicamente favorevoli alle istanze ecclesiastiche.
Tuttavia, qualcuno ci ricorda che una base morale esiste già: è quella che ci accomuna agli altri primati. Presso scimpanzé, bonobo, gorilla, è infatti possibile ravvisare comportamenti e desideri molto simili ai nostri: come noi sono capaci di manifestare emozioni, affetti, altruismo «disinteressato». Il primatologo Frans De Waal, in un importante articolo disponibile sul sito del New York Times, intitolato Morals Without God? (Morali senza Dio?), ha evidenziato molto bene questo aspetto, approfondendo anche ciò che ne consegue. La nostra prossimità biologica con gli altri primati è talmente evidente che è da questo dato di fatto che il dibattito dovrebbe cominciare, anche se ciò genererà mal di pancia a chi continua a pensare che l’uomo è tuttora al centro del «creato», e le altre specie sono state poste a sua completa disposizione. «L’accettazione dell’evoluzione può aprire un abisso morale, per chi crede che la morale discenda da Dio», chiosa a ragione l’etologo olandese, notando come solo un pertinace creazionista possa oggi negare la maggior antichità della moralità rispetto alla religione, che ha alle spalle solo poche migliaia di anni di storia. Qualcuno può ancora veramente credere, scrive ancora De Waal, «che, prima che avessero una religione, i nostri antenati mancavano di norme sociali, o non assistevano i propri simili in difficoltà?» La moralità «è costruita dentro di noi»: e la religione, piuttosto che una fonte della moralità, può invece essere ritenuta un suo mero «accessorio».
Problemi di questo tipo, tuttavia, non sono un’esclusiva dei credenti, sostiene De Waal. Anche se siamo discendenti di altri animali sociali, ritiene difficile definire uno scimpanzé, che non sembra in grado di giudicare l’adeguatezza delle azioni che non coinvolgono se stesso, «un essere morale». La specificità della moralità umana consisterebbe nella propensione a muoversi «verso standard universali combinati con un elaborato sistema di giustificazione, controllo e punizione». Le religioni si sono rivelate straordinariamente adeguate a soddisfare tale impulso: una morale senza Dio è in grado, si chiede De Waal, di fare altrettanto? Ulteriore difficoltà: è «impossibile sapere a cosa assomiglierebbe la nostra moralità» se non avessimo alle spalle millenni di religione. Occorrerebbe trovare una cultura umana che non si sia mai imbattuta nella religione. Impossibile. Del resto, come hanno sostenuto Telmo Pievani e altri sulla scia di Pascal Boyer, siamo in qualche modo «nati per credere». Anche se non siamo affatto destinati a morire cristiani.
Criticando i new atheists, De Waal sostiene che la scienza non è in grado di costituire un’alternativa migliore della religione. Non abbiamo bisogno di Dio per spiegare cosa siamo ora, scrive, ma ciò non implica che la scienza o una visione naturalistica del mondo possano automaticamente diventare un’ispirazione per realizzare il bene. Ogni nuovo sistema ideologico sviluppato per sostenere un certo quadro morale sarebbe infatti destinato, conclude scetticamente, a produrre «una sua lista di principi, i suoi profeti, i suoi devoti seguaci», tanto da apparire molto presto simile «a ogni vecchia religione».
Ricapitolando: dobbiamo metterci alle spalle Voltaire, che sosteneva che «se Dio non ci fosse, bisognerebbe inventarlo», perché l’invenzione di Dio non ha aiutato più di tanto la specie umana dal punto di vista morale. E dobbiamo dimenticare anche Dostoevskij, che riteneva che «senza Dio tutto è permesso», perché con o senza Dio la morale di homo sapiens continua a basarsi, nelle sue caratteristiche più rilevanti, su una morale ‘animale’ risalente ad almeno dieci milioni di anni fa. Ma, poiché non vi sono evidenze che tale morale possa evolvere in qualcosa di molto diverso, anche le etiche non religiose sono destinate allo stesso scacco. Lo scetticismo di De Waal, come si può notare, è notevole, tanto da condurre a una totale impasse: sappiamo che la morale non discende da Dio, ma sappiamo anche di avere pochi margini di manovra per godere di vite morali migliori di quelle odierne.
Tale insolubile difficoltà affliggerebbe dunque nella stessa misura credenti e non credenti. Ma stanno realmente così le cose? Forse la difficoltà è soprattutto dei credenti, che si trovano a dover far fronte a un intero castello ideologico in macerie e a una consolidata abitudine a vivere secondo una morale preconfezionata da qualcun altro. Come se non bastasse, l’inadeguata propensione a mettere mano ai problemi è amplificata dal fatto che le concezioni problematiche sono ritenute «sacre» e, pertanto, difficilmente modificabili. Non è dunque un caso che i credenti siano largamente estranei al dibattito che è stato già avviato negli ultimi anni (si vedano, per esempio, i contributi riportati in coda a Primati e filosofi dello stesso De Waal). I non credenti partono infatti avvantaggiati: cercare di risolvere un problema ritenuto insolubile è una sfida impegnativa, fors’anche utopica, ma più facile da affrontare da parte di chi non ha da rimuovere macigni dogmatici, non ha autorità morale a cui sottomettersi, ed è abituato a creare autonomamente il senso da dare alla propria vita.
Nell’ultimo capitolo di Uscire dal gregge abbiamo riconosciuto che anche una comunità di non credenti (come qualunque comunità umana, fosse anche una bocciofila!) può andare incontro a derive come quelle paventate da De Waal. I non credenti sembrano però disporre di migliori anticorpi: sono infatti più propensi dei credenti ad ammettere che anche il proprio gruppo può correre certi rischi, e sono più abituati – in quanto più laici, in quanto più abituati a ragionare sulla base di evidenze – ad ascoltare le tesi altrui, cogliendo quanto di buono possono offrire per sviluppare ulteriormente le proprie. Sono qualità che non necessariamente sono precluse ai credenti, ovviamente: lo sono però per coloro che appartengono a comunità di fede in cui sono assenti «semplici e praticabili modalità di ingresso e di uscita, democrazia interna, circolazione delle informazioni, riconoscimento delle differenze, spazi per introdurre cambiamenti, la possibilità di esprimere liberamente il proprio pensiero anche quando è critico nei confronti della dirigenza».
Caratteristiche di questo tipo non sono utili soltanto alle società: sono utili anche agli individui, e non solo per sviluppare una morale. Del resto, il fine ultimo di confronti di questo tipo non è certo l’imposizione di una morale unica: è semmai quello di creare società che diano strumenti e spazi affinché ognuno si crei la propria, con una propria concezione del bene, all’interno di un quadro minimo di regole condivise e da rispettare. Per farlo, non c’è dunque affatto bisogno di lunghe liste di dogmi, di nuovi profeti, di devoti seguaci di nuove e vecchie ideologie ritenute inattaccabili.
* Studioso della religione e dell’incredulità, curatore di Le voci della laicità, coautore di Uscire dal gregge, segretario UAAR
Bellissimo articolo, condivisibile in toto.
Lo stesso qualche obiezione.
Scrive Raffaele:
«Del resto, il fine ultimo di confronti di questo tipo non è certo l’imposizione di una morale unica: è semmai quello di creare società che diano strumenti e spazi affinché ognuno si crei la propria, con una propria concezione del bene, all’interno di un quadro minimo di regole condivise e da rispettare.»
Una “propria” morale, una “propria” concezione del bene (e del male) non può darsi. Otto miliardi di morali e di concezioni del bene?
La morale non può essere che “quel quadro minimo di regole condivise e da rispettare” DA TUTTI.
Sul resto si possono avere otto miliardi di opinioni diverse, ma su quelle regole (che possono però anche essere modificate previa discussione) no.
Il “diritto naturale” è ormai l’ultima trincea della Chiesa cattolica: alle verità di fede non crede più nessuno, nemmeno i teologi (anzi, questi sono i primi a riderne: basta sentire le battute che fanno fra di loro*). Visto che non si può più annunciare il Cristo risorto, men che meno ad ebrei e musulmani, ecco la trovata geniale della Chiesa: puntare tutto sul diritto naturale (ma la natura non è corrotta a causa del peccato originale?). Il diritto naturale prevede, secondo il papa, anche il matrimonio cattolico indissolubile (tipo Pivetti, Casini e Berlusconi).
* Una di queste battute: “La verginità [di Maria] è ormai sverginata.” (battuta di due teologi cattolici doc).
Mi associo a Sergio sia nell’elogio all’articolo di Carcano che nell’obiezione sul concetto finale. Certo è molto difficile trovare la definizione giusta per conciliare il principio della libertà di pensiero e di condotta morale personale, con l’esigenza di sottoporsi, nel vivere civile in una società democraticamente ordinata, a regole comuni che stabiliscono quel che si può e non si può fare e quel che si deve o non si deve fare, per non danneggiare i diritti degli altri. Ma questo punto di equilibrio tra le esigenze di libertà dell’individuo e quelle di un corretto “funzionamento” della società si può benissimo trovare, anzi lo si deve trovare, al di fuori dei dogmi e delle imposizioni di una religione, che sono quanto mai opinabili e discutibili, relative perchè diverse tra un popolo e l’altro, e che per di più hanno la pretesa di essere intoccabili e ferme a presunte “rivelazioni” di millenni fa.
Una società non si evolve se resta inchiodata a questo tipo di regole e di morale imposta e immutabile, impropriamente attribuita alla volontà di un dio ma di fatto gestita da gerarchie ecclesiatiche.
D’altro canto non si può e non si deve correre il rischio di cadere nel caos che deriverebbe dall’assenza di regole, morali o civili che dir si voglia, per un malinteso rispetto della più assoluta libertà individuale e rispetto di una moralità personale (che può essere quanto mai elastica e pericolosa per gli altri, si pensi ad esempio alla moralità di un pedofilo…). La scommessa e l’impegno di ogni nazione che voglia essere democratica e laica sta proprio nella ricerca di questo punto di equilibrio, che può cambiare ed evolversi nel tempo, via via che crescono le conoscenze e la consapevolezza dei sempre nuovi problemi ed esigenze delle società per convivere pacificamente e progredire.
non sono d’accordo con quanto dice sergio.
un’ unica morale per tutti è proprio quello che vuole la chiesa (naturalmente la sua morale). inoltre, come si può pensare di ottenere un mondo di individui con un’unica morale? in linea teorica, sarebbe possibile comunque solo attraverso la forza e il risultato semplice sarebbe che il più forte decide.
io credo che raffaele concepisca la morale come l’insieme di valori e conseguenti norme che un individuo crea per sè, relativamente alla sfera privata della propria vita.
invece, il quadro minimo di regole da rispettare sono (o dovrebbero essere) le leggi. in un paese civile e democratico le leggi regolano esclusivamente la vita comune, il rapporto dell’individuo con altri individui e con la società in genere.
sono due sfere che devono rimanere assolutamente distinte:
– la sfera pubblica, regolata da leggi comuni
– la sfera privata, nella quale ognuno deve essere libero di identificarsi nei valori che ritiene più validi
Scusa JSM ma tra te Sergio e Cassandra non vedo alcuna differenza sostanziale.
Qualche sfumatura forse ma non certo l’insieme. O sono io che non ci arrivo?
Capisco un po’ quel che vuoi dire. Hans Küng ha scritto un libro, «Weltethos», (non so come questo titolo sia stato tradotto in italiano, ma il senso è “etica universale”). In questo libro l’autore propone alcune norme morali valide per tutta l’umanità. Penso anch’io che sia possibile mettersi d’accordo su alcuni principi: potrebbero essere i famosi o famigerati dieci comandamenti o un altro canone morale (personalmente considero validi tre comandamenti del decalogo, gli altri setti sono per me sorpassati o comunque inservibili – che significa per es. “onora il padre e la madre”? Boh!).
Oppure possiamo considerare fondamentali e “non negoziabili” i diritti umani.
Ecco, un minimo comune denominatore insomma. Non penso si possa dire che ognuno può farsi la propria morale.
Poi certamente c’è anche una sfera privata in cui hanno parte rilevante o anche essenziale altre norme più contingenti che rispecchiano lo spirito dei tempi, i gusti generazionali ecc. Cogenti magari come le norme universali, ma attribuisco lo stesso maggiore importanza a un’etica che sia accettata veramente da tutti (pochissimi principi o regole). Escluderei da quest’etica, per fare un esempio, la morale sessuale cattolica col matrimonio indissolubile che è ormai, ma in fondo lo è da sempre, il cavallo di battaglia della Chiesa.
Credo che si confonda un po’ la morale con la politica che sono due sfere distinte anche se hanno un’interfaccia tra loro.
Entrambe hanno una matrice comune: cercare ciò che è bene, ovvero ciò che conserva un utile, ovvero conserva la dignità umana (morale) e la società (politica).
La differenza è che la morale individuale nasce e vive su una libertà piena e un’adesione consapevole, la politica si fonda sulla coercizione verso chi, con una morale opposta, può distruggere il patto sociale.
E le leggi sono appunto la formalizzazione dell’etica sociale che deve essere condivisa volento o nolenti.
Poi lo Stato liberale colpirà le morali distruttive per lo Stato stesso solo quando si tramutano in azioni, lo Stato più autoritario le colpirà già alle radici e la differenza tra le due concezioni passa anche attraverso le varie situazioni storiche.
Ma, appunto, esistono formalizzazioni etiche di gruppo che dovrebbero orientare gli Stati stessi, cioè la Dichiarazione dei diritti, e questo ci mostra come, quando un diritto che prima non si concepiva viene razionalmente ammesso e concepito, lo Stato democratico stesso può integrarlo nel suo corpus giuridico.
quello che voglio semplicemente dire è che la vita dell’individuo è sostanzialmente scindibile in due parti: la sfera privata e quella interpersonale (con un altro individuo e con l’intera società in genere)
sono d’accordo che nei rapporti interpersonali ci debbano essere delle regole valide per tutti (vedi il non uccidere, non rubare, ecc.).
quello che non capisco è perchè la sfera privata di un individuo debba essere regolamentata da regole morali valide per tutti. a parte il problema di mettere in pratica quest’assurdità (chi decide quali sono le regole morali corrette?), ogni persona è libera di vivere la propria vita come meglio crede: se decide di credere in dio piuttosto che essere un ateo materialista come me deve essere assolutamente libero di vivere di conseguenza. se decide di vivere da solo e trascorrere una vita nello studio piuttosto che fare famiglia deve essere pienamente libero di farlo.
perchè ci devono essere dei valori universali? questo è il tipico pensiero di una chiesa totalitaria com’è stata quella cattolica per molto tempo.
nella mia pur breve esperienza di vita ho imparato che spesso chi sostiene che ci devono essere delle regole morali universali ha la presunzione di esserne in qualche modo depositario.
a stefano
sergio ha detto che è preferibile una morale che sia condivisa e rispettata da tutti. io ho negato questo punto affermando che ognuno è libero di riconoscersi nei valori che ritiene più opportuni
ti sembra che sia sostanzialmente la stessa cosa? a me no
Jsm,
forse non mi sono spiegato: personalmente per ciò che riguarda le decisioni su se stesso (fede o non fede, sessualità, abbigliamento, modo di vivere la socialità se si vuol farlo) nulla e nessuno ha da interferire.
Quando scatta il rapporto con terzi (io faccio il ginecologo ma non voglio praticare aborti; io voglio usare la violenza senza forme di mediazione; io ritengo morale rubare; ritengo giusto fare sesso anche senza consenso; ritengo che il monopolio della forza non spetti allo Stato ma agli individui o ai gruppi) lì c’è bisogno di una morale condivisa.
Credo che il discorso che ‘la mia libertà finisca dove nuoce a quella dell’altro’ sia ad oggi il principio dirimente per uno stato laico e non etico.
La morale dovrebbe essere prodotto e frutto della ragione e della consapevolezza che l’uomo esiste in quanto essere socievole e sociale.
Ci sono comportamenti che danneggiano la collettività e quindi danneggiano indirettamente ogni singolo.
Esiste d’altronde nell’animo umano una tendenza all’empatia che fa il paio con la tendenza egoista e distruttiva: un semplice ragionamento su cosa sia più dannoso per la società e quindi per noi stessi dovrebbe temperare l’egoismo.
E infatti io non credo nella relatività della morale, bensì nella sua progressività: con l’avanzare del tempo, della cultura e del benessere nascono idee sempre più estese di diritti che vanno strappati e conquistati (chi avrebbe pensato sino a poco tempo fa’ ai diritti degli altri animali?).
Dunque, una tendenza naturale alla socievolezza e all’empatia, un semplice ragionamento sui comportamenti e l’estensione dei diritti dovuta alle conquiste del benessere e all’acculturazione e una repressione per chi trasgredice la formalizzazione di questi diritti (e doveri che conseguono) in leggi costituzionali e particolari.
Non credo vi sia bisogno di molto altro.
Ma LOL!
Concordo!! 😉
Non ne vorrei fare una questione mera formale o semplicemente di nome, ma da come è stato trattato nell’articolo di Carcano, il termine “morale” in campo non religioso o filosofico, corrisponde maggiormente al concetto di condotta comportamentale civica, con questo inteso come un orientamento sociale volto alla collaborazione tra individui per il mantenimento di un ordine sociale volto a creare presupposti di sicurezza e sviluppo della società stessa.
Le manipolazioni della nostra società, ad opera delle oligarchie dominanti, hanno fatto si che i presupposti migliori, la summa del pensiero razionale, venisse adombrata sotto le ideologie degli ultimi due secoli. Faccio ovviamente riferimento alla dichiarazione dei diritti civili dell’uomo post rivoluzione francese.
Questa è la ragione per cui guardo con sospetto il confronto con i nostri avversari a questo livello, armati a nostra volta di quelle argomentazioni filosofiche che trovano nel repertorio dei nostri stessi avversari quegli stessi riferimenti per avvicinare il pubblico al dibattito, partendo dalle stesse posizioni dei nostri antagonisti.
Non ritengo altresì favorevole al dibattito, un confronto con il mondo religioso basato sulla ricerca della contraddizione all’interno dei loro stessi dettami. Non abbiamo necessità di disquisire con essi a proposito della natura della natura stessa, del quanto possa essere più o meno corrotta da eventi di non meglio identificati, in quanto ritengo che la differenza qualitativa che ci distingue sia a monte di questo discorso.
Per quanto mi riguarda ritengo già sufficiente, per l’individuo singolo, la capacità critica di riconoscere un’azione manipolatoria da parte di un potere che, in questo, perpetra una azione persuasiva che trova la propria efficacia nella regolarità temporale con cui viene proposta ad un pubblico spesso acritico, o che non è in grado, o che non desidera, spogliarsi della propria cultura, ivi compresa la già sottintesa morale religiosa, per assurgere ad uno stato di responsabilità laica della propria esistenza, che necessita di strumenti culturali spesso lontani dalle istituzioni scolastiche precedenti il mondo universitario.
Degne dell’articolo di Carcano le osservazioni di Cassandra e Batrakos: che bella giornata!
Penoso invece l’intervento del cattolico che si gloria delle sue stampelle (Agostino, Tommaso d’Aquino, Pascal, Kant ecc.). L’Aquinate era per la confisca dei beni degli ebrei e la pena di morte per gli apostati, Agostino chiamava la polizia per combattere i riottosi all’ortodossia ecc. Kant poi non credo fosse cattolico, anche se in fondo in fondo era anche lui un teologo (ma non papista).
Abbi coraggio, butta le stampelle, cammina con le tue gambe: vedrai che ce la fai (o come diceva quel tale: alzati e cammina).
Carcano:
Lettera al Presidente della Repubblica Napolitano.
Risultato: Nessuna risposta.
Lettera a Sua Santità Benedetto XVI.
Risultato: Nessuna risposta.
Ma quando ammetterete sinceramente e razionalmente che vi ignorano tutti?
“Lo scetticismo di De Waal, come si può notare, è notevole, tanto da condurre a una totale impasse: sappiamo che la morale non discende da Dio, ma sappiamo anche di avere pochi margini di manovra per godere di vite morali migliori di quelle odierne. Tale insolubile difficoltà affliggerebbe dunque nella stessa misura credenti e non credenti.”
Io sono convinto che la realtà è continua trasformazione e che questa è la nostra speranza.
La positività, la ragione, l’emancipazione assieme al senso di appartenenza alla specie cioè la nostra “umanità” (non mi piace il termine “fratellanza” è un termine religioso: prevede un genitore comune, del resto io ho avuto solo una sorella cosa sia avere un fratello o più fratelli me lo devo inventare) può farci sentire protagonisti nella trasformazione.
E vi può essere sempre una trasformazione morale.
Molto interessante! Ma questa moralità che tutti gli uomini hanno in quanto esseri razionali e che, in parte, condividiamo con i primati come si declina? Esistono studi che indicano di preciso quali siano le regole morali che tutte le società condividono? O si pensa che l’evoluzione in alcune “razze umane” (perdonate la bestialità ma mi spiego) rimaste isolate da altre abbia prodotto norme diverse proprio per motivi genetici? E, se invece più o meno le regole morali di base sono sempre quelle, qual è la differenza con il “diritto naturale” di cui tanto parlano i cattolici? E possiamo dire che un comportamento è moralmente sbagliato perchè si discosta da questi principi basici o possiamo supporre un “errore” nella percezione di queste regole in persone in qualche modo “tarate” (proprio in un qualche punto del loro genoma che non fa loro percepire come tutti gli altri questa morale insita in ciascuno) e quindi non è possibile giudicarli “cattivi” ma solo “diversi moralmente”?
Scusate la confusione….
Annina,
hai fatto delle domande a parer mio fondamentali e perfettamente comprensibili, altro che confusione.
Mi associo alla tua curiosità e spero che ci sia qualcuno che ne sappia su questi settori per rispondere adeguatamente.
Apprezzo anch’ io il tuo modo di porre il problema, e dico in proposito la mia.
Io penso che la , in minuscolo, è un concetto che ha, nel tempo e nello spazio delle società reali, struttura e forme distinte che possono intersecarsi e collidere, ignorarsi, assimilarsi o coincidere; fa parte della della come le metamorfosi del soma, degli organi e pure della logica a disposizione delle diverse generazioni.
In sintesi estrema la in maiuscolo è semplicemente una istanza di quella in minuscolo; la morale dunque é relativa con buon pace degli dei presenti e passati e degli idealisti sopra e sotto l’equatore.
Il pessimismo del Sgr Frans De Waal, è dunque fuori luogo; nel fatto, dai quasi bonomo antichi ad oggi, le morali si sono succedute senza far grossi disastri dato che siamo ancora quì, e siamo ben diversi (migliori ovviamente) di allora.
A conforto della mia tesi (meglio della tesi da me espressa) citerò 2 comportamenti del figlio di Teti, figlia di Giove, e Peleo, il famoso piè veloce eroe; un uomo pio, stimato come persona per bene nella società di allora (lo sciamano Calcante si rivolge a lui dicendo ):
1: Furibondo per la minaccia di rapirgli Briseide (la fanciulla minorenne bottino di guerra donatogli dall’ esercito acheo) da parte del generale supremo Agamennone
chiede alla madre di implorare Giove affinchè .
Non solo la vendetta è morale, ma lo è anche se va oltre il responsabile della offesa e coinvolge i suoi fiancheggiatori attivi e passivi; comportamento morale ben nota a molte civiltà, obsoleto ma per nulla sparito.
2: In occasione del funerale di Patroclo, per onorare l’amico morto e consentirgli di entrare nell’ Ade con il giusto seguito, ammazza e mette sulla pira cavalli e schiavi troiani, oltre ad altro bestiame sacrificato agli dei.
Uccidere non solo per legittima difesa, non solo in guerra e mi fermo quì, è morale.
Naturalmente si può sostenere che questa NON è morale, o con maggior finezza argomentare che è una morale contro natura, ossia NON è la morale naturale; argomento che non nega la realtà delle altre morali, artificali o evolutive che siano, anzi ne conferma la esistenza manifestandone il proprio disprezzo.
Viene il sospetto che qualcuno sia convinto che la unica vera merda sia la sua.
Spiacente: sono abituato a chiudere tra due angoli acuti, sinistro e destro, anziche tra virgolette il testo che intendo rimarcare. Mi sono dimenticato che in questo ambiente gli angoli fanno ignorare quanto vi è contenuto.
Aggiungo i pezzi mancanti:
1. Io penso che la “morale”, in minuscolo
2. In sintesi estrema la “Morale” in maiuscolo
3. (lo sciamano Calcante si rivolge a lui dicendo “Amor di Giove, generoso Achille”):
4. implorare Giove affinchè “soccorra ai Teucri perchè fino alla navi le falangi Achee tutte,siano spinte e rotte e trucidate”.
Annina, in quanto ateo accetto l’assenza della risposta.
Io credo che il mio principio sia stata la relazione sessuale tra mia madre e mio padre.
Prima di quella relazione io non esistevo! Il principio non è il verbo ma un amplesso.
Solo qualcuno poco sano di mente può attribuire delle resposabilità ad un bambino appena nato, figuriamoci attribuire delle responsabilità a chi non esiste.
Dopo che lo spermatozoo di papà ha incontrato l’ovulo di mamma, io ho iniziato a rischiare la pelle. Così è stato per ogni attimo successivo. Tra un attimo io potrei essere morto o più felice (o anche no) di un attimo fa.
La vita è relazione e rischio.
Qualsiasi cosa noi facciamo, pensiamo (e dunque scriviamo o digitiamo) o sentiamo (sentimentalmente o istintivamente) è un rischio, non siamo mai sicuri della validità.
Come i nostri progenitori si fabbricavano degli strumenti di pietra e da sempre noi abbiamo bigno di fabbricarci degli strumenti fisici, così noi ci fabbrichiamo degli strumenti psichici.
La religione, la politica, la scienza ecc. sono strumenti psichici. Possono funzionare o no e possono cambiare nel tempo e nello spazio.
Tu dici: “Ma questa moralità che tutti gli uomini hanno in quanto esseri razionali e che, in parte, condividiamo con i primati come si declina?”
Sta a noi trovare il modo!
Io sono convinto che la salvezza sia quando gli esseri umani riescono ad andare d’accordo gli uni con gli altri, quando riescono a trovare un modo positivo di stare insieme. Senza perdere la faccia però!
Non mi riesce di vedere altra forma di salvezza.
Cerco di dare un mio opinione con quel poco che so: le regole di tutte le società in linea di massima convergono, cioè riferito a questioni fondamentali come, rapporto con la morte, la genitorialità, la comunità, il cibo ect ect. Spesso capita che per lo stesso quesito due culture diverse hanno adottato una delle due scelte possibile, per esempio in caso di scarsità di risorse le popolazioni amazzoniche hanno scelto la competizione spietata fra i gruppi ed individui, con la conseguenza di crescere al massimo l’ aggressività degli individui, e quella di alcune isole della Micronesia hanno “optato” per la scelta della condivisone totale dei beni quindi competizione pari a zero, quindi collaborazione al massimo e aggressività molto bassa. I risultati ottenuti sono identici, entrambi i gruppi umani sono sopravissuti, il perché delle scelte ha bisogno di un studio molto piu profondo che vada ad indagare anche nelle differenze biologiche fra di loro.
bardhi, ti faccio un’altro esempio: in Tibet, dal momento che esiste scarsità di cibo visto che a qull’altitudine puoi coltivare solo orzo e poche altre cose, almeno fino all’altro ieri la popolazione aveva una abitudine: il controllo delle nascite attuata con un sistema che secondo i cattolici sarebbe stato definito peccaminoso oltre ogni principio.
Una donna quando si sposava, si accoppiava con il marito e con tutti i suoi fratelli; con questo sistema si riunivano cinque sei o sette famiglie in una e nasceva solo un bambino all’anno. Come si usa dire necessità fa virtù. La morale, come vediamo, è solo l’adattamento a ciò che serve alla sopravvivenza di ognuno di noi.
Ma in concreto… antichità e etnologia a parte, c’è qualche SEMPLICE idea delle basi per una convivenza tra uomini ‘moderni’ ? E su cosa possiamo “ancorarle”? Sul mettersi d’accordo di volta io volta? O sul cercare qualcosa di molto basic + o – generalizzabile e condivisibile per tutti?
in teoria, ci ha provato Marc Hauser con “Menti morali”.
cerca di mostrare che ci sono tipi di comportamento che si riscontrano in tutte le società, anche in quelle rimaste isolate. per esempio, il doppio effetto che emerge quando si sottopone agli individui il trolley problem: c’è un tram che corre senza freni, sulle rotaie ci sono 5 persone. tu puoi azionare lo scambio e mandare il tram su una rotaia diversa, ma lì ucciderà una persona. azioni lo scambio? in genere, la maggior parte dice di sì (5 salvi è meglio di 1, utilitarismo).
ora, immagina di poter solo gettare un omone sui binari per far deragliare il tram: ce lo butti? La maggior parte dice di no. Eppure, il rapporto è sempre 5 contro 1.
questo esperimento è stato presentato in modo non viziato in società diverse: dove non esistono tram, sono stati introdotti attachi di coccodrilli e cose simili. lo schema si ripete: quando la morte dell’1 non è direttamente imputabile a me, ma un effetto secondario del salvataggio dei 5, allora si può fare.
piuttosto curioso che uno dei primi teorizzatori di questo schema sia stato tommaso d’aquino…
(comunque, poi hauser è finito in casini perché apre che abbia truccato alcuni dati delle sue ricerche per farli combaciare con le sue teorie)
Tutti apprezzabili i commenti al bell’articolo di Carcano… compreso quello del CIRENEO, la cui miseria argomentativa non fa che confermare ‘e contrario’ la validità degli altri.
Per quanto mi riguarda, mi sono convinto che – come per altri molti affermano – il vero punto di riferimento per parlare di morale è la razionalità. Però in questo senso.
Tra le facoltà ‘vitali’ (chiamiamole pure istinti) di cui l’evoluzione ha dotato l’uomo ce n’è una che – per quanto se ne sa – lo distingue dagli altri esseri viventi, senza naturalmente per questo conferirgli alcuna superiorità: parlo, appunto, della ragione. In altre parole, l’istinto di cui la specie per conservarsi come specie ha dotato gli individui umani, assieme a tutti gli altri istinti, è la razionalità. Quindi, semplificando al massimo, e detto un pò brutalmente: o gli individui umani esercitano questa facoltà in funzione di una sopravvivenza della specie che non può che dipendere dalla possibilità degli individui di riprodursi, oppure la specia umana è desinata all’autodistruzione. Se l”homo homini lupus’ non trova nell’uomo stesso l’antidoto, quella stessa ragione che dovrebbe garantirne la riproduzione lo porterà all’autidistruzione. Cosa della quale l’evoluzione, per così dire, se ne farebbe un baffo, dal momento che altre specie si sono estinte prima dell’uomo, altre sono sopravvissute fino ad ora e presumibilmente sopravviveranno all’uomo dopo la sua eventualke estinzione, altre ancora si genereranno.
A conferma di ciò è la constatazione che, al punto attuale della storia dell’umanità, l’uomo – USANDO LA RAGIONE – si trova nella condizione,… da un lato di autopromuoversi in modi praticamente infiniti, e, dall’altro, di autodistruggersi proprio come specie avendo elaborato e realizzato i mezzi concreti per farlo. Credo si trovi di fronte a questo bivio.
In questo quadro, due considerazioni.
Per quanto riguarda l’etica (il comportamento ‘buono’, virtuoso) non può che derivare da un uso della ragione in funzione della SOLIDARIETA’, intesa, shopenhaurianamante, come com-passione, con tutto quanto ne consegue per quel che riguarda i rapporti umani. (Anche se Schopenhauer parla della compassione come di un ‘mysterium’, personalmente credo che se ci riferisce alla ragione, non c’è alcun mistero.)
La religione. Poichè la razionalità (la coscienza, la consapevolezza che ne deriva) ha posto l’uomo nella condizione di ‘sapere’ della propria fine come individuo, per istinto ugualmente vitale, ma irrazionale, è portato a ipotizzare una vita oltre la morte, in senso letterale o metaforico che sia, sfuggendo però così alla condizione che gli è specifica… ponendo in questo modo in secondo piano la necessità di vivere pienamente il tempo che la specie concede agli individui considerando la morte individuale non una fine, ma un nuovo inizio. Per il quale non è poi così indispensabile la vita coscientemente vissuta, mentre lo è la vita come dimensione che comunque non dipende da noi. La vita come ‘sacralità’.
Però anche l”homo religiosus’ prima di tutto è un uomo che condivide con gli altri la condizione umana, per cui – come bene mette in luce Raffaele – se si rimette alle indicazioni provenienti dalla ragione (quella ragione che in qualche modo gli ha comunque consentito di arrivare fin qui) E TENENDO BEN CONTO CHE ESSA PUO’ ESSERE USATA ANCHE COME MEZZO PER AUTODISTRUGGERSI (il ‘thanatos’ contro l”eros’ di cui parla Freud) potrà uscire dall’alienazione religiosa.
Come? ‘Ateismo o barbarie’.
Condivido il pensiero di De Waal come riportato da Carcano.
La scelta di quale sia la morale che dev’essere condivisa da chiunque è tutt’altro che banale.
E’ giusto che ogni persona abbia la propria morale. Ma che succede se la mia morale confligge con quella del mio vicino? Come fare a decidere qual è la migliore? Credo che sia impossibile, perché ciò richiederebbe il ricorso a una morale superiore che non esiste.
Allora penso che l’unica soluzione sia la formazione di gruppi umani composti da gente che condivide i principi morali ritenuti irrinunciabili, che vengono codificati come leggi. Gruppi del genere più o meno già esistevano, si chiamavano nazioni. Magari non funzionavano benissimo, ma temo che, considerate le premesse, non si possa pretendere molto di meglio. Con gli spostamenti umani di massa che si sono verificati negli ultimi anni, i gruppi si stanno destabilizzando, morali incompatibili si mescolano, e ne stanno nascendo conflitti difficilmente sanabili.
2.500 anni fa qualcuno che aveva meditato fruttuosamente, era arrivato alla brillante conclusione che per vivere una vita piena bisogna evitare le sofferenze (nostre e di tutti gli esseri viventi) e promuovere l’altruismo.
finalmente la ricetta é semplicece: introspezione e buon senso o logica o come la vuoi chiamare.
Mi trovo in sintonia con parecchi dei commenti qui esposti, nello specifico quelli di Gualerzi e Batrakos e dunque provo a esporre sinteticamente il mio cercando di rilanciare.
Ritengo che occora spostare il punto di vista dall’individuo alla collettività e nello specifico userei il termine di “specie umana”, ciò che viene premiato nell’evoluzione naturale è la utilità o meno alla specie dei cambiamenti introdotti, nella specie umana il concetto di utilità o disutilità per il benessere e lo sviluppo della specie dovrebbe essere il primo criterio (non l’unico ovviamente). Procedendo oltre; dato il grado di consapevolezza che in teoria dovrebbe avere raggiunto la nostra specie, ritengo sarebbe il caso di ampliare il concetto di benessere della specie trasformandolo in benessere delle specie, comprendendo cioè tutto il consorzio dei viventi data la interdipendenza tra i viventi e la meravigliosa singolarità dei viventi stessi.
Sono principi semplici da cui si potrebbe partire per una ridefinizione di ciò che è morale e ciò che non lo è, lascio a chi ne ha voglia l’esercizio di provare ad applicare il principio di utilità e disutilità alla/e specie su tutto il nostro modo di agire, una prima conseguenza è il riconoscere la disutilità delle religioni e la loro intrinseca immoralità in quanto separano e contrappongono individui della stessa specie e poco importa che si comportino da vittime o da carnefici, le religioni sono comunque disutili alla specie.
Secondo me le religioni quando sono state fondate potevano avere un’utilità, per esempio di stabilità sociale e mantenimento del potere, una sorta di costituzione legata a punizioni soprannaturali per renderla più efficace, norme igieniche e comportamentali basate sulla sapienza di allora (visto che allora spesso i religiosi erano tra i pochi ad essere istruiti) e talvolta potevano anche includere cose “progressiste”. Il problema nasce dal fatto che la maggior parte di queste religioni è stata fondata 2000 o 3000 anni fa e sono sostanzialmente in linea con la cultura di allora: essendo conservative sono riuscite in qualche modo faticosamente ad adattarsi (o ad ostacolare) i piccoli e lenti progressi avvenuti fino al ‘700 (o dopo per altre nazioni, o addirittura non ancora avvenute), ma sicuramente risultano arretrate ed anacronistiche per gli sviluppi degli ultimi duecento anni e per i cambiamenti sociali e culturali avvenuti nei paesi occidentali (e lentamente anche negli altri). Oggi rappresentano chiaramente solo un freno ed un problema e non sono utili.
Riguardo alla ragione ritengo che sia la storia, che la conoscenza, la debbano sostenere. L’evoluzione della nostra etica è legata a queste conoscenze. Anzi sono convinto che la conoscenza critica della nostra storia possa essere un buon motore per la nostra etica, visto che dovremmo aver accumulato una notevole esperienza di “try and error” in questo campo. Questo implica, però, che differenti storie, assieme a differenti culture possano portare ad etiche differenti, anche se convergenti su alcuni punti. Non è possibile pensare ad un’unica etica condivisa e statica, ma probabilmente vi saranno più etiche evolutive, con elementi comuni. L’obiettivo deve essere il miglioramento sociale e psicologico delle persone, ma anche economico perché solo chi si trova svincolato dal problema economico può porsi il problema di migliorare la propria etica.
Per fare un poco di sarcasmo: diceva Feuerbach che il pregio della religione era l’avere insegnato a non commettere incesto, ora però tra i religiosi si nascondono pedofili.
Più etiche possono anche convivere e migliorarsi vicendevolmente ma resta comunque il principio di utilità o disutilità alla/e specie che è necessario rispettare e la ragione può solo aiutare a discernere tra ciò che si può considerare utile (moralmente accettabile) e ciò che è disutile (moralmente non accettabile).
domanda (non polemica):
E se facessimo finta che Dio esiste (consapevoli del fatto che sia una colossale balla)… …vivremmo meglio? Tanto quando moriamo non c’è nulla oltre la vita terrena, dunque non verremo premiati, non ci daranno una medaglia per aver avuto ragione. Tanto… secondo me, la stragrande maggioranza dei pretazzi sono atei o agnostici, e sfruttando la stupidità dei religiosi per fare soldi, ottenere il potere e controllare le masse. fatemi sapere…
Se esistesse un essere tanto malvagio come il dio giudaico-cristiano, penso che vivrei… uguale a come vivo oggi!
La faccenda, per me, sarà diversa una volta morto; immagino due possibilità (sempre ammettendo che il dio cristiano esista):
1) finisco dritto all’inferno per l’eternità, ma almeno avrò la soddisfazione di sapere che quanto predicano i cattotaliban è parzialmente errato, cioè il loro dio non è così buono come vanno in giro a raccontare;
2) dio è troppo buono ed io mi sbagliavo nel ritenerlo malvagio, quindi non mi spedirà all’inferno per l’eternità, ma dopo un passaggio per il purgatorio potrò salire nel regno dei cieli (ah ah ah). Fra le due è l’ipotesi migliore, visto che mi sarò goduto la mia vita terrena come meglio ritenevo e visto che l’aldilà non sarà così tremendo.
preferisco il dio calvinista che sa già dove andrò
anche se è più probabile che, se c’è qualcosa, l’aldilà potrebbe essere una reincarnazione nell’aldiqua
ma a questa stregua, è ovvio, che ognuno possa pensare l’aldilà come vuole
chi può saperlo? il papa? non credo proprio
13 miliardi di anni ha l’universo, ce ne aspetteranno altrettanti prima di risorgere, di reincarnarci?
io dei primi 13 miliardi di anni non ricordo niente.
difficile pensare che ci sia un’entità creatrice, che dio esista.
Se dio esistesse è ancora un ipotesi campata per aria, ma non è un ipotesi scientifica che merita attenzione e approfondimento, quindi, siamo nell’ambito delle congetture, ma l’ateo non vive di congetture teologiche, magari si può dire che di queste cose vivono i preti e gli insegnanti pagati dallo stato, questo purtroppo è vero.
Quando l’agnostico può sciogliere le sue riserve su dio ed essere autenticamente ateo e razionalista?
Questa secondo me è una domanda a cui si deve dare una risposta, almeno tra noi.
complimenti per l’ottimo articolo. Non credo nella trasmissione del pensiero, ma a volte una serie di coincidenze portano alle stesse conclusioni nello stesso tempo. Pure io da qualche tempo mi “cullo” in questo tipo di riflessioni. Ancora bravo!
Sto deguendo su RaiNews una parodia sui pro-life e conservatori antiabortisti, davvero divertente.
comici americani sulla religione, è un vero spasso, troppo forti..
sentite questa: se gesù l’avessero ucciso in tempi recenti i ragazzi delle parrocchie sarebbero andati in giro con la sedia elettrica al collo invece del crocifisso.
Il servizio è terminato ma attendo che ne rifaciano una replica ancora su RaiNews
E’ la replica delle ore 1,10 di stamattina.
A me è piaciuta invece quella che Gesù non si farà mai vedere perchè i cattolici portano al collo una croce che gli ricordano momenti spaventosi di sofferenza.
Quella della sedia elettrica è pressapoco uguale a quella di Benigni 95 e cioè che se invece di essere crocifisso fosse stato impiccato, come segno i cattolici avrebbero imitato l’azione della corda al collo tirata dall’alto.
Faccio un ragionamento semplice e uno complesso:
nel caso Mistico. Dio non può parlare alla mente delle persone in quanto induce ad una subditanza fanatica e porta al dualismo “credi prima di ragionare”, cioè, “non sei più tu che vivi ma cristo vive in te”, quindi, “fatti da parte e lasciati guidare dalle ispirazioni divine”, e ancora “se il papa non crede alle tue locuzioni interiori con chi credi essere dio, gesù e i santi, vuol dire che non sono loro ma il diavolo e ti manda dal p. Amorth, oppure ti manda lui stesso dallo psichiatra, cioè, Francesco Bruno”; “se ti crede che siano dio, santi e angeli, allora non potrai più contestare il suo magistero, anche se le voci ti diranno magari che il papa è l’Anticristo e la Chiesa è la meretrice di babilonia”. Ergo, sei fottuto sia nella mente che nell’anima, dannato benedetto dal papa.
Nel caso istituzionale. Dio, beh..non porprio lui, diciamo chi lo rappresenta in sua vece come mediatore tra dio e l’uomo, vuole che le sue leggi divine diventino Dichiarazioni ONU, Costituzione Europea e Italiana, trattati europei e internazionali e che tutti i politici formino un alleanza contro l’ateismo, il secolarismo, il relativismo, ecc….ecc….. In Italia questa santa alleanza c’è già da tempo ma, se non fosse bastato, necessitava certo delle dichiarazioni ateofobe di Frattini.
Nel caso istituzionale. Le scuole per cittadini di serie A e di serie B sono una realtà voluta dall’ufficialità cattolica mady in Vaticalia, dico ufficialità perchè se ci fossero cittadini cattolici non d’accordo con la politica cattolica voluta dal papa, sappiano che sono eretici, anche se questi ribelli cattolici si compottano da cittadini laici tolleranti e non fanatici, cioè, non obbedienti al papa B16. Se vofliono essere coerenti si sbattizzino, perchè più si va avanti più quelli che rimarranno nella chiesa saranno solo i fanatici irriducibili e hanno pure la patente di essere pro-life, aggressori e prepotenti militanti contro la laicità dello stato, in particolar modo contro le persone in carne ed ossa, cioè le donne che vogliono avvalersi della 194.
Nel caso teologico. Il cattolico non può essere agnostico e razionalista, meno che mai ateo, ma nella realtà esistono atei devoti e catto-atei in politica, quindi, trasversalmente appoggiano entrambi l’intervento del Governo italiano al’ONU sulla libertà religiosa che, ma potete immaginare che comprenderà un’indulgenza verso l’islam e una battaglia contro il libero pensiero, cioè, che si accoderà alle risoluzioni ONU sostenute dai paesi arabi sulla bestemmia e sull’impunità di alcuni provvedimenti islamici a discrezione delle legislazioni nazionali arabe (vedi arresto dell’ateo blogger), che vorrà dire impunità anche per l’Italia se legiferasse contro il pensiero libero anticlericale. Questo Intervento italiano all’ONU son curioso di vedere cosa dirà sulla cristiana accusata di bestemmia in Pakistan, magari la chiesa cattolica la obblogherà a chiedere perdono all’islam in nome di un compromesso distensivo, quindi, al diavolo la sua bstemmia e accetti la penitenza interreligiosa.
Personalmente, caro Raffaele ti faccio i miei complimenti per essere stato riconfermato segretario, ti ho ascolta tomolto volentieri assieme alla Orioli a Radiocittàaperta alle 14:30 di oggi. Tu non mi conosci di persona e magari un giorno potrò venire a Roma per incontrarti, ma il mio percorso non è stato facile in questi anni, ma ne sto uscendo molto bene, nonostamte la mia diversamente disabilità; l’altro ieri ho dovuto dire la verità ad un’amica profondamente cattolica a cui presto del tempo per trascrivergli delle cose al PC e lei ha reagito dicendomi che sono falso perchè pensava che io fossi ancora nella chiesa cattolica, ma le ho risposto che sono cose molto delicate per me in famiglia, quindi, le ho chiesto di essere molto discreta e comprensiva. Le ho dovuto illustrare le attività dell’UAAR e le ho fatto capire quali sono le battaglie civili e culturali che l’associazione porta avanti, ma lei ad un certo punto ha reagito dicendo che lo stato deve obbedire alle disposizioni morali ed io, a quel punto, ho risposto: Sono nella tua mente questi problemi morali, non puoi pretendere che si imponga a tutti una morale cattolica se la stessa religione omonima non è più religione di stato, quindi, che lo stato non deve essere trasformato in teocrazia vaticaliana, poi mi ha detto che Berlusconi aveva detassato i piccoli proprietari, alchè ho capito perchè mi ha detto che ero falso, perchè ha intuito che io sono contro Berlusconi (quindi per lei come se fossi d’accordo con la tassazione dei piccoli proprietari) e il suo governo, ma lei era disposto a contestualizzarlo e lo difendeva dal moralismo dei giornalisti come Boffo ecc…ecc…., allora le ho spiegato le ragioni del COPASIR sulla scorta che si è lamentata del cattivo e privato uso che ne faceva il premier, quindi, una questione di spesa publbica con i soldi del contribuente per portare da Lele Mora a berlusconi le top girl per i suoi bunga bunga con tanto di fotogtafi al seguito.
Caro Raffaele, mi sono liberato di un peso, sono riuscito a dirle quel che volevo dirle , che sono socio UAAR, tempo fa ma non era pronta a recepirlo, ogggi spero che ci rifletterà sopra e che mi rinnoverà ugualmente la sua amicizia.
Nella religione cattolica non esiste l’individuo ma la gerarchia e la comunità intesa come fede obbediente e introiti dallo Stato. L’individualismo è condannato dalla chiesa cattolica come eresia ed egosimo, ma meglio che siano sinceri e lo chiamino per nome: autodeterminazione delle proprie scelte di vita, secondo coscienza.
Comunque sia, l’individualismo appare anche come una seccatura per quasiasi ambizione collettiva di assurgere a rappresentanza del popolo come populismo religioso e politico, quindi, è proprio su questo argomento che tante religioni e politiche si sono scisse, protagonismi e antagonismi agli estremi opposti o in aleanze più o meno opportunistiche, ma di certo molto ipocrite e via via logorandosi in ulteriori scissioni trasversali, scismi, settarismi ecc….ecc…
Urge un vero studio, serio e approfondito, sul significato di individuo (individuus, indivisibile) e individualismo, come aspetti della psicologia e della sociologia, ma a monte anche dell’antropologia; non ci può essere collettività se non c’è l’individuo al suo centro, ma altresì non vi può essere individualismo se l’individuo non reagisce con autodeterminazione ma si conforma alle ragioni della collettività, e qui sono dolori per qualsiasi collettività, famiglia, associazioni, parlamento compreso, sport, lavoro, enti e istituzioni democratiche, ma è innegabile e irrinunciabile, persino inalienabile che vi debba essere libertà di avere una propria vita e avere preferenze sessuali diverse dalle convenzioni morali predominanti, ciò tuttavia non senza qualche dura battaglia legale, sociale, politicia, ed economica in stati in cui l’individui non conta nulla o solo per ragioni eletorali.
Insomma, per la religione che predomina, voi ed io, presi singolarmente, non siamo determinanti, ma lo saremo se molti di noi e sempre più quelli che se ne escono dal recinto, iniziano ad essere rilevanti per le statistiche nazionali e ciò vorrà dire che le religioni e lo stato dovranno essere sinceri e onosti con i citatdini, quindi, meno fedeli uguale meno soldi alla religione, ma a ciò si arriva cen la visibilità dei non credenti, degli atei degli agnostici e dei razionalisti, assieme ai Gay, lesbiche, trans, consumatori, associazioni per la salute del cittadino, I Radicali e altre associazioni fortemente in crescita in Italia e nel mondo.
Ma arri vono dei momenti che l’individuo e l’individualista sentono la morsa dell’integralismo religioso come un fiatone sul collo ed allora si associano tra loro e seguono delle regole e ingaggiano una battaglia civile e giuridica perchè altri individui e individualismi anticonformisti si sentano difesi nei loro diritti privati e pubblici, in tal caso l’individualista è ben felice di collaborare all’interno dell’associazione, tanto in essa vige il rispetot per alcuni aspetti dell’anticonformismo individuale forte in soggetti che si stanno liberando dall’ombellico familiare, sociale e relgioso, dove dipendevano in molti modi, cioè, che han bisogno di spazi partecipativi perchè li si integri in progetti associativi.
Psicologicamente e sociologicamente anarchici si diventa anche nelle religioni dove l’individuo, poi individualista, non vuole più obbedire alle gerarchie e vive una propria spiritualità new age, quindi, libero da teolgie dogmatiche e disposizioni canoniche, solo che a questo punto serve coerenza, ovvero lo sbattezzo, perchè non si può essere coerenti ed essere anarchici nella religione cattolica, urge una scelta radicale, uscire dal gregge e non essere più considerato suddito del papa.
Il frammento 43 F19 di Crizia, parente di Socrate, ci documenta dello sviluppo delle primitive società umane, della necessità al terzo stadio di porre la credenza in dio quale base della morale sociale. E ne spiega la motivazione. Ma nell’attuale società per la lenta evoluzione dell’umano progresso, tale motivazione non solo non ha più senso, ma si è rivelata essa stessa fonte di immoralità. Perciò l’uomo del terzo millennio sente impellente e selettiva l’esigenza di fondare la morale su se stesso. Senza nulla togliere al dio di chi ci crede, l’uomo non può cercare un fondamento fondante la morale sociale che su se stesso. Il patto è prima tra uomini senza togliere il diritto a chi crede di fondarne un altro su dio. Insomma prima l’uomo. Poi dio. E così, ma non è affar mio, il credente eviterebbe di offendere il dio con la teodicea!!!
Sono d’accordo con te Otzi, io sono quello che tu descrivi come “autodeterminazione etica” mi sento sia anticonformista verso le religioni sia verso l’educazione rivcevuta.
Mi sono auto rifatto una vita non obbediente né confomista con le moderne laicità alla veltroni, che rifiuto a priori perchè false laicità e false morali, che si genuflettono davanti alla religione predominante, più o meno come hanno dimostrato Sacconi e Giovanardi in totale disinvoltura e in spegio al supremo principio di laicità dello stato.
Parola d’ordine “anticonfermismo etico” nei confronti delle convenzioni tradizionali che oggi fanno pagare alla società i costi di una religione che non è più di stato ma che si comporta ancora come se lo fosse.
è vero che il complicato è bello,ma secondo me la semplicita’ a volte,aiuta a capire meglio.
Nicola007, non so se ti riferisci al mio intervento. In questo caso penso che forse ti risulta strana la citazione di Crizia, fr 43 F 19 Snell; testo greco antico del V secolo prima dell’era volgare esposto in D. Sutton, Critias and Atheism, in “Classical Quarterly”, 31 (1981), pp 33-38. Esso parla di tre stadi o periodi ai primordi dell’umanità: il primo caratterizzato dalla barbarie nei rapporti tra uomini; il secondo da accordi normativi (oggi diremmo in nuce il legislativo, esecutivo, giudiziario nella loro più perfetta e naturale laicità); il terzo stadio, invece, quello in cui subentra la religione come costituzione di una finzione necessaria per rendere possibile la convivenza in comunità-società complesse. Quest’argomento s’incontra per la prima volta nella Storia documentata, esposto dal sopracitato frammento a noi pervenuto. La finzione necessaria costituisce un deterrente per i colpevoli di infrazioni alle leggi che sfuggivano alla giustizia degli uomini. Insomma il principio religioso che ha creato dio (complemento oggetto): Primus in orbe timor creavit deum (La prima paura creò dio nel mondo), diventa teologia politica necessaria. Tutto questo oggi è superato. Anzi la Storia dimostra largamente dell’immoralità di questa finzione necessaria di supporto e del bisogno di superarla per un autentico progresso umano e per avere politici veramente laici cioè che non pretendano subdolamente di far benedire la laicità al Ratzinger di turno. Per questo ho scritto sopra: Prima l’uomo, poi dio. E questo per nulla togliere a nessun uomo (minoranza o maggioranza in cui si ritrovi) e permettere a chi crede nella morale del diritto divino di applicarla liberamente a se stesso senza pretendere che costituisca anche l’essenza di un maturo diritto umano per chi pensa tutto il contrario e con buone ragioni umane. Diceva Erasmo: non è furbo, il furbo, ma colui che conosce il furbo. Attenti ai preti di sempre! Ai primati nazionali! Ai servi di dio!
qui si fa una grande confusione tra
codice civile ed etica,
ossia tra
comportamento regolato dall’altruismo interessato (a vantaggio di tutti) e
comportamento ispirato dall’altruismo disinteressato.
Un esempio.
Sono su un ponte. Il codice civile mi impone di non buttare nessuno giu’ dal ponte
ma non mi impone di saltare in acqua a rischio della mia vita per salvare uno che sta affogando.
Eppure c’è chi senza pensarci sopra (senza ragionarci sopra)
si butta in acqua per salvare un altro. Perchè lo fa?
Mi è difficile districare la confusione che- a mio modo di leggere il tuo intervento- hai tra Ethos e morale ed il loro rapporto nella storia umana con lo sviluppo delle società. L’esempio stesso che hai portato dimostra che è nell’ethos individuale che nasce il libero slancio di salvare un proprio simile prima che in qualsiasi supposto valore morale religioso derivante da una morale di fede dottrinale. Ma, lasciamo… Ciao
Sarà un mio limite, ma non credo nell’altruismo disinteressato. Penso che si conti sempre su qualche forma di ricompensa. Chi rischia la propria vita per tentare di salvare un estraneo mira inconsciamente o consciamente all’approvazione altrui, spera di venire considerato un eroe, con benefici per sé (se sopravvive) o per i propri figli-parenti (se non sopravvive).
E’ interessante la riflessione di SilviaBo.
Posto che spesso un atto come quello di cui si parla (tuffarsi se uno annega ad esempio) è istintivo ed è difficile vedere cosa, anche a livello di subconscio, stia dietro un istinto, anche io credo poco nella morale totalmente disinteressata.
Ma non vedo nemmeno nulla di male nella volontà di avere un alto riconoscimento nell’opinione pubblica; perchè disprezzare un po’ di sano ego-ismo (in senso etimologico)?
E credo che un’educazione fondata sul senso civico sia proprio per questo una delle basi del senso morale; in fondo i classici, che all’aldilà non credevano o comunque avevano un’altra concezione rispetto all’aldilà cristiano, proprio sulla reputazione tra i posteri basavano la morale civica.
Ma infatti anch’io non credo che un atto falsamente altruistico sia da disprezzare. Fare del bene agli altri è una cosa giusta, indipendentemente dal motivo per cui lo si fa.
Diementicavo: anche semplicemente sentirsi bene per il fatto di aver fatto una cosa giusta è una forma di ricompensa.
@ Otzi
Semplifico. Lo sviluppo civile di una società è frutto della ragione.
Un gruppo di persone elabora razionalmente delle regole (codice civile e penale) che gli permette di funzionare più o meno civilmente.
L’oggetto dell’etica è invece quell’eccezionale comportamento, che desta stupore ed ammirazione in qualunque società, fuori dalle regole, ad esempio, rischiare la propria vita per salvare un altro. Perché alcuni fanno spontaneamente ed irrazionalmente (come un pazzo, si dice) queste cose?
Nel dibattito sopra si confondono le regole di convivenza civile con l’etica. A cominciare da Carcano quando scrive che bisogna “creare società che diano strumenti e spazi affinché ognuno si crei la propria morale, con una propria concezione del bene”.
Si possono creare società diverse, con diverse concezioni del bene comune, ma non si può indurre nessuno, in nessuna società, a comportarsi in maniera genuinamente etica.
@ SilviaBO
se non esistesse l’altruismo disinteressato non si potrebbe giudicare nessuno. Dovremmo stare zitti quando il cristiano propone la sua morale (ad esempio, no all’aborto), ed il musulmano la sua (ad esempio, ammazzare l’apostata che da scandalo) perché tutti (noi compresi) farebbero il proprio interesse (presente o futuro). E non potremmo neppure invocare il criterio utilitaristico del maggior bene comune, visto che la maggioranza sono loro.
La tua tesi ricorda quella di Dawkins dello evoluzionismo etico. A questo proposito, abbi pazienza, non sarò breve.
Secondo Dawkins la morale è maturata nel processo darwiniano di evoluzione, durante il quale l’altruismo interessato (parentela, scambio, onorabilità, ecc.) ha avuto modo di imporsi grazie ai numerosi vantaggi che offre. Senza dubbio l’altruismo interessato che arreca anche vantaggi personali è apprezzabile e lodevole, ma é privo del genuino valore morale che spetta solo all’altruismo disinteressato. Come può l’altruismo interessato evolvere in altruismo disinteressato?
Nella Illusione di Dio Dawkins scrive: «Quello che la selezione naturale favorisce sono le regole empiriche, le quali in pratica favoriscono i geni che le hanno prodotte. Forse il nostro impulso da buoni samaritani è dovuto a una lacuna della regola». Ad esempio, «il desiderio sessuale è indipendente dalla finalità darwiniana che lo suscita. E’ una pulsione forte che esiste a prescindere dalla sua fondamentale finalità biologica. Lo stesso vale per la pulsione della bontà, ovvero dell’altruismo, della generosità, dell’empatia, della pietà. In epoca ancestrale, avevamo modo di essere altruisti solo verso i parenti stretti e i potenziali restitutori di favori. Oggi queste limitazioni non esistono più, ma la regola empirica continua a esistere. Perché non dovrebbe? E’ come il desiderio sessuale»
Senza dubbio il desiderio sessuale come lacuna della regola può facilmente proseguire da solo indipendentemente dalla sua finalità biologica, poiché offre nientemeno che l’orgasmo. Ma la lacuna della regola che porta all’altruismo disinteressato offre semplicemente la felicità di cuore. Con tutto il rispetto per la felicità di cuore, il paragone di Dawkins non regge: la prospettiva dell’orgasmo entusiasma moltissimi, la felicità di cuore un po’ meno.
Ma allora, quale è il genuino fondamento della morale?
SilviaBO, anch’io non credo nell’altruismo disinteressato e nelle filosofie dell’etica. So per certo che un uomo può dare la vita per salvarne un altro, così come la dà per le proprie idee, unico tra gli animali. Quello che non credo è che sia necessariamente spinto da motivazioni altre da un sentire emozionale altruistico prettamente umano nel salvare altri o nel lasciarsi sacrificare per le proprie idee. E questo è un valore intrinseco alla realtà umana, anche se non universalmente espresso da tutti. Caratterizzava l’eroe greco classico ad esempio e certo indipendentemente da fedi trascendentali. Anzi, lo stesso eroe seguace di Gesù doveva votarsi per essere tale alla causa umana (anche se limitatamente all’israelita) indipendentemente da qualsiasi ricompensa. E ci sono passi troppo chiari e fondamentali in tal senso. Ciao
Adesso capisco meglio e concordo, rolling stone. No, a nessuno deve essere imposto alcunchè al di là della legislazione democratica. Anche perchè ogni essere umano ha in sè il proprio Ethos che si estrinseca come si estrinseca nella libertà della persona quale dignità individuale.
Io credo che funzioni così: l’uomo sente l’ingiustizia (base di ogni etica) in primo luogo quando è lui a subirla, poi la concettualizza e la astrae.
Esitono nell’individuo due tendenze: egoismo ed empatia, che sono necessarie entrambe per la sopravvivenza e anche per la morale, giacchè l’empatia ha bisogno almeno un minimo di una soddisfazione egoista di cui parlava Silvia, fosse anche il solo sentirci bene.
Se, viceversa, vi fosse solo egoismo senza empatia non potremmo mai giudicare nulla come ingiusto dal momento in cui giusto sarebbe solo ciò che ci fa individualmente comodo.
La ragione ci mostra altresì come la sola empatia e il solo egoismo non ci garantirebbero alcuna stabilità di sicurezza e sopravvivenza per due motivi opposti facilmente desumibili senza insisterci.
E’ il bilanciamento tra le due tendenze a garantire una morale individuale che sia estendibile e condivisibile.
Più che parlare di complicato è meglio il termine “complesso” (approfondito, schematico, scientifico, tecnico) opposto a “semplice”, che secondo me è accessibile a coloro che non sono allenati ad approfondire e ad entrare nell’aspetto complessivo dell’argomento cultura e scienza.
Io preferisco andare a fondo nelle cose, gli altri in passato mi dicevano di essere semplice ma non era quello il mio percorso personale, io voglio capire la complessità dell’universo e dell’atomo, della ricerca scientifica e della ragione per cui l’uomo si inventa dio e dei per attribuire loro i propri vizi e virtù (vedi mitologia in genere) e non accontentarmi di una semplicità essoterica, superficiale, da dilettanti allo sbaraglio.
Ehi, c’è un universo dietro la materia ed energia che possiamo toccare e vedere, ma è necessario chiedersi come funzionano quesrealtà e non dar loro un senso filosofico e religioso, altrimenti si entra nelle congetture e dogmi religiosi della semplicità “accetta e credi”, alché non ha assolutamente alcun fondamento nella nostra sete di conoscenza e di approfondimento.
Se un cosa deve essere semplice bisogna prima conoscerne un po’ la complessità, si è più sintetici se si ha un quadro più esauriente di quella cosa, insomma…, che non sia semplicemente campata per aria da accettare come dogma, ma messa sotto la lente di ingrandimento in ulteriori passaggi per quelli che si accostano appena ora alla ricerca scientifica, per esempio, e necessitano di spiegazioni semplici.
L’etica è il frutto di una legge superiore o divina e appartiene a una dimensione spirituale dell’uomo o la dimensione etica e la coscienza sono il frutto di leggi fisiche e della materia? Questo è il principale interrogativo al quale personalmente non so rispondere e che mi rende scettico o agnostico, e proprio la questione morale rimane un punto centrale anzi fondamentale su cui dovrà interrogarsi l’uomo nel futuro ma anche la scienza per una società migliore. Le religioni hanno troppo spesso cercato di accrescere il loro potere temporale per interessi materiali, quindi indipendentemente da quale sia la fonte di questa morale non possono considerarsi depositarie di valori assoluti e indiscutibili, se hanno libertà di culto in una società laica per me dovrebbero già ringraziare e di molto una società che glie la concede.
Il tuo punto di partenza sta nel dualismo tra spirito e materia.
Esiste davvero questo dualismo?
Forse non esiste nè spirito nè materia,
ma qualcos’altro. Che cosa?
Dualista forse ma neanche poi così radicale, forse come tu dici non esiste questo dualismo, per me su queste tematiche non ci sono certezze, ma bisogna comunque interrogarsi.
Prova dirmi cosa intendi per spirito e dimensione spirituale. “Colui che disse che dio è uno spirito, fece finora in terra il più gran passo e balzo verso l’ateismo”, Nietzsche.
Intendo qualcosa che se esiste non è materia, ma se sapessi esattamente cos’è sarei anche sicuro della sua esistenza.