Germania: sentenza contraddittoria della Corte europea dei diritti dell’uomo

“Con una certa ostinazione nella contestazione, un lavoratore dipendente ha regolarmente cercato, fin dal 1996, di rimettere in causa il sistema di prelievo alla fonte dell’imposta cultuale esistente in Germania”, scrive Le Monde. E’ noto, infatti, che in quel paese i lavoratori dipendenti devono rilasciare al proprio datore di lavoro la cosiddetta “carta d’imposta sul salario”, sulla quale figurano, tra gli altri dati personali, anche quello della “appartenenza ad una Chiesa o ad una comunità religiosa abilitata a prelevare l’imposta cultuale”. Attualmente, se il lavoratore si rifiuta di pagare tale imposta, sulla sua carta viene apposto un semplice trattino in corrispondenza della casella riservata all’appartenenza religiosa. Ora, questa menzione equivale, a segnalare al datore di lavoro la non appartenenza religiosa del suo dipendente, o semplicemente il fatto di non appartenere né alla Chiesa cattolica, né à quella protestante, maggioritarie in Germania. Questo almeno per quanto ritiene il lavoratore di cui sopra e, proprio grazie alla sua ostinazione, l’affare è finito davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale, però, con una maggioranza di cinque voti su due, “si è rifiutata di condannare la Germania per violazione della libertà di religione”, (art. 9), secondo quanto riporta sempre Le Monde.
Sostanzialmente, la Corte europea ha riconosciuto che l’ingerenza nella vita privata dei cittadini, che è prevista dalla legislazione tedesca, persegue un fine legittimo, vale a dire quello di “garantire i diritti delle Chiese e delle comunità religiose aventi diritto di riscuotere la tassa cultuale garantita dal diritto costituzionale”. La stessa Corte ritiene che la libertà garantita dall’articolo 9 della costituzione “sia anche un bene prezioso per gli atei, gli agnostici, gli scettici o gli indifferenti” e che “la libertà di manifestare la propria religione o la propria convinzione comporta ugualmente un aspetto negativo, vale a dire il diritto per l’individuo di non essere costretto d’agire in maniera che si possa dedurne che ha – o non ha – tali convinzioni. Le autorità statali non possono immischiarsi nella libertà di coscienza di una persona, assumendo informazioni sulle sue convinzioni religiose o obbligandolo a manifestarle”. La stessa corte, con una sentenza del 23 settembre 2010 (Reg. n° 1620/03.67) aveva pure già riconosciuto che “a causa del sistema della carta d’imposta sul salario […] il dipendente non è in grado di nascondere al suo datore di lavoro eventi riguardanti il suo stato civile, ad esempio un divorzio o la nascita di un bambino”. La questione resta pertanto contraddittoria: da un lato viene riconosciuto il diritto del cittadino a non essere costretto a rilevare la propria non-appartenenza ad una religione (come pure quello di non essere costretto a giurare sulla Bibbia), dall’altro “si pone sulla bilancia” il diritto costituzionale delle Chiese ad acquisire i dati dei cittadini, al fine dell’imposizione della tassa cultuale ai propri aderenti.

Franco Virzo

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6 commenti

GIOACOLP

Che altro aggiungere. Con il controllo sistematico dei cittadini, cresce il capitale: lo sporco denaro tanto ripudiato e tanto prezioso.

luca06

Sempre meglio che da noi….
E’ così difficile chiedere che sia la chiesa ad esigere direttamente al suo fedele il contributo? Il circolo X ti tessera e ti chiede il soldino… il rapporto è diretto e non ambiguo. In qualsiasi altro modo la persona non può non lasciare tracce di se e si offre a ritorsioni. Del resto per costituzione democratica si è in uno stato che vuole il relativismo etico! Che differenza allora può fare dirsi cattolico, protestante o ateo SE poi l’etica laica media le posizioni di tutti e produce leggi che ci si obbliga a rispettare?

moreno03

Più che un “violazione della libertà di religione” ci vedo una violazione della privacy e dei miei dati sensibili, sensibili perché in questo caso potrebbero anche comportarmi discriminazione sul luogo di lavoro in base alle credenze del datore.

mistergrey

“La questione resta pertanto contraddittoria: da un lato viene riconosciuto il diritto del cittadino a non essere costretto a rilevare la propria non-appartenenza ad una religione (come pure quello di non essere costretto a giurare sulla Bibbia)”

A proposito, qualche tempo fa ho visto in tv Naomi Campbell mentre giurava sulla Bibbia al tribunale internazionale dell’Aja che giudica (con generose e ampie esenzioni) i crimini contro l’umanità.

Sicchè l’umanità atea, islamica , buddista, eccetera eccetera , dovrebbe sentirsi tutelata da un tribunale che amministra la giustizia in nome del mitissimo e cosmopolita dio della bibbia.
Andiamo bene.

Paul Manoni

Ma la trattenuta in busta paga, e’ davvero l’unico metodo per prelevare soldi a chi appartiene ad una religione in Germania?
Non c’e’ un metodo che tuteli di piu’ la privacy dei cittadini?
Eppure basterebbe bypassare il datore di lavoro, nella dichiarazione dei propri dati sensbili.

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