Misticismo senza religiosità

Stefano Marullo*

Stefano Marullo

Questa volta vi parlo di un film. Che forse non è solo un film. O non lo è affatto.
Ho cercato di capire perché durante la visione The Tree of Life, alcuni se ne siano andati scuotendo la testa. Chissà cosa si aspettavano. Forse il Brad Pitt di Spy Game o di Troy? Si dice spesso che un buon cast non sia di per sé garanzia di un buon film. Nel caso di The Tree of Life l’abbinamento è invece perfetto. Attori davvero di prima grandezza – basti, a parte  Pitt che è anche produttore e la cui interpretazione è da capogiro, citare Sean Penn, che si era già visto in altri film di Malick o Jessica Chastain – per un film che a chiamarlo capolavoro si rischia di arrotondare per difetto. Ma rimane un’opera difficile, lenta e soprattutto ‘aperta’. Se riuscite a resistere i primi venti minuti resterete fino alla fine. Altrimenti ve ne andrete, come hanno fatto quegli altri. Anche la Palma d’Oro a Cannes è stata controversa. Ovazioni e fischi. Perché le cose eccezionali, per loro natura, sono fatte così. O ti sfiorano o ti pervadono.
Una chiave di lettura per capire  The Tree of Life è senz’altro il suo regista, Terrence Malick, un personaggio davvero originale nella storia del cinema, come pochi altri – mi vengono alla mente Tod Browning o Krzysztof Kieślowski – che in quarant’anni di attività  ha prodotto, con quest’ultima, solo cinque pellicole. Un autore dalle gestazioni difficili, dunque, dove ogni immagine è centellinata e scolpita come in un perfetto mosaico. Poche chiacchiere. Questa è un’opera letteraria. La sintesi di millenni di pensiero filosofico riportato dentro la settima arte. Parlare di trama sembra quasi offensivo. Silenzi assordanti, domande ossessive sussurrate che assomigliano ad aforismi, paesaggi mirabili di natura e di cosmo come paradigmi di altrettanti paesaggi interiori dove apocalissi e rinascite si intersecano, ombre e luci si accavallano, tra orbite ellittiche e solitudini dirompenti. Ansie e paure, stupore e bellezza condensati nel microcosmo di una normale famiglia texana degli anni Cinquanta, in cui si innesta ‘l’albero della vita’. La magia della vita  che scorre ma anche l’irruzione della morte che sconvolge e che costringe il protagonista, Jack, – Sean Penn – ad un percorso di consapevolezza che passa attraverso l’ostica ed ineludibile legge del distacco e dello straniamento. Ecco allora che l’itinerario di Jack diventa una sorta di tracciato mistico, che è quello di ciascuno di noi, dove l’epilogo non è scontato. Come in un mirabile ossimoro, infatti, l’altro grande protagonista ed insieme grande assente è Dio, continuamente evocato, interrogato e maledetto di fronte al peso insostenibile delle grandi domande inevase degli uomini e delle donne di ogni tempo, riassunte nel travaglio del Grande Inquisitore dostojevskiano che considera come le lacrime di un bambino siano più importanti della salvezza dell’umanità, e che ricorrono drammaticamente nelle invocazioni dei protagonisti, quel “dov’eri tu?” che l’Accusato rigira agli accusatori nelle parole del biblico libro di Giobbe, con le quali, non a caso, si apre il film: “Dov’eri tu quand’io ponevo le fondamenta della terra, mentre gioivano in coro le stelle del mattino e plaudivano tutti i figli di Dio?” (Gb 38,4.7).
The Tree of Life, senza dare risposte, evoca la consapevolezza di un destino e di un percorso che è comune e dove forse l’unica verità che permette di dare significato all’esistenza è l’amore e la solidarietà tra gli individui. Per il tempo che resta. E’ troppo pensare che anche questa sia laicità?

* Laureato in Storia, ha compiuto studi di teologia e filosofia. Redattore della rivista “Non Credo”, è socio attivo del Circolo UAAR di Padova.

NB: le opinioni espresse in questa sezione non riflettono necessariamente le posizioni dell’associazione.
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20 commenti

G.B.

A parte che personalmente sono sordo ad ogni forma di misticismo, con o senza religiosità, il film mi è sembrato di una noia mortale e sono rimasto in sala solamente per non lasciare mia moglie, che, anche se tutt’altro che entusiasta, ha voluto proseguire nella visione giusto perchè ormai avevamo pagato il biglietto.

Rudy

Il film l’ho visto tutto (e certamente non me ne sono andato). Tecnicamente sontuoso ma ripeto una mia impressione: mi è parso l’espressione di un’estetica islamico-statunitense, ovvero di una visione della creazione e dell’immanenza che incorniciano l’uomo, avulso, nella loro magnificenza.
La colonna sonora, con brani di per sé meravigliosi, ha creato un abbinamento col film di una banalità, questa sì, sconcertante.
Le scene finali di onirico-bit con questa umanità da villaggio dei dannati paradisiaco mi hanno evocato, forse per un mio squallidissimo cinismo :), le pubblicità dei tour operator.
Che sia un film eccezionale non penso, che sia infinitamente meglio di “Vacanze di natale” certamente.

gabriella

il film non l’ho visto e credo che non andrò a vederlo. Quando voglio una pizza, vado in pizzeria. Sicuramente, come ha detto qualcuno, sarà meglio di vacanze di Natale (altro genere che non guardo. Un bel fil, comunque, è tutta un’altra cosa. Non mi interessa il misticismo e sono atea. Quindi, proprio tagliata fuori da films del genere.

dario colombera

Non c’è tempo da perdere per trasformare Pan in homo.
Le più efficienti discipline interiori, vedi tantra yoga, bioyoga, meditazione Vipassana, ecc., sono tutte laiche e atee .

Maurizio

Non ho ancora visto il film, ma conoscendo piuttosto bene Malick, posso ritenere perlomeno verosimile questa recensione … Mi piace in particolar modo l’idea che forse non è solo un film o addirittura non lo è affatto: è un concetto che si può applicare anche ad altri lavori di Malick, e forse è proprio questa la chiave per capire come mai lo spettatore “sprovveduto” ne possa uscire spiazzato.

michele

sinceramente credevo di non avere visto opera più laica di questa.
dal big bang alla fine della terra, passando per l’infinitamente piccolo e per le fasi dell’evoluzione.
il quadro generale entro il quale prendere coscienza di sé, della realtà che ci circonda e della vita.
esiste l’opposto di mistico?
perché nel film si vedono solo realtà e materia, le dimensioni entro le quali l’uomo può cercare significato e senso della sua esistenza.
propongo una tessere onoraria dell’associazione al vecchio terrence!

silviab

Da atea, e da appassionata di cinema, dico: meglio un film dichiaratamente e chiaramente religioso, pittosto che il delirio onirico di The Tree of Life. Almeno si sa con cosa ci si sta confrontando. L’autocompiacimento estetizzante dell’autore è noioso ed irritante. Lo spettatore deve subire per oltre due ore senza che gli vengano forniti gli elementi minimi per raccontarsi da sé una storia che vuol restare misteriosa, volutamente in secondo piano rispetto a un insulso intellettualismo del tipo: “se non capisci e non ammiri estasiato, è perché sei limitato”. Non sono uscita dalla sala proprio per riservarmi il diritto di replica che spetta solo a chi abbia visionato l’opera completa. Ma ho sparso la voce presso tutti quanti conosco affinché evitino di specare così 138 minuti della loro (vera) vita.

Sergio

Il trailer del film effettivamente mi delude e non m’invoglia per nulla ad andare a vedere il film. Ci avevo fatto un pensierino dopo che Moretti aveva detto che tra il suo Habemus papam e L’albero della vita non c’è stata partita, riconoscendo che il film meritava l’Oscar. Dopo quello che ho letto qui e ho intravisto rinuncio volentieri, farò a meno di papi in crisi e di alberi della vita (già il titolo è un po’ pretenzioso).

Federico Tonizzo

Non ho visto il film, ma mi colpisce una parte della recensione di Stefano Marullo:

“Come in un mirabile ossimoro, infatti, l’altro grande protagonista ed insieme grande assente è Dio, continuamente evocato, interrogato e maledetto di fronte al peso insostenibile delle grandi domande inevase degli uomini e delle donne di ogni tempo, riassunte nel travaglio del Grande Inquisitore dostojevskiano che considera come le lacrime di un bambino siano più importanti della salvezza dell’umanità, e che ricorrono drammaticamente nelle invocazioni dei protagonisti, quel “dov’eri tu?””.

Ecco, mi ricorda un frammento della stupendamente provocatoria canzone “Il testamento di Tito”, in cui Fabrizio de Andrè commenta a modo suo i “comandamenti”:

“(…)
“Non nominare il nome di Dio,
non nominarlo invano.”
Con un coltello piantato nel fianco
gridai la mia pena e il suo nome:
ma forse era stanco, forse troppo occupato,
e non ascoltò il mio dolore.
Ma forse era stanco, forse troppo lontano,
davvero lo nominai invano.
(…)”

marcigno

Leopardi, ne “La ginestra”, ha detto le stesse cose… senza alcun misticismo e citazioni bibliche!

il parroco di Funo

” … Grande Inquisitore dostojevskiano che considera come le lacrime di un bambino siano più importanti della salvezza dell’umanità”

?

(non era delle stelle o di tutte le opere d’arte
o qualcosa del genere?)

stefano marullo

Parroco fai confusione con i Demoni dello stesso autore

stefano marullo

Avete continuato a commentare un film non riuscendo ad andare aldilà del film come mezzo espressivo. Agli atei “duri e puri” auguro di non morire di cerebralismo. Qualche volta le Pagine Gialle possono essere più utili dell’Infinito di Leopardi (che qualcuno ha evocato), ma preferisco ancora che sia stato scritto L’Infinito e rinuncerei volentieri alle Pagine Gialle per questo. Non vorrei mai che i miei criteri estetici, che si muovono sul terreno della soggettività, diventassero imperativi etici. Molto più spesso, al contrario, si immagina di potere ammantare gli imperativi etici con una “veste” estetica quasi consequenziale. Il filosofo Adorno, molto attento al rapporto tra arte e società, sosteneva che i cambiamenti epocali sono spesso nati da opere oziose e disinteressate che hanno inciso sulla sensibilità degli uomini molto più di opere apertamente di denuncia e rivoluzionarie, almeno negli intenti. Ma è un discorso che ci porterebbe troppo lontano. Avere divelto dio dall’orizzonte dell’esistenza non autorizza nessuno a dichiarare la morte del discorso poetico; utilizzo il termine misticismo, che a più di qualcuno di voi ha fatto venire l’orticaria, in questo lato senso. A meno di non considerare un dipinto di Fontana un’opera mal riuscita, la musica degli Einsturzende Neubauten un fastidioso rumore di fondo, il “M’illumino d’immenso” una proposizione interrotta, o per restare nell’ambito cinematografico definire Freaks un film horror, Salò un film pornografico, 2001 Odissea nello Spazio una raccolta di sinfonie. Un tramonto non sazia un buco nello stomaco rispetto ad una pizza ma forse riesce ancora a riempire il cuore dell’uomo. Se vi piace, chiamatelo misticismo non religioso

michele

stefano, sono completamente d’accordo sulla poetica, ma mi ostino a pensare (ed ovviamente non pretendo che la mia interpretazione sia quella vera…) che possa esistere ormai una “poetica della scienza”, e che questo film gli appartenga.
è ugualmente bello un tramonto, e forse più godibile, se lo pensi integrato ai successivi cinque miliardi che il sole e la terra interpreteranno prima dell’esaurimento della loro esistenza, o se pensi che lo stesso tramonto l’hanno vissuto (senza capirlo in quanto fenomeno naturale, e quindi allora sì dandogli significati mistici) i primi australopitechi del nostro cespuglio evolutivo, o i grandi rettili di 65 milioni di anni fa.
tra cinque miliardi di anni la terra sarà inghiottita dal calore del sole, poi l’evoluzione della nostra stella porterà ad un esplosione gigantesca e i nostri atomi, quelli di tutti i viventi del nostro pianeta accumulatisi in miliardi di anni, andranno forse a formare nuove biosfere nello spazio interstellare.
non ricorda la scena finale del film?
eppure invece è una suggestione pienamente scientifica (che ho sottratto a stephen jay gould, o a telmo pievani – non mi ricordo e non ho modo di controllare adesso).
in texas negli anni ’50/60, non c’erano quasi alternative a dio e al misticismo, e ad essi si riferiva la madre per interpretare la propria esistenza.
ma il figlio ha la possibilità di un inquadramento naturalistico e materiale più consapevole e più vero, e non meno poetico, di una poesia che abbraccia tutti e non lascia escluso nessuno, e come dice gould (sono sicuro che sia lui, qui!) ci dovrebbe dare modo di esprimere una sensibilità verso il mondo e una solidarietà verso i nostri simili mai sperimentata in passato.

forzalube

Francamente mi sorprende che possa essere presentato come opera laica (o priva di religiosità). Posto qui un mio commento che ho scritto altrove:

“[…]E’ un’opera anticonvenzionale e personalissima in cui il regista traspone cinematograficamente (ed in maniera superlativa dal punto di vista visivo) il suo pensiero filosofico gnostico.

Il punto è che la mia visione del mondo rientra più nel filone ateo-materialista (senza scendere troppo nei dettagli delle varie correnti anche perché non sono un esperto del settore) per cui lo gnosticismo spiritualista del regista mi suona grosso modo come “aria fritta” per cui alla fin fine per quanto suggestiva possa essere questa fusione tra immagini e musica sapientemente montate, il risultato finale non mi coinvolge.

Oltretutto quando vado al cinema mi piace anche che mi si racconti una storia e film in cui la trama è così esile od evanescente (mi vien da pensare anche ad Inland Empire) ai miei occhi perdono punti in partenza.

Sintetizzando diciamo che riconosco l’alto valore estetico/artistico/tecnico del film, ma sono in netta opposizione al suo contenuto filosofico[…]”

Habemus Papam invece lo consiglio decisamente.

statolaico

la penso come te forzalube, nel senso che anch’io da ateo convinto preferisco altri generi, magari di denuncia ma comunque più concreti nel tema anche perchè del mio ateismo ne sono pienamente consapevole, insomma non devo andare a vedere la messa come il credente deve fare per sentirmi fortificato, lo sono punto e basta è una condizione irreversibile. Ho raggiunto un ateismo pieno e consapevole, questo genere di pellicole (ne ho viste tante, in passato), ora tende a fracassarmi le balle, un po’ come la pippa mentale pratica da me tanto amata in passato ma che ora mostra anch’essa il segno. Saluti.

Federico Tonizzo

Mi piace troppo, questa frase:

(…) l’altro grande protagonista ed insieme grande assente è Dio, continuamente evocato, interrogato e maledetto di fronte al peso insostenibile delle grandi domande inevase degli uomini e delle donne di ogni tempo (…)

Riassume tantissimo.

La sensazione dell’ASSENZA DI DIO. Il credente lo chiama e lui non risponde. MAI!!!

Il senso di vuoto, di fronte alla realtà della sensazione di un universo a lui indifferente, travolge e stordisce il “credente” e lo fa per un momento tremare. Poi costui trova qualche scusa per crederci ancora, in “Dio”, perchè non è capace di provare il piacere di sentirsi felice senza qualcuno che lo guarda dall’alto, e in fondo anche perchè c’è abituato, a credere. Ma magari comincia a chiedersi “Perchè non mi parla?”. E allora il credente si inventa che “Dio” gli parla in qualche modo, e così arriva ai confini con la follia: un passo ed attraversa la porta, entra nel delirio: “Dio mi parla con la natura, con le cose che mi dà e con le sofferenze che mi infligge”.
Quando invece è proprio profondamente deluso, bestemmia. E a quel punto c’è un trivio:

“Non ci posso più credere! Non mi frega più nessuno più con questi discorsi!”
oppure
“Dio è un essere malvagio che merita tutto il mio disprezzo per la vita che mi fa fare, per il male che lascia nel mondo e perchè quando lo chiamo non risponde.”
oppure
“Dio, perdonami se non vedo subito la tua presenza e il tuo amore per me nei dolori che mi infliggi!”

L’essere educati “cristianamente” crea solo ostacoli alla maturazione dell’individuo. Condiziona l’impostazione di moltitudini di intere vite.
Comprese le nostre, di vite: le vite di noi atei. Le condiziona in negativo, ovviamente. Perchè, se tutti noi siamo ancora qui a parlarne, è perchè siamo ancora risentiti verso la violenza di una folle bugia che ci hanno raccontato i genitori, i preti e le suore quando eravamo piccoli, e perchè da grandi abbiamo compreso che c’è un’entità soltanto terrena che ha la faccia tosta, dopo aver raccontato la bugia, di proclamarsi pure rappresentante di Dio in terra con le sue parole, mentre rastrella quanti più soldi e privilegi può con le sue mani ladre: il danno e la beffa! Come non sentirsi inferociti?

“The Tree of Life, senza dare risposte, evoca la consapevolezza di un destino e di un percorso che è comune e dove forse l’unica verità che permette di dare significato all’esistenza è l’amore e la solidarietà tra gli individui. Per il tempo che resta. E’ troppo pensare che anche questa sia laicità?”
No, non è troppo, anzi! Questa E’ LAICITA’. Questa E’ UMANITA’.

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