Anche in questo è, per ora, soltanto un gruppo Facebook. Gli atei indonesiani stanno tuttavia cominciando a radunarsi: anzi, stanno costruendo pure un network con quelli che vivono in Malaysia, Filippine e Singapore. Al fenomeno ha dedicato un articolo il Jakarta Globe, che ha intervistato il promotore.
Atei online anche in Indonesia
16 commenti
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Che stiano attenti. Da quelle parti la sharia è inflessibile. E non perdona.
@Antonio
Invidia e nostalgia eh?
Parafrasando i film western di Sergio Leone “Dio perdona il clero no” tanto per far capire come i tre grandi monoteismi siano intrisi di amore e tolleranza che a parole tanto predicano……. 🙁
La sharia credo sia in vigore solo nell’Aceh.
Da una parte è triste dove formare associazioni come l’UAAR per difendere un diritto così basilare, elementare. D’altra parte mi riempie di gioia che il mondo si renda conto piano piano che il diritto alla laicità forma parte fondamentale della libertà umana.
Scusate la fretta: è parte fondamentale – dover formare
Se guardi la storia dell’umanità, la maggior parte di lotte non le avremo dovute fare visto che le rivoluzioni che tanto sangue e dolore sono costate, sono avvenute per avere dei semplici diritti. Assurdo se ci pensiamo bene; assurdo quanto reale.
Speriamo bene per loro, ho letto che in Indonesia recentemente la polizia ha avviato un programma per costringere i punk a rivestirsi ed andare in moschea a pregare.
La notizia era uscita anche qui su Ultimissime… 🙁
ora che hanno tutta questa visibilità sarà più difficile giustiziarli!!
Da: http://it.wikipedia.org/wiki/Indonesia#Religione
“Anche se non è uno Stato islamico, l’Indonesia è il più popoloso paese a maggioranza musulmana del mondo, con quasi l’86,1% della popolazione di fede musulmana secondo il censimento del 2000. Il 5,7% della popolazione è protestante, il 3% cattolico, il 1,8% indù, e il 3,4% altro[39]. Il governo riconosce ufficialmente sei religioni (l’Islam, il protestantesimo, il cattolicesimo romano, l’induismo, il buddhismo e il confucianesimo), ma la libertà religiosa è prevista dalla costituzione indonesiana ed i rapporti tra le comunità religiose sono in genere molto pacifici. Solo negli ultimi anni si è verificata l’insorgenza di forme di fondamentalismo islamico, che, sebbene minoritarie, preoccupano le minoranze religiose per la loro capacità di influire sulle politiche governative[40].
La maggior parte degli indù sono balinesi, e la maggior parte dei buddhisti sono di etnia cinese. Sebbene rappresentino oramai solo delle religioni minoritarie, l’induismo e il buddhismo hanno dato un’importante influenza nella cultura indonesiana. L’Islam venne adottato per la prima volta nel nord dell’isola di Sumatra nel XIII secolo, attraverso l’influenza dei commerci, e divenne la religione dominante del paese nel XVI secolo. La Chiesa cattolica venne introdotta dai colonizzatori e dai missionari portoghesi, e il protestantesimo durante il periodo coloniale olandese (calvinismo e chiesa luterana). Una grande percentuale di cittadini indonesiani pratica una forma meno ortodossa della propria religione, che si basa sui costumi e credenze locali.”
Peraltro, è estremamente interesante questo articolo: http://www.ilgrandecolibri.com/2011/11/tradizioni-di-tolleranza-in-indonesia.html
in cui si dice tra l’altro:
“(…) In un intrico umano come questo le contraddizioni non possono che essere la norma, ma è anche vero che l’Indonesia è a un bivio: largamente secolarizzata, la nazione sud-asiatica deve scegliere se percorrere la strada della laicità fino in fondo o se fare marcia indietro e diventare un paese conservatore, guardiano di quella idea di “tradizione” propagandata dagli integralisti religiosi che, paradossalmente, rischia di spazzare via la “tradizione” vissuta da generazioni di indonesiani e giudicata con scandalo dai colonizzatori olandesi: l’accoglienza della diversità sessuale nell’arcipelago, infatti, ha una storia che si perde nella notte dei tempi, come le cerimonie dei gemblak, giovanissimi danzatori legati da un rapporto pederastico con i warok, guide carismatiche dei villaggi (leggi).
Gli anni del regime di Suharto (wiki), generale che prese il potere nel 1965 per imporre modernità e repressione, furono molto duri per le persone LGBTQ*, ma la sua caduta nel 1998 non ha risolto tutti i problemi: se da una parte la comunità queer ha potuto finalmente organizzarsi con maggiore libertà, dall’altra le battaglie moralizzatrici delle forze conservatrici hanno sostituito nella retorica la guerra al comunismo (uno o due milioni di oppositori uccisi, con la benedizione dell’Occidente) di Suharto. La crisi economica del 1997-98, da cui l’Indonesia non si mai completamente ripresa, ha reso più facile il compito di chi ha individuato nell’immoralità sessuale uno dei capri espiatori principali dietro al quale nascondere l’altissima corruzione della classe dirigente.
Non è un caso, allora, se i primi gravi incidenti si siano verificati subito dopo la caduta del presidente-dittatore: dal 1999 non sono rari i congressi di associazioni LGBTQ* annullati o vietati dalle autorità per le minacce dell’FDI o di altri gruppi fondamentalisti. Nel marzo 2010, ad esempio, è stata annullata la conferenza asiatica di ILGA (International LGBTI Association) che si doveva tenere in un hotel di Surabaya (Giava orientale) (leggi): decine di teppisti hanno comunque fatto irruzione nell’albergo per accertarsi che nessuno dei 150 attivisti previsti fosse presente. Questi assalti sono stati condannati con forza da molti, dai partiti di opposizione alle associazioni femministe, passando per gli studenti musulmani, ma il governo rimane generalmente indifferente e silente.
(…)”.
Non credo opportuno occupare qui lo spazio per copincollare l’intero articolo, che vi prego quindi di leggere al link riportato sopra.
Che le dittature filoccidentali del terzo mondo ricorrano all’oppressione religiosa e al terrorismo etnico non è una novità.
Certo che non lo è, purtroppo.
Ocio , chè a Timor est raggolgono ancora cape mozze, per non parlare dei pogrom anticomunisti degli anni 60.
… comunque personalmente internet e il sito dell’uaar sono stati fondamentali anni fa, per approfondire l’ateismo e soprattutto per essere consapevole che non siamo affatto in pochi in questa triste nazione.
E’ un piccolo passo ma sono contento per gli atei indonesiani
A proposito, che fine ha fatto quell’italiano imprigionato a Sumatra?