“Fu vera gloria”?

Bruno Gualerzi*

Bruno Gualerzi

“Fu vera gloria? – Non mi importa che lo sia stata o meno, e, da ‘postero’ (“ai posteri l’ardua sentenza”), non azzardo nessuna sentenza, né pro né contro… e vorrei invece proporre una riflessione sul modo di ‘vivere’ nel presente la storia con riferimento a certe figure di cui comunemente si dice che ”hanno fatto la storia”. Non tanto per verificare se effettivamente le loro imprese e le conseguenze che ne sono derivate, hanno cambiato il corso degli eventi umani (questo è compito degli storici e io al massimo mi considero un lettore di storia), quanto per vedere come queste imprese e le loro conseguenze potrebbero essere ‘utilizzate’ per l’oggi, che insegnamento se ne potrebbe trarre ‘col senno di poi’. Senza però, ripeto, emettere giudizi di alcun genere su queste figure e sul loro ‘tempo’. Una riflessione, infine, che, o trova (forse) una possibilità di ascolto presso il ‘popolo’ ateo, o ben difficilmente la troverà altrove.
Faccio riferimento ad un’esperienza esemplarmente esplicativa di quanto intendo sostenere… e che anzi me ne ha dato lo spunto. Seguivo in tv una documentario storico dove si provava a ricostruire una battaglia tra le più celebri (credo Austerlitz) vinta da Napoleone. Tutto (o quasi) consisteva nel ricostruire gli eventi in un’ottica ben precisa, commentando cioè l’accaduto avendo come chiave interpretativa l’arte militare. E, da qui, continue espressioni di ammirato stupore di fronte alle manovre geniali del geniale Bonaparte. E ad un certo punto, entrando nel merito di una di queste manovre (quella poi decisiva ai fini della vittoria) si riferiva della ‘sorpresa’ inflitta agli avversari da Napoleone imponendo ai propri soldati una marcia a tappe forzate ritenuta ‘impossibile’ dal nemico (da qui la sorpresa) che costò una vera decimazione delle truppe francesi ma che rese possibile una clamorosa vittoria. Anche perchè – si ritennero in obbligo di riportare gli autori del documentario – alla fine furono molto più numerose le vittime dei nemici che non quelle dell’esercito napoleonico, lasciando intendere che era valsa sicuramente la pena di quel sacrificio imposto alle proprie truppe di fronte al risultato ottenuto. E non c’è dubbio che – se si vede tutto nel contesto dell’arte militare – ciò sia assolutamente vero, come è vero che quella manovra alla fine, oltre che rendere possibile riportare la vittoria, costò molte meno vittime tra i francesi di quante ci sarebbero state se Napoleone non avesse avuto quel ‘colpo di genio’. Insomma, non c’era che da restare ammirati sotto tutti gli aspetti, non solo dal punto di vista militare, ma anche dal punto di vista, per così dire, ‘umanitario’ (risparmio di vittime). E queste ‘letture’ di queste imprese con relativi analoghi commenti sono state riservate naturalmente alle tante altre battaglie, o, per estensione, guerre, condotte e vinte dai vari Alessandro Magno, Giulio Cesare, Gengis Khan, su su fino ai più recenti eventi bellici, dove, anche se è stato un po’ più problematico stabilirlo, mosse geniali di vari generali hanno determinato grandi vittorie… o dove comunque si parla di mosse militarmente geniali anche da parte di chi poi ha perso la guerra (Rommel, per esempio).
Ora, non si tratta, almeno qui, di riproporre una condanna radicale di tutte le guerre dove, se si prendono come elemento di giudizio le vittime intese non come entità astratta, come numeri da contrapporre ad altri numeri, ma come singoli individui, non ci sono – per quanto mi riguarda – né vincitori né vinti… ma vorrei partire proprio da questa considerazione per farne un’altra come suo sviluppo.
Perchè – e mi appello soprattutto alla sensibilità atea che considera (dovrebbe considerare) la vita del singolo individuo l’unica di cui ognuno dispone – nel riferire di questi eventi si finisce pur sempre per porre in secondo piano l’elemento vittime per inserirlo in un contesto che, in un modo o nell’altro, ne legittima la necessità di fronte a certi obiettivi da raggiungere per i quali ‘è valsa la pena’ combattere e morire? Uccidere e/o essere uccisi? Davvero – col senno di poi – certi obiettivi poi raggiunti hanno meritato tanto? Non metto in discussione il fatto che, se non per tutte, per tante di queste vittime ‘abbia valso la pena’ combattere e morire per uno scopo, quale che sia (ci sono lettere di soldati francesi – per restare alle guerre napoleoniche – dove si afferma esplicitamente che sono “orgogliosi di morire per il loro Imperatore”, e, va da sé, ci sono poi ben altri scopi ben più necessari e urgenti che possono ‘legittimare’ una guerra)… quanto il fatto che possa esserci ancora oggi chi esalta, come dato da porre in assoluto primo piano, la ‘genialità’ di una mossa strategica per un verso e la necessità delle vittime per altro verso. E di rilevare il ‘debito’ che tutti abbiamo contratto con loro… così da ritenere ancora e sempre auspicabile che, all’occorrenza, ci possano essere altri geni militari e altri eroici combattenti nei confronti dei quali sia poi possibile… saldare il debito! E così via, di sacrificio in sacrificio e di gloria in gloria, per il passato, per il presente… e soprattutto per il futuro…
Io dico – col senno dei poi – che non si può più accettare questo omaggio, ritenuto doveroso, ‘al genio e al sacrificio’ in tali circostanze, e che si debba invece sempre porre in primo piano il sacrificio – imposto o scelto che sia – di vite che, nessuna vittoria e nessuna ‘svolta storica’ potrà mai restituire. Se non in qualche ‘aldilà’, in senso propriamente religioso o per il bene di un umanità – intanto tutto da verificare come tale, e sicuramente non verificabile da chi non ci sarà più. E questo anche, e in un certo senso soprattutto, per battaglie e guerre da ritenere – o che comunque tali sono ritenute – ‘giuste’ perchè inevitabili.
Non si tratta solo insomma, per concludere, di ribadire la nota, e assolutamente condivisibile, massima brechtiana (“Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi”), ma di lasciar perdere, finalmente, di ‘commuoversi’ più di tanto per certe ‘gloriose imprese’ e per i loro ‘gloriosi protagonisti’. Non negarle. Semplicemente non esaltarle, essendoci ben altro cui dare rilievo. Chissà che non serva anche questo (assieme a tanto altro, lo so bene) per scongiurare possibili guerre future.

* Insegnante – occasionalmente di storia e filosofia nei licei – ora in pensione

NB: le opinioni espresse in questa sezione non riflettono necessariamente le posizioni dell’associazione.
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32 commenti

Sergio

Ho letto nel libro di uno storico che i Romani – nella loro lunghissima storia – non fecero guerre soltanto nel 236 a. C. Campagne militari permanenti per circa un millennio! E a quale scopo? Principalmente per arricchirsi. I famosi Cesare, Augusto, Antonio ecc. ecc. erano infatti ricchissimi, dei veri Paperoni, grazie ai bottini di guerra (Cesare e Augusto si ricordavano però della plebe romana nei loro testamenti lasciandole qualche sesterzio …).
Questo aspetto – volontà di potenza dei Romani e sfruttamento dei popoli sconfitti – non è preso in considerazione da nessuno dei grandi storici. In fondo hanno portato ovunque la civiltà romana e ancor oggi ammiriamo l’acquedotto di Segovia, il Pont du Gard, la Porta Nigra di Treviri, senza dimenticare il Colosseo.
L’impero di Roma suscita ancora ammirazione. Eppure Cesare, per sua propria ammissione, era un ladro.
Secondo Virgilio il popolo romano era chiamato a “parcere victis, debellare superbos”. E anche a far man bassa di tutto. Come gli Americani oggi, degni emuli dei grandi Romani.

Florenskij

@ Sergio. Qualcuno che ha criticato i Romani per questo aspetto negativo c’è: Simone Weil, grande pensatrice francese morta nel 1943, prima pacifista assoluta e comunista, poi tendente al misticismo religioso. Volontaria in Spagna, rimase inorridita dalle stragi della guerra civile; successivamente si convinse che la guerra contro Hitler era indispensabile. Voleva perfino farsi paracadutare nella Francia occupata.
Pur essendo ebrea criticava duramente la violenza e l’esclusivismo degli Ebrei dell’Antico Testamento e i Romani, che considerava grandissimi ipocriti, perchè da un lato esercitavano una violenza estrema, dall’altra si vantavano della “virtus” e della “fides” tradizionali del loro popolo.

In aggiunta: pensa che grandi storici come Machiavelli non fosse consapevole della violenza del potere? Su di lui Foscolo: “… quel grande / che temprando lo scettro ai regnatori / gli allor ne sfronda, ed alle genti svela / di che lacrima grondi, e di che sangue…”

Chi ha detto che il desiderio di ricchezza sia la molla principale, o almeno l’unica dei grandi capi militari? Non potrebbero essere l’ambizione e il protagonismo, che creano tensione adrenalinica nella personalità? Questo per l’allettante prospettiva di imprimere una svolta decisiva alla storia mondiale, nel senso della violenza come “levatrice della storia” e acceleratrice della svolta predestinata? Così la pensava sicuramente Lenin. Mussolini ( ex socialista e contrario alla guerra libica ): “L’ora SEGNATA DAL DESTINO batte nel cielo della nostra patria.”

Non potrebbe essere che a questi grandi ladri all’ingrosso le ricchezze servissero per pagare e “fidelizzare” con premi allettanti le loro truppe, indispensabili per la realizzazione dei loro grandiosi progetti? Pensa che Hitler s Stalin nel loro privato vivessero da satrapi?
In più c’è da dire che i grandi capi sanno che in caso di sconfitta devono attendersi rovina e morte in una specie di terribile roulette. Non è il caso di dire che si tratta di personalità dai nervi d’acciaio ( e dalla coscienza di cuoio ), il che non è da tutti?

Florenskij

@ Sergio. Qualcuno che ha criticato i Romani per questo aspetto negativo c’è: Simone Weil, grande pensatrice francese morta nel 1943, prima pacifista assoluta e comunista, poi tendente al misticismo religioso. Volontaria in Spagna, rimase inorridita dalle stragi della guerra civile; successivamente si convinse che la guerra contro Hitler era indispensabile. Voleva perfino farsi paracadutare nella Francia occupata.
Pur essendo ebrea criticava duramente la violenza e l’esclusivismo degli Ebrei dell’Antico Testamento e i Romani, che considerava grandissimi ipocriti, perchè da un lato esercitavano una violenza estrema, dall’altra si vantavano della “virtus” e della “fides” tradizionali del loro popolo.

In aggiunta: pensa che grandi storici come Machiavelli non fosse consapevole della violenza del potere? Su di lui Foscolo: “… quel grande / che temprando lo scettro ai regnatori / gli allor ne sfronda, ed alle genti svela / di che lacrima grondi, e di che sangue…”

Chi ha detto che il desiderio di ricchezza sia la molla principale, o almeno l’unica dei grandi capi militari? Non potrebbero essere l’ambizione e il protagonismo, che creano tensione adrenalinica nella personalità? Questo per l’allettante prospettiva di imprimere una svolta decisiva alla storia mondiale, nel senso della violenza come “levatrice della storia” e acceleratrice della svolta predestinata? Così la pensava sicuramente Lenin. Mussolini ( ex socialista e contrario alla guerra libica ): “L’ora SEGNATA DAL DESTINO batte nel cielo della nostra patria.”

Non potrebbe essere che a questi grandi ladri all’ingrosso le ricchezze servissero per pagare e “fidelizzare” con premi allettanti le loro truppe, indispensabili per la realizzazione dei loro grandiosi progetti? Pensa che Hitler s Stalin nel loro privato vivessero da satrapi?
In più c’è da dire che i grandi capi sanno che in caso di sconfitta devono attendersi rovina e morte in una specie di terribile roulette. Non è il caso di dire che si tratta di personalità dai nervi d’acciaio ( e dalla coscienza di cuoio ), il che non è da tutti?

il parroco di Funo

Come bottegaio di una ditta che mette al primo posto i piccoli, i poveri, gli umili e gli ultimi,
non posso non essere assolutamente d’accordo.

(anche perché mi comporto così già ab immemorabili)

Kaworu

ah quindi finalmente hai lasciato la tonaca e hai aperto un’attività?

Florenskij

@ Kaworu. Lo sa che al giorno d’oggi, molto più che in passato, i preti, essendo pochi, non hanno nemmeno il tempo per respirare?
Per lei esite solo il lavoro manuale come zappare la terra? Impiegati e insegnanti non lavorano?
Ho equivocato? Il “gusto” o il “retrogusto” del suo intervento per me andava in questa direzione.

Kaworu

non mi risulta affatto che siano così impegnati, almeno guardandomi in giro. tra l’altro non ho parlato di zappare, quello sembri averlo dedotto tu (per qualche strano motivo che io ignoro).

comunque, ti rilinko il forum, evidentemente te lo sei perso: http://forum.uaar.it/

bruno gualerzi

Caro parroco, lo so bene che nel vangelo si parla di ‘ultimi’… i quali però saranno i ‘primi’ nell’altra vita. Qui invece si parte proprio dalla considerazione che di vite ce n’è una sola, che del dopo non se ne sa niente, quindi è qui, in questa vita che si può realizzare veramente la propria umanità. Per cui, prima di sacrificarla per obiettivi che devono essre ben forti perchè meritino questo sacrificio… sarà il caso di pensarci due volte. E’ chi crede nell’esistenza di una vita dopo la morte che può ritenere meno importante salvaguardare questa.
In ogni caso – a parte che non posso che apprezzare le tue convinzioni – la tua ‘ditta’, al di là delle belle parole, non si è spesa un gran che lungo tutta la sua storia per essere coerente coi suoi stessi principi.

Florenskij

@ Kaworu. Grazie per i dati del forum. I preti che conosco o di cui ho sentito parlare intorno sono non impegnati, ma STRAimpegnati. Molti professori di Teologia in seminario devono perfino dividere il loro tempo con l’attività di parroco. Il che diminuisce le possibilità di studiare e aggiornarsi.

Kaworu

tu pensa che esistono persone che invece si devono dividere tra due o tre lavori e la famiglia, e campano sicuramente peggio di un prete…

quindi?

dobbiamo battergli le mani?

Diocleziano

parroco,
con tutti i soldi che incassate i poveri, gli umili e gli ultimi dovrebbero essere scomparsi da tempo immemorabile…

Barbara

Beh, se bisogna essere a tutti i costi pacifisti, occorrerà pur dire che la CCAR non ha mancato di benedire l’ultima delle guerre in Libia. Oppure contro l’amico di ieri e il tiranno di oggi non c’è pacifismo che tenga?

Florenskij

@Barbara. Scusi, vorrei sapere quando e in che modo la CCAR ha benedetto l’ultima guerra in Libia, voluta principalmente dal laico Sarkozy ( a meno che non si tratti di un qualche “lasciar correre” del 1911-12, in cui era coinvolto il Banco di Roma, credo vaticanesco ). La CCAR non ha benedetto i macelli della Prima Guerra Mondiale ( Benedetto XV la definì “l’inutile strage, mentre i superinterventisti darwinisti imperialisti come Papini derisero il “pecorismo nazareno” ) nè quelli della Seconda. Anzi qualcuno ha sostenuto che papa Pacelli ( che era – per me giustamente – un estimatore del popolo tedesco e della sua cultura, ma non certo di Hitler, definito privatamente “Attila motorizzato” ) non pubblicò l’enciclica antinazista ancora più dura della “Mit brennender Sorge” preparata dal predecessore Pio XI ( addirittura fece distruggere per sicurezza i piombi di stampa già pronti ) perchè voleva apparire equidistante allo scopo di fare da paciere (“Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra” ). Giovanni Paolo II, di fronte alle tremende stragi in Yugoslavia, chiese un intervento delle potenze, poi disse: “Veramente io… chissà… ” Fu definito “ondivago”, e qualcuno accusò anche il Vaticano di avere acceso la miccia riconoscendo molto presto la secessione della Croazia.

Per me i giochi politico-religiosi sono molto più complicati di quello che lei ha detto con una notevole dose di manicheismo all’acido muriatico.
Potremmo ricordarci che L’URSS di Stalin, futuro autodichiarantesi paese alla testa dei popoli “amanti della pace” ( quando non aveva ancora la bomba atomica ) con tanto di colomba di Picasso, nel 1940 aveva attaccato la Finlandia da perfetta potenza imperialistica.
Questo senza voler dire che gli Uarrini sono comunisti.

Barbara

Ehi, devo aver colto nel vivo data l’acidità della risposta. Se lei fosse meno invasato avrebbe potuto interpretare la domanda anche verso i pacifisti assolutisti, ma il non fare mai la guerra maniacale dovrebbe essere un valore proclamato soprattutto da voi! Circoscrivendo la questione proprio alla Libia di oggi a cui mi riferivo, forse si è perso il beneplacido di Ratzinger & Co. all’intervento. Forse che anche il Vaticano si sia messo a credere alle bombe intelligenti? Chissà!

Giorgio Ceruti

tralasciando ogni considerazione etica, vorrei osservare che la disposizione degli elementi di un gruppo a sacrificare la propria vita in favore del gruppo rende il gruppo stesso in grado di prevalere sugli altri

Manfredi

Nella pagina ultimissime del 27 agosto a titolo:”La Chiesa protestante aiutò Eichmann dopo il suo arresto”, scrissi in un mio intervento, che un soldato che uccideva un soldato era cosa diversa dal soldato che uccideva donne e bambini o comunque civili, definendo questo un assassinio.
Bene, anzi, male, pochi minuti dopo mi accorgevo della castroneria scritta x la fretta.
Chi uccide un altro uomo è sempre un assassino, anche se quell’uomo indossa una divisa diversa dalla tua, anche se quell’uomo è mandato al fronte per ucciderti.
Perbacco, Signor Gualerzi, molto ben scritto!
Molti storici, e quasi tutti i documentari di storia, e quel che è più grave, i libri di storia delle scuole non pongono l’accento sulle atrocità commesse o eseguite x contro dei grandi della storia.
Ripeto, questo è inammissibile sopratutto sui testi scolastici.
Anche se i diritti dell’uomo in epoca romana o ai tempi di Gengis Khan erano cosa diversa e minore dei diritti umani quali intendiamo oggi, porre l’accento sulla grandezza o presunta tale di certi personaggi, può, come dire, anestetizzare molte persone sulle atrocità dei cosiddetti grandi di adesso, o peggio, degli anni ’40.
Quasi che, il solo fatto di essere un condottiero, basti e giustifichi a mandare a morte migliaia di persone.
Scommettiamo che, come oggi consideriamo un grande uomo, forse un pò monello, Giulio Cesare, tra una cinquantina di anni ammireremo le gurre lampo di Hitler dimenticandoci o facendo passare in secondo piano altri aspetti del suo operato neiconfronti del suo e degli altri popoli?
Lo stesso hitler che diceva, commentando le perdite del suo esercito: “d’altro canto i giovani servono anche a questo”:
Come dimenticare stalin quando diceva “uccidere un uomo è omicidio, ucciderne centomila è statistica.”
Però, leggendo un libro di storia militare una volta ho avuto una piacevolissima sorpresa; in obiezione a chi si chiedeva il perchè della mancata difesa di Pantelleria da parte degli italiani contro gli angloamericani, lo storico invitava a:”non essere tristi e funerei estimatori dei macelli eroici”.
Molto bendetto!

Mauro Ghislandi

Purtroppo oggi le cose sono diventate molto piú complicate rispetto ai tempi di Napoleone.
Allora era soprattutto la supremazia numerica che determinava la vittoria. Poteva essere la supremazia di una nazione popolosa come lo era allora la Francia rispetto ai nemici piuttosto che la supremazia tattica in un settore del campo di battaglia, ottenuta con una delle manovre per cui Napoleone divenne celebre. Ma le perdite umane c’erano da entrambe le parti.

Oggi non è più cosí. La supremazia economica e tecnologica permette di vincere guerre quasi senza perdite, bombardando miliziani a terra da aerei si cui non c’è piú nemmeno il pilota.
E se le nazioni piú ricche e potenti non vincono guerre contro avversari infinitamente meno equipaggiati è solo perchè, per molte ragioni, non possono utilizzare pienamente le armi di cui dispongono. Tutti sappiamo che se volessero gli Stati Uniti potrebbero trasformare l’Afghanistan in un deserto radioattivo non abitabile per decenni o secoli. Tutto senza perdere un solo soldato.

DURRUTI 51

Quando si parla di guerra, c’è sempre qualcuno che sostiene la razionalità di questo strumento per la realizzazione di determinati obbiettivi,(vedi dibattiti televisivi con “tecnici militari”) eppure volendo prescindere dai costi umani, che tradotti nei termini triviali e brutali del conteggio monetario( con costi e benefici lo si può fare), mostrerebbero la totale inutilità delle guerre, soprattutto quelle moderne, rimarrebbe tuttavia l’irrazionalità anche limitandosi al calcolo delle spese e dei ricavi. Conquistare una fetta di mercato,ottenere materie prime a buon mercato quanto benessere ha procurato ai vincitori? intendo alla gente comune, in termini di salari più alti merci a buon mercato? Si potrebbe fare un calcolo e raffrontarlo ai costi astronomici delle armi, ai costi delle infrastrutture da ricostruire dopo la guerra,alle tasse e tributi maggiorati sulle spalle dei poveracci etc. .Ebbene il deficit sarebbe ancora spaventoso, valeva nettamente la pena di pagare un pò in più le merci avere una crescita più lenta del reddito, non si muore per questo. E allora? La guerra diventa “razionale” se si ammette implicitamente che i costi li pagano i poveracci e i ricavi li incassano i padroni del vapore.

Manfredi

EhEehehehe, è davvero così Durruti51 ! Altra scusante è che la guerra fa compiere progressi tecnologici importanti in pochi anni, x i quali in tempo di pace occorrerebbero anni per conseguirli.
Mi riferiscoalla bomba atomica (ed energia nucleare), motori diesel e motori a reazione, aerei e quant’altro.
Ora, se anche fosse vero, sacrificare migliaia di persone per questo sarebbe pur sempre un assassinio.
Che poi queste “cause di giustificazione”, siano portate da tranquilli signori che non hanno mai odorato una trincea, mai visto corpi smembrati ed il calore delle viscere dopo che una bomba fa scempio del corpo, ma anzi, abbiano il sederino al caldo godendosi dei frutti di questi progressi, la dice lunga sul valore (nullo) di questa gente, coraggiosa a parole, che probabilmente se la farebbe addosso al primo scoppio di petardo.
Uè, io non ho partecipato a nessuna guerra, neppure io ho visto una trincea, ma, ecco, lo ammetto, sono un credente, sì, sono un vigliacco praticante…..

Federico Tonizzo

Condivido il punto di vista di Bruno Gualerzi.
Da quando andavo alle elementari fino alla fine del liceo, quando nei corsi di storia si metteva l’accento sulla “prodezza” militare di coloro che menavan vanto di aver ucciso molti nemici, pensavo sempre – come penso tutt’ora – “Qui non c’è niente di cui vantarsi: perchè proprio questi vanti sono altrettanti fallimenti dell’umanità!”

Florenskij

@ Federico Tonizzo. Nell’ateismo umanistico-progressista su base darwinista ( lo dico senza sarcasmo ) c’è una fortissima contraddizione ( per me una delle tante ): da una parte l’affermazione che il motore dell’evoluzione delle specie nel senso della maggiore complessità e “sofisticazione” è la la lotta per la vita ( struggle for life )come “contesa a morte per le risorse” e non dico l’AUSPICIO ( giustificatissimo ), ma addirittura la PRETESA della pace universale, in qualche caso estremo di “anima bella” perfino fra gli animali. Certo, le società umane possono volontariamente fare un salto qualitativo nel senso del pacifismo; però di fatto finiscono per scontrarsi.

Purtroppo, parlando ( tristemente ) nel senso dell’antropologia, nella guerra c’è anche qualcosa di cui ci si può vantare: la capacità di mettere la vita in gioco in una specie di roulette: o si vince o si muore, o nel caso migliore si perde il proprio “status”. Il “ritorno psicologico” della vittoria ( ma anche della “sconfitta onorevole” ) è la misura ottenuta della saldezza della propria personalità, capace di mettere da parte la paura e di sostenere il sacrificio. Questa è spesso la giustificazione psicologica dei dominatori: il “padrone” è quello che ha saputo giocarsi la vita in un attimo nella “roulette” del conflitto a morte, il “servo” quallo che non vuol rischiare, perciò piega la schiena.
Non lo dico io, lo dice Hegel.

A proposito del “tutti i guerrieri sono comunque assassini”: lo si può dire anche dei Partigiani? Garibaldi, quello del “sole dell’avvenire”, era un assassino?

Il tutto dicendo: “Purtroppo”.

Federico Tonizzo

@ Florenskij

“Nell’ateismo umanistico-progressista (…) scontrarsi.”
Qualche riferimento bibliografico?

“Questa è spesso la giustificazione psicologica dei dominatori: il “padrone” è quello che ha saputo giocarsi la vita in un attimo nella “roulette” del conflitto a morte, il “servo” quallo che non vuol rischiare, perciò piega la schiena.”
Bella etica, vero? 🙁

“A proposito del “tutti i guerrieri sono comunque assassini”: lo si può dire anche dei Partigiani? Garibaldi, quello del “sole dell’avvenire”, era un assassino?”
Di fatto sì, ma sono stati il male minore, perchè assassini lo sono stati molto di più i nazifascisti e Pio IX e la chiesa in generale. Immagina un po’ se ci fossero ancora i “papi re” e se i nazifascisti continuassero anche oggi ad ammazzare gli oppositori e a sterminare ebrei, zingari, omosessuali, malati, ecc…

Ciò non toglie che tutti i morti uccisi in guerra hanno sofferto di essere stati aggrediti e uccisi (anche se hanno fatto la stessa cosa essi stessi verso le controparti, naturalmente), per questo, dentro di me, mi dispiace per qualunque morto (a parte qualche eccezione che non dico qui), e quindi mi tocca dire “meglio che muoiano pochi anzichè molti”.

Di passaggio: la parola “assassino” andrebbe sostituita con “uccisore”, perchè “assassino” deriva da “hasheshin” = consumatore di hashish: alcune tribù nordafricane si facevano di hashish per inibire la paura e darsi “coraggio” prima di andare a depredare le carovane uccidendo, eccetera. Non mi risulta che in generale chi uccide si faccia sempre di hashish…

DURRUTI 51

Florenskji@ Credo che vi sia un piccolo equivoco sul Darwinismo, l’evoluzione avviene per la maggiore capacità di adattamento di una variante genetica rispetto ad un altra. La lotta per la vita riguarda comunque i sistemi naturali, dove c’é un mix di competizione e di cooperazione, quest’ultima dà un vantaggio evolutivo non inferiore a quello competitivo. l’accento sulla competizione come unico motore dell’evoluzione e degli equilibri ecologici è stata una esagerazione dell’ideologia della destra economica e politica un tentativo di costruire una ideologia legittimante su basi pseudoscientifiche. Sulla guerra si parla di sistemi umani, la ragione dovrebbe servire a rendere la vita più mite di quella naturale, questo è il punto.
Certo che di fronte ad una aggressione diventa legittima la difesa con i mezzi più opportuni ed efficaci, ma l’origine viene sempre da coloro che gestendo il potere scelgono lì’opzione militare perchè più conveniente per loro per molti motivi, inclusi il desiderio di gloria,ed anche di dominio sui propri sudditi,le rivoluzioni , le “resistenze” etc. sono la conseguenza delle loro guerre.esiste poi la disponibilità e la gioia,degli uomini a farsi sottomettere, su questo ha detto bene Reich nell’analisi del “masochismo” implicito nei movimenti Fascisti, ma ha detto anche bene (e a parere mio magnificamente) Fornari nella sua” Psicoanalisi della guerra ” un bel libro che non so se è possibile ancora trovare in circolazione e che consigli di leggere a chiunque voglia guardare la guerra dall’ottica di chi sta in basso ,la subisce eppure vi aderisce entusiasticamente.

bruno gualerzi

@ Floenskij
La mia era una considerazione molto semplice, se vuoi banale… comunque da ateo rivolta soprattutto ad atei. Se – come credo ritenga ogni ateo – di vite ce n’è una sola (altre, al massimo posono essere ipotizzabili… ma non si vive ‘ipoteticamente’), prima di metterla in gioco, cioè prima di rinunciare a ciò da cui dipende tutto il resto, ragionevolezza vuole che si rifletta almeno se ne vale la pena. Tutto qui. Va da sè poi che ognuno la propria vita la spende come crede.
Da questo punto di vista (che è poi la chiave della mia ‘opinione’) l’esaltazione di tante ‘grandi imprese opera di grandi uomini’ – esaltazione che, come alcuni amici qui nel post richiamano molto opportunamente, incontriamo a cominciare dalle elementari – dovrebbe almeno avere come contraltare la MESSA SULLO STESSO PIANO (dico ‘almeno’, perchè per me dovrebbe essre posto IN PRIMO PIANO) il costo in vite umane che tali imprese sono costate.
Sempre per quanto mi riguarda poi (ne ho discusso anche qui più volte) l’espressione VITTIME DEL PROGRESSO à un inaccettabile ossimoro: se ci sono vittime, non c’è progresso.

Florenskij

@ Durruti 51. Il maggior adattamento di una specie rispetto a un’altra dipende da una maggior capacità di sfruttare le risorse del mondo minerale nel caso della piante, di predare piante nel caso degli erbivori, di predare erbivori e altro nel caso degli altri, soprattutto dei carnivori. Certo, ci sono anche le condizioni ambientali-geografiche ( gelo, savana, arsura desertica… ) ma determinano SOLO UNA PARTE dei fenomeni adattivi. Quanto alle “miti” piante ci sono anche quelle carnivore e i rampicanti che “strangolano” gli alberi d’alto fusto..

Se i viventi ( almeno gli animali superiori ) non sono semplicemente macchine senz’anima, come voleva Cartesio, ma hanno sensazioni e sentimenti ( da cui, giustamente, il problema di teodicea del dolore più che millenario prima di Adamo ) si può parlare comunque di tragedia nel mondo naturale, senza negare i fenomeni di cooperazione ( del resto spesso utili per aiutarsi a predare meglio, visto che “l’unione fa la forza” ). I Darwinisti sociali esageravano ma, ahimè, non avevano torto al cento cento. C’è stato anche il sistema di diminuire la pressione, anche demografica, delle classi popolari, scaricandola verso l’esterno nelle conquiste imperiali ( vedasi l’altissimo consenso anche popolare al Fascismo nel 1935-36 e moltissime guerre dei Romani ).

Purtroppo è diffficile smentire il principio “Si vis pacem para bellum” (” Se vuoi la pace prepara la guerra” – mostrati armato e disposto a restituire colpo su colpo ), in base al quale moltissimi sostengono che l’arrendevolezza di Francesi e Inglesi a Monaco 1938 stimolò ulteriormente l’aggressività di Hitler ( “Chi si fa pecora il lupo se lo mangia” ). Si denuncia con parole forti il sistema dell'”equilibrio delle potenze”, ma senza quello si andrebbe in frantumi. Purtroppo. Anche Buenaventura Durruti fu un ( molto stimato per umanità ) combattente o capo di combattenti nella Guerra di Spagna.

@ Prof. Bruno Gualerzi. Giustissimo quello che lei dice, ma devo far notare che oggi è la triste ricorrenza dell’8 settembre. Gli Italiani ( almeno loro ) e in generale gli abitanti dell’Europa sono abbastanza vaccinati rispetto alla malattia dell’esaaltazione della guerra. Forse un pochino anche gli Americani dopo il Vietnam. Ufficialmente sono definite tutte “missioni di pace” per non perdere totalmente lo stracco consenso della popolazione.

Discorso di ateo per atei. A parte il fatto che io personalmente sono stato tentato lungamente dall’agnosticismo ( mai dall’ateismo completo ) e che questo spiega il mio interesse per il Blog e certe anomalie del mio “trollismo”, devo ricordare che nella nostra costituzione “democratica” c’è l’articolo ( da abolire? ) che recita: “La difesa della Patria è SACRO DOVERE del cittadino”. Questo vuol dire che un cittadino è indegno e passibile di pena se rifiuta di rischiare la sua vita ( unica? ) combattendo, oppure anche facendo l’infermiere o il portantino “obiettore” in zona di guerra. In una costituzione laica ( anche se non totalmente ) si reintroduce la sacralità, sinonimo, mi sembra, della religione in senso lato?

Il grande filosofo della religione Rudolf Otto ( credo laico, e scusate la citazione, ma è un personaggio troppo importante ) definiva la caratteristica peculiare del SACRO con l’unione di TREMENDUM ET FASCINANS ( come il fuoco: energia positiva e figurativamente affascinantema anche distruttiva ).
Altrimenti perchè ci sarebbe tanto interesse ( non solo dettato dalla compassione ) per correre sul “luogo del disastro” e vedere film catastrofici? Idem, anzi di più, per i film di guerra, in cui si dispiega la “potenza”.

Dagli etologi è registrata l’esistenza di un istinto aggressivo, che spesso può infervorare “adrenalinicamente” l’individuo fino a fargli perdere la paura per la sua stessa sopravvivenza fisica e l’orrore per l’uccisione di altri uomini, tanto più se è alimentato dallo “spirito di corpo” ( anche questo su base istintuale ). Parecchi anni fa una collega mi riferì di un uffuciale da lei conosciuto che dichiarava: “Darei dieci anni di vita per avere dieci giorni di guerra”.

bruno gualerzi

”Fervore adrenalitico’ = carica ‘religiosa’
Detto così è poco più di una battuta, lo riconosco, ma altrove, sempre in questo blog (e devo dire con scarso successo), ho sostenuto che, da un certo punto di vista, tutte le guerre sono ‘guerre di religione’ nel senso che per uccidere e farsi uccidere occorre qualcosa che ‘trascenda’ la condizione umana. Cioè la alieni Quale che sia la causa (dalla più nobile alla più meschina) per la quale si combatte.
Sempre partendo dal presupposto che… Darwin o non Darwin… ogni individuo di ogni specie animale è dotato, assieme agli altri, dell’istinto di sopravvivenza, il primo dei quali, per quanto riguarda l’uomo, è costituito dalla razionalità. Anche se personalmente preferisco parlare di ‘ragionevolezza’.

bruno gualerzi

“Quale che sia la causa (dalla più nobile alla più meschina) per la quale si combatte.”

Devo precisare. La ‘causa’ per cui si combatte – fosse pure perchè costrettivi (ma quasi sempre perchè c’è qualcosa in cui ‘si cre4e’… caso limite il soldato francese che è ‘orgoglioso di morire per il suo Imperatore’) – o diventa una sorta di ‘causa prima’ (‘mors tua vita mea’) – o altrimenti si soccombe in partenza.
Detto in altro modo, più brutale, in guerra si diventa tutti delle ‘bestie’ (anche, sia pure indirettamente, nella guerra iper tecnologizzata), quale che sia la ragione per cui si combatte. Cioè, ancora e sempre, si aliena la propria umanità.

Marcus Prometheus

Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi.
Si’ io lo sottoscrivo.
Ma no, proprio no, non finisce li’, anzi!
E quando i popoli hanno bisogno di eroi?
Quando la liberta’ e’ minacciata?
Allora beati i popoli che sanno anche essere eroici.

Ed a proposito di impero romano:
Si formo’ molto molto lentamente, in grandissima parte (e’ vero non sempre) in seguito a sfide ed aggressioni altrui non eliminabili con le belle parole o le buone idee.
Perche’ per fare la guerra basta uno, mentre per fare la pace servono due.

E provoco’ (l’impero Romano) piu’ danni al mondo nella sua caduta o anche prima nella rinuncia alla sua funzione unificatrice dell’umanita’ e di protettore delle liberta’ che non nella sua fase espansiva.

//////////////// allego un articolo che ritengo pertinente ///////////////////////////////////////////

«La libertà è il segreto della felicità»: il sergente maggiore Rinaldo Logli, in missione a Herat in Afghanistan, scrive a suo figlio Matteo, ancora piccolo. E gli spiega perché ha scelto di prendere parte a una missione di pace. Il sergente Logli è uno dei numerosi soldati italiani che prestano servizio sui fronti caldi del mondo e spediscono le loro lettere a Panorama. Raccontano il perché della loro scelta di vita e chiedono di non essere dimenticati. Le altre lettere dal fronte si possono leggere su panorama. i t .

Ciao Matteo,
sono papà, ti scrivo da un paese molto lontano, che si chiama Afghanistan. Quando leggerai questa lettera sarai già grandicello e sarò lì con te per poter ripercorrere insieme i momenti della nostra vita che non abbiamo condiviso.Qui il tempo scorre velocemente e, spesso, se ne perde la cognizione. Grazie a te, che sei sempre nei miei pensieri, mi riapproprio del tempo che altrimenti perderei di vista; sei la mia bussola.

In Afghanistan i bambini non sono fortunati come te, nei loro sguardi si scorge una sofferenza e una tristezza che fa male al cuore, ma se si guarda più attentamente si scopre una velata felicità. Questa è la loro forza, quella di sapersi accontentare di quello che possiedono, ti posso garantire che basta davvero poco, una palla fatta di stracci, un bastoncino di legno, un copertone di auto logoro, una bicicletta sgangherata.

Tutto quello che ti scrivo non deve spaventarti, deve farti capire che non basta un videogioco per rendere un bambino felice, il segreto è in una parola: libertà. Ed è proprio per questo che papà si trova qui, per aiutare tutti questi bambini a tornare a sorridere e giocare indisturbati con i loro palloncini.

Devi sapere che molto, molto tempo fa, la città dove mi trovo adesso, Herat, era nota come «la Firenze d’Oriente», ricca di cultura e piena di vita. I suoi abitanti, felici e pieni di gioia. Con il passare del tempo però, tutto questo è sparito, ora sono qui e mi impegno affinché tutto questo ritorni.

Sono sicuro che quando sarai abbastanza grande per poter leggere queste parole l’Afghanistan sarà una località fiorente e, chissà, magari riusciremo a visitarlo tutti insieme, io te e la mamma. Qui ci sono posti meravigliosi, che ti riempiono l’anima.Vedrai scorrere il tempo, seduto su una duna, con lo sguardo verso il cielo notturno che ha stelle così intense da farti pensare di poterle toccare con un dito.

Vedrai bambini giocare spensierati con i propri genitori per le vie della città.

Vedrai un popolo pieno di vita che non sarà più soggiogato ma orgoglioso e libero di esprimere le proprie idee.

Vedrai che papà non ti lascerà più solo a giocare ma sarà sempre presente nella tua vita.

Vedrai Matteo, vedrai… Ciao Matteo

fabrizio.paladini

bruno gualerzi

Alcune considerazioni sul tuo intervento.
Premetto che, per quanto mi riguarda, ho parlato di motivazioni nobili o meschine, e che ognuno deve essere libero di fare della propria vita ciò che ritiene più giusto.
Ora, va da sè che il soldato Rinaldo Logli (almeno soggettivamente, nom voglio entrare nel merito della cosiddetta ‘missione di pace’) è certamente convinto di aver fatto una scelta con scopi altamente umanitari, e per questo va assolutamente rispettato… ma si presta ad almeno due considerazioni:
a – ovviamente non sono in grado di sapere come reagirebbe Matteo nel caso (da mettere in conto), che il padre possa essere ucciso… ma. nel caso, si può sempre immaginare che, per quanto orgoglioso del padre, probabilente avrebbe preferito la sua presenza al posto della lettera;
b – la scelta del padre di andare a combattere, immagino che l’abbia posto di fronte alla circostanza, per difendere la propria vita, di spegnerne altre (o comunue deve averlo messo nel conto)… e avrà dovuto (o comunque messo nel conto) fare appello a quella ‘carica’ di cui parlavo. Magari per uccidere uno sconosciuto che a sua volta forse avrà fatto, dal suo punto di vista, la stessa scelta ‘nobile’; in questo caso forse religiosa in senso proprio.
Quando si afferma ‘beato quel popolo che non ha bisogno di eroi’… almeno per quanto mi riguarda… non significa in alcun modo denigrare l’eventuale eroe come persona, ma mettere in dicussione il rapporto tra il suo eroismo e ciò a cui, e soprattutto a chi, servirebbe. Certamente esitono le guerre di liberazioe, ma, soggettivamente, per quanto riguarda i singoli combattenti, possono tutte essere ‘guerre di liberazione’ (il soldato della Wermacht poteva ritenere di stare combattendo per una causa giusta non meno del soldato americano, francese, inglese o russo) E una guerra, per giusta che sia, comporta sempre una partecipazione ‘alienante’.
Se ne tenga conta prima di dover ricorrere agli eroi.

Manfredi

Il guaio è che un pò di ragione è in ognuno dei nostri interventi.

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