Visti da loro

Stefano Marullo*

Stefano Marullo

Nel suo ultimo contributo Bruno Gualerzi, adamantino come sempre, ha voluto dare conto di quanto sia ovvio che gli atei si interessino a dio e al clero. Capovolgendo le cose, non dovrà apparire stucchevole come anche i credenti si interessino all’ateismo e ai loro alfieri. Chi vorrà prendersi la briga di consultare i vecchi manuali di teologia potrà sorprendersi di come la voce “Ateismo” sia ampiamente presente. A dirla tutta, a guardare  taluni dizionari di teologia, l’argomento è trattato con una dovizia inconsueta e, fatto salvo il pregiudizio sull’erroneità di fondo, il pensiero ateo è presentato con soddisfacente completezza.
Più di recente, Concilium, rivista internazionale di teologia, ha scelto come titolo monografico del numero 4/2010, il seguente: Atei: di quale Dio?
La prima domanda che sorge spontanea è perché il punto di vista ateo dovrebbe interessare un credente. Ad essa sembra rispondere Andrés Torres Queiruga, professore di filosofia della religione all’università di Santiago di Compostela, che esordisce così: “Iniziando il Proslogion, sant’Anselmo si stupiva del fatto che, pur essendo noi creati da Dio, ci costi poi tanto conoscerlo. Come credenti, stupisce ancora di più: come è possibile l’ateismo? Soprattutto l’ateismo moderno”. L’avverbio usato  – soprattutto – non è una casuale nuance. Tutti i dotti interventi su Concilium sembrano ignorare l’ateismo classico e si chiedono se sia mai esistito veramente nell’antichità e ove ce ne fossero le tracce non sarebbe che minoritario quindi trascurabile. L’ateismo contemporaneo è invece analizzato e dibattuto, se, come ebbe a dire Paolo VI, rappresenta quale fenomeno di massa “il principale problema del nostro tempo”. Perlomeno nelle società occidentali.
Una delle accuse mosse – ma qui davvero niente di nuovo sotto il sole quanto a debolezza argomentativa – è quella secondo cui dopo il collasso del blocco sovietico sia venuto meno quella che viene considerata una sorta di “cornice istituzionale” all’ateismo e il vuoto derivante da questa deflagrazione è stato soppiantato da quello che viene individuato come “nuovo ateismo”, ad opera in particolare, dell’apparizione di libri ed autori di successo che hanno portato nella sfera pubblica la questione. Segnatamente vengono indicati come i “quattro cavalieri dell’Apocalisse”: Sam Harris, Cristopher Hitchens, Richard Dawkins e Daniel Dennet. Gli ultimi due sono destinatari degli strali di Alister E. McGrath, personaggio eclettico, biofisico molecolare con un passato di ateismo alle spalle che si è poi dedicato agli studi storici e teologici – è considerato uno dei maggiori specialisti britannici della Riforma protestante – il  quale bolla quello di Dawkins e Dennet come nuovo “scientismo” figlio di un datato positivismo scientifico caratteristico della fine del XIX secolo. In particolare viene attaccata la teoria del meme elaborata da Richard Dawkins ancora nel 1976, che sarà utile richiamare. Ne Il gene egoista il celeberrimo biologo, divenuto un’icona dell’ateismo mondiale, sostiene che esiste un’analogia tra evoluzione biologica ed evoluzione culturale: entrambe  hanno bisogno di un replicatore, il gene nel primo caso, il meme nel secondo. L’idea di Dio è per Dawkins un esempio eccellente di meme che si è installato nel cervello,  non supportata da alcuna legittimazione in termini intellettuali. Dennet ha ripreso la teoria del meme, come una sottospecie di virus. McGrath ritiene quella del meme un assunto indimostrabile – riconoscendo che la comunità scientifica è divisa a riguardo –  un po’ come la più filosofica” monade, che ha a che fare più con la fede che con la scienza – interessante questo transfert con attribuzione all’ateo di una fideistica credenza da parte di un credente che reclama la scientificità delle deduzioni. Il paradosso, nell’articolo di McGrath, è che dopo aver inveito contro Dawkins e Dennet, accusati di “speculazione metafisica” – laddove il metodo scientifico “è religiosamente neutrale”; un lapsus per dire “agnostico”? – l’autore conclude con queste parole: “La retorica del nuovo ateismo dipende in non piccola misura dal suo pubblico che manca di una familiarità di prima mano con i credo e le pratiche religiose, e soprattutto dai colleghi scienziati che hanno dimestichezza con i temi della fede […] decisivo il loro ruolo nel poter e voler difendere e, soprattutto, spiegare la fede ai loro pari nell’ambito professionale”. C’è una lacerante contraddizione nel rifiutare l’uso che l’ateismo fa della scienza contro la religione, per poi appellarsi agli scienziati per spiegare la religione!
Toni più concilianti quelli di Torres Queiruga che scrive: “L’ateismo non obbedisce a capriccio o malizia: poggia su valori reali […] non è solo pericolo, può esser anche supporto e kairṓs salvifico”. Parole davvero coraggiose per un teologo, ribadite con grande fermezza: “Se per morale si intende la determinazione dei contenuti, questi appartengono alla realizzazione umana in quanto tale: credenti e atei, dobbiamo tutti praticare delle condotte e riprovarne delle altre, senza che in linea di principio debbano esserci delle differenze”.
Non mancano, finanche, voci “fuori dal coro” come il contributo di André Comte-Sponville, filosofo ateo francese, che elabora una sorta di ateismo “aperto”, ricettivo di valenze “religiose” e considerato come un genere speciale di spiritualità.
Emerge, infine, da una parte la considerazione che la pluralizzazione dell’ateismo in molti rivoli – per i non credenti segno di ricchezza – rappresenti un sintomo di debolezza e un segnale non secondario di una critica ad intra che potrebbe demolire l’intero edificio, dall’altra la consapevolezza che, in fondo, l’affermazione dell’ateismo moderno non è altro che un modo diverso di parlare di Dio.

* Laureato in Storia, ha compiuto studi di teologia e filosofia. Redattore della rivista “Non Credo”, è socio attivo del Circolo UAAR di Padova.

NB: le opinioni espresse in questa sezione non riflettono necessariamente le posizioni dell’associazione.
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20 commenti

Tommaso

Solo ua semplice considerazione.

La religione cerca sempre conferme scientifiche (storiche, archeologiche, mediche)
mentra la scienza prescinde da conferme religiose !

POPPER

io direì anche anche: l’etica atea che contagia i credenti, quando questi collaborano con gli atei sul piano laico per uno stato repubblicano più giusto e più neutrale verso le differenti espressioni del pensiero laico o religioso.

L’etica degli atei contagia anche chi come credente cattolico ha da anni meditato di non seguire alla lettera le demenziali dichiarazioni del papa, ma di avere una propria opinione libera, un’etica aperta al confronto con gli atei e non più una morale scorbutica, omofoba, discriminante, arrogante e prepotente, ecc…ecc…

L’etica degli atei che contagia anche chi è solo di facciata cristiano o cattolico, ma in se stesso ama la laicità e ha solo bisogno di tempo per maturare la sua uscita dal gregge in senso proprio anagrafico, e che ha bisogno di conoscere l’UAAR e le associazioni laiche ad essa legate da un comune Coordinatore Laico Nazionale.

Quando un ateo parla di religione lo fa in molti modi, per esperienza diretta, nel confronto interpersonale con i credenti, o per aver letto la storia delle religioni e si è fatto una propria opinione su di esse o anche perchè la cronaca gli parla di fatti religiosi non sempre, o quasi mai esemplari, magari positive qualche volta, qualora alcune delle religioni esistenti si sono aperte alla laicità e al confronto e al contraddittorio, ma è difficile vedernedi queste belle notizie.

Quando un credente cattolico parla di ateismo, oggi ha molti mal di pancia in seno alla propria comunità ecclesiatica, quindi, i suoi pensieri sono in automatico contro l’ateismo, salvo l’eccezione di quei cattolici che ci starebbero a confrontarsi con gli atei ma lo farebero a titolo personale, perchè non avrebbero molta fortuna se si ergessero a comunità cattolica laica, verrebbero scomunicati a divinis, datelo per socntato.

P.C.

“pubblico che manca di una familiarità di prima mano con i credo e le pratiche religiose”

http://www.uaar.it/news/2010/09/28/pew-forum-sulla-religione-atei-usa-ne-sanno-di-piu-dei-credenti/

Non so voi, ma io sono nato e cresciuto in ambiente cattolico… ritengo di avere una buona “familiarità di prima mano con i credo e le pratiche religiose”. (Ero molto credente fino a dopo la cresima; ma la catechista mi ha incoraggiato a leggere la bibbia, e, quando ho finito, mi è scappato naturale un sonoro “str***ate!”…)

bruno gualerzi

Grazie Marullo per il bel florilegio di definizioni dell’ateismo in versione ‘teologica’.
Non entro nel merito… ribadisco solo che, per fortuna, ci sono tanti modi di essere ateo (non esiste un ateismo eretico (a parte gli ‘atei devoti, che fanno di tutto per non esserlo… e in genere ci riescono), per cui anche la questione sull’interessarsi di dio o no, può essere risolta in vari modi.
(Piuttosto un consiglio. Esco appena adesso da una esperienza allucinante, di cui ho parlato in un post precedente: un intero post in un blog di una certa UCCR – unione cristuani cattolici razionalisti (credo sorta apposta per contrastare UAAR anche nella sigla), tutto dedicato a insultare il sotoscritto proprio a proposito della ‘opinion’ su ateismo, dio e il clero. Mi era stato segnalato, ho dovuto scorrerlo e, nlla mia ingenuità, ho perfino provato a ribattere, soprattutto per fatti personali. Non ti dico cosa non è saltato fuori, e probabilente staranno ancora vomitando chissà quali insulti.
Qual è il consiglio? Con questa tua ‘opinione’ rischi di fare la mia stessa fine fra quegli invasati, inutilmante invitati alla calma Quindi sappiti regolare…)

teologo cattolico

@stefano

scusa se non ho letto tutto il tuo intervento , ma ti faccio notare che per l’ateismo, specie quello neopositivistico semantico che viene ancora sostenuto dagli utenti più giovani e meno colti del sito (non da te), il concetto di Dio è insensato. Ora perdere tempo a parlare di un “kjxchjosires” non ha senso, almeno per chi lo reputa insensato, perdere tempo a discutere di qualcosa che si sa non sensato.. non ha senso… I neopositivisti, infatti, quelli del circolo di Vienna, in coerenza con le loro premesse, non hanno scritto nulla sulla filosofia della religione (almeno che io sappia), a differenza della recente filosofia analitica invece.
Devo per altro sottolineare che anche passare il tempo a dimostrare la non esistenza di qualcosa che si ritiene non esistente (per quanto lo si ammetta possibile) è poco fruttuoso. Io non credo all’esistenza degli alieni e non passo le giornate sui siti che ne parlano per dire che si sbagliano.

Altra questione è invece parlare del fenomeno sociale della fede, dei meccanismi psicologici dell’adesione di fede, oppure della lotta per la laicità( un valore sempre da preservare e dilatare): ma questi non sono temi “ateistici”, ma psicologi, religiosi, sociali, o politici, tanto che anche un credente se ne può occupare.

Per spiegare il fenomeno dell’interessamento del cristiano all’ateo, senza scomodare i filosofi/teologi e apologisti, basta osservare che la missione stessa della Chiesa è essenzialmente quella di evangelizzare e dunque si rivolge necessariamente ai non credenti. In altri termini per il credente parlare del fenomeno dell’ateismo e parlare all’ateo ha ovviamente un senso, infatti ai non credenti ci si rivolge nell’evangelizzazione. Il credente sa che vi sono dei motivi per cui si innesca il fenomeno dell’ateismo, anzi per cui si prolunga e resiste ( perché atei nasciamo tutti) e cerca di superarli. Ogni parola cristiana è per la conversione, anche di quella parte atea che convive nel cuore del credente.

bruno gualerzi

@ teologo cattolico

Scusa, ma perchè insisti nel sostenere che gli atei – colti o non colti – intendono ‘dimostrare’ la non eistenza di dio? Alcuni atei certamente lo fanno, e magari con ottimi argomenti, ma non è certo un tratto distintivo dell’ateismo. Come sostenevo nell’altro post, e come se ha senso parlare di dio! in quanto chi ne afferma l’esistenza ne trae conseguenze che vengono giudicate (ovviamente dagli atei) molto pericolose… mentre in genere per l’ateo, non si tratta tanto di ‘dimostrare’ che dio non esiste, quanto di ritenere inaccettabili le presunte prove della sua esistenza. Che, devi ammettere, è altra cosa sia sul piano teoretico che pratico. Quindi non credo che sia una perdita di tempo, ma una delle ragioni – da sostenere in tante circostanze – dell’essere atei.
In quanto poi al credente che ha in sè una dimensione atea e viceversa… è una tesi come un’altra. Per esempio a me sta bene nella misura in cui personalmente credenti e non credenti fanno tutti parte di una condizione umana con delle esigenze specifiche (della specie) alle quali si può rispondere in modi anche opposti, ma, sempre per quanto mi riguarda, l’esigenza è comune. Da qui la verosimile possibilità che, scavando nel fondo della psiche individuale (ciò che a mio parere può avere tutt’al più una valenza terapeutica, perchè in realtà si tratta di un pozzo senza fondo), si possano rinvenire queste componenti. Si tratta poi comunque di scegliere in quanto esseri coscienti.

Bismarck

Quoto Stefano e la risposta di Bruno.

Quanto agli autori di Concilium, pensano forse di esorcizzare la crisi profonda della chiesa cercando inesistenti spettri (crisi e decadenza dell’ateismo) nelle case degli altri?

L’ateismo è un modo diverso di parlare di Dio? Sarebbe questa la risposta alla domanda “Atei: di quale Dio?” ?
Gira e volta mi sembra che si diano le solite banali risposte, forse rassicuranti ma di certo non vere. Gli atei non parlano di Dio, ma di come gli dei (dio) sono(è) stati(o) creati(o) a immagine e somiglianza dell’umanità, con gli stessi vizi e le stesse brutalità. Ci vediamo alla prossima.

Stefano

@ teologo

Ora perdere tempo a parlare di un “kjxchjosires” non ha senso, almeno per chi lo reputa insensato, perdere tempo a discutere di qualcosa che si sa non sensato.. non ha senso…

Visto che insisti ti rispondo di nuovo: hai ragione all’8×1000!!

Roberto Grendene

“Devo per altro sottolineare che anche passare il tempo a dimostrare la non esistenza di qualcosa che si ritiene non esistente (per quanto lo si ammetta possibile) è poco fruttuoso”

mai speso un istante a cercare di dimostrare l’inesistenza degli dei

non capisco da dove spunti questa convinzione: gli atei che pensano di dimostrare l’inesistenza degli dei penso siano davvero pochi

POPPER

Si Roberto, saranno anche pochi ma di questi si hanno argomenti validi sull’inesistenza di dio e degli dei.

Per esempio, io stesso, se ipoteticamente ci fossero altre leggi dell’universo ancora da conoscere e, nell’incontrare ancora ipoteticamente un essere quasi divino, non lo scambierei per dio, ammetterei soltanto che lui conosce quello che io ancora non conosco, ma questo per me sarebbe solo un incentivo a conoscere di più invece che a fidarmi di questo essere evoluto restando nell’ignoranza e fidandomi della sua superirortà.

Del resto anche io posso conoscere qualcosa che gli altri non conoscono ma non vuol dire che io sia qualcuno di speciale, purtroppo in Italia ci sono quelli che al governo e alla maggioranza in parlamento hanno ratificato la convinzione del premier che ruby fosse speciale, niente popodimeno che la nipote di Mubarak, e a loro credono sempre in meno tra gli italiani, quindi, quelli che sono rimasti di irriducibili a credere ai VIP della ccar e della politica sono anche quelli che son disposti a credere ai miracoli a presindere che lo dica il papa o berlusconi.

Allo stesso modo, tra i credenti non tutti credono che gli atei sono dei mangiapreti, come tra gli atei non tutti pensano che i credenti siano tutte pecore, ma le prove dell’inesistenza di dio pare ossessioni di più i credenti che gli atei.

POPPER

aggiungo che ho anche io dei solidi argomenti filosofici e scientifici che provano l’inesistenza di dio, voi ne avrete più di me, ne sono certo, ma io non sono ossessionato dal fatto che per molti dio e gli dei esistano, tratto l’argomento con un sano raziocinio.

Ho l’impresisone che davvero sia il credente a temere di più per la propria fede, data l’altissima probabilità che vi siano sempre più persone che vivono come se dio non esistesse, non solo, ma anche persone che si dilettano di filosofia o professionisti della filosoofia, mediante la quale si può davvero dimostrare che dio non esiste, poiché è solo la teologia a volerlo ostinatamente far credere ai propri fedeli e agli atei, ma la filosofia non impone a nessuno di credere a dio o agli dei, non è nella sua natura di essere teolgica a priori o a posteriori.

In un dibattito con i credenti, sulla dialettica della fede e sulla ragione dell’ateismo, quello che mette più a disagio i credenti non è la discusisone filosofica, sono bravi anche loro in filosofia (magari si facessero più confronti sulla filosofia tra credenti e atei), ma è l’entrare anche involontariamente nell’Humus psicologico dove la fede è nutrita e si auto sostiene con la cieca convinzione che dio e gli dei esistano, punto e basta, poiché a questo punto non c’è filosofia che tenga, si è toccato un tasto dolente indiscutibile e non negoziabile.

teologo cattolico

@Stefano e @Bruno

Vi quoto anche io al 5 X mille. Ho infatti precisato che non sto criticando quanto dice @stefano, ma solo il tipo di ateismo “forte” e specificamente quello di stampo neopositivista, alla Odifreddi per intendersi.

Se vi posso contestare qualcosa è l’eccessiva fiducia che riponete nella autocomprensione media che gli utenti uaar hanno della loro prospettiva atea: infatti sono numerosi coloro che ancora sostengono un ateismo di principio, di stampo scientistico. Almeno io, nei miei interventi nel forum, ho avuto la sfortuna di incontrare solo quelli… credo che anche @popper sia tra gli ateisti “forti”, almeno da come presenta la sua posizione nel suo intervento (ma non sto ad indagare troppo).

Sul cosidetto “ateismo debole” non ho nulla da dire, è posizione corretta, legittima, logica, presupposta necessariamente dalla missionarietà della Chiesa.

tonii

non riesco a capire che categoria siano gli “atei forti”…
sembra quasi che al teologo sfugga che il dio dei monoteisti non ha le caratteristiche degli dei dei politieismi.
Da ciò ne conseguono parecchie distinzioni, anche tra gli atei (che hanno orizzonti ben più vasti dei credenti negli dei, per non parlare di quelli che si riducono a un solo dio).

Visto che l’inesistenza di un solo dio m’è tanto lampante (è infatti irrazionale), dovrei rientrare tra gli “atei forti” della distinzione di cui sopra. Però in merito all’esistenza degli dei sono agnostico (non ravvedendo tratti di impossibilità logica ma solo di estrema improbabilità).

Se i monoteisti allargassero un po’ lo sguardo potrebbero anche capire e intraprendere un percorso di salvezza. Invece, cupi nel loro monomaniacale onanismo fideistico, dannano sé stessi e il mondo, insozzandolo con i loro divieti e imposizioni.

POPPER

Grazie teologo cattolico, è un complimento per me, almeno sei uno dei pochi che risponde ai miei controversi commenti ateisti, non me ne vogliano gli altri, son certo che se ne varrà la pena mi si risponderà in futuro, anche non essendo con me d’accordo, amo il contraddittorio.

POPPER

abolirei la parola “morale” ovunque, perchè la vedo sempre e solo legata alla religione, ogni religione ne ha una propria e molto diversa da altre religioni, per cui, per esempio, un fedele esemplare nel cattolicesimo è considerato nell’islamismo un infedele, e così per altre religoni e viceversa; la sostituirei con Etica che unirebbe tutti gli essere umani, a qualsiasi religione appartengano, l’etica li aiuterebbe a collaborare per uno stato laico più giusto e più neutrale, uno stato laico che non discriminerebbe nessuno sul piano democratico e giuridico, del lavoro e dello sport, avente un etica, una deontologia politica persino sarebbe auspicabile in futuro.

POPPER

aggiungo: un cattolico, ligio agli ordini del papa, ha una morale sostenuta dalla dottrina e difesa dalle leggi sulla libertà di religione, tuttavia, capita che il suo comportamento non sia etico, al contrario, sia lesivo dei diritti altrui, proprio in nome della sua misisone evangelica, andava bene una volta, oggi deve rispettare gli altri e limitare la sua attenzione religiosa alle sue 4 mura e in chiesa o in oratorio sotto l’egida dei suoi superiori gerarchi, di cui lui è suddito consapevole e sottomesso.

Ma se il messaggio di evangelizzazione del papa coinvolgesse la sua militanza impaziente di convertirmi, e lo esporrebbe a possibili violazioni del codice civile, allora dovrebbe chiedersi se, oltre ad essere suddito del papa, non sia anche come cittadino italiano in obbligo etico di rispettarmi e di stare lontano da me se ha intenzioni di farmi solo prediche e senza accettare contradittori.

Io reputo un ossessione la stessa intenzione di evangelizzare gli atei senza accettare contradditori e senza accettare dei no, come cortese e schietta risposta.

POPPER

volendo mi si può anche contraddire, non è che vi mangio se mi rispondete. Grazie, buona notte.

stefano marullo

@ Gualerzi
“non esiste un ateismo eretico”
e questo caro Bruno mi pare apodittico ed è la nostra assicurazione oltre che la nostra ricchezza, come ho scritto, che distingue l’ateismo dalle religioni o lo avvicina più alle filosofie. Ho visto che non hai resistito alla tentazione di andare a fare “visita” ai cattotalebani. Te la sei cavata molto bene, sembra quasi che siano rimasti frastornati da un ateo che riesce anche ad argomentare! Sono aggressivi? Non mi meraviglia, il fondamentalismo si autoalimenta con il mito del nemico da abbattere. Quanto a me, beh, se mi attaccano, mica puoi divertirti solo tu …
@ teologo
Apprendo definizioni nuovi di conio, che cercherò di memorizzare. Neopositivismo semantico è notevole, ateismo forte, debole (san paolo direbbe che si è forti quando si è deboli). Non so, mi sembrano girandole gesuitiche. Non esiste una dottrina ortodossa della miscredenza (vedi sopra) esistono sensibilità diverse. In fondo presente anche all’interno del variopinto mondo cattolico, anche se la formula “una, santa, cattolica, apostolica” risponde meglio alle esigenze di compressione della eterodossia (ma poi c’è stata mai una chiesa una, santa, cattolica e apostolica?). Io credo sia più problematico il paradigma del credente. Mi spiego. Uno dice “credo” e sembra si metta al sicuro. Il titolo di un libro di Vattimo recitava: “Credere di credere”. Perché, insegnano le scritture, non basta credere per “credere”. Il discorso escatologico del Gesù dei vangeli ruota attorno a “quello che si è fatto” al povero, al carcerato ecc. E lo stesso Gesù dice “non tutti quelli che diranno Signore Signore entreranno nel Regno dei Cieli” e “prostitute e pubblicani vi passeranno davanti” (oggi direbbe “atei ed agnostici”? !). Insomma il credere ha implicazioni ben più profonde che riguardano lo stile di vita che non possono essere sottovalutate. Non bastano petizioni di principio. Vedo troppi disgiungere la propria presunta fede dagli atti concreti (dal pagare le tasse ad avere rispetto per le diversità) e ancorarla solo ad un ritualismo acritico quanto asfissiante
@ Popper
L’uomo, la sua libertà, il suo spazio morale è l’anello di congiunzione tra credenti e non credenti. Ci vuole da parte di entrambi senso critico, disincanto, amore per l’imprescindibilità del relativo

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