Stefano Marullo*
C’è un argomento ozioso, quanto odioso per la sua strumentalità, adoperato da quanti in queste settimane tentano di smontare la campagna di indignazione contro i privilegi e l’opulenza della Chiesa Cattolica. Un tentativo quasi maldestro di difendere l’indifendibile: l’appropriazione indebita delle quote non assegnate dell’otto per mille, l’immenso patrimonio immobiliare utilizzato come rendita e solo infinitesimalmente per dare un alloggio ai meno abbienti (“Che ne hai fatto del tuo fratello senza tetto?” recitava un documento della Commissione Pontificia Iustitia et Pax del 1988, sembra passato un secolo), tanto per fare qualche esempio. L’argomento, non nuovo in verità (qualche tempo fa era un cardinale a destreggiarsi su di esso in risposta agli attacchi “ingiustificati” alla Chiesa), è quello che “se la Chiesa smettesse di occuparsi dei poveri” le conseguenze sociali sarebbero pesantissime.
Il rapporto tra la Chiesa e i poveri è sempre stato un rapporto necessario, per vocazione, risuonando il precetto evangelico del semper pauperes habetis vobiscum (Matteo 26,11). Ma al contempo un rapporto complesso. Il compianto Christopher Hitchens rimproverava, con fondate ragioni, a Madre Teresa di essere innamorata della povertà e non dei poveri; che la Chiesa Cattolica si occupi dei poveri come “oggetto” della sua opera è indubbio, che i poveri siano il “soggetto” e sacramento di salvezza per la Chiesa è da escludere (a meno di ammettere che la Teologia della Liberazione sia per il nostro tempo l’indirizzo prevalente del Magistero come lo fu il Tomismo nel Medioevo, ma questa è fantapolitica), ed è senz’altro vero che la povertà non sia esattamente l’ideale evangelico più agognato da vescovi e cardinali di Santa Romana Chiesa.
Il dibattito sulla “Chiesa dei poveri” è relativamente recente ed ha avuto un momento specialissimo nella riflessione intraecclesiale prima e durante l’ultimo Concilio universale. Prima però di arrivarci sarà utile un breve excursus storico e teologico sulla tematica.
La riflessione biblica si occupa della povertà prevalentemente come fenomeno sociale e si rapporta con essa con un atteggiamento non univoco che può essere esemplificato in due filoni prevalenti. Il primo e più antico considera la povertà una punizione divina: il popolo che viene deportato in esilio, costretto a vivere nell’indigenza e sotto il giogo dell’oppressore, secondo la parola dei profeti, è colpevole agli occhi di Jahve di infedeltà. L’uomo giusto viene invece ricompensato da Dio con lunga vita, beni materiali e salute. E’ la dottrina della Retribuzione, che qui possiamo solo accennare, anche perché si tratta di uno dei concetti più ostici della Scrittura (andrebbe aggiunto che non è una dottrina esclusivamente ebraica, tracce si trovano nel mondo egizio, greco e persino nella cultura e nelle religioni estremo-orientali). Un secondo indirizzo, più recente (che ‘sconfina’ nel Nuovo Testamento e nel messaggio di Gesù) vede nella povertà una condizione quasi privilegiata per potersi affidare a Dio non confidando più nelle proprie certezze materiali. Il topos del povero nelle sue molteplici espressioni, l’orfano e la vedova, l’indigente e il perseguitato, ricorre in innumerevoli passi biblici (tra gli altri Lev 19.13-18; Dt 10,18 e 24,14; Ger 22,16; Am 2,6 – 7; 5,11 e 8,4; Is 5,8 ss e 1,17; Sal 4,2; 9,10; 10,17; 12,6; 18,28; 118,9; 149,4; Prov 22,22 e 23,10; 1 Sam 2,8 ecc.).
Il Gesù dei vangeli usa parole inequivocabili contro la ricchezza e benedice i poveri considerandoli i veri destinatari del Regno. L’indirizzo pauperistico sarà costante nelle comunità protocristiane degli esseni e degli ebioniti che rinunciavano alla proprietà personale e mettevano tutto in comune. Lo stesso dicasi della comunità gnostica dei Carpocraziani e quella degli Apostolici del II secolo che volevano rifarsi agli Apostoli (che come recita un passo degli Atti non possedevano “né oro, né argento”). Negli stessi anni della predicazione del “poverello di Assisi” (ed ancora prima sarebbe da ricordare Arnaldo da Brescia, chiedo venia per le inevitabili omissioni) in Lombardia e nelle Marche un certo successo riscuotevano i Patarini che mettevano la povertà a caposaldo delle loro dottrine mentre già il Piemonte era un focolare valdese (per inciso, Pietro Valdo potrebbe essere assimilato in tutto e per tutto a Francesco d’Assisi, se non fosse, piccolo particolare che lo ha reso eretico anziché santo, che oltre a vivere da povero pretendeva che anche la Chiesa Romana fosse povera). Ancora nel medioevo da ricordare gli anabattisti (duramente perseguitati anche da Lutero) e per certi versi lo stesso Girolamo Savonarola, nel XVIII secolo la confraternita dei “Custodi del Signore”. Ai giorni nostri, i frati francescani rinnovati rappresentano forse l’ultima roccaforte della povertà evangelica presa alla lettera.
Nel periodo immediatamente precedente il Concilio Vaticano II, la questione della Chiesa “povera” (e non solo “per i poveri”) venne alla ribalta per l’iniziativa eccentrica di alcuni singolari personaggi. Uno era mons. Mercier, vescovo del Sahara, il quale percorse a piedi e vestito da mendicante diverse centinaia di chilometri per arrivare a Roma all’assise conciliare, per testimoniare la sua vicinanza ai poveri. Un altro era padre Gauthier, prete operaio che aveva scelto di vivere in una grotta a Nazareth e attorno al quale si costituirono dei veri e propri gruppi di lavoro extraconciliari che si riuniranno per tutta la durata del Concilio nel collegio Belga, sotto la supervisione del card. Gerler, arcivescovo di Lione, con l’intento dichiarato di stimolare i padri conciliari sul tema dei poveri. Altre personalità autorevolissime come il cardinale belga Léon-Joseph Suenens o il cardinale Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna, avevano lavorato perché una sessione conciliare fosse esplicitamente dedicata al tema della povertà. Lercaro si segnalò per la richiesta, rivolta all’apertura del Concilio, di fare un gesto concreto a favore dei diseredati, chiedendo a tutti i padri di consegnare le croci pettorali per una colletta.
Ma le aspettative di costoro furono tutte deluse. Il discorso sulla povertà venne trattato come un argomento tra i tanti sebbene vada detto che esso continuò a risuonare in molti documenti conciliari (per citare i più importanti passaggi si veda Lumen Gentium n. 8 e n. 42; Gaudium et Spes n. 72; Christus Dominus n. 13; Presbyterorum Ordinis n. 20) e finanche in diversi vibranti interventi in assemblea come quello di mons. Pildain, vescovo delle Canarie, del card. Gracias, arcivescovo di Bombay e soprattutto del vescovo cileno mons. Pinera Carvallo che il 29 novembre 1963 tra lo stupore generale affermava: “Abbandoniamo il nostro modo di vivere da prelati. Viviamo secondo la semplicità evangelica! Senza di ciò, nessuna testimonianza è possibile”. Nessun gesto clamoroso vi fu, nessun documento specifico su “La Chiesa dei poveri” né sulla “Chiesa povera” arrivò; eco di quel dibattito fu però l’istituzione della Commissione Iustitia et Pax, alla fine del Concilio, con il precipuo scopo di interessarsi dei problemi della giustizia sociale. Poco altro in alcune encicliche sociali sulla scorta della Mater et Magistra di Giovanni XXIII del 15 maggio 1961 che affronta la “questione sociale” in termini di discontinuità rispetto al linguaggio del Magistero dell’ultimo secolo (i cui toni saranno in parte ripresi dalla Gaudium et Spes) denunciando aspramente il sistema capitalista (senza per questo inneggiare al comunismo, naturalmente), il profitto per il profitto, dando alla giustizia sociale una dimensione planetaria, laddove tradizionalmente il mondo cattolico aveva pensato alla giustizia e ai poveri in termini privatistici e filantropici.
Mi piace concludere con un passaggio della Gaudium et Spes attualissimo: “Certo le cose terrene e quelle che, nella condizione umana superano questo mondo, sono strettamente unite, e la Chiesa stessa si serve delle cose temporali nella misura che la propria missione lo richiede. Tuttavia essa non pone la sua speranza nei privilegi offertigli dall’autorità civile. Anzi essa, rinunzierà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso potesse far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero altre disposizioni” (GS 76 f). Parole chiarissime ma che, alla luce delle recenti reazioni di Bagnasco & Co., suonano tremendamente beffarde.
* Laureato in Storia, ha compiuti studi di filosofia e teologia. È membro dell’Attivo del Circolo UAAR di Padova.
La posizione della chiesa in merito alla povertà è decisamente schizofrenica: da un lato riconosce al povero una condizione “previlegiata”, di maggiore vicinanza a dio, e pertanto, conseguentemente, dovrebbe adoperarsi per incentivare e diffondere lo stato di povertà, anche se questo può sembrare pazzesco e non avverrà mai. Dall’altro è tenuta a sollevare il povero dalla sua condizione, cioè a privarlo della suo stato previlegiato di prediletto da dio. Praticamente la povertà dovrebbe essere contemporaneamente ricercata e combattuta. Beati i poveri, beato qua, beato là…beato chi ci capisce qualcosa.
“Il primo e più antico considera la povertà una punizione divina: il popolo che viene deportato in esilio, costretto a vivere nell’indigenza e sotto il giogo dell’oppressore, secondo la parola dei profeti, è colpevole agli occhi di Jahve di infedeltà. L’uomo giusto viene invece ricompensato da Dio con lunga vita, beni materiali e salute”
Questo della povertà come punizione divina dovuta alla mancanza di fede, mentre all’uomo giusto è destinata la ricompensa, oltre che spirituale, materiale… non è alla base della dottrina protestante? Che poi, secondo la per altro discussa tesi di Max Weber, sarebbe alla base dello sviluppo capitalistico.
In ogni caso questo della povertà dovuta a colpa del povero – come punizione divina o per ignavia umana – continua ad assere una convinzione sempre molto diffusa anche oggi.
Anche io ho sempre avuto il dubbio -non intendendomi granchè dell’argomento, anzi ringrazio Stefano per l’istruttivo excursus- che il calvinismo sia, almeno su questo tema, una ripresa dell’AT, quasi a negare implicitamente la predicazione di Gesù, che vedeva nel povero invece quello che maggiormente Dio ha a cuore e che diventerà il ‘primo’ nel suo regno.
Magari Stefano, o altri che sono più dentro il tema, ci chiarirà meglio.
Per quello che ho studiato a scuola(abbiamo approfondito molto il tema) il calvinismo come tutte le forme di protestantesimo mette al centro la grazia divina(siamo destinati al Paradiso o all’Inferno e non possiamo farci niente). Essa consiste nella fede, ma per i calvinisti si manifesta in questa vita col successo. Io sapevo così. Se qualcuno ne sa di più, ci faccia sapere!
La teoria della retribuzione è certamente esistita, ma è andata in frantumi dai tempi del libro di Giobbe.
anticamente non c’era l’idea di una vita (e quindi di una eventuale ricompensa “spirituale”) dopo la morte, tutti si giocava in questa vita: buoni premiati con armenti greggi ecc e cattivi puniti con la miseria
poi l’evidenza che non andava così, è stato uno dei motivi che hanno portato alla fede in un’ “altra” vita
“All’illusione di un’altra vita parroco”
“poi l’evidenza che non andava così, è stato uno dei motivi che hanno portato alla fede in un’ “altra” vita”
‘Non evidenza’ che poi è diventata ‘evidenza che non andava così’? Evidenza in base a che cosa? Che dio non premiava i buoni materialmente e i poveri rimanevano poveri, per cui si è puntato sul ‘premio spirituale’? Una fede un tantino interessata, a quanto pare…
alla fede in un’ “altra” vita.
E allora ?
”…poi l’evidenza che non andava così, è stato uno dei motivi che hanno portato alla fede in un’ “altra” vita…”
e oggi, questa ‘evidenza’, induce i derelitti a giocare al Superenalotto…
Quoto entrambi. Approfondiamo…
OK, spiego meglio cosa intendo, sulla base di quel che avevo letto del calvinismo, facendo anche affermazioni tranchant e semplificate per ragioni di tempo e spazio, se sbaglio mi scuso.
Lutero affermò che la salvezza spirituale nasce dalla fede e la fede si ha per predestinazione, ma visto che nessuno può sapere se avrà fede sino all’ultimo giorno della vita, nessuno ha indizi se si potrà salvare, gettando il credente in una condizione drammatica.
Calvino esce da questo dramma affermando che la predestinazione si vede dalle fortune in vita: se riesci nel tuo compito (e di qua l’austerità predicata anche per il ricco da cui si svilupperà il puritanesimo), guadagnando ed avendo una rispettabilità sociale hai buone possibilità di sperare che Dio sia con te.
Beh…a me sembra che, stando al vangelo, dovrebbe essere il povero, l’oppresso e il perseguitato quello che sta a cuore a Dio, dunque, vista anche la retorica cristiana sul valore spirituale della sofferenza, i segni della predestinazione dovrebbero andare esattamente all’opposto, mentre l’idea di Calvino a me pare più legata ad una concezione antico testamentaria, al di là dell’escatologia ebraica a cui si riferisce il Parroco e su cui concordo in parte, nel senso che secondo me anche nell’ottica dell’ebraismo la questione è un po’ più complessa.
Proprio per queste ragioni, a me il calvinismo sembra più un’ideologia di appoggio alla borghesia che stava emergendo e trasformando la società che un ritorno all’evangelismo.
Intanto, buona serata a tutte e tutti!
Batrakos. Effettivamente lo stretto rapporto tra ascesi calvinistica -che concepisce il lavoro come vocazione- e lo spirito della borghesia capitalistica, è stata l’importante intuizione di Max Weber: discussa ma geniale e che ha per la prima volta inquadrato l’attività economica come fatto spirituale e non meccanicamente e solamente originato da condizioni estrinseche. D’altro canto il discorso è antico e nel medioevo, semplificando al massimo, può trovare antecedenti nei laboratori di tessitura degli Umiliati, nati inizialmente da connotazioni di fortissimo pauperismo e poi divenuti una delle maggiori potenze economiche soprattutto nel nord italia.
Quanto a Marullo vorrei spiegasse cosa intende per “patarini”; mi sembra infatti di capire che usi il termine in senso estremamente generico, secondo lo stereotipo inquisitoriale dell’indebita applicazione a chicchessia dell’etichetta “pataro”. Se invece sta parlando del movimento milanese di Arialdo ed Erlembaldo, si deve pensare alla condanna contro simonia e nicolaismo clericali e alla conseguente disputa circa la validità, o meno, dei sacramenti amministrati da sacerdoti indegni; ma la povertà non c’entra niente. Quanto a Valdo/Valdesius/Valdes (Pietro, no, per favore, perché è un appellativo che compare soltanto in letteratura tarda) se è vero che la spogliazione dei propri beni (atto peraltro diffuso) è all’inizio della sua azione, è soprattutto importante l’istanza primaria di un approccio diretto del laico ai testi scritturali, senza l’intermediazione sacerdotale. Per il resto quello che è stato definito come fanatismus paupertatis è elemento talmente diffuso in epoca medievale -e con tali diversi intendimenti, atteggiamenti comportamentali, finalità ed esiti- che non è qui il caso di soffermarci; resta solo, allora come oggi, l’eclatante, inconciliabile diversità tra il “nudus nudum Christum sequi” e la tiara con i tre diademi.
La povertà è la più grande risorsa (finanziaria) della chiesa.
”Beati gli ultimi perché saranno i primi” …e allora, quelli che erano primi e ora sono ultimi scavalcheranno quelli che ora sono primi, e prima erano ultimi? All’infinito?
Si riduce tutto al banale Paradosso di Jordan.
La chiesa ci campa da secoli con queste baggıanate.
Come per chi crede nella reincarnazione: Sei (ri)nato povero? Io non ti aiuto perché in qualche maniera ti sei meritato di essere povero.
Lo stesso discorso per il passo del vangelo del “nato cieco”.
bell articolo. tra l altro sarei interessato ad un tuo parere ( posso darti del tu?). sulla Populorum progressio.
Ti risponderà Marullo. Ma mi diverte ricordare che, all’epoca, fiorirono battute sul latino estremamente maccheronico dell’enciclica, il cui incipit, in latino classico, suonerebbe infatti come “filare, viale dei pioppi”…
Credo però che l’argomento – odioso – non sia tanto la posizione della Chiesa nei confronti dei poveri, quanto l’attività concreta di assistenza che lo Stato Italiano di fatto delega in parte alla Chiesa.
La cosa rilevante, a mio parere, è che l’attività sociale della chiesa segue logiche assistenziali, clientelari e sostanzialmente discriminatorie, oltre ad avvenire a costi esorbitanti con grande dispersione di risorse e senza alcuna trasparenza.
La politica sociale la deve decidere e pagare lo Stato, senza concedere a soggetti estranei un privilegio fiscale in cambio di un -dubbio- favore. Una volta che questo è garantito, per me la Chiesa può avere verso i poveri la posizione che vuole, non importa quanto ipocrita o schizofrenica. Facciano tutta l’assistenza che ritengono opportuna, coi soldi propri.
In realtà l’assistenza ai poveri, più che alla Chiesa, viene delegata al volontariato.
Ci sono organizzazioni laiche o di altre religioni che la esercitano.
E’ vero che a volte tale assistenza segue criteri clientelari e discriminatori, talvolta anche truffaldini, ma dipende dall’etereogeneità delle organizzazioni che la esercitano.
Vicino a casa mia il Centro di Ascolto è pieno di musulmani, che vengono aiutati senza chiedere loro il certificato di battesimo.
la posizione della chiesa è PATERNALISTICA:
beati i poveri…
che vanno soccorsi…
assistiti…
confortati…
MAI ABOLITI!
guai se sparissero… o se smettessero di essere poveri
devono continuare a soffrire, ma colmi della gratitudine per chi li fa soffrire un po’ meno, senza però salvarli dalla loro condizione di inferiorità.
x kundalini444
Analisi veramente pefetta. Concordo al 100 %.
Il concetto che il patrimonio immobiliare della Chiesa debba essere utilizzato per gli indigenti è bello, ma irrazionale.
Avete idea di quanto costi fra manutenzione, ICI e tasse varie?
Ovviamente una parte cospiqua deve essere messa a reddito, ma se vi andate ad informare sui canoni di affitto praticati dai vari Istituti Diocesani per il Sostentamento del Clero, vi accorgerete che la maggior parte sono sensibilmente più bassi di quelli di mercato.
Certo, un fondo che si affaccia su piazza Duomo a Firenze, magari affittato ad un marchio dell’alta moda, giustamente ha prezzi elevati.
Tutti introiti su cui, vi piaccia o no, vengono pagate le tasse.
COSPIQUA???
“Quei tuguri da 600 euro affittati dalla Curia”:
http://bologna.repubblica.it/multimedia/home/23284647
“Tutti introiti su cui, vi piaccia o no, vengono pagate le tasse.”
supponendo per assurdo che questo sia vero, mi spieghi perche’ lo Stato dovrebbe finanziare con 6 miliardi di euro all’anno la Chiesa Cattolica, il più grande immobiliarista sul mercato?
la Chiesa potrebbe benissimo cominciare a vendere un po’ del suo patrimonio immobiliare ogni anno per mantenersi e fare proselitismo
“…nella povertà una condizione quasi privilegiata per potersi affidare a Dio non confidando più nelle proprie certezze materiali…”
è lievemente diverso:
il povero ha imparato a dipendere dagli altri,
e quindi è più facile per lui aprirsi a quell’ “Altro” che è Dio.
Condivido in toto (e anche di più) la nota finale sugli (apparenti) privilegi cui eventualmente rinunciare.
E’ piu’ facile che si lasci abbindolare sull’esistenza di dio, parroco non ne stai azzeccando una oggi, hai iniziato gia’ ha stappare lo spumante di mattina? 😆
Tuttavia essa non pone la sua speranza nei privilegi offertigli dall’autorità civile
Esatto, infatti non ci sono privilegi particolari accordati alla chiesa che non siano accordati ad altre associazioni di tipo diverso.
Vedo che fingi o credi sempre di provenire da un altro pianeta, giuseppe.
sei ridicolo
Mai letto la costituzione, eh? Ignorante!
giuseppe, sai che sono scemenze perché ti ho già scritto che altrimenti nessuno si opporrebbe a proposte di legge che eiliminano i privilegi.
Ma niente, ogni volta nasci ieri. Ma sei una persona o un generatore automatico di luoghi comuni senza senso?
“infatti non ci sono privilegi particolari accordati alla chiesa”
Ah, ah, ah! 😆
La prima barzelletta del 2012!! 😆
“Il Gesù dei vangeli usa parole inequivocabili contro la ricchezza e benedice i poveri considerandoli i veri destinatari del Regno”
Mi meraviglio di lei, signor Marullo Stefano, studioso di teologia e ancora ancorato ad una lettura letterale del Vangelo! Non sarà per caso un fondamentalista, scambiando il Vangelo per il Corano? Lo sa o no che i Vangeli vanno interpretati e che gli interpreti autorizzati direttamente da Dio (o dal Figlio, adesso non ricordo bene), con volontà manifestata direttamente all’apostolo Pietro, è la Chiesa governata dai successori di quest’ultimo?
In ogni caso questi siccessori adesso vivono a Roma, abitando nella sagrestia di una chiesupola intitolata a S. Pietro che sorge in un povero isolato al centro di Roma chiamato Vaticano. Per caso vorrebbe adesso anche che pagassero l’ICI (pardon, IMU)?
“non ci sono privilegi particolari accordati alla chiesa che non siano accordati ad altre associazioni di tipo diverso”
non è vero, ce ne sono invece. L’ora di religione e l’otto per mille sono esempi di tali privilegi.
Ma non è questo il discorso.
Il discorso è che i soldi andrebbero investiti in uno sforzo per ANNULLARE LE DIFFERENZE fra ricchi e poveri, per promuovere l’uguaglianza, non per sfamare all’emergenza i poverissimi senza cambiare la società.
Il modo migliore per aiutare i poveri è cominciare a far pagare i ricchi e i ricchissimi!
Non totalmente fuori tema posso riportare la notizia della “provvidenziale” morte di don Verzè, questa mattina. Sembra che il Padreterno abbia soddisfatto la richiesta cantata a piena voce da Crozza-pseudoRatzinger quache giorno fa.
Solo un anno fa questo prete-pedofilo insieme al suo socio in politica, vantava di poter campare fino a 130 anni.
La provvidenza ha cambiato idea in corso di un anno ,,, Qual piuma al vento, muta d’accento e di pensier ,,, Canteremo con lei per la dipartita di tutti i soci di questo prete per un felice inizio di nuovo anno.
PROSIT !!
” (,,,) vantava di poter campare fino a 130 anni.”
Adesso non cominciamo a far circolare notizie false e tendenziose… Solo fino a 120 anni, non 130!
Ecco un esempio di ‘uso povero dei beni’! Presto verrà beatificato e poi santificato: le referenze, laiche e perfino atee, stanno già fioccando. E sta già prendendo consistenza il sospetto che sia stato ‘aiutato a morire’… e non per eutanasia… per cui il martirio sarà presto ufficializzato. Per i miracoli non c’è problema: vedrete come fioriranno i miscredenti che, essendo apparso loro in sogno don Verzè, si sono convertiti
Beati i poveri perchè saranno i primi nel regno dei cieli (ma non in terra) ….
Va e da tutto ai poveri ….
La Chiesa però si tiene ben stretti i suoi soldi, con tutto quello che ha e che riceve non dovrebbero esserci più poveri, invece i poveri ci sono a causa dei 6.000.000.000 si euro che ogni anno sottrae a famiglie e lavoratori in difficoltà.
Il cattolico medio queste considerazioni le fa ?
Forse si, perché la minotùranza cattolica diventa ogni anno sempre più piccola.
Io la vedo molto più terra terra: la povertà, la miseria ed il disagio sociale sono condizione necessaria per l’esistenza della chiesa che ha come vero obiettivo esattamente il contrario di ciò che ciancia a parole e cioè quello di diffonderle per prosperare, perchè nel fango dello squallore e della miseria i preti-porci ci sguazzano. Anche l’esortazione a fare sempre più figli (sovrappopolando questa terra che tra poco scoppia di gente che deve tirare a sorte per avere un broccolo), la vedo sempre in quell’ottica.
Sentire la chiesa sulle questioni sociali è come dar retta ad un batterio fecale che dice di voler eliminare la cacca… 🙂
Articolo interessante.
persino alla Gregoriana sarebbe stato accettato come compito scritto – valli a capire questi razionalisti a. a. che se ne intendono di teologia più di tanti buoni parroci
“È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel Regno dei Cieli”
Visto come se la passano i gonnelloni, soprattutto Papi, Cardinali e Vescovi, e ciò che delibaratamente, sistematicamente e volutamente NON FANNO per i poveri, direi che le opzioni sono due:
1)Non vogliono entrare nel “regno dei cieli”.
2)Sanno benissimo che non esiste nessun “regno dei cieli” e che una vita “spirituale” dopo la morte terrena, e’ tutta una fuffa inventata ad arte per entrare proprio nel portafoglio dei poveracci che abboccano anche per necessità. Per cui arraffano a piene mani e stipano tutto nelle loro casse in modo brutale ed arrogante. Quel vecchiaccio di Don Verzè spirato ieri, che si divertiva a creare buchi finanziari, ammanchi nel bilancio e archiviare false fatture, ne e’ l’esempio più a portata di mano.
Ovviamente propendo più per la seconda… 😉
Buon 2012 a tutti! 😉
Dite ad un povero: “beato te”, ma non aspettatevi una risposta educata!!! In effetti Gesù ha detto “beati i poveri….”, ma non ha mai detto eliminiamo la povertà, dimostrandosi un populista incoseguente. In effetti la povertà, per la chiesa, è la sua materia prima, non vuole eliminarla, crollerebbe un pilastro del suo potere.
Con ritardo, spero non esiziale, provo a rispondere a qualche sollecitazione pervenuta.
Accetto di buon grado i rilievi che mi muove Hexengut, il quale peraltro ha risposto esaustivamente su Max Weber. In effetti l’appellativo Pietro è tardo, sarebbe da preferire Valdès. Anche il termine “patarino” fu genericamente usato dai suoi detrattori. La suddivisione tra “Catari” e “Albigesi” o “Patari” ha più una connotazione territoriale che non dottrinale. L’elemento pauperistico che li accomuna ai citati valdesi (che ricordiamo sono i “Poveri di Lione” e professavano celibato e povertà) è presente nel movimento milanese guidato dal diacono Arialdo e da Anselmo, che contrapponeva il “basso” clero all’alto clero opulento e simoniaco, e che professava un comunitarismo tra laici e chierici dove la proprietà personale era bandita.
Nei commenti si fa riferimento alla predestinazione come elemento tipico del calvinismo. Premesso che il tema è molto presente anche in Agostino e in ambienti benedettini del IX secolo, Calvino non è certo l’unico a parlarne (tra i riformatori andrebbero ricordati Zwingli, Wycliffe e Hus che ne riprendono la dottrina direttamente dal Nuovo Testamento e segnatamente da Paolo). E anche su questo ci sarebbe molto da dire; in realtà in Calvino il concetto di predestinazione si giustifica unicamente come postulato per negare che l’uomo possa cooperare alla propria salvezza; anche Agostino sviluppa la questione in risposta a Pelagio, per sottolineare la gratuità della salvezza.
Quanto alla “Populorum progressio”, mi si chiede un parere, si tratta certamente di un’enciclica importante e molto variegata che riprende molti temi della Gaudium et spes (in particolare sulla proprietà privata, l’universale destinazione dei beni terreni ecc.) e ne affronta di inediti (la legittimità dell’insurrezione rivoluzionaria, per tutti). La questione della povertà è affrontata su scala planetaria e su un piano più politico che sociologico. La sua importanza sta soprattutto nel superamento del concetto di “sviluppismo” in voga nel decennio tra il 1950 e il 1960 che considerava il sottosviluppo come ritardo unicamente tecnico e non politico, e vedeva in un riformismo morbido la via per superare il gap tra paesi ricchi e paesi emergenti. Ad ogni modo il grande limite delle encicliche “sociali” (compresa la Populorum Progressio) sta a mio parere nell’essere ascritte nelle grandi petizioni di principio. Il Vaticano poi si è sempre comportato come Stato tra gli Stati intessendo rapporti politico-economici con chiunque in base a principi meramente utilitaristici (i moderni concordati non guardarono mai il colore politico di chi c’era dall’altra parte). Un approccio totalmente diverso quello dei teologi delle liberazione che arrivano alla “teorizzazione” del loro approccio sul campo come momento successivo al loro impegno: non la teoria che imposta una prassi, ma la prassi che informa la teoria.
Divertente e corrosivo il buon Gualerzi.