Il Nulla come possibilità

Stefano Marullo*

Stefano Marullo

Atei, miscredenti, agnostici, laicisti, finanche apostati, comunque ci vogliano declinare, una delle accuse più infamanti che ci vengono rivolte – almeno nelle intenzioni di chi le concepisce – è quella di essere dei nichilisti. Sapete che c’è? E’ assolutamente vero! Intendiamoci, non siamo così sprovveduti da non cogliere la sfumatura peggiorativa che taluni vogliono dare al concetto; il nichilismo che ci affibbiano è soprattutto quello della dissoluzione di ogni valore, con la presunzione – o sarebbe meglio dire la tracotanza – di chi ritiene che solo le religioni siano portatrici di moralità, ammesso che lo siano, argomento, peraltro, affrontato già in questa rubrica  – vedi Prolegomeni alla fondazione di un’etica laica e conseguente discussione, chiedo venia per l’autocitazione -. Il nichilismo – che pure ha una tradizione filosofica e letteraria di tutto rispetto e il merito di avere traghettato il pensiero occidentale nella modernità – inteso nella sua afferenza con il Nulla, come atei ci appartiene e non dovremmo farne mistero. Beninteso, parlare del Nulla non è esattamente parlare di Nulla. Con buona pace di Carnap che definiva la metafisica heideggerriana puro vaniloquio –  espressioni come ‘il Niente nientifica’ possono  mettere alla prova persino gli uditori meglio disposti – e con buona pace di quanti tra i lettori di questa rubrica, sovente ostentano un disprezzo viscerale per la teologia – che poi dovremmo parlare non di una ma di tante teologie – considerata sapere costruito sul Nulla; magari, dico io! Piuttosto se un limite ha la teologia, costola della filosofia, è probabilmente quello di essere troppo prigioniera dell’ontologia e delle sue categorie; sarebbe oltremodo auspicabile che ricuperasse certe radici di meontologia, cioé un’autentica ontologia del Nulla.
Si accennava ad Heidegger. Ostico, finanche antipatico, ma ineludibile: “Perché vi è, in generale, qualcosa e non il nulla?”, ecco la prima di tutte le domande. Questione capitale rilanciata dal filosofo tedesco  ma che fu già di Leibniz e di Schelling; ognuno di essi ha “risolto” a proprio modo, ma nessuno ha ignorato il peso di quel Nulla che filosofia e teologia hanno tentato, inutilmente, di scacciare come inane faccenda se non vero e proprio flatus vocis da relegare alla mitopoiesi, in nome della mistificazione parmenidea di un Essere separato dal Non Essere, di cui persino Amleto sembra farsi beffe. Un’ermeneutica dei termini ci suggerirebbe di andare molto cauti. Sartre, in un’opera che si chiama, non a caso, L’Essere e il Nulla, dà una lettura inedita e al contempo sorprendente che ci costringe ad intercambiare i parametri: “Bisogna anzitutto riconoscere che non possiamo concedere al Nulla la proprietà di ‘nullificarsi’. Perché, quantunque il verbo ‘nullificarsi’ sia stato formulato per togliere al Nulla la benché minima sembianza d’essere, bisogna ammettere che solo l’Essere può nullificarsi, perché, comunque, per nullificarsi, bisogna essere”. Troppo sottile?
Se i pensatori antichi solevano ripetere Ex nihilo nihil fit, ovvero Nulla viene dal Nulla, la teologia cristiana ha immaginato una creazione dal Nulla – ex nihilo – per differenziare la caducità delle creature rispetto al Creatore. C’è qualcosa di inquietante in tutto questo: Dio che crea dal Nulla in principio per precipitare tutta la sua creazione nel Nulla alla fine dei tempi, nell’Apocalisse. E se l’ultimo libro della Bibbia parla di un certo numero si salvati, alcune apocalissi apocrife -come quella di Pietro – parla di un piccolo ‘resto’ appena strappato all’annientamento. Ma se il Nulla è la struttura del reale in quanto caduco e annientabile, il rapporto tra Dio e il Nulla non è spiegabile se non con la tesi più ardita, di derivazione mistica: “Dio ha fatto tutte le cose dal Nulla e questo nulla è Dio stesso” – Jacob Bȍhme, ma sulla stessa linea Meister Eckhart e il nostro Leopardi – .
Comunque la si voglia vedere, con i neoplatonici piuttosto che con i mistici o semplicemente con il citato Schelling, non v’è dubbio che il Nulla sia il fondamento dell’essere. Oggi cominciano anche a dirlo fisici come Hawking e Mlodinow che la materia si crea spontaneamente dal nulla. Fors’anche la materia oscura, perfetto ossimoro, che Rubbia sta cercando, questa cosa “straordinaria che ci sovrasta, ci domina e che non conosciamo e di cui è formato il 95% dell’universo” non è evocazione del Nulla origine di tutte le cose?
E di fronte a questo Nulla, noi atei ci scopriamo romanticamente nichilisti. Amiamo la vita incommensurabilmente propria a cagione della sua finitezza,  – come si amano i fiori, bellissimi perché effimeri –  ma non al punto da calpestare la nostra dignità; la semplice esistenza non ci interessa, non c’è alcuna sacralità in una vita di semplice sussistenza quando il corpo, le forze e la volontà vengono meno. E se non temiamo la morte che ci riconcilia con il Nulla-Tutto, non per questo la invochiamo; il cupio dissolvi è un’astrazione tipicamente cristiana che non ci appartiene. E non pensiamo a questo Nulla, per quanto inebriante, come ad una divinità, ma come ad un comune destino che accomuna tutti coloro che sono passati da questa avventura irripetibile che in nome dei nostri valori laici vorremmo potere rendere più sopportabile, senza redentori ma con tanti compagni di viaggio che qualche volta dovremo potere chiamare amici.
E siccome, a questo punto, qualsiasi congedo non potrebbe che apparirmi inadeguato, affido al sonetto più bello un po’ di quello che, arzigogolando, ho cercato di comunicare, spero riuscendo:

Forse perché della fatal quiete
tu sei l’immago a me sì cara vieni
o Sera! E quando ti corteggian liete
le nubi estive e i zeffiri sereni,

e quando dal nevoso aere inquiete
tenebre e lunghe all’universo meni
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cor soavemente tieni.

Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme

delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier ch’entro mi rugge

(Ugo Foscolo, Alla Sera)

* Laureato in Storia, ha compiuto studi di teologia e filosofia. Collabora con il Circolo UAAR di Padova.

NB: le opinioni espresse in questa sezione non riflettono necessariamente le posizioni dell’associazione.
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104 commenti

iging

Stefano, hai dimenticato Nietzsche? E Albert Camus?
Ad ogni modo, chi mi dà del nichilista non può che farmi un complimento. Nichilismo è sinonimo di libertà, perché dal momento in cui diciamo che dio è morto, diventiamo consci che siamo noi a decidere i valori. Vuol anche dire che noi nichilisti siamo coscienti della storicità dei valori, cioè che i valori muoiono e ne nascono di nuovi in nuove epoche.
Il paventato relativismo morale arci-citato da B16 è proprio quello che i bigotti temono. In altri tempi l’avrebbero chiamato libero pensiero.
Un altro stereotipo circa è che i nichilisti è che sono sempre tristi in quanto senza mete: direi che è proprio vero il contrario. Le mete ce le scegliamo noi e siamo disposti a batterci per esse.
Sappiamo goderci la vita e non ci lasciamo incantare da nessuno.
Pensiamoci bene: dal momento in cui mi rendo conto che sono io a dire ciò che è bello, giusto ed importante per me, posso vivere bene e soffrire di meno, in quanto mi libero dal giogo dei valori imposti da altri.

hexengut

il sonno, fenomeno naturale e anticipatore dell’ultimo fenomeno, altrettanto naturale, che è la morte; e dove maggior silenzio, maggiore sospensione della vita ma come fenomeno organico e senza alcun riferimento a un nulla eterno, maggior coralità della natura pacificata dal sonno, maggiore compenetrazione con la stessa e proprio nessunissima tentazione di cupio dissolvi, se non in “dormono le cime dei monti/e le vallate intorno,/i declivi e i burroni;/dormono i rettili, quanti nella specie/la nerra terra alleva; /le fiere di selva, le varie forme di api,/i mostri nel fondo del cupo mare;/dormono le generazioni degli uccelli dalle lunghe ali” (Alcmane, in Apollonio Sofista, Lex.Homer., 101, 18, traduzione di S. Quasimodo)?

kleber al salim jones

Stefano, il tuo linguaggio è rivolto e compreensibile solo a gli addetti ai lavori, per una persona semplice come me e la maggioranza schiacciante degli abitanti di questo pianeta, il tuo messaggio è semplicemente nullo!!

Kaworu

son tutti messi così male?

quel messaggio è il vostro, tra l’altro… nemmeno la farina del vostro sacco riconoscete, che livelli…

Florenskij

Il dottor Marullo non ha affatto presentato un intervento “nullo”: ha affrontato i “massimi problemi” con la strumentazione concettuale e linguistica necessaria, consapevole di rivolgersi in primo luogo agli “addetti ai lavori”. Non c’è da scandalizzarsi: ogni campo dello scibile ha i suoi concetti chiave elaborati secondo l’articolazione e la complessità concettuale richiesta. Io non capirei nulla dei “massimi problemi” della fisica nucleare e della chimica, eppure ho bisogno che ci siano dei super-professionisti nella materia. Così è anche per la filosofia e la teologia. Certo, poi bisogna anche saper divulgare.

Batrakos

Sono d’accordo con Florenskij.
Devo dire che è un post molto concettuale, ma affascinante come molto interessanti sono tutti i commenti che sto man mano leggendomi.

Batrakos

Bisogna un po’ capire quel che si intende per nulla.
Il ‘nulla assoluto’ non esiste per definizione, perchè ‘nulla’ credo che significhi ‘ciò che non è’ e credo che sia un concetto limite, contrapposto al concetto altrettanto limite di ‘essere’, concetti che però ci servono a costruire e concatenare i ragionamenti per struttura della nostra mente.
Noi esperiamo che dunque l’essere non può che significare l’esistere (=essere da qualcos’ altro, io vivo dall’incrocio spermatozoo/ovulo dei miei), mentre il nulla è la fine dell’esistenza di quell’ente e la sua mutazione in un altro: uno quando muore finisce di esistere -arriva il suo nulla, da cui era venuto come individuo- e tramite la decomposizione continua il ciclo della natura e dell’esistenza anche se io non ci sono più.
Dunque secondo me a livello puramente speculativo il nulla non esiste, mentre esiste come nulla di qualcosa, non come nulla assoluto, almeno secondo l’esperienza.
Il concetto di ‘vuoto’ e il ‘concetto di ‘nulla’ a rigor di logica non sono esattamente lo stesso concetto perchè il vuoto è mentalmente concepibile tramite il riferimento ad uno spazio fisico, il nulla nemmeno…esso -come l’essere immutabile- rimane qualcosa che alla nostra mente è irrapresentabile ma che è indispensabile per la nostra struttura del ragionamento.
Ma il nichilismo moderno è un discorso più soggettivo, direi legato all’esistenzialismo (anche in nuce ove ancora non esisteva) più che all’ontologia. Il nichilsta dice: per me le divinità coi loro valori imposti, così come nei casi più radicali la stessa vita sociale con le sue convenzioni è nulla perchè sono io il centro ed il cuore della mia esistenza e voglio trarre da me i valori.
Personalmente reputo questa una gran riflessione anche se, nella sua forma estrema, forse troppo fiduciosa nell’uomo, il quale alla fine resta sempre un animale e per sua natura tenderà sempre a sottomettere parte della sua indivdualità ad una struttura di riferimento. Anche se l’istinto di specie cala sempre meno ove si affina l’individualità esso in certa parte credo continui a sussistere come dato biologico.
C’è una frase di un grande del nichilismo anche se poco conosciuto, Max Stirner, che emblematizza questa concezione radicale nell’opera L’Unico e la sua Proprietà

‘Ogni essere superiore a me stesso, sia Dio o l’uomo, indebolisce il sentimento della mia unicità e impallidisce appena risplende il sole di questa mia consapevolezza. Se io fondo la mia causa su di me, l’unico, essa poggia sull’effimero, mortale creatore di sé che se stesso consuma, e io posso dire:Io ho fondato la mia causa su nulla.’

kleber al salim jones

Nulla è quello che si sta concretizzando qui: perdendo un sacco di tempo in cambio di nulla!!!!!!!!

Batrakos

Ebbè, non si può dire che manchiamo di coerenza: si parla del nulla e nulla si ottiene! 🙂
Poi, è vero: sono temi meno importanti e post del genere sono più per amatori di questi argomenti: infatti il numero dei commentatori di questo post è basso.
Però a chi piacciono perchè evitare queste discussioni?
A chi non piacciono…beh ci sono altri threads!

Ezio

Nessuno mi ha mai detto: “io non esisto” e nessuno ci ha tenuto a dirmi “io esisto”.
La nostra esistenza non è mai in discussione. L’esistenza di dio è sempre in discussione, anche tra chi crede.
Il solo pensare (fondo la mia causa su di me) è un evento, è già qualcosa.

Marcvs

Articolo stupefacente.

In un contesto dove la teologia si colloca più che come costola, a mio avviso invece, come antifilosofia per antonomasia, direi che è quasi normale, fisiologico, che in un’epoca post-cristiana coloro che non contemplano più determinati valori, vengano tacciati di nichilismo da chi ancora crede di detenere il monopolio valoriale.
Ed è vero. Verissimo.
Sono totalmente nichilista nei confronti dei valori cristiani.
Ed hanno ragione lor signori cattolici, imporporati e non, quando lamentano il decadimento sociale dei valori.
Perché è verissimo, i loro valori, quelli cristiani, stanno totalmente decadendo.
Se qualche nostalgico credente ritiene che ci sarà un’inversione di marcia per un ritorno ai valori Cristiano-Cattolici ho l’impressione resterà fortemente deluso.
Stiamo andando dalla parte opposta, verso il progresso sociale e laico, verso una sempre più forte relativizzazione e secolarizzazione, conseguita però non a suon di sentenze dall’alto come è stato poche settimane fa per la sentenza boomerang del crocifisso. Ma ereditaria, educativa, culturale, che parte dal basso, dalle nuove generazioni in primis.
Ma non c’è mai un “vuoto” di valori a meno che non sia questa, in tutta franchezza, la percezione appunto di chi vive in modo sofferente una transizione valoriale dove sono i proprio valori a non essere appunto più contemplati.

Dovrebbero forse interrogarsi sul perché quei valori non sono più contemplati e non se ne trasmette più l’ereditarietà.
Perché i valori non mutano come le mode dall’oggi al domani come avviene per le mode.
Almeno fin quando non siano diventati o stiano diventando non più funzionali, appunto, alla sopravvivenza e al successo dell’individuo nel proprio ambiente, micro sociale e macro sociale.

Un buon weekend a tutti, belli e brutti.

giuseppe

Il nulla come possibilità…mi vengono i brividi al solo pensiero. Che tristezza, in questo non posso invidiarvi.

FSMosconi

Io invece non ti invidio per i tuoi trip mentali semi-paranoici di tipo superstizioso e le negazioni e le bugie che continui a dirti per tenerti in testa e non farti crollare quel castello di carte che ti hanno messo in tesat da bambino…

TEO

Più che brividi direi una grande tristezza: la tristezza di sentire delle persone che, per dirla biblicamente, hanno contabbandato la bellezza delle fede con il pianto di lenticchie di un nichilismo che non fa approdare a nulla

Gérard

La tua fede purtroppo non ti fara approdare in nessun paradiso . Finirai anche tu nel Nulla eterno ma non ne soffrirai perche non ne sarai cosciente . Ti sei creato un mondo d’illusioni e forse ne sei felice . Ma per favore, non cercare a fare approdare gli altri a questi lidi dove non c’e liberta …

fab

TEO, sei tu che contrabbandi la bellezza della verità per un’illusione che non porta a nulla.

Markus

Io vorrei essere d’accordo, ma trovo questi testi troooooppo complicati.
Questo è già più chiaro degli altri, ma quando uno comincia ad usare parole troppo insolite io mi fermo. Il linguaggio tecnico è cosa preziosa, ma si usa con i tecnici. Secondo me qui si dovrebbe scrivere in termini semplici e divulgativi.

Ciascuno nel suo campo è in grado certamente di esprimersi in modo tecnico, ma qui io non lo farei ecco tutto.

Poi complimenti all’autore, grande cultura, magari quello che dice è giusto, ma io rivendico il diritto di farmi spiegare le cose in modo semplice. Se quando il sig. Marullo va in banca a chiedere un libretto di assegni il cassiere gli cominciasse a dire “Sì, ma cosa è esattamente un diritto cartolare ? ” credo che non ne uscirebbe più. Se quando chiede una somma alla cassa la risposta fosse ” Sì, ma cosa è la moneta ? E quello che chiede di quale aggregato macroeconomico fa parte e perchè? Come lo registrerebbe nella sua contabilità? E in quella della banca in seguito alle modifiche di basilea 3? Che effetto ha questo prelievo sul suo tasso di risparmio ? Mi saprebbe esprimere il suo cash flow in termini di VAN attualizzato al presente ritiro, spiegare se in questo caso esiste il TIR, se è univoco e cosa ci dice di più rispetto al VAN? ” Sono sicuro che il sig. Marullo penserebbe di avere un cassiere molto preparato in economia… ma cambierebbe banca.

#Aldo#

Il nulla (inteso come dissolvimento dell’individualità) è l’obiettivo, il “terribile” punto d’arrivo cosciente, d’ogni vivente che “conquista” la coscienza di sé e della propria condizione. Per contro, la non costituzione dell’individualità evita agli individui che ancora non esistono ogni possibile travaglio. La responsabilità della costituzione dell’individualità e della sua inevitabile dissoluzione, con l’altrettanto inevitabile travaglio che si frappone tra i due estremi, è ascrivibile esclusivamente alle entità generatrici della vita, ovvero a coloro che decidono di imporre la vita ad una prole di per sè inesistente e incapace di generazione autonoma. Cosa, se non il desiderio d’attenuare il proprio personale tormento tramite un fugace appagamento, può spingere a imporre ad altri un percorso che si riconosce travagliato? Non c’è nulla di nobile, nè di amorevole, nella generazione della vita.

P.S. Chissà se pure questa volta mi verrà fatto notare che non dovevo intervenire su un argomento del genere. Sarebbe particolarmente simpatico da parte del buontempone che l’ha già fatto una volta (ma anche da parte di chiunque altro).

kleber al salim jones

Aldo, sei riuscito a scrivere tanto e non trasmettere nulla. Congratulazioni!!!!!

Markus

Non è così, è che scrive da filosofo per filosofi.
Il dramma è quando Ratzy fa lo stesso e non lo capisce nessuno… infatti poi vedi i risultati che sono involontariamente comici.
D’altra parte, se un dio esistesse che bisogno avrebbero i detentori della Verità di dimostrarla agli altri ?

kleber al salim jones

Un messagio ha valore quando raggiunge il maggior numero possibile di individui, buono o cativo chesia. Un messaggio che rimane circoscritto a una piccola cerchia di eruditi fine a se stessi che valore didattico può avere. Gara tra eruditi, corsa tra tartarughe…

Kaworu

i messaggi di ratzinger di solito sono quello che tecnicamene si chiama “discorso vacuo”.

nightshade90

kleber
ma il messaggio difatti è in grado di diffondersi alla maggioranza delle persone. sei tu che sie palesemente incapace di recepirlo, ma solo perchè il tuo livello è parecchio più basso della media delle persone istruite.

#Aldo#

Te lo traduco facile facile: chi non esiste non può patirne e non può morire; chi esiste patisce e, alla fine, muore sempre; i responsabili del patimento sono coloro che fanno nascere; chi fa nascere condanna sicuramente il nascituro alla morte. Ah, ma è per amore, ovviamente.

Florenskij

“Nasce l’uomo a fatica
ed è rischio di morte il nascimento.
prova pena e tormento
per prima cosa; e in sul principio stesso
la madre e il genitore
il prende a consolar dell’esser nato.
Poi che crescendo viene,
l’uno e l’altro il sostiene, e via pur sempre
con atti e con parole
studiasi fargli core,
e consolarlo de l’umano stato;
altro ufficio più grato
non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perchè dare al sole,
perchè reggere in vita
chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura,
perchè da noi si dura?
Intatta luna, tale
è lo stato mortale.”

Giacomo Leopardi “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”

bruno gualerzi

(In altra sede, facevo questa riflessione sul nulla.)

IL NULLA E I FILOSOFI (il nulla come esperienza esistenziale)
I filosofi hanno preso in considerazione il nulla, l’hanno analizzato, sviscerato, manipolato, hanno cercato di renderlo presentabile togliendogli di dosso un po’ delle contraddizioni più stridenti che inevitabilmente lo accompagnano… molti di loro hanno ritenuto che fosse trattabile in un solo modo, cioè come emozione pura, riconducibile esclusivamente a se stessa, risolvibile solo in se stessa e per se stessa, e come tale da lasciare in eredità a poeti e artisti in genere… Ma, in realtà, l’hanno mai preso sul serio?
Perché, cosa significa ‘prenderlo sul serio’? Significa intanto chiedersi cos’è per noi il nulla, cosa potrebbe essere per se stesso e che rapporto ha con l’essere, per poi approdare alla domanda delle domande, quella che dovrebbe sorreggere dopo averla scagliata nel vuoto, la filosofia: “Perché esiste l’essere e non solo il nulla?” Ora, a questa domanda in qualche modo è stato risposto, a volte in modo magistrale, ma poi si è ritenuto di considerare queste risposte, quali che fossero, in qualche modo decisive, conclusive, il punto d’arrivo di una ricerca, e quindi un punto fermo su cui costruire, fosse pure, la risposta, una dichiarazione di totale impotenza conoscitiva…
Ma questo non significa prendere sul serio, fino in fondo e coerentemente, il nulla! Per farlo bisogna sollecitare continuamente l’immaginazione per tentare ogni volta la possibilità che esso si riveli sapendo che non si rivelerà mai mentre glielo chiediamo, ma che dobbiamo chiederglielo per non lasciar cadere la domanda, per sollecitare il pensiero a continuare a vedersi nella prospettiva filosofica, senza mai riposarsi nello sforzo di immaginare il nulla, il non-essere…
Perché lui è lì, subito prima e subito dopo ognuno di noi, subito al di fuori di noi appena avremo smesso di girare su noi stessi facendo perno sul nostro povero io per evitare di incontrarlo… ma in questo giro su noi stessi, il giro intorno alla nostra vita, non possiamo evitare di sfiorarlo continuamente, di cercarlo continuamente, di sentirne l’alito, il soffio, perché sembra proprio lui, il nulla, ciò che ci fa girare. Non possiamo ignorarlo, fingere che non ci sia, non pensare a lui, al nulla, non provare a immaginare cosa sia.
Ma non possiamo elaborare teorie su di lui, come hanno preteso in qualche caso i filosofi, a volte per scacciarlo dalla nostra riflessione, a volte per lasciargli libero ingresso senza fargli pagare pedaggio, perché questo pretendere di elaborare teorie su di lui significherebbe pretendere di farlo entrare comunque (in negativo o in positivo) in casa nostra, mentre lui sarà sempre appena fuori l’uscio di casa, a spiare dentro, a obbligarci a sentire che c’è, ad ascoltare una presenza che può in ogni momento ‘nullificare’ il nostro esserci, e a costringerci a chiedere perché. Perché noi. Perché lui. Perché noi e lui. Perché noi lui e l’essere. Perché non solo lui. Potremo anche tentare di definire cos’è, ma se poi non ci chiederemo anche perché, perché il nulla rende nello stesso tempo possibile e superfluo il nostro esserci, perché ne è la causa e la negazione, rischiamo di dimenticare che il suo posto è fuori di noi e il nostro dentro di lui, e che quindi dobbiamo sempre averlo presente come presenza viva, non cercare di togliercelo di torno applicandogli un’etichetta e poi metterlo nel deposito delle cose inservibili. E magari elevare i filosofi a custodi del nulla, a suoi sacerdoti, che, come tutti i sacerdoti, si nutrono solo delle spoglie del dio e pensano di viverne di rendita…
Il filosofo può essere veramente ‘il custode del nulla’, ma nel senso che si sforzerà sempre di rischiarare la strada che sta percorrendo con la ‘luce’ del nulla che ne delimita i margini. Se perde di vista il nulla pensando di averlo sistemato una volta per tutte, perde di vista la strada… ma se si illude così di essersi impadronito del nulla, di utilizzarlo a piacere, finirà inesorabilmente per rendersene schiavo.

teologo cattolico

comincio a prendere gusto a frequentare il sito, mi incuriosisce la specie uaarino e il suo paradigma di pensiero. giusto ni setttimana vi siete consumati ad attaccare uno storico come de Mattei, aggiungendo il classico mantra che la teologia è fuffa e solo la scienza è vero conoscere, che i concetti metafisici sono pura favola, mito, costruzioni insignfiicanti perchè non verificabili empiricamente, che la bibbia è considerata assurda perchè non è scienza…e adesso si presenta un ateo nel sito dell’uaar che è storico, ha studiato teologia e e filosofia, conclude con una poesia il suo intervento, parla di concetti che nn hanno base scientifica… ed è osannato….mi incuriosite, dico sul serio (sarebbe da fare una copia di tutto il 3d)

AndreaC

Sono d’accordo con teologo cattolico. Trovo inoltre che il nichilismo possa essere positivo, per certi punti di vista; ma chi ci assicura che questo non ci porti alla perdita di ogni valore? E se sostituissimo ai valori dei non-valori, dei valori alla rovescia? D’altro canto, non era un valore positivo per certi popoli uccidere vittime sacrificali umane? Eppure, un tale comportamento oggi ci pare abbastanza disumano. A chi dare retta, dunque? A chi uccide o a chi afferma come esso sia brutale ed inumano? Dovremmo riflettere, quindi, sul significato di nichilismo. E su fino a che punto esso si possa spingere. E concluderei con la frase di Dostoevskij: “Se Dio non esiste, tutto è permesso”. Nel bene o nel male di questa specie di libertà incondizionata.

Diocleziano

Mi pare che l’equazione ”niente dio = niente regole” soffra di infantilismo etico.
Io sono ateo e, scusa l’immodestia, vedo nei fatti di essere più coerente moralmente di tutti i cattolici che conosco. E non mi si venga a dire che, inconsciamente, mi comporto secondo valori cristiani: sono valori insiti nell’uomo, e dio li ha trovati negli uomini che creò… dopo che fu creato dagli uomini…

bruno gualerzi

Figuriamoci se non saltava fuori Dostoevskij (grandissimo scrittore, ma scarso filosofo) col suo Grande Inquisitore a sentenziare che ‘senza Dio, tutto è permesso!’
Mentre è proprio tirando in ballo dio (quale, quello cristiano, quello ebraico, quello mussulmano o quelli di tutte la altre religioni istituzionalizzate e dei loro surrogati ideologici?) che ci si ritiene in possesso di verità assolute per testimoniare le quali… tutto è permesso. Come la storia insegna.

giuseppe

Gérard risponde:

sabato 2 aprile 2011 alle 14:44

La tua fede purtroppo non ti fara approdare in nessun paradiso . Finirai anche tu nel Nulla eterno ma non ne soffrirai perche non ne sarai cosciente . Ti sei creato un mondo d’illusioni e forse ne sei felice . Ma per favore, non cercare a fare approdare gli altri a questi lidi dove non c’e liberta …

Pensando alla scommessa di Pascal voi siete messi molto più male. Se non ci sarà nulla pazienza ( non ce ne accorgeremo ), ma se c’é qualcosa avrete molti rimpianti.

Florenskij

@Prof. Gualerzi. La citatissima massima di Dostojevskij in realtà riassume in una riga il discorso rigorosdamente nichlilistico-ateistico del marchese De Sade, punta estrema del libertinismo illuministico nel suo aspetto “nero” ( quello che si nascondeva negli “inferni della biblioteche ). Altro riferimento “I legami pericolosi” di Choderlos de Laclos ( il gusto “immoralistico” di sporcare l’innocenza tramite la finzione e l’intrigo). Comunque le persone pie che vogliono usarlo come un asso nella manica si dimenticano che la problematica dell’ateismo viveva nello scrittore russo sotto forma di Ivan Karamazov, accanto alla passionalità ( Mitja ) e alla devozione ( Aliosha ).
Quanto alla differenza fra i diversi tipi di Dio, credo che il concetto di Dio come supremo principio di razionalità sia largamente coincidente nelle varie tradizioni religiose, almeno al fine della “legittimazione” dei sistemi di valori come “comandati dall’alto”.

Diocleziano

Giuseppe,
la scommessa di Pascal è quanto di più ributtante e miserabile si possa concepire.
Qualcuno disse che il cristianesimo è una religione per schiavi…

bruno gualerzi

“Pensando alla scommessa di Pascal voi siete messi molto più male. Se non ci sarà nulla pazienza ( non ce ne accorgeremo ), ma se c’é qualcosa avrete molti rimpianti.”

E secondo te questo calcolo utilitaristico (con buona pace di Pascal, per fortuna, nonostante il ‘pari’, grande filosofo e scienziato) fa senz’altro vivere più pienamente la propria umanità? Non pensi che ci sia chi si senta di vivere molto più autenticamente senza esorcizzare la paura del nulla puntando a popolarlo di compassionevoli presenze che ci consoleranno della precarietà della condizione umana?

In quanto ai ‘rimpianti’, scendendo al tuo livello, mi viene in mente una battuta: “Che fregatura per i frati se non c’è il paradiso!”
Naturalmente si tratterebbe di ‘frati’ che, se volessero veramente mondarsi dal peccato originale, dovrebbero vivere una vita di rinunce e di preghiera, rifuggendo dalle lusinghe del mondo. Col terrore, tra l’altro, di non fare mai abbastanza per evitare la pena eterna (esiste o no l’inferno?). Bel guadagno!

Florenskij

@ prof. Gualerzi. A proposito di frati, ricordo che ne “La fine del mondo” di Dino Buzzati, scrittore non credente ma con un immaginario connotato da un’educazione controriformistica, di fronte all’incombere della suprema minaccia ( una gigantesca mano sospesa nel cielo) gli unici contenti, anzi giulivi, sono alcuni fraticelli. Presi in giro tutta la vita come ingenui credenzoni e babbei, ora hanno la loro rivalsa.
Il discorso di Gesù ( chi crede avrà, oltre alla vita eterna, anche il centuplo in questo mondo) vuol dire che l’uomo pio, pur trovandosi obbligato talora a rinunciare ad alcuni o a molti piaceri, è sempre confortato dalla fiamma ( o fiammella, magari intermittente ) della fede, anche attraversando la”valle della morte”.

bruno gualerzi

@ Florenskij
Ma la mia era, appunto, una battuta per ribattere ai ‘rimpianti’. Rimpianti che probabilmente non ha il fraticello di Buzzati (non credo comunque che basti per testimoniarlo il discorso di Gesù), la cui fede però (parlo ovviamente da ateo) gli toglie molto dell’umanità che potrebbe dispiegare se non si rimettesse alle promesse divine.
Se proprio vogliamo parlare di ‘rimpianti’ li concepisco come confronto/scontro con la condizione umana che viene arricchita nella misura in cui non la si esorcizza evadendone.
Leopardi,per intenderci.

bruno gualerzi

@ Florenskij
Vedo adesso che anche tu citi Leopardi… così – pur non condividendo – mi potrai capirai meglio.

bradipo

@Florenskij

l’uomo pio, pur trovandosi obbligato talora a rinunciare ad alcuni o a molti piaceri, è sempre confortato dalla fiamma ( o fiammella, magari intermittente ) della fede, anche attraversando la”valle della morte”.

Mi permetto un piccolo appunto su questa parte… su cui si può fare un discorso analogo a quello della famosa fallace scommessa, che proprio Bruno Gualerzi tirava in ballo, anche se speculare per certi versi.

Il discorso non riguarda l’uomo pio. Così come il fraticello anche il terrorista suicida nel momento più duro trova conforto nella fede per trovare il coraggio… ognuno citi il messia che preferisce e la ricompensa che più gli aggrada.
Quindi siam sempre lì… non importa in cosa, basta credere?

fab

giuseppe, la scommessa di Pascal è di una debolezza sconfortante. Tu continui a coltivare l’illusione di poter avere qualche indizio sull’esistenza dopo la morte, ma non ne hai. Anche ammettendo di esistere ancora, non c’è un solo motivo al mondo, non uno, per credere che chi prega sarà trattato meglio, o peggio, o ugualmente, di chi non prega. Le poste in gioco stabilite da Pascal e da chi gli va dietro sono totalmente arbitrarie.

Diocleziano

Appunto. Per fare una scommessa ci vuole una controparte che eventualmente paghi la posta in gioco. Qui è tutto autoreferenziale. È una scommessa che si può solo perdere perchè paga in ogni caso l’unico scommettitore, che gioca contro sé stesso.

Florenskij

@ Prof. Gualerzi. Ho citato Leopardi perchè apprezzo enormemente la lucidità con cui affronta la problematica esistenziale ed antropologica. Penso che Leopardi poeta sarebbe rimasto poco più di un grazioso arcadico se il suo sentimento non fosse stato innervato da una riflessione poderosa. Il suo è un umanesimo tragico; ove per tragedia si intende non semplicemente le vicenda che finisce in modo umanamente disastroso, ma la forza dell’eroe che affronta forze soverchianti: è vinto fisicamente, ma è vincitore moralmente.
Devo dire in tutta franchezza che non capisco come in questo blog si creda generalmente di poter saldare un umanesimo ottimistico ( la “magnifiche sorti e progressive “) sulla base di una concezione del mondo in cui il progresso, se c’è, si basa sullo scontro di forze, tanto nel cosmo quanto nel mondo biologico ( Marx:”La violenza è la levatrice della storia” ). Non è per farle una sviolinata, ma perchè lo credo effettivamente: in lei trovo questo “sano” umanesimo tragico.

serlvrer

perdere la scommessa di Pascal significherebbe uno alla avrebbe buttato via la sua vita credente per tutta la sua durata ad una mito che ti impone regoli e sacrifici per nulla. Se questo non è sconfortate, non so cosa lo dovrebbe essere.

nightshade90

la scommesa di pascal è menomata da un bruttissimo difetto: vale solo se le uniche due possibilità sono non-dio e dio cristiano. ma gli dei possibili sono infiniti (e la maggior parte di essi non infinitamente buoni, anzi moltissimi profondamente malavagi), quindi adorare quello sbagliato non fà che scavarti una fossa sempre maggiore nell’aldilà.

a questo punto la soluzione migliore della scommessa è essere atei: se c’è l’aldilà, hai la stessa probabilità di tutti gli altri di finire nel paradiso (cioè sostanzialmente la probabilità di aver casualmente beccato il comportamento che piace al vero dio), ma almeno hai vissuto secondo la TUA morale e come volevi TU, invece che limitare la tua felicità in questo mo0dno nel disperato tentativo di averne di più in un ipotetico prossimo.

Florenskij

Credo che nemmeno Pascal credesse al valore probante della sua scommessa: per lui ci sono “ragioni del cuore” che superano le “ragioni” della scienza umana: in poche parole, un intuizionismo religioso. Penso che si rivolgesse ai “libertini” che rifiutavano di decidersi per Dio uscendo dall’agnosticismo con un discorso di questo tenore: “Tenete tanto alla razionalità? Ebbene, potrei ridurre il discorso, se proprio lo esigete, ANCHE in termini vicini a quelli della scienza “razionalista”: il rigoroso benchè se freddo calcolo delle probabilità”. Bisogna tener presente che per Pascal, devoto del XVII ( per di più giansenista ) la prospettiva dell’Inferno era incombente; basta pensare all’esito dalla vicenda di don Giovanni, personaggio emblematico del libertinismo, che è trascinato fra le fiamme dal Commendatore; oppure al personaggio manzoniano dell’Innominato, che rinuncia al suicidio dopo essersi chiesto se l’aldilà non sia solo “un’invenzion de’ preti”.
Per Pascal non ci sono dubbi: chi opta per la fede, al massimo non gode o gode poco una vita che comunque non avrebbe esito peggiore dell’annichilimento della morte; chi opta per la non-fede rischia addirittura la morte eterna.

Paolo P.

Il Nulla cosmico esiste, il metafisico-teologico non esiste!

Markus

Vabbeh… ma tu dicci prima dove sta dio.

A me la storia di gesù che parte come un missile verso il cielo, poi lo segue la madonna… dai, pare star trek.

Beam me up, Scotty…

E poi se ne va 2000 anni senza nemmeno mandare una cartolina, solo la madonna ogni tanto fa una capatina e si nasconde … siamo seri…

Il vecchio poi non si sente e non si vede, come lo spirito santo…

Mai una apparizione dello spirito santo in 2000 anni. Vergognoso.

Kaworu

direi che il cranio di kleber contiene un ottimo esempio di nulla cosmico

soave

Scusa Marullo, puoi spiegare cosa intendi per essere “romanticamente” nichilisti?
Seconda cosa proponi di passare da Unione Atei ed Agnostici Razionalisti a Unione Atei ed Agnostici Nichilisti?

luca t.

Mah, mi piacerebbe sapere cosa ne pensa Piergiorgio Odifreddi…
Da ignorante, mi sembra che nel testo, in riferimento a ciò che dice la scienza, si cada in grossi abbagli.
Per esempio, per quel poco che percepisco, direi che di certo la materia oscura non è nulla di ciò cui Marullo sembra alludere, e di certo non c’entra nulla con il nulla (!).
Più in generale temo che chi ha una valida preparazione scientifica possa eccepire che nella fisica moderna il nulla, inteso come uno spazio privo di ogni forma di energia, semplicemente non esiste e non può esistere.

rolling stone

Hai ragione Luca
riguardo alla fisica moderna in questo testo si cade in grossi abbagli.
Che “la materia si crea spontaneamente dal nulla” è una bufala (anche se lo dice Hawking). Per più motivi, tra i quali:

1. Non è necessario aver studiato fisica per sapere – o meglio, per avere la certezza viscerale – che ogni effetto ha una causa. Dubitare di questa verità è sintomo di squilibrio mentale, poiché nel computer di bordo “intelletto” si è guastato il software “principio di causalità”.

2. “Ma una causa – dicono – esiste! E’ stata una gigantesca fluttuazione del vuoto!”.
E’ vero che in fisica si osservano fluttuazioni del vuoto, durante le quali entrano in azione le cosiddette particelle virtuali. E’ vero anche che queste particelle fantasma possono trasformarsi (in particolari condizioni, ad esempio, in un acceleratore di particelle) in particelle reali, ossia materia e antimateria (ad esempio, la coppia elettrone-positrone). Ma la fisica ci dice anche che le fluttuazioni del vuoto avvengono solo in presenza di un campo (elettromagnetico, forte, debole o gravitazionale). Questo è il punto! Dato che la presenza di qualsiasi campo significa anche presenza di energia, sia le fluttuazioni del vuoto, sia la creazione di materia e antimateria, possono avvenire solo grazie, e a spese, dell’energia. Questa energia deve essere già presente e disponibile prima che avvenga qualsiasi effetto. Solo utilizzando una certa quantità di energia proveniente dall’esterno si può estrarre dal vuoto una coppia particella-antiparticella. L’energia rubata viene poi esattamente restituita quando la coppia si ricombina (annichila).

3. “Ma l’energia necessaria per la estrazione – insistono – è quella di cui le particelle stesse dispongono, in conformità al principio di indeterminazione di Heisenberg”.
In realtà, secondo la meccanica quantistica (ortodossa) una particella non possiede alcun valore definito dei suoi parametri fisici (posizione, velocità, energia, ecc.) finché questo parametro non viene misurato. E’ la misura che conferisce una determinazione ad una quantità che in precedenza era oggettivamente indefinita. Riguardo al parametro energia il principio di indeterminazione dice semplicemente che l’errore (la indeterminazione) che si compie nella misura dell’energia di una particella è inversamente proporzionale all’intervallo di tempo necessario per la misura.
Per estrarre dal vuoto una coppia di particella ed antiparticella è necessario fornire energia dall’esterno (e non solo: sono necessarie altre condizioni, che non è il caso qui di ricordare). Non si crea materia: si trasforma solo energia in massa. Il principio di indeterminazione dice un bel nulla riguardo al processo di estrazione e tantomeno conferisce alle particelle la libertà di uscire dai ranghi.
In conclusione, la fisica moderna ci dice (ancora una volta) che nulla si crea: si può solo trasformare energia in materia e viceversa. La creazione dal nulla è un concetto sgangherato che lasciamo volentieri ai teisti, o a chi, come Hawking, mira innanzitutto a vendere i suoi libri.

kleber al salim jones

In fatti, questo gruppo di discussione è perdi tempo poichè il nulla è un’ astrazione, non esiste fisicamente da nessuna parte dell’ universo. Sarebbe forse la divinita immateriale venerata dagli atei? Beccati!!!!!!!!!!

Markus

Fidati, si vive benissimo senza credere che esista una specie di intelligenza buona che fa esplodere fukushima…

Florenskij

@ Markus. E se l’Intelligenza che PERMETTE l’esplosione in Giappone facesse ritornare alla vita, e a una vita piena, le vittime del disastro? Il Dio del libro di Giobbe non fa il male; permette che a farlo sia Satana, predisponendosi a regolare i conti al momento giusto. Proverbio popolare: “Dio non paga il sabato”.

bradipo

Se costruisco una bomba atomica in cantina, e poi, iniziato un incendio accidentale, me ne sto lì a guardare il fuoco con un estintore in mano… è proprio così netta la distinzione tra permettere ed essere i fautori dell’esplosione?

Se mi sterminassero moglie e figli cresciuti non so se riuscirei a considerare ricompensa adeguata una famiglia di ricambio e un “faccio così perché è così che fa quello che comanda tutto” dopo un incontro con il divino.

Ma magari sbaglio qualcosa.

tonii

Temo che la tensione tra l’Essere e il Nulla sia frutto di una semplice trappola linguistica facilmente smascherabile uscendo dalle lingue indoeuropee e semitiche.
Infatti il verbo essere contiene in sé sia il valore copulativo che il valore locativo che il valore esistenziale. Ma questa sovrapposizione di significati in un unico verbo non cancella che di tre valori diversi si parla. In cinese classico le frasi “io sono un insegnante”, “il sole è rosso”, “il gatto è sul tavolo”, “è tempo di andare” e “io sono colui che è” non potrebbero essere tradotte con lo stesso verbo (in alcuni casi il verbo non ci sarebbe proprio).
Questa trappola, che diede origine alla celebre patacca di sant’anselmo (la prova dell’esistenza di dio) fu smascherata da Kant solo secoli dopo. Se avessero tentato di tradurla in cinese ne sarebbe emerso un testo talmente illogico, perché privo di tutte le false assonanze dettate dalla lingua, che sarebbe stato rigettato immediatamente in quanto assurdo.

Quindi, bene con le indagini filosofiche, bene con gli smascheramenti dei vizi logici del cristianesimo, ma a volte uscire dal ristretto ambito dello spuntone più occidentale del continente euroasiatico ci permette più rapidamente di renderci conto che certe analisi, in altri ambiti linguistici, non possono essere date.
E se non si danno è perché il pensiero viene condizionato dalla lingua. Creando così l’apparenza di una logica o, nei casi più abberranti, persino l’idea che esista un essere superiore.

Il fatto che i gesuiti nel seicento non riuscissero in Giappone a trovare un termine per dire “dio” la dice lunga (alla fine lo chiamarono “signore del cielo” in Cina e “deusu” in giappone!).

Batrakos

Sì, al verbo essere è data una moltpelicità enorme di sensi, ma la differenza si può rendere sostituendo al verbo essere un altro verbo, più appropriato, che esiste anche nella nostra lingua:
– sono un insegnante= faccio l’insegnante
– il gatto è sul tavolo= il gato sta sul tavolo
– è tempo di andare= è giunto il tempo di andare
Vediamo così che il copulativo (Luigi è buono) resta l’unica forma davvero propria del verbo essere.

E veniamo alla famosa frase ‘io sono colui che è’.
Quel ‘colui che è’ implica un rapporto, tutto giocato su precisi termini semantici, volto ad indicare il rapporto essere/ esistere.
Esistere, da ex, vuol dire esserci uscendo da altro ente; in quel caso viene usato essere, riguardo all’ipotetico dio, perchè egli esisterebbe senza un altro ente che lo genererebbe e senza divenirne un altro dopo il suo ciclo dell’eistenza Di qui il conceto di essere senza funzione copulativa.
In quel caso essere è visto come opposto a divenire, come dire ‘io sono colui che è immutabile’.
Ora che poi questo concetto abbia in automatico l’esistenza come voleva Anselmo è errato perchè non sempre i nostri concetti hanno una rispondenza in enti reali ma spesso sono strutture cognitive, questo lo si risolve anche in via occidentale.

Per cui anche in ambito occidentale si può uscire dalla confusione: bisogna sempre stare attenti al concetto veicolato dall’uso del verbo essere, che può sì creare confusione ma solo ove non vi sia attenzione nel delimitare i signi f i cati di questo verbo, ove sia un uso semplice di altri verbi più propri (è come il verbo ‘fare’ che vuol dire un sacco di cose) e dove invece sia un uso esclusivo e circoscritto del termine.

POPPER

A parte il fatto che quello di chi ci accusa di nichilismo è solo una dialettica fondata sul “teo-per nulla logico”, io opteri per una riflessione anche scientifica, l’entropia non è l’anticamera della fine dell’universo come ritorno a dio, così come il big bang non può essere venuto dal nulla, come molti potrebbero credere:
– le 4 forze rimangono unificate nonostante lo spazio apparentemente fatto di nulla,
– l’allontanamento delle galassie tra loro non è che il naturale espamdersi dell’Universo,
– ma in noi esiste il microcosmo fatto anch’esso di spazi infiniti, i frattali sono egualmente ben rappresentati nel macro cosmo come anche nel microcosmo,
– il nichilismo di alcune forme di vita non deve essere una parola dogmatica irremovibile e indiscutibile, “tutto si trasforma”, la morte è solo una parola che mette fine ad una serie di altre parole, rimane la trasformazione della sostanza vitale che ha ancora capacità biologica fino alla sua ultima combustione, ma si accetta che a quel punto non vi può essere una mente cosciente che continua in altre dimensioni.
– il nulla non esiste in realtà, ma ironicamente è solo un’anticamera sempre in cinta di gente come De Mattei, ed è anche il luogo dove vive di solito con la sua mentalità.

Tu dici:
Il filosofo può essere veramente ‘il custode del nulla’, ma nel senso che si sforzerà sempre di rischiarare la strada che sta percorrendo con la ‘luce’ del nulla che ne delimita i margini. Se perde di vista il nulla pensando di averlo sistemato una volta per tutte, perde di vista la strada… ma se si illude così di essersi impadronito del nulla, di utilizzarlo a piacere, finirà inesorabilmente per rendersene schiavo.

Qui è il problema della demarcazione in epistemologia, ma non si può ammettere il noumeno perchè metafisico, solo una sufficiente serie ben comprovata di asserzioni particolari di fenomeni e casi particolari accertati, altrimenti non si potrà indurre logicamente ad un’asserzione generale che dovrebbe valere sia per chi osserva che per ciò che è osservato e qui subentra la difficile intepretazione del principio di indeterminazione di heisemberg e, ovviamente del gatto di Shreodingher.

Mi spiego:
– se ho fatto innumerevoli ipotesi e poi asserzioni comprovate da scoperte scienrifiche sul limite della vita, sulla sua durata, sulla sua capacità di rigenerarsi in malattia e nei traumi, allora posso, nei limiti della ricerca scientifica, pensare che la mente umana è si forte e capace di superare anche traumi psicologici, ma non è immortale e segue il destino del corpo, si degrada in vecchiaia, cessa di vivere perchè manca la condizione neuro-chimica per una coscienza lucida responsabile, e poi c’è la deconposizione.
– ma il limite è che colui che osserva la propria morte, anche soffrendone psicologicamente, non è capace di vederne il dopo, quando gli isotopi decadono, eccetto l’idrogeno, per il resto c’è la combustione.
– Ecco il gatto di S.er, non posso osservare il nulla in cui mi dissolvo, perchè non posso essere cosciente di essere vivo o morto, gli altri al mio capezzale invece vedono che non ci sono più, ma cosa veramente non c’è più? Se io sono sia la mente che il corpo in senso naturalmente non dualistico, beh la mente non può più osservarlo, resta solo la trasformazione del corpo, la sua degradazione e combustione, neppure questo potrò osservare, per me alla fine il gatto non è ne vivo ne morto.
– Il mio limite naturale risulterà per i filosofi un paradosso se affrontato solo a colpi di congetture metafisiche, è necessaria la falsificazione in questo caso, non posso accettare solo che si muoia e basta, non ha certamente un senso la morte, lo so anche io, ma non è proprio semplice il solo morire, ed è proprio per questo che fin dagli albori dei tempi gli uomini han dedicato riti e parole oppportune intorno alla morte, la stessa scienza sta studiando in un certo senso la morte, i limiti dell’uomo e come possono essere superati dalla tecnologia.
– io sono ateo e non ho alcuna morale nei miei schemi mentali, i miei sentimenti sono rispettosi degli altri, rispetto le leggi costituzionali e internazionali, ma non è perchè sono libero di farlo, ma costretto a farlo, tuttavia non mi sento costretto a non uccidere e a non rubare, non lo farei comunque perchè ho un etica, ma molte delle leggi costituzionali non sono proprio laiche e abbiamo visto che impongono simboli religiosi di una sola religione come se fosse di stato, per questo io assieme a voi protesto per la mancata laicità dello stato, non posso dire che non rispetto di principio la Costituzione, ma non la ritengo come divina e infallibile e insostituible e indiscutibile, verranno anni in futuro dove i tempi saranno maturi per un cambiamento epocale.
– oltretutto se faccio del bene a qualcuno non mi aspetto il premio nell’andilà, lo faccio in modo disinteressato, mentre i preti si fan pagare profumatamente dai politici che dovrebbero rappresentare la laicità dello stato, ossia la sua neutralità.
– poi io critico la concezione dualistica della fede: anima e corpo, dualismo che vede nella speranza della resusrrezione, dapprima la separazione dal corpo-mente poi alla sua ricongiunzione sulla nuova Terra Promessa (concezione anche presente nella reincarnazione in un certo senso e nella teologia dei testimoni di Geova). Psiche e Pnumos sono due realtà psico-somatiche, riguardano la vita del corpo e della mente, sono in simbiosi tra loro e non dualistici, l’anima viene ad essere imposta come identità trascendente destinata alla salvezza o dannazione eterna nei novissimi.
– ma come si può parlare di identità tascendentale se non come un’anima che osserva e ha la capacità di aiutare la mente ad osservarsi?
– Mi spiego, la fede nell’immortalità dell’anima prevede che il lasciare il corpo alla morte non sia la morte definitiva per la stessa mente umana, questa viene integrata dalla coscienza dell’anima perchè deve godere del premio paradisiaco o subire le pene dell’inferno, si..amici, nel senso proprio di sofferenza psicologica, ovviamente il corpo può anche diventare cenere, questo non è un problema per la fede, lo prevede: cenere sei e cenere diventerai, solo che si sono fatti degli errori di interpretazione in questo caso, “perchè sei cenere” vuol dire “tu come identità, maschio o femmina, spirituale o non, sei cerene, gli tessi Testimoni di geova affermano che prima si muore tutti in tutti sensi, cioè, non si esiste più né anima né corpo, loro poi dicono che ciò fino al giudizio universale, dopo il quale sarà cieli nuovi e terra nuova, e solo 144000 verranno riportati in vita, ma non dall’aldilà, dalla morte stessa che ha annichilito tutto.

Ecco ritengo che dopo tanti anni di studio e di eremitaggio (laico ovviamanete) mi posso permettere di dire che ho fatto progressi nell’auto osservazione, il mio cammino fino ad ora è stato: Gnosce te ipsum, ho lavorato moto su me stesso, mi sono osservato a fondo e ho preservato la mia non dualità, non voglio nemmeno concepire assurdità come quelle del dualismo manicheo, o quelle dell’andilà secondo i novissimi o che l’anima si separa dal corpo.

POPPER

@tonii
Temo che la tensione tra l’Essere e il Nulla sia frutto di una semplice trappola linguistica facilmente smascherabile uscendo dalle lingue indoeuropee e semitiche.

condivido assolutamente quel che dici, “essere” è del tutto convenzionale all’interno delle varie lingue e culture, per esempio: se dico per scherzo ad un amico: tu sei un asino, un cinese che non è abituato ai nostri simpatici sopranomi ma conosce un po’ di italiano, mi dirà: no, non è un asino il tuo amico, ti sbagli. Ovviamente potrebbe anche darsi che capisca il contesto della mia frase e ci rida sopra perchè capisce che asino vuol dire “non studi mai”.

L’informazione sulle varie convenzioni in cui viene tradotto “io sono” è importante come le culture in cui l’essere viene interpretato filosoficamente e religiosamente ma anche giuridicamente, ma l’io sono è solo convenzionale, lo si identifica normalmente come mente e corpo, non come anima, quella di solito nel linguaggio religioso viene identitificata come qualcosa che ho, cioè, come si esprimono i credenti: io ho l’anima, non “io sono l’anima”.

Caro stefano Marullo, complimentio per il tuo articolo.
credo di dover ribadire ancora la mia opinione sul gnosce te ipsum, se non si conosce se stessi approfonditamente, come si può pretendere che ci conoscano gli altri?

Noi accettiamo che ci chiamino per nome e diciamo “io sono caio” ecc…ecc..ma se fossi costretto a cambiar nome, non cambierebbe comunque il mio “sentir d’essere” che è un complesso insieme di esperienze mentali e corporee che non possono cambiare i connotati naturali, tuttavia, se mutassi di sesso volontariamente, mi sentirie un po’ diverso da prima, magari psicologicamente già mi sentivo donna o uomo, ma il corpo non corrispondeva alla mia psicologia, c’era un dualismo psico-somatico molto problematico.

Ovviamente non è il mio caso, ma spero di aver reso l’idea, non basta neppure essere solo psicologicamente maschio o femmina, si ha un naturale bisogno di esserlo anche con il corpo, questo è un bisogno importante di non dualità in se stessi, sia per gli etero che per i gay e i transessuali, le lesbiche hanno una grande potenzialità ed equilibrio, oserei dire che non hanno problematici problemi di dualismo, ma ci sono stati casi in cui una delle compagne lesbiche manifestava il desiderio di essere maschio, la cosa allora si faceva più complessa riguardo “all’Io sono” anche anagrafico.

Tu pensa che una volta si preoccupavano di dibattere sul sesso degli angeli, solo da lì puoi immaginare quali erano le riflessioni sull’essere a quei tempi.

L’essere tuttavia ha il diritto di sentirsi vivo, cosciente e responsabile nel suo cammino di maturità e professionalità, ha una vita e una famiglia da mantenere, una reputazione ma mantenere e da far rispettare, meritandosi ovviamente le promozioni, le congratulazioni, i premi, e accettando anche i biasimi e le critiche, le contestazioni e le sanzioni e pene se avesse mancato verso i propri cari, i regolamenti del lavoro ecc…ecc…
L’essere ha diritto ad un po’ di vanità, di orgoglio, di amor proprio, di euforia nel sentirsi felice, soddisfatto, o triste e anche deluso, ha diritto a sognare e realizzare in parte i suoi sogni, ha diritto ad avere fede nelle persone, anche se questo gli costerà delusioni e insoddisfazioni, anche depressioni,
– l’essere e il nulla sono due stati inconciliabili, o ci i sente vivi e utili, o iniziano i problemi esistenziali, o ci si sente soddisfatti per ciò che si è fatto nella vita, oppure l’insoddisfazione e il senso del fallimento prenderanno il sopravvento e addio serenità, altro stato psicologico dell’essere necesario per convivere anche con gli insuccessi e i fallimenti, delusioni, ecc…ecc..

Gnosce te ipsum, come sarebbe bello auto-osservarsi nei nostri cambiamenti di umore, vedere in faccia la delusione come se essa non potesse causarci la tristezza, scorgere in noi l’alternanza dell’emozioni come per controllarle razionalmente, rimanere in silenzio ad ossservarsi e non restare turbati dall’eco dei rumori della natura umana, questo per discernere razionalmente in noi i pensieri della ragione e dell’emozione, per discernere le locuzioni interiori che sono spesso prodotte dalla memoria (e non dio e gli angeli con presunti messaggi) nei suoi opposti estremi, quelli soggetti alla paura, alla rabbia, al desiderio, all’ignoranza, alle false certezze a cui non si rinuncia e che si vuole proteggere (spesso è l’ambito della fede), e come rimanere nella via di mezzo senza sbandare a destra e manca perchè si teme la vacuità? Horror vacui, si potrebbe dire che la natura aborrisce il vuoto e il nulla.

Gnosce te ipsum, ma non fine a se stesso, o si rimarrà sempre un cocchiere inconsapevole e servo di chi c’è davvero nella nostra carrozza e che fa da padrone del nostro percorso, cioè, la paura del vuoto, del nulla, invece bisogna essere sia il cocchiere che il padrone della nostra vita, alla fine la morte non ci porterà via nulla, perchè con grande soddisfazione eravamo noi ad esserne distaccati, si aveva vinto sulla paura del vuoto, della perdita e del distacco, la carrozza alla fine si è liberata della zavorra della fede nell’aldilà con tutte le sue false certezze, ed è riuscita a passare per la cruna di un ago.

Gnosce te ipsum, per me è la vita, alla fine avrò diritto ad essere soddisfato di essermi conosciuto a fondo.

bruno gualerzi

@ tonii (indirettamente anche POPPER)
“Quindi, bene con le indagini filosofiche, bene con gli smascheramenti dei vizi logici del cristianesimo, ma a volte uscire dal ristretto ambito dello spuntone più occidentale del continente euroasiatico ci permette più rapidamente di renderci conto che certe analisi, in altri ambiti linguistici, non possono essere date.
E se non si danno è perché il pensiero viene condizionato dalla lingua. Creando così l’apparenza di una logica o, nei casi più abberranti, persino l’idea che esista un essere superiore.”

Assolutamente d’acordo sul fatto che il pensiero venga condizionato dalla lingua… ma da qualsiasi lingua. Nessuna lingua, occidentale, orientale o altro è esente dagli imbrogli che il suo articolarsi, il combinarsi delle parole, può ingenerare… e andare a fondo in simile questione significa solo invilupparsiin un circolo vizioso (lingua-pensiero, pensiero-lingua, lingua-pensiero e così via) dal quale è impossibile uscire. E così il ‘nulla’, l”essere’ e tutto quanto ci si può mettere dentro (sono concetti-contenitori creati apposta per lasciarci ‘dire-pensare’, appunto, tutto e niente) costituiscono gli elementi di uno scenario mutevole che può sempre illuderci di poter entrare e uscire da queste gabbie linguistiche, dalle quali però, in quanto ‘create’ da noi, in realtà non si uscirà mai. Può restare allora solo l’affidarsi alle emozioni intese come modo per vivere questi limiti per quello che sono, soffrendoli e/o abbellendoli, cioè umanizzandoli… soprattutto comunque non illudendosi di superarli, come fanno le religioni e i loro surrogati. Rimanendone così schiacciati.
C’è poi sempre l’opzione scientifica. Grande, per tanti aspetti unica, risorsa per conoscere nel modo più utile perchè più fruibile cosa ci riserba la realtà in cui viviamo, interiore ed esteriore (il cosiddetto ‘io’, il cosiddetto ‘mondo’), svolgerà però nel modo migliore la sua funzione tanto più quanto più sarà consapevole dei limiti… pur sempre linguistici nonostante le apparenze… entro cui si muove la ricerca. L’essere’ e il ‘nulla’ costituiscono anche per la scienza un ‘pieno’ e un ‘vuoto’ di cui è impossibile fare una qualche reale esperienza… ma che non per questo esulano dalla condiziione umana. Che è – questa esclusione – la grande tentazione della scienza… la quale permetterebbe però in questo modo che a manipolare ‘essere e nulla’ siano gli illusionisti. O, peggio ancora, gli appprendisti stregoni.

tonii

“Assolutamente d’acordo sul fatto che il pensiero venga condizionato dalla lingua… ma da qualsiasi lingua”

assolutamente d’accordo. infatti credo nel valore della traduzione, cioè nella verifica attraverso strumenti linguistici diversi, per verificare la tenuta del pensiero. e la produzione scientifica non può pretendere uno status diverso.

rimango invece molto imbarazzato da equazioni essere : nulla = pieno : vuoto. L’identificazione del vuoto 空 con il “non esser-CI”/”non avere” 無 risulta incomprensibile per un buon terzo dell’umanità.

@Batrakos: “Vediamo così che il copulativo (Luigi è buono) resta l’unica forma davvero propria del verbo essere”

Il tuo discorso però, aimé, cade clamorosamente nella controprova del cinese classico: proprio per quella funzione che tu identifichi come “davvero propria” del verbo essere, la lingua in questione non ha verbo ma una struttura di nominalizzazione averbale…

Batrakos

Toni, che c’entra, scusami?
Ricapitoliamo: tu hai detto che è l’uso del verbo essere ad essere equivoco per la confusione di significati che genera a differenza del cinese; se rileggi vedrai che io sul cinese non ci sono entrato visto che ne so ben poche.
Io ho semplicemente detto che anche in italiano si possono delimitare i concetti che il verbo essere esprime sino ad individuare l’unica funzione, quella di copula, in cui il verbo essere non ha sinonimi o non è una forma di coniugazione verbale (sono andato).
Qusto non vuol dire che i cinesi abbiano una concettualità altrettanto esaustiva e forse di più e una semantica conseguente (anche in latino la terza singloare del verbo essere è spesso omessa); dico semplicemente che anche l’uso del verbo essere italiano non crea troppi equivoci se ci si ragiona sopra a livello linguistico.
Poi sai, le lingue si formano parallelamente ai concetti, e il bello è che c’è un modo diverso tra i popoli di ‘leggere’ il mondo, quindi credo che non ci siano alcune controprove per il mio intervento, dal momento che mi riferivo all’esclusivo verbo essere; semplicemente.

Markus

Secondo me si diventa agnostici quando ci si rende conto che ragionare sulle cause prime è patologia.
L’essere è … altrimenti non ci porremmo nemmeno la domanda.

Che poi una serie di filosofi buontemponi abbiano usato parole complicate per ritorcersi nella loro inesprimibile patologia non rende seria nè credibile la questione.

Parliamo invece dei valori positivi dell’umanesimo, del rispetto umano che non ha bisogno di un dio per riconoscere il valore di qualunque essere umano, persino quello che vorrebbe uccidermi perchè pensa che disegnato maometto.

Pensiamo che anche il papa, adeguatamente rieducato potrebbe diventare una persona sana e normale, magari con una famiglia vera.

Questo dovrebbe essere il nostro impegno, altro che il nichilismo, che a mio avviso può essere una fase di passaggio personale per uscire dai valori tradizionali, ma poi va superata come consapevolezza individuale rivolta al dialogo costruttivo con il prossimo.

E con questo dialogo intendo aiutare gli altri a liberarsi da puare, dogmi e superstizioni.

bruno gualerzi

“Secondo me si diventa agnostici quando ci si rende conto che ragionare sulle cause prime è patologia.”

Dipende da come ‘si ragiona’ sulle cause prime. Un conto è ritenere di poterle conoscere, altro è l”esigenza’, implicita nella condizione umana di conoscerle. Ritenere che dal momento che non sono conoscibilii, non esistono COME ESIGENZA può diventare patologico nel senso che si rischia di rimuoverla, in senso psicanalitico, lasciandola libera di riaffiorare a nostra insaputa. Come? Sostituendo il dio che l’agnostico giustamente ha messo alla porta con qualcosa che finisce per svolgere lo stesso ruolo. E questo ‘qualcosa’ può essere un’ideologia vissuta religiosamente, cioè fideisticamente, ma anche la stessa scienza nel momento in cui si ritenesse con essa di dare una risposta ‘positiva’ all’esigenza. La scienza dà le uniche risposte positive ai bisogni impliciti nella condizione umana, ma la condizione umana (non la natura umana, che è un’astrazione) per continuamente modificabile e migliorabile non sarà mai superabile nei suoi limiti.
La storia della civiltà, compreso l’umanesimo, ci mostra (e secondo me oggi ancora più che in passato) tutti i danni che questa rimozione, questo rischio non percepito, ha provocato. Primo fra tutti il lasciare campo libero a quanti, confortati spesso dai fallimenti da loro stessi provocati, credono di aver risposto positivamente all’esigenza trovandone il soddisfacimento in una qualche forma di trascendenza. Cioè nel nulla d’esperienza.

Markus

Io sono convinto che la sfida non sia rispondersi al perchè, ma chiederci come arrivare dove vogliamo arrivare e questo a prescindere dal perchè.

Il perchè i miei genitori si sono incontrati e scelti conta molto poco nel modo in cui io decido di vivere oggi, in base alla mia consapevolezza e rispondere a una domanda simile, ma se vogliamo molto più modesta, mi porterebbe in un inutile dedalo di fenomeni interpretativi tra storia e coscienza che non serve a nulla. Figuriamoci poi in un contesto macro come quello dell’universo sui cui si fanno ipotesi, ma dal punto di vista sperimentale si può fare ben poco.

bruno gualerzi

% (…) mi porterebbe in un inutile dedalo di fenomeni interpretativi tra storia e coscienza che non serve a nulla. Figuriamoci poi in un contesto macro come quello dell’universo sui cui si fanno ipotesi, ma dal punto di vista sperimentale si può fare ben poco.”

Non riesco mai a farmi intendere come vorrei su questo punto… e proverò a dirlo in altro modo (che però temo sarà sempre lo stesso..). Certo che voler risalire alle cause prime (o alla Causa Prima) di qualsiasi fenomeno è solo una perdita di tempo… il che però non significa che, se si inizia il percorso della conoscenza, ci si possa arrestare ad un qualche punto fermo, ad un qualche traguardo definitivo… mentre invece ci si fermerebbe se non avessimo pur sempre questa, ripeto, ESIGENZA, di ‘conoscere fino in fondo’. E da cosa è data questa esigenza? Dalla coscienza della precarietà dell’esistenza, che credo sia un dato INCONTESTABILE, OGGETTIVO, SEMPRE VERIFICABILE, se mai ce ne fosse uno. E’ dalla coscienza di questa precarietà, dei bisogni da soddisfare ‘per forza’ se si vuol continuare a vivere, portato in dote alla specie umana dall’evoluzione, che deriva la coscienza dei limiti… che si vivono come tali proprio perchè c’è l’esigenza di superarli. Perchè? Io credo come modo specifico, appunto, della specie umana di conservarsi e riprodursi… ma questo è un discorso che qui, adesso, si puà rimandare. Mentre è decisivo il riscontro di questa consapevolezza, perchè è alla base di tutto lo sforzo conoscitivo dell’uomo.
Non serve a nulla? Non credo. Intanto perchè – e io concordo – si dice sempre che a guidare il comportamento umano deve esere il dubbio… ma da dove deriva il dubbio se non dal riscontro dei limiti? E poi soprattutto perchè porre l’accento su questo punto non è fare dell’inutile accademia solo se si pone mente a cosa – come dicevo sopra – ha provocato storicamente la messa in un angolo di questa consapevolezza: lasciare la porta aperta a chi, parte da questo atesso riscontro, ma poi non ce la fa a sopportare la condizione umana e si aliena nelle religioni, comunque intese. Con le conseguenze disastrose che si possonoi sempre verificare. Religioni che sono sì un’illusione, ma provocata da un dato insopprimibile, che non serve nascondere, perchè ciò fa perdere di vista una condizione che ci accomuna tutti come specie: credenti e non credenti.
Perchè è solo così che ci si può opporre ai credenti, cioè smascherando la vera ragione del loro credere. Una ‘ragione’ che per altro condiziona anche i non credenti perchè nessuno può prescindere da questo dato di partenza per il solo fatto che esiste..

Markus

Ti ringrazio della precisiazione, che ho capito.

Il mio punto di vista è pero questo.

Farsi certo domande è una esigenza ( come altre).

Libertà è riconoscere l’esigenza ed essere in grado anche di rimandarla e metterla da parte, cioè saper scegliere.

Io scelgo di non occuparmi di queste cose, ma ben venga che altri lo facciano e magari trovino di meglio.

Francamente non mi sento portato a superare tutti i limiti che vedo e quelli che supero sono di diversa natura da quella di cui parliamo.

In questo senso parlo di agnosticismo, come atteggiamento di chi ammette di non sapere e sceglie di non voler sapere di più di qualcosa che non trova interessante. Ci sarà invece chi si interroga a lungo e buon per lui se il percorso lo rende felicie e chi non vuole sapere per ignoranza, ma quella non la ritengo agnosticismo.

Poi la mia risposta è in parte accettazione, in parte studio del metodo sul COME arrivare ad un risultato che supera il limite precedente, perchè avvenga mi interessa incidentalmente. Io ragiono così.

kleber al salim jones

Quali raffinati strumenti state ricercando. Quali armi micidiali volete smascherare? La verità sta nella semplicita, non nelle trappole linguistiche.

Simone

Ciò che è difficile per te non è detto che lo sia per noi. 😉

Simone

Ti consiglio di tornare a leggere winny the pooh le magiche avventure di gesù e le favole di papà castoro, testi più adatti alle tue capacità intellettive e molto semplici, in cui troverai senz’altro “la verità”. Ah un’altra cosa, non esiste “la verità” o la “Verità”, bensì concetti e scoperte momentaneamente veri, sempre sotto la discussione del dubbio, e relativi. Questo è vero tanto per la scienza quanto per la filosofia.

rolling stone

Simone
non siamo però così allo sbando come dici tu riguardo alla verità.
Un filo da seguire ed a cui aggrapparci lo abbiamo. Esiste un criterio ben preciso per stabilire la verità di un giudizio: la conformità al principio di ragione sufficiente nelle sue varie forme (vedi, ad esempio, quell’ateo di Schopenhauer in Cos’è la verità).

Simone

Non saprei… Io personalmente ho una visione del cosmo e delle sue leggi molto alla “guida galattica per autostoppisti”, per rendere l’idea. Non riesco a concepire un limite all’assurdo, o al possibile. Per quel che mi riguarda e per quel che ne so, potrebbe anche esistere nell’universo infinito un luogo una galassia un pianeta in cui non vale nemmeno il principio di conservazione dell’energia. L’unico assoluto, per me, è non assolutizzare nulla, ma dare a tutto una possibilità statistica avvalorata dalla sperimentazione mossa dal dubbio in ogni cosa. Penso sia questo l’unico modo per non fossilizzarsi, e per accrescere continuamente la nostra conoscenza e quindi il nostro potere, la certezza, la “fede”, è per i deboli di intelletto e per le pecore intellettualmente pigre.

rolling stone

ma qualche certezza ce l’abbiamo. Anzi, moltissime.
Quante volte al giorno diciamo „Questo è vero“ oppure „Non è vero“. In base a quale criterio? I principi della logica (ad esempio: A è uguale ad A) sono veri. Perché? Ogni azione che compiamo ha un motivo. E’ vero, ma perché? Un sasso lanciato in aria cade al suolo. E’ vero. Perché? Quale è il criterio in base al quale possiamo dire che queste e moltissime altre affermazioni (giudizi, principi, teoremi, ecc.) sono veri? Schopenhauer una risposta (che a me pare) molto convincente la da.

serlvrer

Considerando che l’intera teologia è la retorica cristiana è interamente basata sulle trappole linguistiche, ti sta praticamente tirando la zappa sui piedi con queste accuse

fab

Semplicità del tutto prive di trappole linguistiche come “non esiste niente che sia insieme buono e onnipotente”? E apri gli occhi, una buona volta!

Giorgio77

Provando a sostituire la parola essere con la parola coscienza, in genere si può dire che per gli atei questo essere è fatto di materia tangibile ed osservabile mentre per i religiosi il vero essere è lo spirito o l’anima che poi eventualmente si ricongiunge a Dio. In genere i religiosi accusano gli atei di credere in un falso essere proprio perchè fatto di materia e da qui viene l’accusa di nichilismo, gli atei invece accusano i religiosi di credere in un essere che non esiste e che non si vede. Dal mio punto di vista invece riguardo al significato di essere come coscienza non è stata data nessuna risposta certa e dimostrata, riconosco l’essere nella coscienza (perchè sono nel momento in cui so di essere) ma non so di quale natura e di quale sostanza è costituita, mentre in genere gli uomini hanno sempre cercato di dare risposte precipitose e dogmatiche in merito alla questione.

POPPER

Giorgio77, i credenti non dicono di essere l’anima, ma di avere un’anima, c’è una bella differenza quando si parla di coscienza natuale, per nulla trascendente che, come la nostra, è mortale, per il dopo non ha più alcuna importanza se il gatto di Shroedingher sia vivo o morto, non ci si può più osservare introspettivamente o per ricongiungersi a dio o per reincarnarsi in un secondo momento.

la coscienza è la lucidità del saper osservare se stessi e il mondo che ci circonda, essere attenti e ascoltare per imparare su noi stessi anche dalla scienza, memorizzare ciò che si è imparato per ricordare al momento opportuno per varie ragioni personali, di studio e di lavoro, è fatta di materia neurale con i suoi 5 sensi e la capacità dell’intelligenza e dell’intuizione, delle idee e delle soluzioni appropriate per ogni problema da risolvere, ma la coscienza può essere anche alterata e in ciò vi è lo studio delle sue più comuni patologie neurologiche e psichiatriche.

Iniziare a cnoscere meglio stessi servirebbe a far chiarezza su cosa possa esssere la coscienza, o sentirsi la coscienza, almeno fino alla morte o almeno fino alla lucidità e responsabilità delle nostre azioni, ma pensare alla coscienza come anima che cerca in se stessa i peccati per deterstarli e si confessa e ottiene il perdono è un assurdità, poichè l’anima è sempre, sia in teologia che nel linguaggio comune, uno spirito che si ha, non che si è, alla fine anche il credente si riconosce cenere come tanti altri mortali.

tonii

@Popper e Giorgio77,

parlate di “religiosi” e di “fedeli”, ma questi termini, a mio avviso, sono sbagliati e fuorvianti. Infatti li collegate al fatto che questi credano in dio (e dagli attributi che date si capisce che pensate al dio e non agli dei) e all’anima.
Eppure esistono forme religiose prive di concetti di dio e di anima.

Propenderei per sostituire quindi dai vostri discorsi i vocaboli “religiosi” e “fedeli” e sostituirli con “monoteisti” e tutto fila.

Giorgio77

@ Popper

“l’anima è sempre, sia in teologia che nel linguaggio comune, uno spirito che si ha, non che si è”

quindi l’essere nella teologia o nella filosofia non verrebbe mai considerato come qualcosa di incorporeo e quindi paragonabile al concetto di anima, ma non è così, per fare un esempio Parmenide considerava l’essere eterno, ma non da intendersi in senso temporale ma quasi sicuramente in senso extratemporale e incorporeo.

bruno gualerzi

A proposito del cosiddetto ‘io’. Del circolo vizioso nel quale è imprigionato imprigionandoci tra DUE NULLA D’ESPERIENZA..

Il cosiddetto io, da chi è ‘detto così’? Dall’io stesso, che non sa dire altro che se stesso… E proprio perché non sa dire altro che se stesso, è la sola conoscibile causa di sé. Non c’è niente che possa dire prima o dopo se stesso. Esiste, ma non potrà mai andare oltre la propria esistenza, sapere da dove viene e verso dove va.
Potremmo dire che l’io esiste perché esistiamo noi, ma noi sappiamo di esistere, diciamo che esistiamo, fin che esistiamo, perché esiste l’io che ce lo dice, che ce lo fa sapere… e non sapremo mai se siamo noi che fondiamo l’io o se è l’io che fonda noi.
Non lo sapremo mai, ma l’io ci costringerà a chiedercelo sempre. A chiederlo a noi mentre noi lo chiediamo a lui, e viceversa, in un eterno ritornare su se stessi. In un eterno circolo vizioso.
L’unica cosa certa che possiamo dire dell’io, del cosiddetto io – perché è lui che ci costringe a dirla – è che esiste comunque… ma questo ‘comunque’ non si svelerà mai a noi, non sapremo mai cosa sia.
Sarà, per noi, il nulla… ma un nulla d’esperienza, cioè il nulla senza che se ne possa mai fare l’esperienza.

E così l’io esiste… ma esiste comunque.
E cosa vuol dire che l’io esiste comunque?
Intanto vuol dire che, per indefinibile che sia, non ne potremo ‘comunque’ mai fare a meno, mai potremo negarne l’esistenza…
Perché non potremo mai – intanto, per esempio – negare l’esistenza di qualcosa che ne potrebbe, che ne può, mettere in discussione l’esistenza, ‘comunque’ si definisca questa cosa (“Posso dubitare di tutto – diceva Cartesio contorcendosi nel più classico dei circoli viziosi mentre si appellava al semplice buon senso – ma non del fatto che dubito”). Infatti, se ciò che è stato chiamato io non esistesse, con che cosa parleremmo? Chi parlerebbe per lui? Se si provasse a farne a meno, con che cosa lo potremmo sostituire? Perché potremmo anche dire, dirci – come è stato detto – che l’io non esiste per sé in quanto è una nostra invenzione, in quanto mera sovrastruttura, ma poi come, con che cosa, potremmo sostenere questa tesi in modo convincente? E di chi, o di cosa, nel caso, sarebbe l’invenzione, se non dell’io stesso in quanto invenzione nostra? E così via, una perplessità dopo l’altra, un circolo vizioso sempre più ‘vizioso’ quanto più lo si vorrebbe ‘virtuoso’. Per non parlare di tutti quei filosofi e scienziati impegnati a difendere l’io o a distruggerlo, a smontarlo per poi in realtà doverlo comunque ricostruire… altrimenti, cosa resterebbe loro nelle mani (nella testa) per condurre le loro operazioni?
Una cosa allora resta certa: non si può che fare ‘come se’ l’io esistesse. Per indefinibile che sia, non possiamo evitare di andare alla ricerca di una unità cui ricondurre, non solo tutte le nostre ‘anime’ (cioè i principi vitali cui dobbiamo la nostra esistenza), ma le loro continue trasformazioni, costretti come siamo a cercare di capire qualcosa su questo nostro essere al mondo, e poi sul mondo, e poi su noi nel mondo e sul mondo intorno a noi e in noi; e poi per provare a intenderci con gli altri io, condizione che sembra necessaria per non autodistruggerci come specie prima che vi possa provvedere l’inospitalità del pianeta che ci ospita. Insomma, un’esigenza dopo l’altra.
Certamente ci sembra una povera cosa il cosiddetto io, anzi capiamo che è una povera cosa (e che quindi ci farà ‘capire’ ben poco di ciò che per altro lui stesso ci spinge a voler capire, a conoscere), e capiamo che con tutta probabilità è, appunto, un’invenzione, e che comunque non sarà mai in grado di far fronte alle esigenze che lui stesso sforna in continuazione… ma dobbiamo riconoscere che è così proprio perché non riusciamo mai ad afferrarlo. E non riusciamo mai ad afferrarlo perché è lui, solo lui, solo questo fantomatico io, l’unico in grado di afferrare se stesso, di definire se stesso. L’unico cui possiamo affidare il compito di farlo.
Intanto però dobbiamo usarlo per tante altre cose, e comunque per tutto ciò che ci riguarda quando cerchiamo di afferrare ciò che ci riguarda. Cioè tutto ciò che ci costringe comunque a vivere…
E’ certamente una povera cosa il cosiddetto io, ma non potremo mai togliercelo dai piedi. Vorrebbe dire ‘togliere dai piedi’ noi stessi.

POPPER

Bravo Bruno Gularzi, complimenti per il tuo commento, ecco cossa intendo per approfondimento della conoscenza di se stessi, porsi delle domande legittime e ragionevoli, non in base alla fede, ma all’osservazione di noi stessi in tutti i suoi aspetti, anche rimanendo spesso agnostici su di se, proprio per mancanza di risposte assolute, nememno io pretendo di avere davanti ai miei occhi di scrutatore di me stesso tutto il leyout della mia persona.

Che cosa è lo stimolo? Cosa è la percezione? Perchè apprezzo un layout in particolare piuttosto che una superficiale visione di me stesso?

Stimolo : cambiamento di stato di un oggetto, strumento o organo fisico (o artificiale)
Percezione : sensazione di cambiamento indotta dallo stimolo nell’oggetto che ha ricevuto lo stimolo o nell’ambiente circostante.

Generalmente, il processo che porta dallo stimolo alla percezione viene chiamato quantizzazione, di trasformazione dei segnali da continui (tipici segnali che in natura provocano gli stimoli) a discreti (tipici della percezione).

Ecco come io procedo ad osservare me stesso, per quanto io rimanga concentrato sulla momentanea mia permanenza in vita, lucida e responsabile, ma mortale, perchè quando muoio non potrò più avere una neuro-himica che mi consentirà di pormi ulteriori domande sul senso della vita. Io non posso percepire il nulla e, quindi, non posso temere ciò che non percepisco, anche perchè vi sono altre più valide spiegazioni razionali della morte senza scomodare l’aldilà.

Tuttavia, caro Bruno accetta amichevolmente una correzione quando parli di anime nostre, né tu né io abbiamo un’anima, né possiamo dire di essere l’anima, perchè cadiamo nel dualismo tra essere e avere qualcosa che si crede che sia, ed è già il dire di averla un linguaggio da credenti nell’aldilà, non da uarrini. Scusa se la mia osservazione può scomodare in te un’ulteriore precisazione sull’argomento.

stefano marullo

Provo a ridefinire meglio alcuni concetti e al contempo a replicare ad alcune delle molte sollecitazioni pervenute.
Fare del Nulla un oggetto di discussione ha di per sé del paradossale. Un monaco zen la considererebbe una stoltezza ab origine. Il “Ku” nello zen, un vuoto molto prossimo alla definizione che diamo del Nulla, non può che essere sperimentato. E’ come se volessimo spiegare ad un cieco nato la differenza tra il rosso e il verde. Parafrasando Agostino, dovremmo dire “Si comprehendis non est…Nihil”,se lo comprendi non è il Nulla! (provvidenziali le consuete mirabili riflessioni di Bruno Gualerzi per le sue argomentazioni heideggeriane senza la pesantezza di Heidegger).Per questo una discussione sul Nulla non poteva solo dispiegarsi su un piano meramente filosofico senza finire in un cul de sac e doveva, per forza, trovare su un piano letterario una sua giustificazione. Il nichilismo, come atteggiamento, rappresenta un modo, forse l’unico concepibile, di rapportarsi con il Nulla. La poesia, può, in assenza di un sistema complessivo, dischiudere episodi di verità altrimenti destinati a rimanere inaccessibili. Non è forse per questo che Nietzsche (faccio contento Iging e lo cito) parlava per aforismi? O che lo stesso Heidegger al culmine del suo pensiero si rivolge agli oscuri presocratici greci o ad Hölderlin nelle more dell’inadeguatezza del linguaggio filosofico? Lo stesso dicasi per Cioran, per Caraco dove il nichilismo raggiunge il parossismo.
Un’ulteriore difficoltà, figlia del retaggio parmenideo degli opposti, poi ripreso dal filone ellenistico-cristiano, quella di ragionare per dualismi (Popper in uno dei suoi interventi ha colto perfettamente questo aspetto), essere-non essere, teoria-prassi, corpo-spirito ecc. L’antica filosofia cinese, esemplarmente raffigurata nello Yin Yang, non conosce questa asperità degli opposti, che invece si compenetrano vicendevolmente. Più che una trappola linguistica, come vorrebbe Tonii, concetti come Essere e Nulla, sono stati irrimediabilmente corrotti da una tradizione che ne ha segnato il destino.
Provo anche a definire meglio un’espressione che mi pare crei un certo disorientamento. Dico infatti che la teologia è “una costola della filosofia”. Il mio concetto di teologia è molto lato, forse, contempla metafisica, ontologia, cosmogonia. Non voglio dare affatto patenti di scientificità (anche qui da intendere latamente) ad una disciplina che intesa in senso etimologico o tradizionalmente non è altro che teologia dogmatica cristiana (i dogmi come si sa discendono dalla verità della Rivelazione, stendiamo poi un velo su dogmi come quelli della verginità della madonna, frutto di errata traduzione della scrittura!). Dal mio punto di vista, altro che filosofia ancella della teologia, la teologia per un verso rappresenta la preistoria del pensiero filosofico e per un altro se si è sdoganata dai miti lo si deve al tentativo della patristica di mutuare il linguaggio filosofico per applicarvi le categorie cristiane, con risultati spesso contraddittori. Se me lo consentite, rettificherei la mia espressione con teologia = costola rotta della filosofia.
Per quanti mi accusano di usare un linguaggio per addetti ai lavori, posso dire che a volte, per le tematiche affrontate, sento di usare più un linguaggio per addetti ai “lampioni”, di quelli che cadono e sbattono la testa. Suvvia, la trigonometria non mi ha mai appassionato.
Soave mi chiede cosa intendo per nichilismo romantico. Penso ad un nichilismo affatto diverso da quello distruttivo e compiacente stile Albert Caraco di “rotoleremo tutti insieme nelle tenebre da cui non si ritorna, e il pozzo buio ci accoglierà, noi e i nostri dèi assurdi, noi e i nostri valori criminali, noi e le nostre speranze ridicole” (da “Breviario del Caos”), questo sì, mette i brividi, come qualcuno ha scritto, al quale opporrei il nichilismo serafico e “foscoliano” di Bertrand Russell “Credo che quando morirò il mio corpo si decomporrà, e nulla del mio io sopravviverà. Non sono giovane, e amo la vita, ma disprezzo il terrore dell’annichilimento. La felicità non è meno vera solo perché finisce, e nemmeno il pensiero e l’amore perdono valore perché non sono eterni” (da “Perché non sono cristiano”). Unione degli Atei ed Agnostici Nichilisti? Beh, ottimo suggerimento, un bel tema per il prossimo congresso (e qui metto a repentaglio la mia amicizia con Carcano!). No, Soave, il nichilismo può essere inteso come una delle tante versioni dell’ateismo, ma non ho la pretesa di rappresentare alcuno, a malapena rappresento me stesso; se qualcuno vi si riconosce, e vedo dagli interventi che non viene disdegnato, mi fa piacere.
kleber al salim jones si scalda molto e propone un criterio davvero stucchevole. Un messaggio ha valore in modo direttamente proporzionale al maggior numero di persone al quale arriva. Singolare assiologia. Insomma dovremmo dire che i diuturni vaticini del mago Otelma che ogni giorno si sentono su RadioDue nella seguitissima trasmissione “Un giorno da pecora” hanno più valore della ‘Critica alla Ragion Pura” che non è esattamente il libro che leggo a mia figlia durante la merenda?
Markus ritiene con formula dubitativa che quello che dico “magari è giusto”. Sai Markus, è una questione senza importanza, visto che non propongo verità rivelate, sono più interessato a sviluppare dei ragionamenti e semmai a porre domande più che soluzioni. Posso avere una mia sensibilità, ma come pensare di essere nel giusto perché si pensa in un certo modo?
Aldo, per certe sue uscite, mi pare davvero di evocare “Il mondo come volontà e rappresentazione”.
Rolling Stone dice testualmente “Non è necessario aver studiato fisica per sapere – o meglio, per avere la certezza viscerale – che ogni effetto ha una causa. Dubitare di questa verità è sintomo di squilibrio mentale, poiché nel computer di bordo “intelletto” si è guastato il software “principio di causalità”. Husserl si rivolterebbe nella tomba per argomenti siffatti, ma ti risparmio Husserl. Il principio di causalità mi pare molto e sepolto da molto tempo in campo scientifico. Ti invito a leggere l’articolo di Carlo Consiglio su l’Ateo n. 1/2011 (73) dedicato proprio al principio di causalità. E siccome poi parli di Heisenberg, ti rammento che con il principio di indeterminazione si voleva esattamente contestare il principio di causalità. Poi mi consentirai, con tutta la stima, di preferire quanto dice Hawking sulla materia creata dal nulla a quanto affermi tu; se vuoi ci risentiamo dopo qualche (tuo) Nobel per la fisica, che dici?
Teologo Cattolico e simpatici affini, vorrebbero tirarmi per la giacchetta verso convinzioni che non sono mie. Il vostro Dio biblico se ci pensate sente un irresistibile richiamo verso il Nulla dove alla fine precipita la sua creazione (già una volta con il diluvio no?). Per questo i vostri mistici dicevano che in fondo anche lui viene dal Nulla.
Un errore di citazione nel mio articolo. Non l’Apocalisse di Pietro ma il libro dei Vigilanti mostra un Dio che salva “a malapena” un gruppetto dall’annientamento finale. Ma in fondo anche nell’Apocalisse biblica, che a stento è stato inserito nel canone dal Concilio di Trento, non si respira affatto aria di “vittoria”; ma c’è un senso di sconfitta comunque, la morte sembra trionfare nonostante i molti Alleluja. Vi rimando al mirabile libro Sergio Quinzio, teologo (nessuno è perfetto) “La sconfitta di Dio”.
Grazie per i vostri interventi che continuo a leggere con interesse.

POPPER

si sei molto bravo Marullo, grazie per le tue riflessiino, mi ha dato modo di esprimere la mia passione per la vita, il mio programma di vita. Buona settimana a te.

bruno gualerzi

Ci hai costretto – almeno per quanto mi riguarda – a fare i conti con una dimensione, il nulla, che, essendo particolarmente intrigante, si presta a tutti i risontri: dal cacciarlo nel dimenticatoio della coscienza, alla demonizzazione, alla dichiarazione di inutilità di ogni speculazione sulla sua natuta. In realtà, come la tua ‘opinione’ considera, per un ateo si tratta di un confronto d’obbligo, perchè e su di esso, sul suo ‘sfruttamento’, che viene costruita – naturalmente con tutte le varianti e i livelli speculativi differenziati del caso – ogni teologia,
Sempre poi per qunato mi riguarda – ricorrendo per la verità a cose già elaborate in precedenza ma adattate alla tua proposta e al dibattito che ne è seguito – l’ho ‘difeso’, appunto in quanto ateo. Come può un ateo non cogliere la presenza del nulla come limite, in quanto nulla d’esperienza, verificabile ma insuperabile, costitutivo della condizione umana e lasciare che i teologi lo ‘riempiano’ popolandolo coi loro fantasmi?

Markus

Grazie per questo post… scritto con il cuore, rivolto alle persone che leggono e si sente 🙂

Dico davvero.

Non te la prendere, ma il mio dubitativo era solo riferito al fatto che un linguaggio troppo tecnico finisce nel narcisismo. Mi viene il dubbio che proponi testi con cui poi fare una pubblicazione scientifica in filosofia. Quando scrivi direttamente il tuo registro è decisamente meno tecnico e più accessibile ai non addetti ai lavori.

Permettimi solo una precisazione da parte di chi ha sperimentato il satori ed ha scelto una via diversa.

Il vuoto di cui parla un monaco buddista zen o meno, non ha nulla a che vedere con la fisica, ma piuttosto con la psicologia. E’ roba che nei libri di testo universitari non entrerà mai perchè non ha senso metterlo per iscritto. Siediti, concentrati sul respiro e sulla postura, se la mente divaga, torna al respiro, se la schiena cede, torna alla postura. Fallo ogni giorno per minuti e ore e ad un certo punto arriva. Tutto qui. Si tratta di un vuoto pieno di energia e di coscienza, ma senza pensiero, dove attenzione e concentrazione sono in equilibrio.

Divertente, ma poi ?

Noi non siamo monaci che ci possiamo far mantenere mentre istruiamo gli altri e facciamo spettacolini, quindi ho cambiato strada. Ma si tratta di roba concreta come un mattone, non è cosa che puoi trovare nei libri. Per questo per un monaco zen, concordo con te, non ha senso parlarne.

Allora il mio superamento di questo nichilismo fine a se stesso è stato scegliere di agire e di rivolgermi al come, non al perchè. Motivo per cui quella energia la uso e non la ritorco su se stessa. Cavalcare e vivere le emozioni lucidamente invece di reprimerle. Tuttavia il mio discorso non si può ricondurre alle parole scritte. Si tratta di vita di tutti i giorni, è più simile allo sport che ad una chiacchierata.

Capisci perchè sono refrattario alla terminologia tecnica sul nichilismo da accademia ? Sicuramente ha un valore, ma la scelta dipende dalle emozioni e dalla psicologia. Cercare una risposta nella razionalità è secondo me (ma vedi anche le ricerche di psicologia comportamentale applicata alla teoria delle scelte economiche) non serve.

Io sarei persino felice di far capiere ai credenti che i veri nichilisti sono loro, perchè credono in qualcosa che non esiste. Un nichilista in fondo, ne esce e magari si rivolge a cose concrete, il teologo spesso no. Alla fine contano le azioni, le scelte e la felicità con cui le portiamo avanti a prescindere dalle motivazioni razionali o i perchè che per il momento crediamo giusti.

Spero quanto meno di aver dato qualche spunto di riflessione alternativa 😉

stefano marullo

Tutto vero Markus. Ma sai benissimo che nello zen esiste il Koan che è fatto di parole e concetti da introiettare. Non solo postura dunque, altrimenti lo chiameremmo yoga.

POPPER

“Io sarei persino felice di far capiere ai credenti che i veri nichilisti sono loro, perchè credono in qualcosa che non esiste. Un nichilista in fondo, ne esce e magari si rivolge a cose concrete, il teologo spesso no. Alla fine contano le azioni, le scelte e la felicità con cui le portiamo avanti a prescindere dalle motivazioni razionali o i perchè che per il momento crediamo giusti.”

infatti hai ragione Markus, è la loro fede nel nulla che li fa cadere nel dualismo manicheo, nell’auto convinzione che loro sono niente mentre dio è tutto, il dualismo dell’io e l’anima mia è già un linguaggio scnhizzofrenico che ci separa nel nostro essere in mortali e trascendentali, quindi, una contraddizione anche in termini.

Florenskij

@ Dott. Marullo. Non sono d’accordo sul Dio biblico che tira verso il nulla. Per me quello che lei cita è il Dio “germanico” di Meister Eckart e poi di Jakob Boehme, lo stesso abisso oscuro ( una specie di “buco nero”, un Maelstrom metafisico ) in cui si conclude “Il nome della rosa” dell’ex cattolico Umberto Eco. Questa concezione è stata ritenuta eretica dalla Chiesa fin dal ‘300. Il Dio biblico è quello “positivo”, essere sovraeminente, il “Dio degli eserciti celesti” che si espande in gloria, rappresentato in figura da Michelangelo nella Sistina.
Quanto a me, dico “in soldoni” che mi sembra di capire le ragioni degli atei, ma che sento la preminenza dell’Essere sul Non Essere: il male c’è come ” carenza ” d’essere, come “ferita” nell’essere. Non ci sarebbe carie se non ci fosse il dente sano. Il male può manifestarsi solo sullo sfondo del bene. L’individuo ex-siste in quanto staccato da un Essere; dal non essere non può staccarsi qualcosa. Ex nihilo nihil fit.
Quanto All’Apocalisse e a Sergio Quinzio, che ho letto, dico che la preparazione all’insegnamento della storia, intesa anche nel suo aspetto cronachistico, mi ha fatto comprendere “di che lacrime grondi e di che sangue” ( ma questa consapevolezza c’è anche in De Maistre, autore-guida del prof. De Mattei come massimo esponente della cultura reazionaria del primo ‘800: esemplari le pagine sulla strage universale nel mondo umano come in quello animale ). Da qui la mia insistenza e apparente ossesssione su peccato Originale come inizio di un dramma cosmico spesso a tinte fosche. Sergio Quinzio, è il caso di notarlo, da ragazzo fu costretto dai Tedeschi occupanti a trasportare cadaveri. Il resto si capisce.
Non sono d’accordo sull’idea che il Dio biblico voti le creature al nulla: per il Cristianesimo la personalità individuale rimane, al punto tale che esiste l’Inferno.
Ovviamente quello dell’Inferno è il tema più ostico e “scandaloso” del Cristianesimo. Perfino Hans Urs Von Balthasar, autore di “teodrammatica” – titolo significativo -, che io personalmente cosidero il più grande teologo del ‘900, tentò di fare dei “distinguo”:
“Sperare per tutti”.

Florenskij

@ Prof. Gualerzi. E’ singolare il fatto che a introdurre il tema del nulla, filosoficamente molto pregnante, sia stato un pensatore pensoso che è passato per gli studi di teologia, sia pure senza approdare alla fede cristiana o trovando argomenti per abbandonarla. Anche ( sant’ ) Agostino è considerato da agnostici ( come mi sembra abbia fatto Hanna Arendt ) un persononaggio di spicco del pensiero occidentale, perlomeno nel suo percorso filosofico, prescindendo da quello teologico, in cui si spinge fino alla concezione della “massa damnata”.
A questo proposito faccio osservare che troppo spesso su questo blog si confonde l’elemento “positivo” del Cristianesimo, ancorato alla Bibbia e rappresentazioni religiose attinenti alla storia e al mito, con la teologia razionale, basata sul discorso metafisico, che può interessare anche agli agnostici e agli atei ( ad esempio in Aristotele e Plotino). Vorrei spezzare una lancia anche a favore di atei devoti o paradevoti come Massimo Cacciari che non disdegnano di rapportarsi con la categorie della teologia razionale. Mi sembra etremamente riduttivo ridurre le loro motivazioni all’interesse monetario o di altra utilità.

#Aldo#

A mio umile avviso vi fate trascinare troppo dal desiderio di considerare la contrapposizione tra essere e nulla. A parte le difficoltà di provare oggettivamente il nulla, prova della quale non sento la necessità, direi che è di maggiore interesse la contrapposizione tra coscienza e non-coscienza, perché è attinente alla nostra percezione di noi stessi come persone, come entità individuali.

POPPER

Che cosa è lo stimolo? Cosa è la percezione? Perchè apprezzo un layout in particolare piuttosto che una superficiale visione di me stesso?

Stimolo : cambiamento di stato di un oggetto, strumento o organo fisico (o artificiale)
Percezione : sensazione di cambiamento indotta dallo stimolo nell’oggetto che ha ricevuto lo stimolo o nell’ambiente circostante.

Generalmente, il processo che porta dallo stimolo alla percezione viene chiamato quantizzazione, di trasformazione dei segnali da continui (tipici segnali che in natura provocano gli stimoli) a discreti (tipici della percezione).

Io non credo all’essere eterno, e Parmenide non è un dogma per me, l’ho studiato anche io, perchè l’essere è legato alla sua vita mentale e corporale, terrminata la quale non si ha più la percezione sensoriale e psicologica della propria coscienza e del mondo che ci circonda.

il nulla non esiste per me, esiste solo la trasformazione degli elementi chimici in energia e in altre fome d materia, che hanno contribuito alla mia vita neurale e corporea, la mia coscienza dipendeva da una neurochimica sufficientemente capace di rendermi cosciente e resposabile di ciò che facevo, la degradazione dei segnali neurochimici prpvocherà la mia senilità mentale e di conseguenza la mia morte. The end, fne, stop.

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non c’è niente da fare, pare che anche qui nel sito non ci si riesca a distaccarsi dal linguaggio del crddente: “io e l’anima mia”, ma amici, è un dualismo schizzofrenico, cercate di capirmi, nell’ebraismo il soffio vitale è legato al sangue che è considerato l’anima, ma è qualcosa di chimico, non di trascendente, non concorre al dualismo io e dio e l’anima mia.

Se qui qualcuno ha davvero studiato la bibbia sa che l’anima nell’antico testamento alla fine è polvere, era sangue e non spirito, quindi, destinato a cessare la propria attività vitale.

Ma per la barba di Darwin, ma perchè vi ostinate a credere di avere un’anima trascendente? Andate a vedere cosa significa essere dualisti, coè, essere mortale e essere spirituale, è una menzogna iniziata quando si è stabilito che gesù era vero dio e vero uomo, mortale come uomo e immortale come dio, ecco da dove deriva anche per i credenti l’ostinazione dialettica dualistica di dire io e l’anima mia, ma non è trascendente l’anima, cari credenti, e non è erede della coscienza umana mortale che dite abbia commesso peccati, ma essendo appunto mortale i peccati se li è addossati l’anima che li ha portati davanti a dio in segno di espiazione.

capite che non sta in piedi il vostro discorso?
prima si dice: tu sei cenere e cenere diventarai, e posso essere anche d’accordo.
poi si dice, se hai commesso dei peccati, sei comunque mortale ma la tua anima può chiederne il perdono perchè è lei sola che può parlare con dio.

ma è un’ssurdità queste dialettiche da credenti sdoppiati, da doppia personalità, non ve ne rendete conto? La vostra fede è mentale, è costruita in base a indottrinamenti, non potete dirmi seriamente che conciliate tali assurdità con l’uso della ragione, non vi posso credere sulla parola, nemmeno in filosofia fate una bella figura, tanto vale che parliate del sesso degli angeli, nonvedo alcuna differenza nella vostra dialettica “io, dio e l’anima mia”. Eddai amici credenti, no siste stupidi, mettete da parte la fede e provate a ragionare razionalmente.

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