La libertà nella condizione umana

Bruno Gualerzi*

Bruno Gualerzi

Per la libertà è valido il paradosso (o comunque lo si voglia chiamare) che accompagna ogni nozione indicante i cosiddetti valori: là dove fosse sempre regnata e continuasse a regnare, non se ne avrebbe la nozione, non esisterebbe lo stesso termine che la designa. In altre parole, la libertà, come qualsiasi altro cosiddetto valore (la verità, la giustizia, la fraternità, la bellezza, ecc), non sarebbe nemmeno concepibile se non si facesse l’esperienza della sua mancanza (e, fin qui, è d’obbligo citare Eraclito)… la quale però a sua volta è avvertibile come mancanza solo se in qualche modo si è fatta l’esperienza di ciò che manca. Ed è questo particolare ‘movimento’ (un circolo vizioso) che porta irresistibilmente a ritenere che ‘per forza’ quanto meno un’idea di libertà ci debba essere sempre stata. Lo ha ritenuto la riflessione platonica, lo ritiene in genere chiunque crede nella oggettività dei valori, nel loro essere ‘valori’ proprio perché la loro esistenza preesisterebbe ad ogni esperienza degli stessi, essendone la condizione. Ma, a dispetto di ogni contorcimento dialettico per scioglierlo, si tratta di un circolo vizioso ineliminabile dalla condizione umana: la libertà, per esistere, presuppone la propria negazione, così come la negazione della libertà può darsi solo se la libertà esiste… ed è il rimando dell’una all’altra – se non si considera che avviene necessariamente sempre – che può illudere circa una esistenza autonoma e contrapposta della libertà e del suo contrario. In realtà, è proprio di ogni cosiddetto valore avere la sua origine nella ‘ribellione’ ad una condizione umana caratterizzata dal bisogno e dalla sopravvenuta consapevolezza della sua precarietà… che pertanto ci si studia di combattere non sopportandone la contraddizione resa tale proprio dalla consapevolezza… ma proprio per questo sempre riscontrabile, sempre riprodotta e sofferta, nella nostra rappresentazione del mondo.
Ma, nello specifico, cos’è la libertà? Che tipo di valore è? Cioè – è lo stesso – che esigenza determinata dalla condizione umana sta a rappresentare? Si può rispondere puntando subito al livello più alto di definizione della libertà, cioè puntando a ciò che caratterizza una situazione di così totale, radicale, assoluta, mancanza di dipendenza, di costrizione, da far considerare tutto ciò che non raggiunge questo livello – pur potendosi fregiare del nome di libertà (ad esempio, la libertà ‘politica’) – un surrogato sempre inadeguato della stessa. E per chi, come l’essere vivente – per esente da costrizioni che sia in grado di rendere la propria esistenza – soffre comunque una dipendenza proprio in quanto ‘vivente’, la libertà sarebbe liberazione dalla negazione del suo essere vivente, cioè dalla morte. Solo quando l’uomo divenisse padrone della morte, nel senso di eliminarla dall’esistenza stessa, di non esserne più il complemento/completamento obbligato, si potrebbe mettere in discussione se vivere significa o meno subire una costrizione: prima, cioè per ora, no di certo. E come sarebbe possibile liberarsi da questa costrizione? Una sola condizione sembra ipotizzabile: quella di essere causa sui, cioè di dipendere in tutto e per tutto, ‘produzione’ della propria esistenza compresa, solo da se stessi. Ciò insomma che si attribuisce a dio. Altre condizioni, mancando questa, produrrebbero sempre situazioni di costrizione.
Ora, per quell’essere vivente che è l’uomo – animale sì razionale, ma animale – il causa sui non può accontentarsi di essere tradotto in ‘artefice del proprio destino’, se non, appunto, accettando di avere a che fare con una libertà pur sempre parziale, limitata, cioè accettando una qualche forma di costrizione che gli renderà sempre quanto meno ambiguo questo ‘valore’. Per ‘artefici del proprio destino’ che si sia non saremo mai artefici di una vita liberata dalla propria negazione. E non serve molto nemmeno ipotizzare, o auspicare, ad esempio, l’avvento di quel nuovo (ma con le stesse funzioni di quelli vecchi) messia che sembra essere – spogliato della sua pur meritevole dimensione utopica – l’’oltre-uomo’ nicciano, tutto risolto in un amor fati che sa tanto di sfida, più che al destino, a se stessi, per cui ‘vincere la sfida’ sembra voler dire ‘perdere se stessi’, toccare il livello estremo della alienazione. Che è quanto capita puntualmente all’uomo quando ‘si dimentica’ proiettandosi, perdendosi, in qualche attesa messianica.
Perché, da qui non si esce: o il causa sui viene inteso alla lettera, cioè inteso proprio con i caratteri che in genere – si diceva – vengono attribuiti a dio, oppure si rivelerà sempre per ciò che di fatto ha finito per essere quando se ne nega l’assolutezza perché non la si accetta come mera esigenza/desiderio: da un lato un principio logico integralmente
‘vissuto’ come la più astratta delle nozioni (come i capisaldi della matematica), dall’altro una mascheratura, appunto, di un’esigenza ‘soffocata’ in un umanesimo mal sopportato, vissuto in fondo (nel ‘profondo’, cioè là dove entra in gestazione l’io, il soggetto) pur sempre come un riduttivo male minore. Per cui, o l’uomo ‘si fa dio’, o ‘dio si fa uomo’, o altrimenti si diffiderà sempre di questo sbandierato umanesimo, e prima o poi si finirà per stancarsene, per tradirlo: per non rinunciare alla libertà, per non viverla solo come esigenza, si rinuncerà di fatto alla sua esigenza… e si finirà per accettare ogni forma di dipendenza, purché ‘consolatoria’ di questo malessere. In altre parole, l’esigenza della libertà, insopprimibile da parte della condizione umana, quasi sempre è stata rimossa perché, come esigenza destinata a rimanere tale, non sarà mai soddisfatta, e, una volta rimossa, non ha potuto fare altro che agire nell’inconscio privando l’uomo di ogni difesa consapevolmente affrontata di fronte al desiderio – a questo punto, in queste condizioni, inevitabilmente fonte di alienazione – dell’ab-solutus, dello ‘sciolto da ogni condizionamento’. Il che ha portato: o alla proiezione di se stessi in una dimensione puramente virtuale come la trascendenza (l’uomo si fa dio), oppure alla autoattribuzione di facoltà del tutto inesistenti, o comunque non tali da toglierlo, nemmeno parzialmente, anzi!, da quella condizione di precarietà che riemergerà sempre come qualcosa ‘da combattere’, ‘contro cui lottare’… e ‘da lottare’ sotto quell’insegna sempre più logora che è la bandiera innalzata da tanti sedicenti umanesimi, da tante laicizzazioni fasulle (dio si fa uomo). E così, l’uomo divinizzato e il dio umanizzato si specchieranno sempre l’uno nell’altro, illudendosi come tali di uscire dalla gabbia di specchi in cui non si rendono conto di essere rinchiusi, perché scambieranno la proiezione di sé per un ‘oltre sé’ nel quale finalmente ‘liberarsi’, mentre il miraggio puntualmente dileguerà lasciando dietro di sé solo scorno e frustrazione, cioè sofferenze senza possibilità di riscatto, quando ci si proverà, lottando contro i mulini a vento, a ‘toccare con mano’ il miraggio, cioè a viverlo come dimensione reale e non come pura esigenza.
Solo per mantenere viva la quale – perché cioè non venga soppressa l’esigenza della libertà come esigenza – merita invece lottare. Per liberare, e aiutare a liberare, la coscienza, le coscienze, dalla illusione di non produrre illusioni: è questa la sola libertà che può competere col ‘causa sui’. Non per impossessarsene: perché sarebbe impossibile, perché non lo raggiungeremo mai, essendo una nostra proiezione, una nostra emanazione, perché è l’ombra che non ci abbandonerà mai finché cammineremo nell’esistenza, perché è l’ombra che sembra fare tutt’uno con noi, ma che solo occasionalmente coinciderà davvero con noi in quanto in realtà ci precederà o ci seguirà sempre, sarà sempre un po’ più avanti o un po’ più indietro rispetto alle nostre esigenze.
Mantenendo viva l’esigenza della libertà, non ci impossesseremo del causa sui, e però sarà il solo modo per non esserne posseduti.

* Già insegnante di storia e filosofia nei licei, è ora in pensione. Nel 2010 è uscito il suo libro Ateismo o barbarie? (autoanalisi di un’ossessione)

NB: le opinioni espresse in questa sezione non riflettono necessariamente le posizioni dell’associazione.
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22 commenti

Batrakos

Sinceramente mi sfugge un punto: non si specifiKa se si parla di libertà o di libero arbitrio che sono due cose diverse e distinte, giacchè in natura non esiste la libertà proprio perchè dai limiti di natura non si scappa come dice bene Gualerzi e credo che gran parte del discorso si giochi su questi due termini.
Quando si dice ‘libertà come esigenza’ probabilmente si intende il libero arbitrio, possibile solo con un certo grado di libertà politica (sempre relativa poichè in un umano convivio ognuno limita l’altro e dall’altro è a sua volta limitato).
Libertà politica relativa, unica libertà possibile all’uomo, la quale -si badi bene- non è fine ma mezzo di quello che è il vero fine dell’uomo: la felicità, la quale però è irraggiungibile se non in forme parziali proprio per lo stesso fatto che siamo sempre prodotti di natura e, se anche la scienza ci garantisse un giorno l’immortalità si creerebbero problemi quali quelli di impedire le nascite per la sovrappopolazione, negando la libertà di poter far figli dunque negando una forma di felicità e saremmo daccapo.
Sul libero arbitrio ci sarebbe però molto da dire: esso esiste o in realtà quella che ci pare una libera scelta è il prodotto di pulsioni ed istinti inconsci?
Ovvero si sarà mai liberi dall’illusione dal momento in cui esistono pulsioni inconsce alla base di ogni scelta? Solo se si fosse tabula rasa da queste si potrebbe avere un autentico e pieno libero arbitrio, ma si ritorna al discorso che in natura la libertà non esiste proprio perchè siamo, persino nel nostro libero arbitrio e anche sequesto fosse garantito dallo strumento della libertà politica, limitati dalle pulsioni stesse.
Per cui concordo, massima attenzione a non cadere vittima di alienazioni ma anche attenzione a non sopravvalutarsi troppo come specie e non esasperare il concetto di ‘libertà’ che se non è ben precisato diventa anch’essa illusione e fantasma ideologico.
Se ho frainteso lieto di essere corretto.

Bruno Gualerzi

@ Batrakos
Conto di rispoderti in modo dettagliato più tardi, perchè adesso devo proprio scappare.
Qui dico però subito che la libertà di cui parlo è la negazione più radicale del cosiddetto libero arbitrio, un dogma della religione cristiana.

Batrakos

Bene; leggerò di certo, aggiungo solo, per dovere di precisione, che il libero arbitrio (discutibile anche per me perlomeno nella sua assolutezza) nasce (se non prima) nella cultura occidentale con Socrate, dunque è ben anteriore alla religione cristiana.
A risentirci in giornata.

Sergio

Volevo dire che se la libertà fosse assoluta la scelta non potrebbe essere che casuale, libera appunto da qualsiasi condizionamento (ma questo è appunto impossibile, solo il fantomatico Dio sarebbe davvero libero – in effetti non lo è nemmeno lui, per i nostri teologi, perché non può non agire (?!) che secondo la sua natura che è bontà infinita (?!). Invece i musulmani dicono che Dio è anche libero di mentire.

A meno che non siano pazzi, perversi o masochisti tutti agiscono nel proprio interesse, non per forza immediato (posso sacrificare anche la torre, ma do poi scacco al re). L’interesse dunque ci guida e ci limita. Anche i cristiani vogliono concludere il«grande affare» (la vita eterna) per il quale sacrificano i piaceri della vita. Se rinunciano a qualche piacere in vista del paradiso significa che l’interesse ultimo e maggiore è in loro più forte: più condizionati di così! Merito zero.

Sergio

Se esistesse davvero il libero arbitrio ciò significherebbe che posso scegliere A o B senza alcuna costrizione esterna o interiore. La mia scelta sarebbe dunque casuale, indifferente e quindi insensata. Ma ciò non è possibile: ogni effetto ha una causa, scegliamo a ragion veduta, per motivi ben precisi, e anche per motivi inconsci. Ogni atto e pensiero è sempre una sintesi di innumerevoli cause, note e ignote. Persino la Chiesa ammette che la nostra libertà può essere limitata da qualche circostanza. Tuttavia non può rinunciare al “dogma” del libero arbitrio perché altrimenti tutto il suo castello di fanfaluche crollerebbe (addio inferno, addio paradiso – e con queste esche che la Chiesa ha tenuto in pugno l’umanità fino a ieri. Anche dei geni come Dante e probabilmente Galileo se la facevano addosso pensando all’inferno).

Batrakos

Sergio, non saprei.
Il libero arbitrio, almeno nell’accezione greca razionalizzante, signifiKa scegliere sulla sola base della ragione, che è appunto il tentativo di trovare nessi causali ove ci siano, e dunque valutare la scelta in relazione all’effetto che si vuole ottenere.
Non signifiKa scegliere a caso.
Ciò che lo mette in discussione è, come dici tu, il fatto che per la ragione è difficile individuare tutte le concause e soprattutto la potenza enorme dell’inconscio.
Per il cristianesimo il ‘libero arbitrio’ è diverso perchè implica una causa prima, Dio, che stabilirebbe una condotta morale di cui la Chiesa si fa portatrice, per cui il libero arbitrio si riduce (anzi di fatto si nega) a scegliere con consapevolezza la morale divina, che a detta dei preti coinciderebbe con la morale naturale, cosa falsa perchè l’unica morale naturale possibile all’uomo è quella razionale, e la razionalità coi dogmi cristiani sia in ambito teorico che etico (su quest’ultimo in particolare il cattolicesimo visto che molte frange protesatnti sono più laiche sui temi etici) ha poco a che vedere.

rolling stone

ma quale accezione greca razionalizzante?
Libero arbitrio significa che essere, nelle medesime circostanze, in grado di decidere indifferentemente di fare una cosa o un’altra.
Ma allora ha ragione Sergio: la nostra decisione dipenderebbe da nulla,
e sarebbe quindi casuale e insensata.

rolling stone

si buonanotte…
Libero arbitrio significa ESSERE, nelle medesime circostanze, in grado di ..

Batrakos

Rolling Stone,
scusa ma decidere razionalmente una cosa anzichè l’altra vuol dire valutare quale sia la scelta che mi porta all’effetto desiderato; il problema è che l’uomo non ha la freddezza analitica razionale di capire quale sia davvero la causa dell’effetto che voglio ottenere.
Perchè questo arbitrio, se mai potesse darsi (i limiti li ho spiegati sopra) non sarebbe libero? Perchè libero arbitrio dovrebbe signifiKare scegliere a random?
Lascia via pure i greci e leggi meglio il commento.

Giorgio77

Libero arbitrio significa volontà indipendente da qualsiasi determinismo, sia quindi dalla volontà divina (che se esiste lascia libertà di scelta all’uomo) che dalla causalità scientifica, questo mi sembra il significato più giusto di libero arbitrio, indipendentemente dal crederci o no, anche molti religiosi non credono nel libero arbitrio ma sono fatalisti e pensano che tutto sia predestinato.

Batrakos

Cercherò di spiegare cosa intendo con un esempio, sennò non ci capiamo.
Uno sovrappeso sceglie di voler dimagrire. Già qua un determinista potrebbe dire che non sceglie liberamente ma è mosso da pulsioni inconsce.
Avendo ‘scelto’ di dimagrire studierà il metodo che reputa migliore per ottenere il dimagrimento valutando costi/benefici, quindi la strettezza della dieta, la quantità del moto ecc…
A sua volta potrebbe darsi che questa scelta -direbbe un determinista- sia condizionata da ciò che a lui sta meno sulle scatole (c’è chi odia mangiar poco, chi odia fare moto), al di là che ricorra al dietologo, cosa quest’ultima che aprirebbe un altro tipo di ventagli (il dietologo, per il determinista, potrebbe dare indicazioni non realmente obiettive, ovvero dovuta ad una spassionata analisi di causalità, ma dovute alla scuola di pensiero che più gli ‘piace’).
A sua volta c’è chi sceglie di non dimagrire perchè non gli interessa ottenere quell’effetto; il determinista direbbe che non sceglie ma è mosso da pigrizia.
C’è poi la sfasatura tra decisione intellettuale (libero arbitrio) e attività pratica (libertà) poichè spesso si decide una cosa ma non si riesce a farla (uno studia mille diete poi non ha voglia di seguirle) che complica ancor più le cose.
Ovviamente è un esempio anche stupido, ma forse spiega ciò che intendevo sul discorso che la causalità c’è anche per i fautori del libero arbitrio, sempre non in ottica religiosa; che poi mi possa sbagliare tecnicamente può darsi ma io intendevo questo.

rolling stone

Bruno
ma stai bene? L’esigenza della libertà come esigenza?
Ma insomma siamo liberi di decidere indifferentemente in un modo o in un altro?

Bruno Gualerzi

Sto benissimo.
Che lo si condivida o meno (ovviamente) ritengo che la condizione umana – che ci rende consapevoli dei limiti della nostra esistenza individuale – ‘esige’ (le specie fa esisgere), che se ne sia coscienti o meno, il cercare di superare questi limiti. Perchè un limite, consapevoli o meno, genera sofferenza. Questa ‘sofferenza’ (chi ha già sentito da me questo discorso mille volte, porti pazienza) può essere affrontata, semplificando al massimo, in due modi: o puntando a poter vivere in una dimensione che trascenda, che sia ‘aldilà, della condizione umana… da cui le varie religioni,
oppure scegliere di vivere questa condizione per quel che è cercando di renderla il meno sofferta posiibile.
Nell’un caso o nell’ altro l’esigenza resta: si tratta di poterla o non poterla soddisfare. illudersi di poterla soddisfare (le religioni) porta solo all’alienazione, alla ‘vendita” della propria umanità. Con quel che ne consegue.
La libertà? E’ un’esigenza che non può che scontrarsi col limite che le è proprio (quello di cui parlo nell’articolo), e il limite non può essere superato (se non illudendosi: l’essere veramente libero non può che essere dio, che esiste solo proiezione della nostra esigenza), ma ENTRO QUESTI LIMITI, siamo liberi di scegliere, la ragione. SEMPRE ENTRO QUESTI LIMITI, ci dà la possibilità di scegliere. Cosa? Se ne è parlato nel post precedente (al quale ti rimando anche perchè è in attesa di approvazione una risposta alla tua ultima replica), e qui dico sbrigativamente solo questo: liberi di seguire o meno le indicazione dell’istinto razionale.

rolling stone

Bruno
ti capisco sempre meno.
Liberi di seguire o meno le indicazione dell’istinto razionale?

Tu parli spesso di ragione,
e sarebbe ora che tu chiarisca cosa intendi con questo rtermine.
Noi siamo costretti ad usare la ragione. Nel nostro cervello funziona il sofware :
pricipi della logica e principio di ragione sufficiente.
Il nostro cervello non puo’ funzionare altrimenti. Sarebbe come pretendere di muovere il braccio fuori dal piano determinato dall’articolazione del gomito.
E’ vero che qualche cervello possa avere un virus che gli infetta questo software.
Ma come un computer con un software bacato non puo’ scegliere di funzionare col software sano
cosi’ pure il nostro computer di bordo non puo’ farlo.
E allora dove sta questa libertä?

Bruno Gualerzi

@ rolling stone
Un conto è non essere d’accordo, un conto è non capirci.
Cos’è la ragione (io, coscienza, consapevolezza, facoltà di pensare, per me sono tutti sinonimi)? Devo ripetermi sperando di farmi intendere meglio (il che, ripeto non significa condividere, ovviamente)
L’uomo, inteso come specie umana, è dotato dall’evoluzione di una serie di istinti che servono, attraverso gli individui, a conservare la specie. Tra questi istinti – sempre a mio parere (ma da adesso non lo ripeterò più) c’è, tra gli altri, l’istinto razionale, QUELLO PER CUI L’UOMO E’ IN GRADO – a diversità, a quanto è dato per ora sapere degli altri esseri viventi – DI CONOSCERE IL PROPRIO DESTINO INDIVIDUALE, L’INESORABILITA’ DELLA MORTE, oltre che essere consapevole del doversi ‘dare da fare’ per vivere. Cosa ovviamente che vale per tutti gli esseri viventi… ma, ancora una volta, gli altri animali lo fanno senza consapevolezza… almeno per come l’intendiamo noi. Il che naturalmente non significa che non soffrano, ma nell’uomo si può dire (quasi a compensare questa facoltà) che esiste una sofferenza aggiuntiva, data appunto da questa consapevolezza. Quindi cos’è la ragione fondalmentalmente? Non credo sia così difficile da individuare: E’ QUESTA CONSAPEVOLEZZA!
E la libertà? Cosa posso dire che non ho già detto? Mi aggancio al tuo ragionamento. Certo che il nostro cervello (qui cito Schopenhauer) pensa così come pensa perchè è fatto così come è fatto… e la scienza, in particolare le neuroscienze, ci permettono di conoscere ogni giorno sempre meglio i meccanismi e i chimismi che ne determinano il funzionamento…. ma questo ‘determinismo’ è tale per cui io e te, e chiunque altro, possiamo scambiarci queste considerazioni. Sono ‘determinate’ dal funzionamento – per semplificare – di questo organo? Benissimo, ma è un determinismo che ‘determina’ ciò che chiamiamo (che io chiamo) la razionalità. La coscienza, la consapevolezza, la facoltà di pensare ecc…. compresa la consapevolezza del determinismo. Possiamo intervenire e modoficare – al di là del fatto che l’evoluzione lo fa continuamente – questo funzionamento? Certamente, ma, a parte i problemi etici che queste modifiche comportano, fino a che ne possiamo parlare lo faciamo perchè pensiamo. Rgioniamo. In che senso – ENTRO QUESTI LIMITI – siamo liberi? Lo siamo perchè, per così dire, il ‘nostro determinismo specifico’ ci mette in condizione di operare della scelte. Giuste, sbagliate, consapevoli, inconsapevoli? Scelte! Quelle scelte che gli animali fanno, ma sena poterle ‘pensare’, nel senso di studiare, di valutare, giudicare.

(C’è poi come dicevo, un mio commento al tuo ultimo intervento sul post ‘Uomini o androidi’, in cui provo a rispondere ad altre tue obiezioni, ma che credo sia ancora in atesa di approvazione,)

rolling stone

ora capisco perchè non posso capirti.
La ragione per te è un minestrone di tutto e di piu’.
Non c’è distinzione tra sensi, conoscenza intuitiva, conoscenza astratta, volontà, coscienza e mente.
Tutto fa brodo. Contento te.

Bruno Gualerzi

Forse ‘il minestrone’ è ciò che ti troverai di fronte tu quando dovrai districarti tra tutti questi aspetti della coscienza umana se non sarai in grado di ricavarne indicazioni praticabili concretamente per scegliere come dare un senso alla tua esistenza. Dico forse, perchè naturalmente non escludo certo che questo senso tu riesca a trovarlo meglio di me. Io questo ho trovato. Per te tutto ciò non serve a niente, sono chiacchiere a vuoto? Oppure, come sostiene Odifreddi cercare e trovare un senso… è senza senso? Non condivido, ma ne prendo atto.
Ci tengo solo a precisare che gli aspetti di cui parli, non solo non li ho mai negati, ma tutte le indicazioni che mi vengono dalla ricerca scientifica, intesa anche come ricerca delle forme secondo le quali si articola la nostra conoscenza, le ho sempre ritenute preziose… ma non tanto per se stesse quanto perchè mi possono servire per vivere il meglio possibile l’unica vita di cui dispongo. Per la qual cosa considero indispensabile formarmene un quadro globale che conferisca senso (di nuovo!) ad ogni nuova conoscenza. Questo ho proposto alle riflessioni dei partecipanti al blog, non le altre pur importantissime questioni connesse con gli aspetti che richiamii.
Spero in ogni caso che ci si possa rispettare a vicenda.
(La replica al tuo ultimo commento nel post ‘uomini o androidi… anche se immagino che a questo punto non ti interessi più di tanto.. è comunque ora leggibile)

Bruno Gualerzi

@ Batrakos
Provo a rispondere più diffusamente al tuo primo intervento
Intanto la questione del libero arbitrio. Il libero arbitrio di cui parla la teologia in realtà è molto più vincolante della libertà di cui parlo io. Infatti parlo di ESIGENZA della libertà (non sto a ripetere perchè), la quale – per i limiti della condizione umana di cui siamo consapevoli – non potrà mai essere vissuta così come la consapevolezza dei limiti vorrebbe… ma quando si ritiene di poterla veramente soddisfare lo si farà sperando, e infine credendo, nell’esistenza di un’altra dimensione ‘aldilà’ della condizione umana: da cui le religioni. che ‘alienano’ la propria umanità, fuggendone. Chi non si riconosce nelle religioni (e nei loro surrogati) si pone invece in grado di accettare la condizione umana per quello che è.
Cos’è allora il libero arbitrio? E’ la facoltà di scegliere (la libertà) in base alla ‘concessione’ di un ente (adesso non sto a trattare della sua esistenza o meno) che in ogni caso è considerato ben oltre le mie facoltà ‘naturali’… quelle facoltà naturali che mi permettono di ‘ragionare’ e di considerare che, se accetto che tutto dipende da dio, essere onnisciente e onnipotente, devo anche accettare che lui ‘SA GIA”, se mi salverò o dannerò (la libertà di determinare il mio destino in base alle mie scelte). E allora dove sta la libertà di scelta? Mica posso sperare di condizionare la volontà di dio! Più coerenti – ovviamente solo da questo punto di vista – sono certo protestantesimo, calvinismo in testa, e lo stesso islamismo, in quanto si studiano solo di fare la volontà di dio senza pretendere di condizionarlo.
Ora, questo libero arbitrio è molto più determinato (detrministico) quindi tutt’altro che libero, della libertà di cui parlo io. Ritenendo di poterla esrcitare entro limiti naturali… è vero che ciò mi fa dipenedere da qualcosa che non dipende da me, ma – come ho provato in tutti i modi a esporre, ancora una volta anche più sopra – quel tanto di libertà che mi concede di vivere la natura (l’evoluzione naturale) la vivo REALMENTE, non mi illudo di poterla vivere forzando la condizione umana, alienando la mia umanità. Come invece fa il credente.
Certo, è una libertà anch’essa condizionata (il termine giuridico può funzionare da metafora), ma è un condizionamento che ‘prevede’ al proprio interno, per così dire, di muovermi operando delle scelte. Limitate? Sì, ma le uniche possibili.

Ancora due considerazioni dettatemi dal tuo commento.
Non ritengo in alcun modo che la facoltà razionale ponga l’uomo, come si usa dire, al vertice della scala biologica. Forse l’evoluzione ha ‘prodotto’ con l’uomo un animale più complesso… ma questo lo diciamo noi applicando i nostri – sia pur mobili, in continua evoluzione – schemi mentali…
anzi, e qui vengo alla seconda considerazione – senza per questo appiattirmi troppo sul cosiddetto ‘pessimismo’ schopenhaueriani, o leopardiano, se uso come parametro la felicità per stabilire se la condizione umana è ‘superiore o inferiore’ alla condizione degli altri animali, non posso, come minimo, che nutrire molti dubbi… e in ogni caso la felicità è e sarà sempre legata ad un’esperienza esistenziale del tutto soggettiva.
Per quanto mi riguarda mi accontento (si fa per dire) di poter vivere la libertà che mi fa assaporare il non essere credente. Potrei perfino dire che mi rende felice…

Batrakos

Gualerzi,
ringrazio della risposta anche se purtroppo era in moderazione e non si è potuto andare in diretta rispetto al discorso che si stava sviluppando parallelamente sul libero arbitrio -nel senso in cui lo intendevo- e il determinismo, problema che credo di difficile soluzione, tanto più su un blog.
Ho capito e prendo atto nè ho nulla da ridire; io mi muovevo al di là del discorso dell’alienazione, stavo un po’ esaminando le forme logicamente possibili di libertà.
Vabbè, grazie e buona giornata.

Bruno Gualerzi

@ batrakos
La rispsta pià dettagliata è in attesa di approvazione.

Halftrack

Mi hai convinto parecchio Bruno, dunque condivido.
C’è un punto però che mi piacerebbe dibattere. Nella risposta a @rolling stones: “Un conto è non essere d’accordo, un conto è non capirci” enunci un altro limite.
Io non credo che siamo tutti uguali, anzi credo proprio il contrario ognuno di noi ha il suo modo di pensare, di sentire e di fare. Siamo unici e irripetibili.
Ognuno di noi ha un suo bagaglio psico-fisico che lo caratterizza, possiamo migliorare ma non possiamo oltrepassare i nostri limiti neuronali, muscolari, ormonali ecc. e di consapevolezza.
C’è un solo Bruno Gualerzi in tutto l’universo.
Questo è il limite della nostra individualità e dunque della nostra solitudine.
Per me ha ragione Salvatore Quasimodo, il poeta: “Ognuno sta solo sul cuor della terra, trafitto da un raggio di sole ed è subito sera”.

Bruno Gualerzi

@ Halftrack
Non credo che l’individualità sia un limite, sia pur sempre nel quadro di una condizione umana dei cui limiti invalicabili si è consapevoli.
Intanto – per come vedo io le cose – la ‘difesa’ della propria irripetibilità, cioè di una individualità assoluta, serve alla specie perchè gli individui che la compongono ritengano di poter realizzare se stessi come individui… ciò poi però può tradursi sia nell”homo homini lupus’ (per realizzare me stesso, soggetto come tutti al bisogno, cerco di farvi fronte ‘sfruttando’ i miei simili visti come ‘concorrenti’),
sia in un individuo che, per ‘salvare’ la propria individualità, cioè la propria esistenza della cui esperienza lui e non altri sarà sempre il ‘titolare’, ‘ragionando’ può rendersi conto che la proteggerà meglio collaborando e non scontrandosi con gli altri.
Da un altro punto di vista ma giungendo alle stese conclusioni, la percezione della propria unicità (nascere, vivere e morire è una vicenda che non posso delegare ad altri, e per quanto gli altri possano condizionare la mia esistenza alla fine sono io da solo a dover fare i conti con ciò che vivere comporta), può spingere a isolarsi, a viverla come separatezza insuperabile, come tante monadi (senza porte e finestre come diceva Leibnitz) che, mentre visonbo non possono che urtarsi,
ma può anche essere vista come un privilegio in quanto mi consente di non perdere la mia identità alienandola nel gregge (vivere la vita ‘fuori di me’, sfuggendo a me stesso), ciò che poi mi permette di rapportarmi agli altri in modo utile per tutti, in quanto sarà un rapporto di individui con altri individui, ognuno con la sua ricchezza da condividere. Insomma, l’unicità, proprio se la si percepisce come condizione esistenziale che però è tale per tutti, può portare a simnpatizzare con altri me stesso in quanto accomunati nella condizione umana.
Schopenhauer parla di com-passione.

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