Dal 17 giugno, i francesi possono aprire un conto corrente che rispetta i principi della finanza islamica. Né dà notizia con un articolo Le Monde des religions che riferisce di un tentativo inedito, sebbene tardivo, della Chaabi Bank, una filiale della Banca Popolare del Marocco, operante in Francia. In effetti, già nel 2008, l’allora ministro delle finanze Christine Lagarde aveva espresso il proprio sostegno a favore di questo tipo di finanza, a suo dire “più trasparente”, con lo scopo evidente d’attrarre investimenti nella Francia in piena crisi economica. Di fatto l’Islam vieta l’interesse (ribâ) e la speculazione in campo finanziario, sia privato che commerciale. L’economista Elyes Jouini, intervistato da Le Monde, afferma in proposito: “Come regola di base, la finanza islamica avrebbe, in effetti, permesso d’evitare la crisi dato che questa era legata ai cosiddetti subprime. In effetti, l’esigenza di tracciabilità perfetta del percorso dei soldi inerente a questo tipo di finanza rende impossibile la moltiplicazione dei prestiti ipotecari a rischio. Al termine delle operazioni, si finisce per non sapere più chi ha preso rischi. Oggi, la sola etica di questo sistema è sufficiente a renderlo auspicabile, poiché oltre la tracciabilità, la partecipazione alle perdite ed al profitto sugli investimenti, limita i derivati. Nessun interesse può essere versato su un deposito di soldi. E’ soltanto sui benefici ottenuti dal progetto del debitore che la banca potrà percepire una percentuale stabilita in anticipo. In caso di fallimento dell’impresa, chi presta perde tanto quanto il suo cliente. Niente usura quindi nella finanza islamica.”
Non mancano però le critiche all’introduzione di questo sistema, che fondamentalmente ha sempre lo scopo d’attirare in Francia liquidità provenienti dal Maghreb e dai paesi arabi in genere, mediante una presenza sul territorio di strutture conformi alle leggi della finanza islamica. Molti paventano, infatti, che all’introduzione di questo sistema segua quella della legge islamica (shari’ah) nel codice civile francese, ma Jouini giudica questo fatto assolutamente” insensato”.
“Certo, afferma l’economista, l’ispirazione religiosa è reale. Nata nel VII secolo, agli albori dell’Islam, questa finanza è fondata sui precetti coranici. Oggi è presente in Egitto, nei paesi del Golfo in Malesia, ed è utilizzata per la sua efficacia e non per il suo fondo religioso. Né il venditore, né l’acquirente devono necessariamente essere musulmani; quindi l’utilizzo della finanza islamica può essere separato da qualsiasi spiritualità.”
Altra critica mossa a questo sistema è l’assenza di omogeneità e di regole univoche. Per essere definito islamico un prodotto deve essere etichettato e non sempre chi è autorizzato a farlo risponde agli stessi criteri. Per ora l’introduzione della finanza islamica resta un tentativo isolato della sola Chaabi bank e interessa soltanto una parte dei cittadini francesi di religione musulmana. Non è detto, però, che in futuro le altre banche non si adeguino.
Franco Virzo
se ho capito bene con la finanza islamica la banca diventa socio della società che finanzia e ne condivide le sorti. ma ne condivide anche il potere decisionale? questo comporterebbe una riduzione della libertà e della concorrenza…
e in effetti quello che sembra un fatto etico straordinario non è altro che un ennesimo cappio al collo per chi chiede un prestito, ma ai francesi interessano più che altro i soldi dei magrebini… allora che ben venga un finanza che attiri i loro investimenti …Le vie del signore sono infinite, no?
Mmmmm…
Da quello che leggo qui sopra la “finanza islamica” farà venire un colpo apoplettico a quelli dello IOR….
Dubito molto che sistemi impersonali e di massa come gli strumenti bancari possano fare a meno dell’interesse e di un nuovo tipo di valutazione degli investimenti che snaturerebbero le garanzie che oggi hanno i risparmiatori e nonostante queste ancora gabbati. Per il resto come i subprime se si avesse avuto una normativa trasparente ed efficaci controlli sulle banche e non il lasciar fare inmperante dalla fine degki anni novanta forse non ci sarebbe stata una crisi come quellal
Coerentemente con la fama in fatto di affari e di numeri che si porta dietro il mondo arabo, sembrerebbe un’iniziativa interessante ed attraente. Peccato che quando si parla di banche, soprattutto di quelle occidentali, ci sia ben poco da fidarsi. 😯
La FAMA in fatto di NUMERI e’ rubata agli indiani ( e neanche per complotto arabo, ma grazie alla ignoranza ed incuria europea, ultimamente anche leccaculismo).
Pare che gli arabi stessi chiamino i numeri posizionali a base decimale numeri indiani (o che almeno anche loro, come tutte le persone informate al mondo riconoscano che tali numeri e l’invenzione dello zero siano stati importati dall’India). Notevoli sviluppi dell’algebra e gli algoritmi (dal nome del Persiano del nord Al Qurazeimi) poi sono persiani, non arabi.
La FAMA in fatto di FINANZA poi e’ data dalle ricchezze fossili in idrocarburi, e da una gestione eccellente nel solo caso del Kuweit. Per il resto gestioni segretissime (il che non permette giudizi approfonditi, ma semmai sospetti di qualche fiasco in piu’ rispetto a quelli conosciuti) e/o per quello che si sa, gestioni molto meno buone di quella kuweitiana.
Prova ad andare a contrattare il prezzo di un’articolo in vendita in una bottega Egiziana, al mercato coperto di Istambul, o in Marocco, poi ne riparliamo. 😆
Un caro saluto Marcus! 😉
L’anno scorso ho letto “Economia canaglia – il lato oscuro del nuovo ordine mondiale” di Loretta Napoleoni, giornalista esperta di economia, spionaggio e altro. In quarta di copertina c’è il commento di Corrrado Augias, che dice “Ora sappiamo che le cose stanno molto peggio di quanto credevamo!”.
Di fronte ai colossali disastri provocati dai crimini dell’economia e della finanza “liberiste” e anche di quelle “clandestine” mondiali, la Napoleoni dice che la finanza islamica, con il suo metodo per i crediti e i prestiti, è affidabile e la sua diffusione nel mondo è auspicabile.