Bruno Gualerzi*
1. ‘Dio è morto’
Forse niente più della sua presunta morte ha concorso a mantenere in vita dio. E’ stata la sua presunzione di morte che ha operato di fatto come il più efficace espediente per prolungarne in realtà l’esistenza, per dar voce ai suoi orfani inconsolabili. Ai quali non è parso vero di gridare intanto ai quattro venti quanto povera fosse diventata l’umanità dopo la perdita di questo valore supremo, approfittando della sua proclamata eclissi per dimostrare come i mali del mondo fossero ora senza alcuna speranza di riscatto… tenendo ben celata la circostanza che gran parte di questi mali era stata provocata proprio dall’alienazione dell’umanità come conseguenza della sua proiezione al di là di sé operata dalle varie religioni. In realtà il rigurgito reazionario, consapevole o meno che ne fosse, ha potuto giocare su un paradosso/assurdità (coglibile come tale, come assurdità, solo da una mente ancora libera) di questo tipo: la ‘morte’ di dio, la sua ‘uccisione’, non ha fatto che confermare la sua esistenza! Non si uccide chi non è mai esistito, e se lo si è ucciso, se si chiamano le folle a raccolta per constatarne la morte, significa che esisteva. E non importa nulla che si sia usata l’espressione ‘dio è morto’ come metafora: chi l’ha utilizzata come tale non ha tenuto nel dovuto conto di come essa venisse a cadere su un terreno dove tutto di fatto era sempre stato solo metafora presa alla lettera, mito ontologizzato… e alla lettera è stata presa anche la morte di dio. La quale pertanto non veniva che a confermare due cose: che dio, appunto, era sempre esistito, e che ora era stato ucciso. Ma la morte di un dio – si argomentò subito – non può che essere apparente, in realtà lo si è ucciso solo nei propri cuori, quegli stessi cuori che ora debbono prepararsi alla sua rinascita, che non può che avvenire dentro di noi… non prima però di aver scontato una pena proporzionata ad un così enorme misfatto! E così, dopo il peccato originale, contemplato in forme diverse da varie religioni, ora c’è da scontare anche il deicidio. E non tutti gli dei sono comprensivi e caritatevoli, e disposti a lasciarsi uccidere anche se per poi risorgere, come il dio cristiano. Soprattutto se ne diventano l’ombra. L’ombra di un’ombra.
2. “La religione è l’oppio dei popoli”
Anche qui si è avuto gioco facile nel ‘dimostrare’ che, fra i tanti oppiacei, quello rappresentato dalla religione dopo tutto era il meno allucinogeno per le coscienze, se solo lo si fosse paragonato all’allucinazione dovuta a tante ideologie, come, ad esempio, il cosiddetto materialismo storico. Oppio per oppio, quello rappresentato dalla religione conservava pur sempre una proiezione in una dimensione di speranza che nessuna proposta di liberazione materiale poteva vantare, o meglio ancora, surrogare: non certo a tempi lunghi. Ma quando si prescinde dalla trascendenza, i cui tempi sono ‘eterni’, cioè al di là di ogni possibile esperienza (il che serve per presentare il riscatto come verificabile sempre solo ‘dopo’) i tempi storici, quelli dell’esperienza reale, sono sempre insopportabilmente lunghi perché si abbia la pazienza di aspettare più di tanto, e giustamente, una qualsiasi verifica: basta il succedersi di un paio di generazioni e nessun progetto alternativo al paradiso prospettato dalle religioni ma percepito come suo surrogato è in grado di reggere come progetto alternativo, e di fronte al fallimento rappresentato dalla mancata realizzazione del ‘paradiso in terra’, l’esigenza di un oppiaceo ancora più allucinogeno si farà impellente, e se ne reclamerà una razione doppia proprio per far fronte, per sopportare, la nuova delusione che si è aggiunta alle altre.
E anche qui non importa se in realtà, da parte delle menti più avvertite perché più libere, non si è mai esplicitamente promesso alcun ‘paradiso in terra’ (tutt’al più, meno inferno): l’assuefazione all’oppio non tollera brusche astinenze, e se poi addirittura l’ateismo è fatto diventare, costituzionalmente o meno, ‘di stato’, imposto dall’alto, da un potere inattaccabile, ‘metafisico’… se alla crisi di astinenza si aggiunge questa ulteriore dipendenza, il bisogno di dosi massicce di oppio non può che prendere un po’ tutti alla gola.
Ciò che è puntualmente avvenuto per le enormi masse che, consenzienti o meno che fossero, hanno fatto l’esperienza di questa traumatica sostituzione. La disintossicazione può avvenire solo per progressive prese di coscienza, la più necessaria delle quali è forse quella caratterizzata dalla consapevolezza che un qualche ricorso a qualcosa che rappresenti un filtro tra noi e certi aspetti dell’esistenza, tra noi e tutto ciò – che è sempre troppo – che va messo in conto alla fatica/paura di vivere, è comunque indispensabile: pensare di poterne fare a meno è un’illusione altrettanto pericolosa dell’illusione, figlia prediletta proprio di questa fatica/paura di vivere, che per l’uomo si risolverà tutto dando corpo al mito della trascendenza.
Conclusione: il superamento del mito della trascendenza (la ‘morte di dio’) perseguita in modo traumatico senza un’adeguata ‘preparazione’ culturale… non può che generare altri miti. Altre divinità da adorare.
* Insegnante di storia e filosofia in pensione e socio UAAR
Bell’articolo. Concordo.
Vorrei però sottolineare che la gente ricerca “altri miti, altre divinità” proprio perché è immersa in una società che dà queste cose per scontate grazie all’indottrinamento ricevuto nell’infanzia.
La preparazione culturale ha duro gioco contro paure, desideri e illusioni radicatesi in noi nei primi teneri (e molto recettivi) anni della nostra vita.
D’altra parte, l’uccisione di dio è possibile solo se questo indottrinamento v’è stato in qualche misura.
Credo che il tutto si giochi sull’equilibrio tra le due cose. Quanto siamo stati indottrinati? Tanto più siamo stati indottrinati, tanta più intelligenza e cultura serviranno per liberarsi di queste catene senza cercarne di nuove (oppure, come traspare dal tuo articolo, cercandone di nuove ma con CONSAPEVOLEZZA).
In un mondo senza preti o almeno in una nazione senza preti (catechesi, messa, obblighi e ricatti morali..), l’uccisione del dio degli altri sarebbe certamente un lavoro più facile; tuttavia penso che darebbe molta meno soddisfazione.
ricordo di avere letto da qualche parte il seguente scherzo:
“Dio é morto” (Nietzsche)
“Nietzsche é morto” (Dio)
dove il contenuto della seconda citazione é inconfutabile mentre l’attribuzione della stessa é resa attendibile dalla considerazione che Dio, possedendo tutte le virtú, é necessariamente dotato anche di senso dell’umorismo al massimo grado.
mah, sempre un po’ macabro l’umorismo divino… alla battuta sopra si può sempre affiancare:
“Dio è vivo” (GP2°)
“GP2° è morto” (Dio)
a questo punto. a chi piacciono i massimi gradi, si fa prima a fargli dire:
“Morirete tutti!” (Dio)
“Dio e’ morto,Marx pure e anch’io non mi sento molto bene”
Woody Allen
@ satrapo. Un tempo c’era chi diceva: se si caccia Dio dalla porta, quello rientra dalla finestra ( o “dal buco della serratura” ). Nel caso peggiore ( alla Machiavelli ): l’idea di Dio serve per garantire l’oridne sociale, basato sulla gerarchia . Nel caso migliore: alla natura umana è coessenziale un desiderio di apertura all’infinito che può essere colmato solo dalla divinità, in questa o quell’altra forma. ( Sant’Agostinio “Fecisti non ad te et inquietum est cor nostrum donec requiescat in te” ).
Se fosse vero quest’ultimo concetto ( il “bisogno religioso”; e che sia vero è affermato da moltissimi studiosi di storia delle religioni, etnologia, antropologia ) sarebbe tutta da rivedere la sua affermazione che il “bisogno di Dio” è un elemento accessorio, insddotto da un imprinting infantile procurato sciaguratamente dalla famiglia e dal gruppo di cui fanno parte. E se invece fosse inscritto nel nostro DNA.
Vorrei capire perchè lei, come altri, ritenga la cancellazione di Dio come un evento liberatorio. Senza Dio quali sarebbero i cambiamenti in meglio?
Quanto all’umanesimo ateo, a me consta che si è fratelli quando si è figli di uno stasso padre. La società senza padre ( “nè Dio nè padrone” ) in che modo riuscirà a dare l’imprinting della fratellanza?
Il problema non è dio,che ognuno risolve a modo suo, il problema sono
gli amministratori terreni.
Siamo fratelli in quanto, grazie alla scienza, sappiamo di essere tutti uguali: fatti della stessa carne, stesse molecole, stessi atomi.
Condividiamo le stesse sofferenze e gli stessi desideri. La collaborazione ci permette di prosperare. La pace ci permette questa collaborazione. Per dire questo, non serve la religione che, anzi, parla di fedeli e di infedeli, di dei veri e falsi dei, di buoni e cattivi, di figli di dio e di peccatori senza speranza.
Il bisogno religioso è presente nell’uomo, vero. Ma lo è in forma molto più generica!
Il bisogno che abbiamo è quello di sopravvivere, è istinto di sopravvivenza! La consapevolezza della morte e la conseguente paura ci portano a trovare soluzioni al problema della nostra finitezza.
L’ignoranza delle prime società ha lasciato spazio alla superstizione. La superstizione con i dogmi è diventata religione..e la religione ha brevettato la faccenda dell’imprinting nell’infanzia.
Che il desiderio di infinito si possa colmare solo con la divinità è un assunto arbitrario.
Le alternative esistono e quella di cui parliamo qui è l’accettazione del proprio desiderio di infinità in quanto espressione dell’istinto di sopravvivenza.
Cautela. E’ ciò che manca a troppi religiosi. Ogni buco va colmato immediatamente. Che sia una lacuna nella conoscenza, che sia una lacuna dello spirito..tutto va riempito. E il materiale per riempire queste lacune è sempre lo stesso: dio, cioè un oggetto non conosciuto e inconoscibile (per cui totalmente inadatto per le lacune conoscitive). Le lacune dello spirito possono trovare conforto nell’inconoscibilità di questo oggetto, certo. Ma quale uomo scettico che voglia applicare la ragione per cercare la verità potrebbe accettare un oggetto inconoscibile come mero palliativo per le proprie lacune e paure?
Una spiegazione naturale e l’accettazione dell’insoddisfabilità del nostro spirito sono sicuramente più adatte.
Il caso peggiore è purtroppo quello più diffuso. Anche prima del cristianesimo un saggio romano, forse Seneca, non ricordo bene, disse dei vari culti generalmente orientali che si diffondevano nell’impero romano: tutti veri per il popolo, tutti falsi per i filosofi, tutti utili per i governanti. Poi quasi tutti i re nell’epoca cristiana, anche i più scettici, come Federico II (Hohenstaufen), consideravano la religione come indispensabile instrumentum regni. La odierna apologetica cattolica non riesce mai a rinunciare all’uso della famosa citazione di Dostojevskij “Se Dio non esiste tutto è permesso”, a cui un ateo pronto di parola potrebbe rispondere: “In nome di Dio tutto è stato commesso”, poi si potrebbe dire che questo Dio Superministro degli Interni è abbastanza repellente.
In conclusione, il problema non è Dio ma i suoi sedicenti rappresentanti in Terra, la cui esistenza è purtroppo indubitabile.
“Vorrei capire perchè lei, come altri, ritenga la cancellazione di Dio come un evento liberatorio. Senza Dio quali sarebbero i cambiamenti in meglio?”
Premesso che mi riconosco sostanzialmente nella risposta di Satrapo, in prima (e volendo anche ultima) battuta la risposta può essere molto semplice: quella che Stefano posta qui sotto: “la verità rende liberi”. Personalmente magari avrei usata un’altra espressione, e cioè: “la libertà è intanto liberarsi dalle menzogne”… ma non ti sembra questa una ragione più che sufficiente?
Naturalmente, al solito, se ci si rimette a dio, a un essre supremo, onnipotente, assoluto ecc. non ci dovrebbe assere altro scopo nella vita se non quello di cercare di eaudire la sua volontà. Come si fa a riconoscerla? Sostanzialmente in due modi, per alcuni credenti in alternativa, per la maggior parte di essi rimandanti l’uno all’altro: ‘esteriormente’ (dio si è rivelato ‘oggettivamente’ nela storia attravreso i suoi profeti o direttamente con segni inequivocabili), e/o ‘interiormente’ (è la coscienza che ne avverte la presenza come – per dirla con Kant – limperativo categorico che ‘detta’ la legge morale).
Ora, è così difficile capire (si fa per dire, in quanto evidentemente può essere difficile, o addirittura impossibile per un credente, non tanto capire, quanto accettare, vivere) che si veda in tutto questo un edificio costruito artificiosamente per ripararsi dalla precarietà dell’esistenza? Ed è così difficile capire (v. sopra) che uscire da questo edificio che si sente come, appunto, artificioso, inutile, solo consolatorio, è lo stesso che sentirsi liberati da un vincolo opprimente… che poi in genere è stato imposto (in buona o mala fede) da chi ha avuto a disposizione il piccolo uomo (in primis i genitori credenti, ovviamenete per il suo bene) nella fase della sua crescita caratterizzata dalla assimilazione di tutto ciò che lo circonda e che gli viene offerto? E che liberarsi da questo vincolo può voler dire respirare finalmente fresca?
Il che non elimina naturalmente la precarietà dell’esistenza, ma può tradursi in una mataurtà che rende autenticamente umani, che fa sentire non dei transfughi dalla condizione umana. Non, ma sì, dei ‘disertori’!
Tutto ciò può essere poi vissuto, individualnmente, soggettivamente, con gioia o con sofferenza (si può essere atei in tanti modi), ma sicuramente non come peccatori che debbono espiare non si capisce bene quale colpa. O si capisce anche troppo bene: la colpa come passaggio obbligato per essere ‘discolpati’, cioè sottratti alla precarietà della condizione umana proiettandosi (alienandosi) in un’altra dimensione.
Se a te tutto ciò non sembra ‘cambiamento in meglio’, è perchè, nonostante il continuo parlare di spiritualità, di trascendenza, il credente è il più ‘materialista’ degli individui, il più spaventato da un destino che non vuole accettare… tanto è vero che ‘alla fine dei tempi’ si ipotizza (parlo del cristianesimo) l’anima tornerà nel corpo. Che resusciterà. Finalmente senza colpe da espiare.
Chiedo scusa per il solito campionario di refusi
“Vorrei capire perchè lei, come altri, ritenga la cancellazione di Dio come un evento liberatorio”.
In effetti non ci si libera di un fantasma già inesistente alla base.
Senza Dio quali sarebbero i cambiamenti in meglio?
Direi senza l’idea o l’illusione di dio piuttosto.
Quanto all’umanesimo ateo, a me consta che si è fratelli quando si è figli di uno stasso padre. La società senza padre ( “nè Dio nè padrone” ) in che modo riuscirà a dare l’imprinting della fratellanza?
Si può essere idealmente fratelli quando ci si sente legati a prescindere dal padre.
E’ questa l’essenza dell’amore.
@ Florenskij
Vorrei capire perchè lei, come altri, ritenga la cancellazione di Dio come un evento liberatorio
La verità rende liberi
Giusto, è libertà dalle false credenze.
…E, come vantaggio collaterale, la sparizione di molti parassiti della società.
“La società senza padre ( “nè Dio nè padrone” ) in che modo riuscirà a dare l’imprinting della fratellanza?”
Ma LOL!
Eh si, con questo dio abbiamo abbondato in fratellanza.
Ricordiamo la grandiosa fratellanza tra ebrei, cristiani e mussulmani.
E’ anche vero che ebrei e mussulmani venerano il vero veramente verissimo dio, ma non lo fanno nel modo giusto, quindi non ispirano molta fratellanza.
Ma i cristiani invece! con tutte le guerre tra cattolici e protestanti e con tutti gli eretici cristiani uccisi, casomai perchè non credevano che il papa avesse superpoteri.
E la grandiosa fratellanza tra cattolici e cattolici?
Cattolici etero che odiano cattolici gay.
Cattolici papisti che odiano cattolici laici.
Cattolici di due schieramenti politici che si odiano tra loro.
Cattolici di due nazioni diverse che si fanno la guerra e si ammazzano…
Prendo dalla conclusione:
“il superamento del mito della trascendenza (la ‘morte di dio’) perseguita in modo traumatico senza un’adeguata ‘preparazione’ culturale… non può che generare altri miti. Altre divinità da adorare.”
E mi faccio due domande: “E se la scienza e la tecnologia ci rendessero in futuro immortali? Non sarebbe questo l’elemento del definitivo crollo della trascendenza?”
Non a caso uno dei discorsi contro l’ateismo tenuto nel cortile dei gentili di Parigi era contro il transumanesimo.
Aspetta e spera!
La immortalità è un mito testimonato fin dalla eta sumera (storia di Gilgamesh) ma ovviamente impossibile, per tutti gli uomini. Forse si potra prolungare la vita a qualche ricco e potente, ma allora ricadremmo nello schena teologico politico dell antico egitto, dove solo i faraoni erano immortali, e tutto il popolo doveva costruirgli piramidi o tombe con adeguato arredo che assicurassero al dio -re buon viaggio verso l’immortalità.
Se tutti fossero immortali, allora bisognerebbe bloccare la riproduzione, poiche è impossibile avere una esplosione più che esponenziale della popolazione umana, se si eliminasse la morte. Situazione che mi pare molto simile a quella ipotizzata per il paradiso cristiano. Che questa speranza di immortalità “laica” non sia altro che un nuovo nome del paradiso trascendente delle religioni?
Ray Kurzweil – “La singolarità è vicina” Apogeo editore.
oppure
“Radical evolution” come la robotica, la nanoteconologia etc cambieranno la nostra vita di Joel Gareau Sperling & Kupfer editori.
Lì ci sono le risposte alla tua domanda.
ops Garreau
“Che questa speranza di immortalità “laica” non sia altro che un nuovo nome del paradiso trascendente delle religioni?”
Credo proprio che lo sia. Se non altro per questa proiezione (operata dalla scienza o come premio per l’obbedienza a dio), in un futuro che comunque ‘trascende’ il presente di ognuno… e siccome per un ateo non c’è altra vita che questa puntare a rendere immortali (sui badi bene, ‘immortali’, non mortali che si rimettono alla scienza per rendere sempre meglio vivible la vita fin che c’è), è lo stessao che investire in una sorta di Eden in cui ritornare. E nemmeno per tutti (come per il credente), bensì per quanti verranno… i quali a mio parere apprezzerebbero molto di più l’eredità di un mondo meglio vivibile che non sentirsi in cammino verso l’eternità. Se poi ci arriveranno in un prossimo futuro… se la vedranno loro. Al presente l’ipotesi di diventare immortale mi terrorizza! Come terrorizza il credente un’ipotesi che in realtà è una certezza: la morte.
dimostra che DIO,non è morto,e poi risucitato,trovail corpo umano di Cristo..
lol!
quindi siccome non esiste un corpo, è resuscitato?
fantastico!
ho come la sensazione che tu non ti renda conto dell’inconsistenza del tuo (s)ragionamento 😆
alè alcolico
È più facile trovare il cadavere di cristo che un neurone nel tuo cervello.
@ale troll
Allora con le tue stesse argomentazioni ti dismostrerò l’esistenza di Shiva e di tutti suoi Avatar:
Shiva è morto, ma se è morto anche tutti i suoi Avatar, che poi dovrebbero essere le prove tangibili dell’esistenza di ogni Deva dato che sono la divinità stessa in una forma corporea, tutti gli Avatar lo sono. Perfetto: trovami gli Avatar di Ganesh per esempio. Non c’è? Non puoi dimostrarmi che non c’è mai stato quindi è esistito. E con lui Shiva e compagnia, tie’.
😉 😉 😉
Sì,sì, resuscitò per farsi una bella mangiata di pesce arrosto con gli apostoli e poi ritornò nuovamente al Padre, ovvero da sè medesimo. Miscredenti!
Bruno Gualerzi scrive : « Conclusione: il superamento del mito della trascendenza (la ‘morte di dio’) perseguita in modo traumatico senza un’adeguata ‘preparazione’ culturale… non può che generare altri miti. Altre divinità da adorare».
Che ovviamente condivido ! Per questo motivo mi sia permesso precisare che non è la religione che dobbiamo combattere -energia sprecata inutilmente-, ma l’ignoranza legata all’immaturità della gente che la genera e sostiene.
Il solo modo per migliorare una società, consiste nel cambiare la comprensione che hanno gli individui di cio’ che pensano essere, rispetto a quello che sono “realmente”.
@Gualerzi
purtroppo l’ignoranza viene mantenuta viva e diffusa dai mass media. Oggi pomeriggio, per esempio, sulla tv raivat1 si parlava di gpII in riferimento al 3o° dall’attentato, mentre nello stesso momento su raivat2 caterina baglivo intervistava una donna che da bambina fu presa in braccio da una bellissima donna sconosciuta, la quale le disse di essere la madre di gesù! Su questo devono impegnarsi le associazione laiche, l’ho già scritto mille volte.
pardon,il commento sopra era in risosta ad alessandro pendesini
Una piccola nota a margine.
Io non credo che il materialismo storico sia il prodromo di una pericolosa ideologia di tipo pseudoreligioso, quanto un metodo di lettura della Storia; penso che questo problema riguardi maggiormente il materialismo dialettico, esso sì ideologia totalizzante su cui poi si basava il cosidetto catechismo staliniano.
Personalmente, seppure tra i due c’è uno stretto rapporto, credo che il materialismo storico possa essere considerato nelle sue linee base anche senza il materialismo dialettico.
Un’ideologia in sè contiene sempre un elemento utopico (deve ‘servire’ per… un mondo milgiore): si tratta del modo con cui è poi vissuta questa utopia, Si può viverla per quello che – a mio parere – rappresenta sempre, cioè l’espressione di un’esisgenza che come tale non si può eludere, nascondere a se stessi, perchè come esigenza è reale… ma che nel momento in cui la si volesse ‘realizzare’ concretamente, storicamente, e non considerla solo come esigenza da tener presente, come un ‘mondo delle idee’ che si volesse ricostruire tale e quale nella storia (la Republica platonica presa alla lettera)…. aprirebbe alla dimensione religiosa. Sarebbe, in altre parole, vissuta fideisticamente.
Naturalmente il primo giudizio di merito è comunque relativo al contenuto dell’deologia (dell’utopia). Anche il nazismo prospettava un ‘mondo migliore’ (una società fatta tutta di uomini alti, biondi con gli occhi azzurri, sani ecc.), ma in questo caso la dimensione ‘religiosa’ era già palese senza bisogno di aspettarne l’attuazione. Come purtroppo è accaduto.
Scusa Gualerzi, ma, ripeto, il materialismo storico è un metodo di lettura storica, non un’ideologia (che, ripeto, può più facilmente attribuirsi al materialismo dialettico).
Esso è quantomai empirico, perchè compatibile con l’idea che l’umanità prima pensa ai bisogni materiali, poi alle forme culturali.
E se la struttura condiziona pesantemente la sovrastruttura, anche quest’ultima può dirigere, attraverso idee che si ribellano ad un dato tipo di organizzazione, verso una nuova struttura.
Poi, il resto che dici è vero, e magari riguarda l’aspetto più ‘escatologico’ del marxismo, che però vale per tutte le ideologie, ma, appunto, col metodo del materialismo storico poco calza.
Andando al nazismo: il nazismo non proponeva un mondo migliore, lo proponeva solo per una razza che asservisse le altre; il marxismo, inteso anche nel senso peggiore di ideologia e assumendo tutte le critiche che poni tu, pensava che la forma ultima del socialismo fosse una liberazione di tutta l’umanità, liberando l’ultima classe oppressa rimasta.
Al di là del dato ideologico, mi sembra cosa ben diversa dal nazismo, che non è utopia, ma incubo (almeno per chi non aveva la fortuna di nascere ariano).
Se poi lo è diventato anche il regime comunista, questo col metodo analitico del materialismo storico (che non coincide col marxismo leninismo, nè tantomeno con lo stalinismo che promosse quello dialettico, più ‘metafisico’) per me c’entra poco.
Un paio di precisazioni (un blog non è che lasci molto tempo per riflettere, ma bisogna stare al gioco.)
D’accordo sul materialismo storico che di per sè è un metodo di lettura storica… ma già qui è difficile prescindere da una forma di storicismo, che, per quanto ‘materialistico’ a mio parere sempre storicismo è, in quanto adotta una chiave di lettura della storia che non può che essere ideologica… ma qui ribadisco anche subito il radicalmente diverso modo di intendere l’ideologia: in questo caso penso che comunque si tratti di una ‘lettura’ preziosa.
Come del resto accenni anche tu, è poi sulla base di questa ‘lettura’ che si diffonde il marxismo e con esso il comunismo (altra cosa dal pensiero di Marx: ai miei tempi si distingueva tra ‘marxista’ e ‘marxiano’ per distinguere – non so fino a che punto riuscendoci – tra, appunto, la ‘ideologizzazione’ di Marx e lo studio della sua opera). Poi il marxiamo ha avuto varie ‘trasformazioni’, tutte ideologiche, scartando sempre più verso la dimensione religiosa: per un verso, nella fase propriamente rivoluzionaria, col leninismo, in qualche modo però inevitabilmente, vista la situazione di arretratezza del popolo russo stremato da secoli di asservimento, sia allo zar che alla chiesa ortodossa… poi, con lo stalinismo, addirittura dando vita ad un regime modellato quasi integralmente su una teocrazia, per ‘ateo’ che si dichiarasse. E quasi sempre in quest’ultima forma si è poi diffuso nei paesi comunisti.
In quanto al nazismo… figurati se lo metto sullo stasso piano del materialismo storico… ma lo citavo perchè in prospettiva anch’esso puntava a costruire a suo modo un ‘mondo migliore’ dove era ‘giusto’ che la razza superiore dominasse le altre: e questa sarebbe stata la società ideale, come tale valida per tutta l’umanità. Ma qui, non c’era nemmeno il riferimento ad una qualche ideologia intesa come ricerca, analisi e identificazione di un’esigenza reale: qui c’era solo le farneticazioni di un folle.
Ci siamo capiti, Bruno,ed è il materialismo storico, a ben pensarci che ammette benissimo questa situazione, atrraverso il concetto dell’ideologia, che lo riguarda direttamente, come a modo suo svilupperà Lenin.
Ed è comunque importante saper scevrare il materialismo storico dall’impianto sistematico onnicomprensivo del materialismo dialettico e proporlo nelle sue linee base come metodo.
Per il resto concordo, e sì, un blog è troppo breve perchè sul nazismo ci sarebbe da parlare sul dato più tragico: la fortissima diffusione che le sue basi antisemite avevano in Europa e l’impatto, come dici tu, di tipo mistico religioso che seppe avere sulle masse, oltre al sostegno degli industriali tedeschi contro una rivoluzione che ai tempi di Weimar sembrava alle porte.
Ma esulerebbe troppo e diverrebbe una discussione adatta a gente storicamente più competente del sottoscritto-
Io non capisco come facciano i filosofi a scrivere testi cosi lunghi senza chiedersi ma esiste una forumula matematica che sostiene il mio enunciato?
Il filosofo se lo potrebbe anche chiedere (e molti se lo sono chiesto), ma permetti che, essendo prima che un individuo appartenente ad una spacie, sono, come tutti, un individuo, essere accomunato ai miei simili da una formula matematica (estensibile oltre l’enunciato, cioè generalizzabile, altrimenti non sarebbe una formula)… lo posso ritenere utile per tante cose, e sicuramente lo è… ma non al punto di rappresentarmi come, appunto, individuo. O quanto meno – pur riconoscendo che la matematica può avere un suo fascino che non ha niente da invidiare al godimento estetico (v. il platonizzante Odifreddi) – non si può pretendere che tutti sentano questo fascino.
Che poi esistano i grafomani (e mi ci metto io per primo) è assolutamente vero… ma c’è anche la versione, come ditre, ‘parolaia’ della grafomania… e non credo che i matematici ne siano esenti in quanto tali.
Sia detto tutto con simpatia, sia ben chiaro.
A mè è stato insegnato che la realtà si descrive tramite formule matemaiche e basta. Penso questa sia la differenza tra un ingegnere ed un filosofo.
ti hanno insegnato male
Enrico,
ma che c dici?
@ Enrico
Io non capisco come facciano i filosofi a scrivere testi cosi lunghi senza chiedersi ma esiste una forumula matematica che sostiene il mio enunciato?
Qual è quella che sostiene il tuo?
La scinza si esprime con formule es io non dico che sono alto ma che la mia altezza è pari a cm… es la religione è oppio ei popoli allora una formula matematica descriverà che as esmpio % persone depresse= f(indicatori che descrive pratica religiosa)
@ Enrico
Per i duri:
Chiamiamo A l’enunciato di Bruno Gualerzi.
Chiamiamo B l’enunciato di Enrico:
“non capisco come facciano i filosofi a scrivere testi cosi lunghi senza chiedersi ma esiste una forumula matematica che sostiene il mio enunciato?”
L’enunciato B è teso a svilire l’enunciato A, in quanto A non è sorretto da formule matematiche.
Chiedo, secondo il medesimo principio,
l’enunciato B, da quale formula matematica è sorretto?
La classica 1+1+1=3=1?
Io non intedevo svilire ma esprimere le differenze di istruzione avuta. l’enunciato B è una constatazione.
Non capisco il tuo riferimento a formule matematiche.
Per esprimersi di solito le persone usano parole, non formule.
Sulla lunghezza la penso come te. Mi sembra eccessiva.
@ francesco
Sulla lunghezza la penso come te. Mi sembra eccessiva.
scritto alle 17.19 dopo l’intervento delle 13.51 ??????
è l’enrico solito, quello omofobico che scrive come ale cattolico 😉
aspettati nuove perle
Le guerre ideologiche non mi convincono perché non portano cambiamenti reali. In italia ci sono problemi molto concreti che nulla hanno a che fare con le idee.
Che senso ha dibattere sui miti quando in questo paese manca la democrazia e la dignità delle persone viene ogni giorno calpestata?
Attribuire colpe alla religione o a Dio per me non ha nessun senso. Semmai dovremmo rivolgere la nostra attenzione alla chiesa cattolica che è un entità concreta e che da tempo immemorabile esercita potere e violenza.
Se volessimo tentare di contrastare fattivamente i danni che la chiesa cattolica fa’ è inutile filosofare sui miti o prendercela con la religione in generale, che di per sé non ha mai fatto del male a nessuno. In italia un problema reale è stato ed è il potere di un istituzione gerarchica e violenta denominata ‘chiesa cattolica apostolica romana’.
Quindi se ci interessa fare qualcosa, senza accontentarci solo delle chiacchiere, è utile individuare concretamente i modi attraverso cui la chiesa cattolica esercita ancora oggi la sua violenza nella società e cercare di contrastarla su questo terreno.
Si tratta quindi di trovare uno spazio in cui potere agire ricorrendo alle leggi dello stato.
Alcuni giorni fa ho assistito ad una riunione della uaar a roma con l’intenzione di proporre una iniziativa contro la pedofilia esercitata dal clero cattolico. Pur non essendo iscritto alla uaar (non essendo né ateo né agnostico non avrebbe per me senso) ho pensato che forse la uaar potrebbe essere adatta per questo tipo di azione, non essendo presumibilmente per sua natura collusa con ambienti clericali.
Devo dire che il tenore della riunione mi ha lasciato piuttosto perplesso. La questione che più ha infervorato i partecipanti è stata quella dell’allestimento carri del europride, rilevante questione di interesse sociale che ha suscitato un arguta ed intelligente disputa sull’età delle persone che dovevano stare sul carro (alla fine ha vinto la tesi che è meglio metterci i giovani piuttosto che i vecchi).
Nonostante l’impressione non proprio favorevole, ma dato che ormai c’ero, ho tentato comunque di fare la mia proposta in modo sintetico e con scarsissimo successo. Mi è stato detto che la uaar non si occupa di queste cose e che del resto mai potrebbe discriminare una nobile minoranza come quella dei preti pedofili. Sarebbe per la uaar un atto contro natura.
Per non lasciare le cose a metà uso questo spazio per riproporre l’idea in modo che anche chi non era presente alla riunione la possa conoscere.
Che io sappia, a meno di future smentite, in italia non esiste nessuna associazione che si occupa in modo specifico della pedofilia del clero, Questo fenomeno è già stato affrontato in altri paesi (usa, canada, paesi dell’america latina, irlanda, olanda, belgio etc) dove si sono costituite associazioni che hanno finalmente reso visibile sia il fenomeno che la sua vastità. Devo precisare che in tutti i paesi, nessuno escluso, dove si sono formate associazioni di questo tipo la realtà della pedofilia e la sua diffusione sono state accertate e sono state intraprese con successo molte azioni legali.
In italia questo non è stato ancora fatto ed ho pensato che la uaar, disponendo di migliaia di soci aderenti, tra cui presumo ci siano anche molti avvocati, e di una rete di sedi sparse per il paese potrebbe essere lo strumento giusto per questo tipo di azione, se lo volesse.
Gli ingredienti necessari sono gli esperti legali (avvocati), una presenza sufficientemente diffusa sul territorio e la capacità di interagire e coordinarsi soprattutto a livello internazionale con chi già si occupa del problema e soprattutto la voglia di assumersi questo impegno.
Ottimo articolo.
Complimenti Bruno. 😉
Ottimo articolo!
Il tema della “morte di Dio” è sempre stato affascinante. L’espressione “Dio è morto” resa famosa da Nietzsche, non è però di Nietzsche che la prese in prestito da un filosofo meno conosciuto, e a parer mio, non meno interessante: Philipp Mainländer. Appassionato di Schopenauer e Leopardi, Mainländer ritiene che la vita del mondo sia conseguenza della “cadaverizzazione di Dio”, che ha voluto darsi la morte (quindi nessuno ha “ucciso” Dio) perché dall’originaria unità trascendente si potesse passare alla pluralità immanente. Dio vede all’orizzonte il Nulla e vi si precipita. Tutta la creazione non è che un passaggio dall’Essere al Nulla. Lo stesso Mainländer sembrò suggellare questo “destino” con un gesto estremo, suicidandosi poco più che trentaquattrenne.
@bruno, solo per chiarire e senza nessuna intenzione polemica
‘Ma quando si prescinde dalla trascendenza, i cui tempi sono ‘eterni’, cioè al di là di ogni possibile esperienza (il che serve per presentare il riscatto come verificabile sempre solo ‘dopo’) i tempi storici, quelli dell’esperienza reale,…’
Mi limito a qualche considerazione sulla nozione di eternità che richiami nel tuo articolo, perchè ho spesso visto usare in modo improprio questa parola.
Fin da bambino ho sentito evocare questa cosa che negli ambienti di chiesa è detta eternità e che solitamente si presenta in una connotazione vagamente cimiteriale ed angosciosa.
Su questa parola (come del resto anche su altre che sono state nel tempo travisate) ho fatto un piccolo approfondimento per capire se in passato avesse per caso avuto qualche altro significato.
Se facciamo partire la nostra indagine mettendoci in un contesto diverso da quello cristiano che ha lasciato in noi una suggestione troppo negativa per potere procedere con il distacco necessario per fare qualunque ricerca di tipo conoscitivo su questo argomento, l’impresa riesce più facile.
Faccio quindi una breve premessa e prendo come punto di partenza l’induismo perchè in questa cultura il ‘tempo’ è stato oggetto di una indagine millenaria sia di tipo speculativo che soprattutto di tipo pratico (attraverso le esperienze dirette indotte dalle pratiche dello yoga).
Da noi il tempo è inteso solo como cronologia, cioè come successione ordinata e continua di istanti, per i greci invece c’erano 2 tempi, uno cronologico (cronos) ed un altro (kairos) era inteso come tempo propizio per fare certe cose (per es. l’estate era il tempo propizio per la mietitura).
In india ci sono più di 10 parole che indicano altrettanti tempi tutti diversi tra loro e tutti sperimentabili in modo spontaneo oppure spreimentabili attraverso la pratica di specifiche tecniche yoga.
Come credo tu sappia una delle differenze fondamentali tra la cultura induista e quella occidentale è che in india (e nell’antichità anche in occidente) la conoscenza era trasmessa in modo diretto, da maestro a discepolo, senza la mediazione di altri ausilii, come per es i libri. Per cui anche l’atteggiamento nei confronti della conoscenza e del conoscere è diverso dal nostro, in quanto essendo i fatti sperimentabili direttamente non c’è più bisogno di fidarsi ciecamente di ciò che altri ci dicono attraverso gli scritti o peggio attraverso l’imposizione di un autorità. Questo vale soprattutto per la religione, perchè è in questo ambito che la conoscenza è stata tradizionalmente coltivata e trasmessa. La letteratura conoscitiva indiana (i veda e la abbondantissima letteratura di commento che ne integra gli insegnamenti) tratta in vari modi il tema dei tempi e della cosidetta eternità.
Il riferimento più semplice che mi viene in mente, perchè più vicino alla nostra sensibilità di occidentali, è quello contenuto in un testo classico di esposizione dello yoga (lo yogasutra di pantanjali), dove nel 3° capitolo, dedicato allo sviluppo delle abilità yogiche, si parla della struttura discontinua del tempo (gli istanti di tempo tra loro isolati da intervalli in cui il tempo non è definito sono detti ‘ksana’). Adesso non ricordo quale fossse l’abilità yogica associata alla sperimentazione diretta degli ksana, ma comunque gli intervalli tra uno ksana e l’altro sono il luogo dove si annida il non tempo e cioè l’eternità.
Ho voluto prendere la questione un po’ alla larga perchè i nostri riferimenti culturali a volte sono troppo condizionanti per permetterci di pensare con la necessaria libertà da giudizi e pregiudizi. L’esempio che ho portato si potrebbe collegare in modo abbastanza naturale con la nostra concezione fisica della realtà (per il momento preferisco stare alla larga della metafisica che in certi ambienti non gode di buona fama).
Negli ultimi 100 anni la fisica ha visto svilupparsi al suo interno una teoria di discreto successo (la meccanica quantistica) che ammette la natura discontinua di alcune grandezze fisiche fondamentali (per es energia e materia), in contrapposizione alla precedente concezione continua della realtà. Non mi stupirebbe affatto che nuovi sviluppi della meccanica quantistica riescano ad inglobare anche il tempo discontinuo e quantizzato di cui da millenni ci parlano i veda.
Rientrando nel nostro più familiare contesto culturale è possibile anchè lì trovare tracce di una concezione dell’eternità diversa da quella comune. Qui però sono costretto a riferirmi alla letteratura ‘cristiana’, forse per mia ignoranza perchè non conosco altre fonti.
C’è un episodio del vangelo in cui al protagonista vengono chieste spiegazioni sugli ultimi tempi e sui segni che li annuncieranno, al che GC risponde che non esistono eventi particolari e che non è una questione di date perchè gli ipotizzati eventi straordinari che segnano gli ultimi tempi sono già tra noi, ma noi non siamo capaci di vederli, per un nostro difetto di consapevolezza.
La questione è ripresa purtoppo in modo poco organico nella successiva letteratura monastica (sopratutto dal 3° al 7° sec, vedi per es gli scritti di isacco di ninive) ma ha stentato ad assumere una forma chiaramente definita per vari motivi. Primo tra tutti per via della tradizione della trasmissione diretta del sapere che veniva data solo a chi ne era sinceramente interessato, consuetudine sintetizzata dalla massima evangelica di ‘non dare le perle ai porci’. Inoltre c’è anche da ricordare che per vivere tranquilli (e spesso anche per vivere soltanto) e per non finire impallinati nel fuoco incrociato delle fazioni della chiesa in lotta per il potere, bisognava fare attenzione a ciò che si diceva e si scriveva, per cui alcune cose venivano dette solo in modo piuttosto ermetico e di non immediata comprensione.
Per tornare al modo di pensare consueto e ragionando in negativo, l’eternità come è comunemente intesa, non ha nè un significato fisico (almeno finchè la fisica moderna riesca ad inglobare questa nozione) nè un significato logico, secondo cui l’eternità è situata in un tempo infinitamente remoto e per definizione irraggiungibile. Essendo quindi l’eternità confinata nel limbo delle cose metafisiche e metalogiche (e quindi inesistenti) non avrebbe neanche senso parlarne. Come non avrebbe neanche senso parlare la trascendenza, che è la sua inseparabile sorella gemella.
Infine, dato che per me le comuni nozioni di eternità e trascendenza sono come si suol dire solo luoghi comuni, non ho nessun motivo per crederci se prima non le sperimento.
Ciò però non significa che non esistono, nè che sono un parto di immaginazioni depresse o malate.
Siamo fatti per conoscere e per me queste sono frontiere della conoscenza che vale la pena esplorare.
E perchè mai ci sarebbe polemica? Se mai mi accordi conoscenze che decisamente non ho. Ho parlato di tempi eterni dove ‘eterni’ è posto tra virgolette perchè – per come concepisco io queste nozioni – si tratta di un ossimoro, essendo l’eternità la negazione del tempo che implica il divenire, non conciliabile con un’eternità che, se mai – per dirla con Nietzsche – comporta un eterno ritorno quindi qualcosa di cui, essendo noi ‘imprigionati’ nel tempo, non faremo mai esperienza. Sarebb una circolarità del tempo, un tornare sempre su se stesso, che toglierebbe ogni possibilità di sperimentare un ‘prima’ e un ‘dopo’. La freccia del tempo per noi, esseri finiti, non raggiungerà mai alcun bersaglio. A meno appunto di ipotizzare una dimensione trascendente la condizione umana, la sua insuperabile finitezza. Per adesso – come replicavo più sopra ad un inervento che poneva la questione – che si chiami eternità o che si chiami in altro modo – un’esperienza in grado di eliminare, per così dire, il divenire non riesco a immaginarla possibile. E un mondo senza divenire (come si presume sia quello delle religioni cosiddette ‘del libro’), non è un mondo umano.
Sr non, facendo riferimento a certe culture che – come richiami tu – hanno un altro rapporto col tempo. Ciò che non escludo affatto, ma che non ho avuto modo di conoscsre… e ormai, sarà l’età, non snto nemmeno il desiderio di conosscere.
In quanto al ‘valere la pena’ di cimentarsi con queste frontiere della conoscenza non sarò certo io a negarlo… ma ormai la mia speculazione (si fa per dire) è tutta rivolta ai temi esistenziali, in funzione dei quali eternità e trascendenza – per quanto (non posso che darti ragione) luoghi comuni – sono i luoghi che ‘sperimentiamo’… stando così le cose (il mondo di cui abbiamo esperienza) ‘e contrario’. Facciamo l’esperinza, per così dire, della loro impossibilità di essere esperiti. E’ un pò un bisticcio linguistico, e perciò concettuale, ma qui e ora non saprei esprimermi meglio.
Grazie comunque per avermi comunicato queste tue riflessioni.
Ho letto nietzsche ai tempi della scuola. Poi non ci sono più tornato su.
Se l’idea dell’eterno ritorno fosse farina del suo sacco, sarebbe un intuizione ispirata, perchè i veda dicono la stessa cosa anche se in modo più elaborato e fornendo una guida per sperimentare questo importante aspetto della nostra realtà.