Girardi, anacronismo e profezia di un uomo libero

Stefano Marullo*

Fotina Marullo 2

Giulio Girardi se n’è andato. Mi piace pensare che al suo funerale, qualche giorno fa, non ci sia stata la presenza di alcun cardinale o vescovo. Sarebbe stato un vilipendio postumo alla memoria. Ma che ad accompagnarlo nell’ultimo saluto ci fosse la sua Chiesa, quella di Base, delle periferie, della gente comune. D’altronde Girardi era uno di loro da quando, molti anni fa, era stato ridotto allo stato laicale. Per un caso, nel volgere di pochi anni, sono scomparsi tre tra i nomi più rappresentativi di quella corrente della teologia della liberazione che Juan Carlos Scannone chiamava teologia a partire dalla prassi dei gruppi rivoluzionari, considerata la più estrema, e che tra i suoi ideologi annoverava per l’appunto Giulio Girardi, Hugo Assmann e José Comblin, che reagendo al tentativo di spiritualizzazione del termine liberazione, aveva adottato l’analisi marxista e il materialismo storico per studiare la realtà senza arrivare ad accettarne i presupposti filosofici.

Elitarista, politicizzata, spesso ha fatto da sponda all’azione di gruppi impegnati nell’azione rivoluzionaria (non necessariamente violenti), questa corrente ha avuto il pregio della transconfessionalità ma è stata la più combattuta e fraintesa. L’Istruzione Libertatis Nuntius della Congregazione per la Dottrina della Fede, dalle sue prime righe, lancerà i suoi strali segnatamente contro di essa: Etenim, istantibus quaestionibus, nonnulli velint ex una dumtaxat parte efferre liberationem a servitute ordinis terrestris ac temporalis, ita nempe ut liberationem a peccato in secundum locum reicere videantur neque propterea tribuere ei re vera primarium momentum quod eius est proprium (“In realtà, di fronte all’urgenza dei problemi, alcuni sono tentati di porre l’accento in maniera unilaterale sulla liberazione dalle schiavitù di ordine terrestre e temporale, per cui sembrano far passare in secondo piano la liberazione dal peccato, e così non attribuirle più, praticamente, l’importanza primaria che invece ha”).

Girardi, filosofo oltre che teologo, ha avuto il merito di avere richiamato i punti essenziali di un dialogo, ritenuto impossibile, tra cristianesimo e marxismo. La filosofia del marxismo ha sempre avuto un connaturale riverbero sulla prassi rifuggendo dalla pura attività speculativa.  Hegel e Feuerbach  si erano accontentati di superare le contraddizioni e le alienazioni sul piano teorico senza preoccuparsi delle lacerazioni presenti nella realtà. Marx non contempla l’universo ma vuole trasformare la storia. Per Girardi il marxismo è un umanesimo poiché riconosce, kantianamente, l’uomo come fine e ne rifiuta ogni asservimento, ogni strumentalizzazione a merce. L’uomo nel marxismo non è un individuo isolato; il destino dell’uomo è solidale con quello della comunità umana. Anche la distinzione in classi antagoniste è un fenomeno provvisorio e pertanto il proletariato, benché sia classe, ha in sé la missione universale di arrivare ad una società senza classi di uomini liberi ed uguali. In questo senso il marxismo rivela un carattere fortemente escatologico sia pur in prospettiva terrena. Ed è umanesimo rivoluzionario, laddove la Rivoluzione è mutazione qualitativa non necessariamente violenta se non come ultima istanza. In questo, secondo Girardi, la dialettica marxiana rovescia radicalmente quella hegeliana e guarda la storia dal punto di vista degli oppressi.

Se si accetta questa rappresentazione appare difficile negare quanto il marxismo possa intrecciarsi con l’autentico spirito evangelico. Ovvie le probabili obiezioni: come conciliare la critica marxista alla religione, la fraternità cristiana e lotta di classe? Alla prima domanda Girardi risponde considerando che tale critica non viene condotta in nome dell’immoralità e contro le catene della morale, ma anzi in nome della moralità laddove, storicamente, molte immoralità sono state giustificate in nome della religione. Quanto alla seconda obiezione, Girardi riprende quando ha scritto Gustavo Gutiérrez: “Chi parla di lotta di classe non la propugna, come si ode spesso dire. Paradossalmente, quello che i gruppi dominanti chiamano propugnare la lotta di classe, è, in realtà, l’espressione della volontà di abolire le cause che la scatenano. Amare gli uomini non vuol dire evitare urti e tensioni, non significa conservare una fittizia armonia. Amore universale è quello che, in solidarietà con gli oppressi, cerca pure di liberare gli oppressori dal loro stesso potere. Amare i nemici suppone che si riconosca e si accetti di avere dei nemici e di doverli combattere”. Non a caso Girardi, in uno dei suoi ultimi libri, “Il Che visto da un cristiano”, intravede finanche nella lotta armata di Ernesto Guevara, un atto di amore per l’umanità. Lo stesso si potrebbe dire di Camilo Torres o Domingo Lain, due preti colombiani che sceglieranno la guerriglia proclamando la loro fedeltà al vangelo.

A quanti gridassero allo scandalo riguardo al confronto anche solo teorico tra marxismo e cristianesimo, andrebbe peraltro ricordato che cristiani e marxisti hanno fattivamente collaborato durante il governo di Salvator Allende (1970 – 1973) in Cile, in seno al Fronte Popolare e in altre realtà attraverso il movimento “Cristiani per il Socialismo” (di cui Girardi è stato uno dei fondatori) e tale confluenza troverà naturale compimento nel trionfo della prima rivoluzione sandinista del 1979 in Nicaragua. Ma nessun teologo della liberazione ha mai pensato di diventare marxista, meno che mai Giulio Girardi. Il marxismo è stato per essi uno strumento metodologico. Un marxismo, peraltro, di derivazione europea e segnatamente di scuola francese (in particolare Althusser, teorico della distinzione tra ideologia e scienza, e non a caso molti di questi teologi, tra cui Comblin, Segundo, Gutiérrez, Dussel, studieranno in Francia e in Belgio: lo stesso Girardi si trasferirà a Parigi per insegnare alla Sorbona), ma un marxismo che ammicca anche alla critica sociale portata avanti dalla Scuola di Francoforte. E in fondo le analisi girardiane non si discostano molto da quanti, partendo da impostazioni ideologiche opposte, come il filosofo marxista Garaudy, arrivano alle stesse conclusioni.

Sarebbe superfluo ricordare le epurazioni, gli ostracismi, le vessazioni a cui Girardi è stato sottoposto per avere sostenuto le sue idee: fatto dimettere dalla congregazione salesiana, scacciato da tutte le università cattoliche, sospeso a divinis, non volle mai abiurare e continuò il suo impegno in America Latina (oltre che in Nicaragua, anche in Messico a fianco degli zapatisti) e come membro del Tribunale Russell, ma anche in Italia a fianco di quanti si battevano per i diritti degli operai. Negli ultimi anni volle entrare a far parte del movimento Noi siamo Chiesa, e uno dei suoi ultimi discussi appelli pubblici fu quando firmò un documento, con un gruppo di teologi, contro la canonizzazione di Giovanni Paolo II.

Se ne va con Girardi un pezzo di quell’altrachiesa rimasta nelle catacombe, erede delle istanze di riforma del Vaticano II (al quale Girardi partecipò come consulente) destinate a rimanere, negli anni del post concilio, lettera morta, e che come ultimo fremito hanno avuto la breve primavera della teologia della liberazione, debitamente ignorata prima e soffocata poi dalle gerarchie ecclesiastiche.

Vengono alla mente le parole di Alberto Moravia pronunciate all’indomani della morte di Pier Paolo Pasolini: “Abbiamo perso prima di tutto un poeta, e di poeti non ce ne sono tantissimi… ne nascono tre o quattro soltanto dentro un secolo”. Con Girardi abbiamo perso un teologo della liberazione che non si occupava dell’anima e del suo destino ma aveva concepito la teologia come impegno politico ed etico; e in Italia non ce ne sono tantissimi. Il pensiero rimane, per dirla con Martino Rizzotti fondatore dell’UAAR (di cui tra pochi giorni come Circolo di Padova commemoreremo il decennale della scomparsa), e questo vale tanto più per intellettuali onesti come Giulio Girardi. Il cui pensiero, al momento, dubito potrà scalfire neanche di poco l’asfittico pontificato di Joseph Ratzinger che ha irrimediabilmente perso l’appuntamento con la modernità.

* Laureato in Storia, ha compiuti studi di filosofia e teologia. È membro dell’Attivo del Circolo UAAR di Padova.

NB: le opinioni espresse in questa sezione non riflettono necessariamente le posizioni dell’associazione.
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27 commenti

Federico Tonizzo

“Amore universale è quello che, in solidarietà con gli oppressi, cerca pure di LIBERARE GLI OPPRESSORI DAL LORO STESO POTERE”.
Interessantissimo concetto!

Il “potere”, una volta “conquistato”, di fatto “conquista” il soggetto, lo rende dipendente da sè (cioè dal potere) e lo fa sentire onnipotente: in una parola lo fa AMMALARE psichicamente.

Pressochè tutti i nostri politici e chierici sono ammalati di questa PATOLOGIA. Un’eccezione potrebbe essere stato – forse – Giovanni Paolo I° (che, probabilmente non a caso, durò poco…).

Florenskij

@ F. Tonizzo. Allarghi il “forse” in formato cinemascope. Albino Luciani era un prete evangelico ma del tutto “inquadrato”, come moltissimi altri che non hanno goduto dello strombettamento interessato dei massmedia “progressisti” ( butto lì un solo nome: il piccolo – di statura – ma spiritualmente e moralmente grande uomo don Luigi Orione ). Si espose con coraggio durante la guerra fra partigiani e Tedeschi salvando la vita a più di una persona, e da vescovo di Vittorio Veneto non esitò a vendere beni della diocersi a” a rotta di collo” per rifondere senza averne l’obbligo quanti erano stati truffati non da lui ma dal “banchiere di Dio” Giambattista Giuffrè; però fu estremamente drastico nei confronti di una parrocchia “ribelle”e nel 1973 sciolse la FUCI ( Federazione Universitari Cattolici ) di Venezia per aver rifiutato di partecipare alla battaglia antidivorzista. Un prete progressista, allora impegnato fra i giovani, ha dichiarato in TV che da allora “il gelo scese” sul cattolicesimo veneziano ( tutto da discutere ). Luciani si guadagnò anche le messe in guardia di Adriana Zarri, teologa ( forse autonominatasi tale ), usa a pubblicare su giornali di sinistra commenti “profetici” di un’acidità perforante che per me non è affatto nello stile cattolico.

stefano marullo

@ Florenskij

scrive “Adriana Zarri, teologa (forse autonominatasi tale)”. Si sbaglia, la Zarri (che ho avuto il piacere di conoscere, persona umilissima e molto preparata) era membro dell’Associazione teologi italiani e ha curato diverse voci del Dizionario Enciclopedico di Teologia Morale. Non le mandava a dire a papi e cardinali, ovvio che non piacesse alle gerarchie.

Federico Tonizzo

@ Florenskij
Quindi consideri anche Luciani come “ammalato di potere”, od ho capito male?

bruno gualerzi

“La filosofia del marxismo ha sempre avuto un connaturale riverbero sulla prassi rifuggendo dalla pura attività speculativa. Hegel e Feuerbach si erano accontentati di superare le contraddizioni e le alienazioni sul piano teorico senza preoccuparsi delle lacerazioni presenti nella realtà. Marx non contempla l’universo ma vuole trasformare la storia.”

Secondo una ben radicata tradizione, per altro puntualmente riproposta nei manuali di filosofia, Marx avrebbe ‘riportato l’hegelismo – cioè poi, per quei tempi, la filosofia – coi piedi per terra’ e radicato nella storia il materialismo, ancora ‘metafisico’, di Feuerbach. Grossa questione, anche se da tempo passata di moda… il che non significa molto (solo un ossequio alla moda, appunto), e bene ha fatto Stefano a ricordare una di quelle figure straordinarie di religiosi che hanno tentato di coniugare marxismo e cristianesimo nella teologia della liberazione: un tema, esposto così o in altro modo, che credo debba sempre interessare un pensiero informato all’ateismo. Ma la mia riflessione. più che direttamente rivolta alla teologia della liberazione di cui tratta opportunamente Marullo, riguarda proprio il rapporto Feuerbach-Marx. Non tanto per farlo oggetto di una qualche analisi storica (che non sarei certo in grado di fare), ma per confrontare i due ‘ateismi’ che, giustamente o meno, vengono loro attribuiti: un ateismo/matrialismo ‘metafisico’ quello di Feuerbach, ed un ateismo/materialismo ‘storico’, quello di Marx, dove Feuerbach dalla vulgata marxiana viene considerato solo un anticipatore, ancorchè fondamentale, di un npensiero filosofico che troverebbe poi la sua giusta collocazione, dietro correzione, nel marxismo.
La mia opinione, che qui enuncio più che altro come spunto di riflessione – e un pò anche come provocazione – consiste in estrema sintesi in questo (per altro in varie forme più volte da me qui proposta): in una prospettiva di pensiero ateo, prendendo come elemento fondante di ogni ateismo il concetto di alienazione, ritengo che l’alienazione del lavoro – cioè dell’uomo in relazione al modo con cui realizza storicamente, concretamente, la propria umanità – che sta alla base del pensiero di Marx, sia da considerare un’alienazione, per così dire, di secondo grado, effetto, e non causa, di un’alienazione primaria che è l’alienazione religiosa. Alienazione religiosa che è centrale nell’umanesimo di Feuerbach, e che è dovuta per lui ad una condizione umana caratterizzata dal bisogno cui la religione ritiene di far fronte proiettando l’uomo ‘aldilà’, per così dire, della sua umanità. Alienazione che Feuerbach ritiene di poter riassorbire rovesciando il rapporto dio-uomo, secondo il principio (in questo blog pure da me continuamente ripreso) che non è dio che ha creato l’uomo, ma viceversa. Con tutto qulel che ne consegue… e che toglierebbe l’indubbia connotazione metafisica, teologica, che avrebbe ancora nel pensiero di Feuerbach, alla condizione che ‘dio’ non significasse solo il dio delle religioni, ma tutto ciò che opera nella psiche umana allo stesso modo, o comunque in modo analogo, con cui opera il dio (o gli dei) delle religioni. Per cui, ad esempio… non certo per colpa di Marx, che ha magistralmente trattato dell’alienazione ideologica, ma sì di certo marxismo… lo stesso materialismo storico è stato spesso vissuto ‘ideologicamente’, cioè religiosamente. Con le conseguenze storiche che tutti abbiamo potuto verificare.

stefano marullo

Grazie Bruno per le opportune “integrazioni”. E mi scuso con te (qui sono OT) perchè avevo cominciato a scrivere qualcosa sul tema del “commiato” e poi ho voluto dare priorità al tributo a Girardi. Le mie “meditazioni crepuscolari” slittano alla prossima volta

stefano marullo

Grazie Bruno per le opportune “integrazioni”. E mi scuso con te (qui sono OT) perchè avevo cominciato a scrivere qualcosa sul tema del “commiato” e poi ho voluto dare priorità al tributo a Girardi. Le mie “meditazioni crepuscolari” slittano alla prossima volta

bruno gualerzi

Non stai esagerando con le ‘scuse’? (^_^)
Buona domenica.

Batrakos

La questione è molto complessa, nel senso che bisogna domandarsi se l’alienazione religiosa nasce davvero come introiettamento della religione stessa o come ossequio verso una figura sociale spesso dominante in molti culti quale è il religioso, cioè colui che dice di avere un rapporto in qualche modo privilegiato col divino.
Ovvero, il religioso ha forte potere sociale per la conquista delle menti oppure conquista le menti perchè ha forte potere sociale?
Nel primo caso l’alienazione sarebbe di tipo feuerbachiano, nel secondo caso di tipo marxiano perchè l’adesione alla religione sarebbe in qualche modo un’adesione alla gerarchia conseguente all’alienazione sociale.
Va aggiunto che i sistemi religiosi presentano elementi mutuati dalla struttura sociale (il dio-monarca, le schiere angeliche, il precursore del messia), così come ha ancora validità l’idea, tipicamente marxiana, che la religione sia una risposta alienata davanti ad un’esigenza reale: quella della giustizia.
D’altro verso si può però vedere che, come direbbe Feuerbach, senza l’alienazione del sè in Dio, i preti delle varie religioni non avrebbero la stessa forza ideologica.
In sintesi io credo che oggi non ci sia bisogno di vedere i due sistemi, quelli di Feuerbach e Marx, in contrasto ma credo che possano essere complementari e spiegare i due livelli, che possono essere perfettamente coesistenti e che sono in rapporto dialettico e non di puro e semplice causa-effetto (come Marx sosteneva che fossero struttura e sovrastruttura), dell’alienazione.

Poi esistono preti come questi che coniugano spiritualità e lotta sociale, e per me sono tipicamente marxisti, perchè ogni marxista moderno dovrebbe sapere che il marxismo è uno strumento di analisi e trasformazione della realtà e non, come avrebbe voluto più Engels che Marx, un sistema metafisico, cioè, il materialismo storico non deve necessariamente appoggiarsi al sistema metafisico del materialismo dialettico.
E gli eventi ci mostrano che quando i preti sono scomodi davvero la gerarchia non ci pensa due volte a buttarli fuori…ma questo, con tutto l’affetto umano per loro, è un problema che gente come Gallo o Zanotelli dovrebbero un attimo porsi rispetto alla loro condotta di ‘preti-contro’ ma che nessuno ha ancora espulso, a differenza di un Boff, di un Girardi e degli altri che cita Marullo, e di tanti altri…

bruno gualerzi

@ Batrakos
Sostanzialmente d’accordo.
Se ho parlato di alienazione primaria e di secondo grado, l’una causa e l’altra effetto… intanto è stato solo per rovesciare un radicato luogo comune filosofico (‘luogo comune’ che considero tale in quanto quasi sempre presente nei manuali, nei ‘vademecum’ scolastici)… ma soprattutto per considerare i veri e propri disastri provocati dal non dare il dovuto peso all’elemento religioso che è alla base in ogni tipo di alienazione… e che porta poi a non rendersi conto della deriva metafisica in cui anche la teoria più ‘materialista’ può sempre precipitare.
In realtà, come ben argomenti, non si tratta tanto di un rapporto causa-effetto, ma di uno scambio continuo di ruoli tra la causa e l’effetto, per cui in sostanza non ha più senso proprio parlare di causa e di effetto. Personalmente definisco questo rapporto come ‘circolo vizioso’ (è in corso di stampa un testo in cui espongo la ‘mia’ filosofia basata fondamentalmente su questa nozione di circolo vizioso)… ma rende benissimo l’idea anche parlare, come hai fatto, di rapporto dialettico.

Già che ci sono, ne approfitto anche per dichiararmi d’accordo con te in merito alla tua risposta al commento di Bismark.

Bismarck

Forse sono stato troppo brutale nella mia analisi scartando a priori il lavoro di Girardi ma penso anche che abbiamo già pagato troppo alla superstizione. In ogni caso penso che abbiate capito il mio punto di vista, che nulla toglie agli altri e al ricordo di Marullo sia chiaro. Un ottimo saggio che in ogni caso ci spiega le dinamiche della parte avversa.

stefano marullo

Bismarck comprendo perfettamente il tuo punto di vista e ho messo in conto le eventuali critiche ad un articolo come questo. Penso puoi convenire però sul fatto che si può partire da presupposti errati o magari senza senso per noi (Dio è amore, la storia ha un senso e un compimento) per arrivare a conclusioni condivisibili (ogni uomo è libero, tutti gli uomini hanno uguali diritti). Vero anche il contrario. Presupposti idealmente giusti (la liberazione dall’oppressione) che arrivano a conclusioni aberranti (il terrorismo stragista). Camus ha scritto cose egregie (I giusti) su questa tematica. Poco importa essere preti o laici, atei o buddisti, se si è dalla parte del buon senso. Girardi era un uomo libero prima di essere (accidentalmente) prete

Bismarck

@ Marullo

Convengo certamente. Ma penso purtroppo che una battaglia anche buona come quella condotta da Girardi all’interno della ccar sia irrimediabilmente condotta alla sconfitta, la storia è li a dimostrarcelo. Non è stato il primo, ne l’unico ne forse l’ultimo, ma in ogni caso, Ratzinger e Ottaviani docet, la strada è sbarrata.

Bismarck

Voglio rompere il paniere di questa sviolinata buonista nei confronti di un prete, che alla fine è sempre rimasto prete nel suo inconscio.
Senza scomodare la filosofia degli ultimi 3/4 secoli c’è da chiederesi se solo analizzando la storia della ccar degli ultimi 17 secoli, questo prete Girardi, non si sia reso conto che l’istituzione di cui ha fatto parte e che l’ha “perseguitato” negli ultimi 40 anni è irreformabile. Ma dico, sarà dal fallimento totale e senza appello di San Francesco e suoi compari (compreso il lupo di Gubbio che forse sarà lo stesso di Cappuccetto Rosso), Lutero e compagnia cantante che qualsiasi tipo di riforma non è mai stata fatta passare all’interno della sposa dell’amichetto immaginario.
Figuriamoci se la ccar di oggi (socia di Calvi, Sindona e Nogara) accettava le sue analisi e si metteva ad aiutare i poveri nella loro miseria.
Cose da pazzi.
I preti sono e rimarranno dei preti. Persone, di qualsiasi tendenza siano, di cui è sempre bene diffidare.
Capisco il saggio di Marullo che vuole ben spiegare le posizioni di Girardi e il suo, mi si lasci l’espressione spicciola, progressismo, ma credo che qui il problema, il macigno insormontabile, fin’ora, è la ccar come istituzione.
Istituzione che nel tempo ha fatto quello che ha fatto e si è ben avvolta nelle comperte del potere da cui non sembra in ogni caso volersene disfare.
Questa analisi che credo sia nei fatti la base, a mio avviso imprescindibile, da cui partire e da cui giudicare chi fa parte comunque e sempre, nonostante quello che ha personalmente passato, della ccar.
In fin dei conti nella chiesa non vige la comunione dei santi, non è corpo mistico? Allora Girardi è moralmente, filosoficamente, religiosamente e materialmente responsabile della ccar come Marcinkus, i vari papi pii, i Borgia ( che forse non erano nemmeno i peggiori), i vari papi eletti a 10/12 anni d’età anagrafica (già da questi si capisce quanto ci sia di vero nella successione apostolica tanto per fare esempi), ecc.
Che si sia accodato agli sviluppi della filosofia degli ultimi 3/4 secoli da posizioni religiose non cambia il fatto che era comunque un compare della banda e che lavorava in ogni caso per darle legittimità anche in futuro il che lo rende automaticamente inutile al progresso della civiltà.
A meno che qualcuno non ritenga ancora utile una filosofia che trovi ancoraggio in miti e leggende che abbiamo già visto cosa hanno prodotto nel mondo.

Batrakos

Dipende tutto da che prospettiva si guarda, almeno secondo me.
Se si sta alla laicità in senso assoluto e astratto hai ragione.
La domanda a questo punto è: ha senso concepire la laicità come qualcosa di assoluto e astratto dai processi storici? Per me no, perchè si cadrebbe nell’idealismo.
E persone che si battono per la giustizia sociale al punto da essere sbattuti fuori dalla Chiesa (cosa non di poco conto e che supera dunque i preti-progressisiti di oggi) sono utili, anche solo come esempi, per il miglioramento della giustizia sociale che per me, se si pensa ad una società il più equa possibile, è assolutamente inscindibile dalla laicità, perchè di un sistema laico ma totalmente disinteressato alla questione sociale personalmente non saprei che fare.
Almeno secondo me, ma, appunto, è questione di punti di vista e delle questioni su cui si focalizza l’attenzione.

Bismarck

Il mio discorso parte dal fatto che la ccar ha avuto ampie possibilità di cambiare in questi 17 secoli e non l’ha fatto. Anche la storia varrà pur qualcosa. Per citare frasi fatte, magari banali, ma fino ad un certo punto, il lupo perde il pelo ma non il vizio e per la ccar questo è senz’altro vero.
Non penso che si possa negare.
Ho citato San Francesco perchè sul punto era un protoprogressista (anche se la sua figura è stata ampiamente e in maniera interessata sviluppata per darne un’immagine che molto probabilmente non rappresentava la sua vita, ma questo è normale – si vedano i video su youtube dell’uaar sulla sua figura e meglio ancora sarebbe leggere il libro di Andrea Armati Le stimmate dello sciamano) da cui ne scaturisce una condotta (ordine dei cappuccini) che alla fine sposa il potere in maniera piena e del messaggio, non iniziale, ma elaborato nel tempo, non rimane che appunto solo l’idea. Alla fine la ccar utilizza della sua storia solo quello che gli comoda e, credo, alla fine anche questo Girardi verrà rimesso nel circuito a suo vantaggio.

bruno gualerzi

@ Bismark
“Alla fine la ccar utilizza della sua storia solo quello che gli comoda e, credo, alla fine anche questo Girardi verrà rimesso nel circuito a suo vantaggio.”

E’ sicuramente vero quanto affermi, ma proprio per questo simili figure non debbono essere abbandonate al destino che prima o poi spetta loro, e in ogni caso aiutano a pore in evidenza quanto sia strumentale da parte della chiesa il rifarsi a quel messaggio evangelico di cui si autodefinisce l’unica interprete autorizzata. Poi, su un altro piano, si potranno porre in evidenza anche le contraddizioni cui, da un punto di vista ateo, vanno incontro questi oppositori interni (spesso però diventati anche formalmente ‘esterni’, considerati eretici) dell’istituzione chiesa… ma non si può riconoscere impunemente ai vari Celentano il ruolo di opposizione interna! Del resto anche Giordano Bruno e Galileo – solo per citare i più universalmente noti – erano, per così dire, ‘oppositori interni’, ma per quanti sforzi faccia (siprattuto con Galileo) restano pur sempre figure da cui la chiesa difficilmente potrà ‘trovare vantaggio’.

In quanto a san Francesco, si tratta di un personaggio ormai irrimediabilmente mitizzato, e quando una figura storica… e tanto più quanto più lontana nel tempo… subisce un processo di mitizzazione, negativa o positiva che sia (in parte ineliminabile, ma non oltre certi limiti), diventa poi difficile – a mio parere impossibile – recuperarne l’autentica dimensione storica. Meglio puntare direttamente a ciò che il mito ha comunque prodotto, perchè è questo che poi ha inciso veramente nelle vicende storiche. Questo per me vale anche, e ovviamente soprattutto, per Gesù di Nazareth.

Bismarck

Eh eh, se dobbiamo misurare la opposizione interna tra un Girardi ed un Celentano non ne esce di certo bene il molleggiato.
In ogni caso purtroppo per me è difficile cambiare idea sull’impostazione che ho dato al mio discorso e la motivazione sarà anche banale ma per me è tutto: abbiamo pagato troppo come genere umano alla superstizione e sento, forse sarò ingenuo, che comunque bisogna fare qualcosa anche postuma al grido di vendetta di: streghe, maghi, eretici, capri espiatori di tutti i tipi di cui questa istituzione si è nutrita. Ripeto sarò banale ma per me è importante.

giancarlo bonini

Guarda, Florenskij, tu citi don Orione, e fai bene. Io, dal mio punto di vista, continuo a sostenere che certe persone fanno ( e hanno fatto ) del bene,proprio come persone, indipendentemente e , a volte, nonostante la loro ” fede” cattolica o religiosità che dir si voglia.

Mauro Ghislandi

Ho sempre diffidato delle teorie “totalizzanti”, che vogliono spiegare tutto e pretendono di stabilire che cosa sia il “bene”. Metterne insieme due come il marxismo e il cristianesimo in salsa cattolica è un’operazione che mi mette veramente paura.
D’altronde, proprio da questo connubio in Italia sono usciti un bel po’ di terroristi.
Sicuramente Girardi era una persona pacifica, ma la “rivoluzione” diventa violenta con grande facilità.
Per questo preferisco pormi tra i “riformisti atei” (inteso ovviamente non in senso della Riforma di Lutero & C.) che tra i “rivoluzionari religiosi”. I primi hanno sicuramente fatto meno vittime.

bruno gualerzi

Per quanto mi riguarda è proprio l’approccio ‘religioso’ che rende tante ideologie, per esempio il marxismo, ‘totalizzanti’ (e quindi, concordo con te, tragicamente violente) mentre… in quanto ideologie il cui intento è comunque quello di cercare una risposta ai problemi che pone la condizione umana… hanno pur sempre in sè un elemento ‘umano’ che si può far emergere. Comprese le religioni stesse, a condizioine di considerarle per quello che in realtà sono nonostante professino il contrario, cioè una ‘creazione’ tutta ed esclusivamente umana. Dovuta a esigenze poste dalla condizione umana… che poi però dalle religioni, nell’illusione di superarla, viene rimossa.

Batrakos

Però mettere insieme due teorie totalizzanti equivale a togliere ad entrambe il lato totalizzante, altrimenti non potrebbero coesistere… due fedi non coesistono mai, diciamo per essenza in quanto fedi (e sull’uso del marxismo nella teologia della liberazione spiega molto bene Marullo).

I BR di origine cattolica (ovvero quasi tutti a parte Franceschini) quando divennero militanti accantonarono l’impegno religioso e credo anche la fede in senso stretto (poi magari ci sono ritornati ma in quel momento non erano assieme attivisti cattolici e brigatisti); se poi l’educazione cattolica possa aver favorito una tendenza, per così dire, massimalista è altra questione.

Marcus Prometheus

A proposito di criminali, si e’ menzionato in questa discussione senza un filino di critica e come paragone positivo per il Girardi, il Santo marxista rivoluzionario Che’ Guevara, tralasciando che oltre che fautore ortodosso dello statalismo moscovita (tutt’altro che progressista e liberatorio) e dell’asservimento a Mosca (a cui il Che’ spingevalo lo stesso Castro, che piu’ cauto frenava). Ebbene Che Guevara fu boia ufficiale di Castro comandante di prigione e di “paredon” ovvero di fucilazioni al muro contro ex oppositori ormai abbattuti e contro ex compagni che si erano illusi sulla liberazione promessa, e pertanto non mi pare un santo meno criminale dei piu’ perversi santi cristiani inquisitoriali, uno per tutti San Carlo Borromeo.
– La mia conclusione e’ che “”forse un dio ci ha fatto la grazia”” di non far congiungere le due religioni oppressive del Cristianesimo e del Marxismo, in una unica “teologia della liberazione” e dello statalismo che avrebbe strangolato congiuntamente il mondo.
Questo ovviamente a parte tutte le buone intenzioni di Girardi o di chiunque altro.

bruno gualerzi

@ Marcus
Mi sapresti indicare una qualche ideologia che storicamente si sia rivelata immune da una qualche deriva totalizzante?

stefano marullo

@ Marcus

scrivi di Ernesto Guevara “fautore ortodosso dello statalismo moscovita…e dell’asservimento a Mosca”. A me non pare proprio. Il Che era Internazionalista, altro che “il socialismo in un solo paese”, antidogmatico e pragmatico, odiava il burocratismo e gli incarichi governativi li subì sempre senza entusiasmo. Dirò di più, citando fatti, Guevara guardò sempre con diffidenza a Mosca, leggeva volentieri Trotskij (e con Pechino riteneva che attori della rivoluzione dovessero essere i contadini non gli operai) e non fu mai apprezzato dai sovietici (a differenza di Castro). Con l’URSS Guevara ruppe pubblicamente nel febbraio 1965 durante il seminario economico dei paesi in via di sviluppo ad Algeri dove non esitò a mettere in dubbio il carattere socialista dell’Unione Sovietica e dell’Est europeo. Al ritorno a L’Avana, Castro dovette “liberarsi” del Che e la richiesta di quest’ultimo di andare in Bolivia fu un modo soft per Fidel di togliersi dall’imbarazzo.
Quando al Che “boia ufficiale di Castro comandante di prigione ecc.”, sono notizie vecchie e mai provate, che sembrano uscite dal “Libro nero del comunismo” (opera veramente mediocre dal punto di vista storiografico, come tutti i libri neri, c’è n’è anche uno sul capitalismo se ti interessa). I militari prigionieri fucilati, secondo testimonianze oculari, erano accusati di orribili crimini ed erano tutti ufficiali del regime di Batista, ed ebbero regolare processo (io non li avrei uccisi essendo contrario alla pena di morte, i sandinisti, anni dopo, non uccisero alcun prigioniero somozista e per me fecero bene, ma non avrei ucciso neanche Saddam o Gheddafi). Se la fonte è Regis Debray (indicato come colui che tradì con una soffiata il Che e i suoi compagni) o la figlia di questi (che mi pare di avere letto simpatizzi per gli anticastristi) non mi pare sia molto affidabile. A scanso di equivoci, Marcus, non sono comunista (non ho alcuna simpatia per il deposto dittatorello Castro) ma credo che Marx (apprezzato come scienziato sociale ed economista anche da Popper e da studiosi ultraliberali) c’entri con il socialismo reale quanto Gesù con il cattolicesimo

Mapo

Cos’è questa menata ipocrita che il potere farebbe ammalare i potenti? Il malato è sempre una persona che soffre o fisicamente o psichicamente. Voi davvero credete che una persona potente che usa il potere in modo criminale soffra psichicamente? Io non lo credo proprio, io credo che anche un criminale possa tranquillamente essere felice finchè ottiene quello che si prefigge di ottenere e finchè non subisce una punizione terrena o ultraterrena. In fondo diciamolo, la legge, sia quella giuridica che quella morale, si identifica nel carabiniere fisico o metafisico che la difende. Per chi ci crede Dio è un carabiniere metafisico.

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