Una nuova recensione è stata pubblicata nella sezione Biblioteca del sito UAAR. Il libro è Il senso della vita senza dio. Prendere Darwin sul serio di Steve Stewart-Williams, a cura di Maurizio Mori.
Recensione di Raffaele Carcano.
La Redazione
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Qui lo si trova in lingua originale: http://www.amazon.co.uk/Darwin-God-Meaning-Life-Evolutionary/dp/0521762782/ref=sr_1_1?ie=UTF8&s=books&qid=1277651666&sr=8-1
Leggere le traduzioni è come farsi raccontare la partita invece di guardarla in diretta… 🙂
Mi pare un testo interessante, anche se dalla recensione mi pare ci siano due eccessive semplificazioni, espressive e di problematica filosofica (una metafisica, una etica), tralasciando il discorso che ‘forse gli uccelli ridono di noi perchè non voliamo’, il quale penso proprio sia una battuta, dal momento che il sistema nervoso di un uccello difficilmente può arrivare a tali paragoni e ragionamenti.
Il punto, riguardo la metafisica, è questo:
—-E tuttavia, sostiene Stewart-Williams, «il deista dovrebbe porsi questa domanda: se l’universo, con o senza dio, risulterebbe lo stesso, che ragione abbiamo per avere fede?»—-
Il deista non ha ‘fede’ (solitamente non crede in un dio provvidente e nell’aldilà), semplicemente fa fatica a reputare la materia, in quanto diveniente, incausata, dal momento che l’osservazione ci dice che tutto ciò che diviene deve prima pervenire all’esistenza attraverso una serie di condizioni favorevoli esterne.
Che poi sia un ragionamento magari troppo legato allo schema determinista e all’osservazione empirica, questo è altro discorso e su cui in parte concordo (anche se qualsiasi spiegazione ultima, dal ‘caso’ alla ‘volontà’ presenta, a ben vedere, gli stessi problemi); ma paragonare un (eventuale) vizio del ragionamento alla ‘fede’ (fondata su dogmi che la ragione deve non negare per principio) mi pare poco corretto dal punto di vista filosofico.
Il punto, riguardo l’etica, è questo:
——-È per questo che dobbiamo rivolgerci a norme, possibilmente razionali. che tutti noi siamo chiamati a rispettare: «per la stessa ragione per cui aderiamo alle regole degli scacchi ed esigiamo che gli altri le rispettino, sottostiamo alle regole morali ed esigiamo che gli altri facciano lo stesso; non perché esse riflettano verità fuori dal tempo e situate nella mente di dio e in qualche platonico mondo delle idee, ma perché rispettarle ha effetti desiderabili».—————
C’è una differenza: io scelgo di giocare a scacchi, non sono costretto e, come in uno sport il furbo viola le regole a proprio vantaggio se ha ragionevoli margini di non essere beccato, così in questa concezione uno può violare per tornaconto personale le regole morali se esse vanno rispettate solo perchè aiutano la società a vivere meglio: fosse solo questo, visto che talvolta il mio interesse privato è in conflitto con quello sociale, io sono moralmente legittimato a violare le regole stesse.
Credo che l’etica sia qualcosa di più di un calcolo, e che debba essere l’applicazione razionale dei moti di empatia e giustizia che istintivamente l’uomo prova, e che un’educazione razionale a sviluppare consapevolmente empatia per i deboli e senso di giustizia verso chi i deboli li opprime, siano la cosa migliore.
Ciao Batrakos,
io penso che l’autore intenda questo: se mi trovo in un sistema di regole condiviso, il presupposto necessario perchè funzionino è l’accettazione di queste regole e la consapevolezza che non si deve osservarle in quanto tali, ma per la civile convivenza. Quindi c’è uno spostamento diametralmente opposto di concezione, che però “risolve” (o almeno cerca) i problemi a cui non sono riuscite a venire a capo le religioni: come riuscire a far convivere i precetti con la natura umana. In quest’ottica (ed è quello che ho sempre pensato anch’io) un precetto che potrebbe sembrare giusto come “Ama il prossimo tuo come te stesso” è sbagliato. Se invece io dico “Rispetta il prossimo tuo come te stesso” o “Rispetta il prossimo tuo come ami te stesso” allora la cosa si può fare. Ad es. ho il mio vicino o un mio collega di lavoro che non sopporto proprio, mi stanno sulle *alle in un modo incredibile, ma che faccio? Li saluto, mi comporto con loro educatamente, cerco di evitare polemiche inutili. In questo modo può funzionare, dentro di me li posso pure odiare, l’importante è che mi comporti bene con loro, in definitiva li rispetti, non li devo amare per forza. Invece secondo l’ottica religiosa (rivelata) io dovrei sforzarmi di essere una persona buona e conseguentemente questo essere buono mi dovrebbe portare a comportarmi bene: impossibile, perchè secondo me la natura umana non è fatta per amare tutti, ma invece è possible tenere a bada senza negarla, la parte “cattiva” o “intollerante” di ognuno di noi, in un’ottica pluralista. Questa impostazione ci influenza più di quel che pensiamo. Facci caso: quante volte hai assistito a due bimbi che giocano? uno prende il giocattolo dell’altro, quello se lo riprende, allora il primo gli dà uno schiaffo e se lo riprende ancora, si mettono a piangere e se le danno. Arriva il genitore e che dice “Fate i bravi, non dovete litigare, dovete volervi bene” ed è a posto con la coscienza, ha assolto alla sua funzione educativa. Che cavolo significa “dovete volervi bene”? Lì il bene non era in discussione, era successo un episodio che andava risolto in quanto tale. Forse sono un po’ OT, ma penso che sia questo che intenda l’autore.Quando dici che scegli di giocare a scacchi altrimenti non ci giochi, in teoria anche nella vita puoi scegliere di andare su una montagna a fare l’eremita, così puoi evitare di limitarti nei comportamenti, tanto non arrechi danno a nessuno, se ti vuoi mettere ad urlare di notte forse disturbi gli animali.
La tua ultima frase è molto bella, ma leggendola capisco che io e te abbiamo visioni diverse di etica e società. Però è questo il bello, confrontarsi e arricchirsi a vicenda.
Ciao a te.
Ho capito cosa vuoi dire, e sono anche d’accordo, ma credo che ,perchè quello che dici funzioni, ci vuole un’educazione al rispetto reciproco, e quindi credo che il problema a monte, espresso alla fine dell’intervento, rimanga.
Sull’eremita e sugli scacchi…beh, l’eremita deve rifiutare i vantaggi pratici e materiali della società, giocare a scacchi o meno è accidentale, per cui il paragone rimane ben diverso, visto che se io voglio avere i vantaggi della società devo rispettarla.
Batrakos wrote:
C’è una differenza: io scelgo di giocare a scacchi, non sono costretto e, come in uno sport il furbo viola le regole a proprio vantaggio se ha ragionevoli margini di non essere beccato, così in questa concezione uno può violare per tornaconto personale le regole morali se esse vanno rispettate solo perchè aiutano la società a vivere meglio: fosse solo questo, visto che talvolta il mio interesse privato è in conflitto con quello sociale, io sono moralmente legittimato a violare le regole stesse.
Re:
Ma se dobbiamo rispettare le regole perchè questo ha effetti desiderabili sulla società (mi pare che questo intendesse l’autore) allora tu non sei legittimato a violarle nemmeno quando ti conviene e nemmeno quando hai buone probabilità di farla franca.
Giulio.
Iniziamo col dire che una prefazione rischia sempre, per ovvie necessità di sintesi, di non esaurire il pensiero dell’autore.
Io continuo a trovare il discorso molto debole: se l’accettare le regole serve per il benessere sociale, però il mio benessere privato in una data circostanza contraddice quello sociale, perchè mai dovrei accettare le regole stesse?
Riprendendo anche Florenskij, io credo che l’umanità non possa vivere senza una tensione al futuro, perchè senza di essa non avrebbe senso fare scoperte scientifiche, creare alternative sociali, o cercare di comprendere la Storia.
Bene, io credo che l’etica si debba costruire, applicando la razionalità, a partire da questa tendenza al futuro, perchè se un individuo non si identifica con qualcosa che va oltre il suo mero piacere hic et nunc (importantissimo, si badi bene, ma non esaustivo) non ha senso avere un’etica (se non per convenienza mia finchè non ho le forze per violarla, un po’ come se fosse una tregua imposta) nè concepire idee di miglioramento sociale per le quali noi stessi ci battiamo, sapendo benissimo che saremo in pochi a vedere una società più laica e tollerante, eppure lo vogliamo per le generazioni a venire.
E’ forse proprio la stessa tensione al futuro che ci distingue da moltissimi altri animali e che potrebbe essere una delle basi che ha portato a sviluppare una certa intelligenza maggiore nel sapiens sapiens (l’intelligenza è legata alla memoria, e la memoria serve proprio per avere bussole orientative per il presente ma anche e soprattutto per il futuro prossimo).
La teoria (neo)evoluzionistica ci insegna che l’umanità, (come qualsiasi forma di vita biologica) è un « incidente » e non una creazione particolare come vorrebbero certe dottrine e/o dogmi !
I meccanismi dell’evoluzione sono ancora oggetto di dibattiti entro esperti, ma questi dibattiti si riferiscono molto più sui dettagli o questioni di semantica, e non sul processo generale indiscutibile dell’evoluzione.
NB : L’aggiunta del linguaggio al cervello umano ha piuttosto significato una « rivoluzione » anziché un’evoluzione nel suo funzionamento.
In molti casi l’uomo si rammarica della conclusione razionale alla quale arriva, in favore di una scelta, che pur essendo irrazionale, lo soddisfa maggiormente…..
@ Batrakos. Giulio. Se tutto si riducesse a una questione di rispetto, la cosa non sarebbe tanto difficile. Il problema si pone quando il “patto sociale” impone di sacrificare la vita ( ad esempio in una guerra di resistenza all’ingiusto invasore ) oppure di sacrificarne gravemente la qualità ( ad es. dedicando tutto il tempo libero, pur essendo giovani, all’assistenza del coniuge o di in altro congiunto menomato ). Se si vive solo una volta perchè buttare via la vita?
Si chiama SACRI ficio perchè comporta qualcosa di sacro: il che vuol dire avere una religione, almeno in senso lato.
Che str…ta di conclusione
IL SACRIFICIO = ASSURDITA’ !!
L’uome scieglie sempre cio’ che lui ritiene essere la migliore delle scelte possibili, anche se a volte si sbaglia !
Florenskij.
Credo di aver risposto, forse indirettamente, anche alla sua obiezione (per me fondata) rispondendo sopra a Giulio.
@ Florenskij
Quel che scrive dimostra che per lei certe cose sono etiche perché qualcuno le comanda e prevede una ricompensa (e una punizione).
Questione di gusti.
L’assistenza ad un coniuge è dovuta per la ricompensa in un aldilà? Senza quella non ha senso? Solo chi crede assiste il coniuge gravemente malato?
Il fatto che lei cerchi di riportare certi comportamenti nell’alveo di “religioni in senso lato”, serve a giustificarne una? Se no, a che serve il concetto di comportamento “religioso” in senso lato?
Il sacrificio è comunque un bilancio tra scopi, come fa notare alessandro pendesini.
Se la sua autoimmagine prevede che il sacrificio della sua vita per compiacere una divinità sia essenziale per il suo benessere quello scopo assume più importanza dell’alternativa.
Qualsiasi scelta impone “sacrifici”: ma si potrebbe parlare altrettanto legittimamente di costi senza far riferimento a nessuna sacralità.
E non mi pare che le rinunce di una dieta siano da riportare al lato “sacro” della vita.
Non si puo’ chiamare sacrificio se ci si aspetta la vita eterna, e’ proprio quando lo si fa senza pensare che non si avra’ nulla in cambio che e’ un sacrificio, Florenskij, esistono molte persone che si sacrificano non pensando di ottenere la vita eterna, ma quelli come te, quelli che agiscono nella vita per comodo queste cose non le possono capire e non riescono ad accettare che si possa fare un sacrificio anche grande senza regali postmortem.
Il deista direbbe (anzi dice) che l’universo senza dio non esisterebbe. Non che sarebbe lo stesso.
Siamo alle solite: un deista deve anche essere, per forza di cose, un determinista, che rifiuta caso e contingenza. Ergo, non si può pretendere che faccia un ragionamento su caso e contingenza.
Non è detto che un ragionamento sul caso non l’abbia fatto, semmai è de vedere come se lo sia risolto, visto che il problema del caso è uno dei maggiori e più aperti problemi teoretici.
Semplice: lo ha risolto affermando che ciò che chiamiamo caso sia solamente una nostra impossibilità a prevedere il futuro. E, cosa interessante, sono personalmente abbastanza d’accordo. Secondo me, il “caso” è un concetto metafisico ma piuttosto antropomorfo. Come il determinismo, d’altronde. In conclusione, direi, non possiamo affermare che il caso sia l’esatto opposto di determinismo. Sarebbe un errore di valutazione.
Il ragionamento su contingenza, invece, non l’ha proprio fatto. Anzi, secondo me, non lo ha capito. Altrimenti sarebbe un evoluzionista invece che un creazionista.
Attenzione: per creazionista si intende di solito il creazionista biblico; un deista può benissimo conciliare una ‘spinta iniziale’ con l’evoluzione, visto che non ha neanche Adamo ed Eva da difendere.
Può dirti che, a rigor di logica, tutto ciò che evolve deve comunque prima pervenire all’esistenza, e qui ritorna il medesimo problema.
Già, ma se mi dice che qualcosa di creato “evolve”, implicitamente si contraddice. Niente evolve secondo un rigido determinismo. Quindi, o il tizio mi dice di essere determinista e creazionista, oppure mi dice di essere indeterminista e evoluzionista. Nel primo caso trattasi di un deista, nel secondo, al minimo, di un ignostico, o di un ateo.
Tertium non datur (anzi, tertium contradditorium est: boh, il latino l’ho dimenticato) 🙂
No, non mi pare che si contraddica: è il motore immobile a dover essere statico, non ciò che è materiale e ad esso subordinato; sarebbe contradditorio se all’evoluzione si inserisse un finalismo antropocentrico, che è proprio del teismo religioso più che del deismo filosofico.
Che il deismo sia legato a doppio filo col determinismo concordo.
@ firestarter
1) Lei non smentisce mai la sua volgarità.
2) Piuttosto che attestarsi sulla zona del letame dovrebbe cercare di rispondere in modo preciso e puntuale.
3) Ho parlato di “religione almeno in senso lato”, non di religione cristiana o di religione cattolica: Il che vuol dire atteggiamenti come quella di Foscolo ne “I sepolcri” ( la “religione delle illusioni “: le rimane questo ricordo della scuola superiore? ) e quella di Benedetto Croce ( la “religione della libertà” ). Religioni laicizzate. Ma forse lei non si sogna nemmeno di informarsi su quella disciplina che si chiama “antropologia”, che verte sui bisogni profondi dell’uomo.
4) Le farebbe bene anche una sbirciatina a “Le forme elementari della vita religiosa” del ( grande ) sociologo Emile Durkheim, ebreo francese laicizzato, il quale all’inizio del ‘900 sosteneva che attraverso i loro “totem” le società adorano se stesse.
5) Di primissima mattina io mi sveglio e cito, oppure leggo per aumentare la riserva tattica delle citazioni, lei si sveglia e dà soddisfazione ai suoi bisogni, piccoli e grandi. Dia soddisfazione nell’apparecchio giusto, piuttosto che vicino alle persone che pongono problemi.
Anche cercando disperatamente di giustificarti per quello che hai detto Florenskij, ha sempre ragione firestarter.
@Giorgio Pozzo
Nonostante diversi tentativi, il formalismo quantistico non è apparso pertinente per trattare i fenomeni che la fisica classica e la chimica descrivono in modo soddisfacente; ragione per cui abbiamo il diritto di riconoscere che il “caso” è semplicemente dovuto alla nostra ignoranza, o all’incapacità di andare oltre un certo limite cognitivo imposto dalla configurazione del nostro cervello !
L’organizzazione biologica è tipicamente un “fai da tè” (bricolage) che si caratterizza per la sua natura essenzialmente contingente e opportunista.
NB. : L’illusione è una soluzione a un conflitto, o ambiguità, dovuta ai nostri… trè cervelli…..
La meccanica quantistica mi dice che certi eventi sono imprevedibili, anzi, indefinibili, fino a quando non alteriamo lo stato quantistico con una misura. E ci dice anche che la misura non può mai essere completa.
Ergo, il “caso” è proprio una nostra invenzione.
Ma anche il determinismo è una nostra invenzione.
Infatti, l’organizzazione biologica, che fa parte del mondo fisico, non segue nè caso nè necessità (determinismo). Come tutti gli oggetti fisici.
….Ma anche il determinismo è una nostra invenzione…..
@Giorgio Pozzo
Non c’è nulla di gratuito o arbitrario nei nostri bisogni ed emozioni.
L’atto gratificante non è libero, bensi interamente determinato ! Siamo determinati a fare quello che facciamo, anche quando crediamo di scegliere, pur non essendo costretti e forzati.
La neuroscienza ha prove inconfutabili di cio’ che ho scritto. (vedi il mio articolo Discussion:Libre arbitre – Wikipédia) Siamo comunque « liberi » di non crederci…. Vorrei precisare che “determinismo” non è sinonimo di “predestinazione”. Non siamo predestinati a essere cio’ che siamo ! NB :Le equazioni della fisica quantistica sono tutto ciò che possiamo ritenere come deterministe : l’evoluzione nel tempo degli stati di un sistema è sempre governata da equazioni differenziali che, data una condizione iniziale, determinano in modo inequivocabile lo stato finale. L’indeterminismo appare solo quando si stabilisce una connessione tra queste equazioni e i fatti sperimentali.
Inoltre vorrei ricordare che la « decoerenza », mascherando gli effetti d’interferenza, protegge il carattere classico del mondo macroscopico.
@ Alessandro Pendesini
secondo me negare l’esistenza del libero arbitrio significa proprio considerare che i nostri pensieri siano determinati. Cioè, non potrebbero essere diversi da quelli che sono in ogni momento. Di conseguenza, la mente sarebbe un insieme di algoritmi pre-scritti, tipo software.
Questo non mi quadra affatto.
Per il semplice motivo che la mente umana può essere perfettamente illogica: nessun algoritmo sbaglia esecuzione. Anzi, la mente umana in alcune circostanze è illogica, ma in altre risulta essere illogica. Un algoritmo, tutte le volte che esegue -ad esempio- (23×19) mi dà 437, immancabilmente. La mente umana, qualche volta mi potrebbe dare 438 oppure 436 o altro ancora. Segno inconfondibile di indeterminismo profondo.
D’altronde, come esempio, a me piace portare il paradosso di Newcomb delle due scatole, che mostra come sia impossibile (perfino per un dio) prevedere al 100% la scelta effettuata da un essere umano.
La vita senza Dio?,una cag…,ci sarebbe angoscia da parte di tutti,totale assenza di morale,tutti gli esseri umani(non solo gli atei,che lo sono,sarebbero bestie).
La vita con dio, ha reso tè una ca–ta.
@aletroll
Una, anzi: due parole: Proiezione Egocentrica…
ama il prossimo tuo come te stesso.
ti odi, ale?
non mi sento angosciato che strano, tantomeno quando faccio all’amore senza essere mai stato sposato e senza desiderio di procreare, e tante altre cose che voi cattolici ipocritamente rifiutate
Ale-mentecattolico, curati!!!
@ALE CATTOLICO
A proposito di bestie :
A volte preferisco la « ferocia » del mondo selvaggio degli animali -non umani-, che l’umanesimo di certi esseri umani….
Sans rancune ?
… una cag.ta è benefica ed indispensabile secondo Natura e se la vita senza dio è tale significa che con dio (il tuo dio) è morte povero Ale cattolico!
Chissà come facevano prima dell’era volgare, Aluccio. Perché lo sai che il cristianesimo non esiste da sempre, vero? Almeno questo te lo hanno spiegato?
Il senso della vita senza dio. Se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo.
Se ci fosse bisognerebbe abolirlo.
Abolirlo, il senso della vita senza dio, perche’?
Il libro in oggetto lo si può leggere gratuitamente al sito http://www.espresseedizioni.it, cliccando la sezione “DIGITALE” ed inserendo il codice in maiuscolo YPQKJ3RXU473Z, così tutti i creduli possono evitare di acquistarlo, ma, leggendolo, può darsi che capiscano qualciosa invece di dire idiozie o blaterare chiacchiere retoriche; bisogna essere grati all’editore che ha avuto il coraggio di pubblicarlo in questo paese prono al potere vaticano.
Correggo indirizzo dato in precedenza: http://www.espressedizioni.it