Bruno Gualerzi
Si parla di giustizia quando si fa l’esperienza della negazione di qualcosa che, proprio nel momento della sua negazione, ci si manifesta in tutta la sua necessità, ci fa percepire quanto sia indispensabile per essere accettato dalla nostra coscienza… per cui si rivendica la ‘restituzione’ di ciò che viene negato. E cosa viene negato in modo tale da farci parlare di ingiustizia e quindi da farci considerare la giustizia un’esigenza insopprimibile, un valore? Viene negato, infranto, un ordine. Viene interrotta una sequenza vissuta come necessaria nei suoi momenti consequenziali. Viene alterato il ritmo di un divenire interiorizzato nei suoi caratteri vissuti come inalterabili.
Nella sua rappresentazione del mondo la coscienza, che non può prescindere dal vincolo temporale, ordina tutto ciò che gli si para davanti in una successione che, per certi suoi caratteri, diventa subito l’ordine naturale delle cose. Ad esempio la nostra esistenza – l’esperienza che ne facciamo, la memoria che ne conserviamo – è vista come un fluire obbligato e necessario di passaggi che consideriamo naturali in quanto sempre riscontrabili e irreversibili, quale che sia il nostro modo di definirli e di comportarci nei loro confronti: infanzia, giovinezza, maturità, vecchiaia (o scansioni analoghe) rappresentano nell’esperienza di ognuno la sequenza più prevedibile, più certa, proprio nel rispettare questo, o analogo, ordine che la vita riserba ad ognuno. Così come, fuori di noi, niente per la nostra esperienza risulta meno imprevedibile del susseguirsi dei cicli naturali, e comunque di ogni altro fenomeno che, proprio per la loro constatata puntuale ricorrenza, chiamiamo naturali. Questo, prima ancora del sospetto, genera la certezza, anch’essa ‘naturale’, dell’esistenza di un ordine, cioè di una realtà che si manifesta a noi, è vissuta da noi, in noi stessi e al di fuori di noi, come successione ordinata e prevedibile di eventi. La coscienza è in sintonia con l’evento quando questo accade proprio quando ‘deve’ accadere, quando è previsto che accada. Quando ‘è giusto’ che accada. La coscienza è pacificata quando l’hic et nunc (il ‘qui e ora’) è conforme a ciò che essa ha raccolto nella sua scorribanda nel tempo, conforme alla sua memoria. La giustizia è il mantenimento di questo ordine, di cui però sentiamo l’esigenza quando l’ordine è infranto, quando qualcosa di naturale, che ‘è naturale che accada’, non accade come dovrebbe accadere.
E allora cosa succede, cosa può succedere, quando nel mondo nel quale trascorriamo la nostra esistenza (l’unico di cui facciamo reale esperienza) la possibilità di verificare questo ordine sembra svanire perchè le nostre conoscenze – per potenziate indefinitamente che siano, ad esempio, dalla ricerca scientifica… che comunque a sua volta non può prescindere, nella sua ricerca, dall’esistenza di un ordine rintracciabile nei fenomeni naturali – debbono arrestarsi di fronte all’ignoto, di fronte ad eventi che sembrano dominati solo dal caso, dal caos? Trovandosi in difficoltà nel dover rinunciare a quell’ordine che sembra inscindibile dalla nostra esperienza, per non rinunciare all’ordine si può ‘risolvere’ tutto col rimando ad un Ordine Superiore, che è il modo per ‘rendere giustizia’ all’esigenza che esista sempre e comunque un ordine. Esiste, ‘deve’ esistere, un Ordine Superiore, che è ‘superiore’ proprio perchè come tale si trova aldilà di ogni possibile esperienza diretta, non verificabile nei modi abituali. In realtà – quando ciò avviene… e avviene sempre quando si tira in ballo l’ID, quale che sia il modo di intenderlo – di cosa si tratta? Della proiezione inconscia della propria attività ordinatrice, per cui si cerca di ‘superare’ questa impotenza conoscitiva di fronte al mondo ‘immaginando’ una dimensione in cui un ordine… anche se non direttamente percepibile… non può che esistere, in modo da ‘rendere giustizia’, appunto, all’esigenza che esista. La suggestione è forte… e anche se viene scientificamente dimostrato di volta in volta che un rapporto di causa-effetto esiste per tanti fenomeni in apparenza ‘caotici’, si sfrutta la strutturale, necessaria, progressività della conoscenza scientifica… soprattutto il suo procedere induttivo che rifiuta ogni deduzione da una qualche ‘causa prima’ o ‘fine ultimo’ (‘fine’ inteso sia come scopo che come traguardo definitivo di un percorso)… per ipotizzare che esiste, che ‘deve’ esistere, Qualcosa, Qualcuno che si situa oltre i traguardi mai ‘definitivi’ raggiungibili dalla scienza. E che ‘spiegherà’ ciò che la scienza non potrà mai spiegare. E dal caos (disordine), si passa così al cosmo (ordine). Giustizia è fatta… non importa come.
E il discorso nella sostanza non cambia anche quando l’ordine infranto, non rispettato, riguarda direttamente la nostra esistenza come individui. In due modi, che comunque riflettono uno stesso meccanismo: uno di tipo esistenziale, l’altro storico-sociale.
Per quanto riguarda la nostra esistenza. E’ vero che la sequenza che scandisce le tappe della nostra vita coscientemente vissuta (come si diceva, le più convenzionalmente accettate: infanzia, giovinezza, maturità, vecchiaia, comunque definite e articolate) è percepita come sequenza naturale, come ordine irreversibile, ma c’è anche un esito di questa sequenza, la morte, che si stenta, quando non ci si rifiuta, di accettare come ‘naturale’. E lo si rifiuta, o lo si accetta con sofferenza, proprio perché è percepito come l’interruzione traumatica di quell’ordine che ci eravamo abituati a considerare naturale. Si può provare in tutti i modi a convincere se stessi che la morte è un evento naturale, conseguenza naturale dell’esaurirsi di ogni carica vitale, ma poi proprio la nostra coscienza ci obbliga a pensarla (a viverla pensandola) come quanto di più innaturale ci possa capitare, in quanto ci fa ‘sentire’ la morte come il momento in cui viene improvvisamente a mancare quella dimensione nella quale solamente l’ordine ha senso, cioè il divenire. Il nostro personale divenire. Ecco allora che la morte, cioè l’evento che ci si sforza di considerare il più naturale di tutti in quanto inscindibile dalla vita biologicamente intesa, è visto, meglio, è sentito, anche come l’evento più ‘ingiusto’ di tutti. Ed è per ristabilire questo ordine infranto, per rilanciare questa sequenza interrotta della vita, che si è indotti a postulare una vita anche dopo la morte fisica. Cosa significa infatti ‘postulare’ (termine kantiano) l’immortalità dell’anima se non ‘chiedere giustizia’? E visto che questa giustizia non può essere amministrata da noi, ci si appella ad un Giudice Superiore, divino. Il quale potrà anche condannarci in eterno (l’inferno come residuo inconscio di una ingiustizia di cui – in quanto noi stessi natura – ci si sente oscuramente, oltre che vittime, anche colpevoli), ma intanto l’ingiustizia somma, la fine definitiva, per ciascuno di noi, di tutto, viene esorcizzata. Addirittura, come visto, accettando (in realtà autoinfliggendosi) la prospettiva paradossale di soffrire in eterno…
Infine l’ingiustizia come evento storico-sociale. Qui si debbono considerare almeno due livelli. Uno riguarda sempre l’esistenza fisica, la vita, il cui corso però, in questo caso, viene interrotto non dalla natura, ma da altri uomini. Questo, non solo non si può accettare, ma, trattandosi di una ingiustizia commessa dagli uomini, l’ordine infranto può, anzi deve, essere ristabilito dagli uomini. E fino a quando certi uomini erano visti come rappresentanti nella storia di poteri superiori (in realtà i detentori del potere, comunque esercitato, ma legittimato – nella sua sintesi più simbolica – dal diritto divino dei re a governare), si poteva anche accettare (ri-conoscere) che disponessero personalmente della vita altrui, considerando la morte da loro provocata pur sempre alla stregua di un evento naturale in quanto immodificabile… ma quando questa sorta di delega ha cominciato ad essere messa in discussione e progressivamente ritirata, il primo dovere di ogni ordinamento tendente a ristabilire la giustizia violata è stato considerato la salvaguardia e il rispetto della vita. La giustizia deve essere esercitata prima di tutto per salvaguardare il diritto di tutti alla vita. Ma il problema principale è diventato allora il ‘come’… soprattutto come definire il limite di questo rispetto della vita quando tale rispetto significasse il mettere in pericolo altre vite: questione ancora aperta, dal momento che si discute ancora della legittimità o meno della pena di morte, (e, per estensione, della legittimità della guerra, difensiva o preventiva che la si intenda) presente in molti ordinamenti. Per proteggere la società, si dice da parte dei suoi sostenitori, ma più che altro ancora, miticamente, per ristabilire contraddittoriamente un equilibrio, un corso degli eventi, un ordine, turbato da qualcuno in modo irrimediabile.
Ma, oltre che interrompendo la vita, l’ingiustizia si manifesta anche impedendone uno svolgimento ‘normale’, cioè nel rispetto di norme, regole, divieti, codici di comportamento. Stabiliti da chi? E’ ponendosi questa domanda che, intanto, risulta d’obbligo constatare come il problema della giustizia è storicizzabile: è nel tempo storico, e in modo spesso anche radicalmente differenziato da società a società, da cultura a cultura, oltre che da epoca a epoca, che questi codici di comportamento si sono, prima definiti, poi generalizzati, infine sono diventati punti di riferimento di una legislazione. Ma è sempre ponendosi questa domanda che diventa anche d’obbligo constatare come il problema della giustizia è da vedersi come problema politico… anzi, come in realtà l’uno rimandi necessariamente all’altro, con una accentuazione, quando si parla di problema politico in relazione alla giustizia, del problema della legittimità nella gestione del potere, e quindi del diritto di stabilire le norme e la ‘forza’ per farle rispettare.
Ma il tutto è pur sempre ancora da vedersi come risposta da dare alla possibilità dell’ingiustizia, possibilità che nel tempo, lungi dall’attenuarsi, si ripropone con sempre rinnovata drammaticità. Perchè? Colpa di una natura umana irrimediabilmente propensa ad esigere sì la giustizia, ma solo come esigenza personale, da soddisfare anche se ciò comporta, come sembra inevitabile, situazioni di ingiustizia per altri? Ma è proprio questo che si deve combattere, che ci si sforza di combattere perché non sia l’uomo stesso ad ostacolare le vita degli altri uomini… per cui individuare la causa dell’insuccesso nella natura umana è lo stesso che dichiarare inutile la battaglia, incagliarsi in un circolo vizioso. In realtà non è tanto una presunta natura umana immodificabile da chiamare in causa, ma, se mai, la condizione umana, la quale porta a doversi confrontare col paradosso della giustizia (e della politica) e a superarlo con l’illusione che esista una ‘giustizia naturale’ (che invece non esiste, e proprio per la nostra coscienza che pure la esige, e tanto meno è identificabile col ‘corso naturale delle cose’) sulla base della quale ritagliare degli ordinamenti in grado di instaurare la giustizia nei rapporti fra gli uomini… identificando poi quasi sempre questa ‘giustizia naturale’ con il diritto del più forte, comunque riconosciuto come tale, a governare! Fin che non ci si libererà da questo mito della ‘giustizia naturale’, sempre riemergente sia pure in forme sempre nuove, ci si attenderà dalla giustizia ciò che essa non può dare, e siccome la sua esigenza (come l’esigenza di non morire) resta, nessun ordinamento tendente ad instaurare la giustizia come ristabilimento di un ordine violato, si dimostrerà adeguato. Se si vuole considerare la giustizia come ‘rispetto’ di un ordine naturale da cui ricavare un ‘diritto naturale’, gli esiti di questa concezione, per diversi, o anche opposti, che possano sembrare, portano ad un’unica conseguenza: che si faccia riferimento alla natura o a Qualcuno che ha ‘creato e governa la natura’ si finisce per operare un’ingiustizia reale nell’illusione di rispettare un giustizia teorica.
E questo è accaduto e accadrà perché risulterà il prodotto di un discorso astratto per una umanità virtuale: l’uomo reale, storico, resterà sempre tagliato fuori: da altri uomini cui si delega un potere – non molto diverso nella sostanza anche in tempi successivi a quelli in cui si delegava il potere ai re per diritto divino – che non è esercitabile da nessuno, cioè quello di ristabilire ‘l’ordine naturale delle cose’… e che verrà invece usato – in buona o mala fede, comunque sempre ‘in rappresentanza’ di una sorta di divinità (la ‘dea bendata’, e bendata proprio perché ‘non guarda in faccia a nessuno’, guarda solo se stessa) – per stabilire un ordine che sarà solo il loro, o di ciò che li si delega a ‘difendere dall’ingiustizia’. Spesso non a caso quelle entità astratte, ‘metafisiche’, che sono, o che comunque possono diventare, le Istituzioni. Indispensabili, necessarie alla convivenza umana, ma fonte solo di ingiustizia se non se ne tengono nel dovuto conto i limiti strutturali, il pericolo che possono costituire. Invece di essere le istituzioni a porsi al servizio dell’uomo, è l’uomo che è posto al servizio delle istituzioni: l’ingiustizia sociale massima.
Nota: Ripreso e adattato dal libro di recente pubblicazione: “Bruno Gualerzi – PENSIERI CIRCOLARI (un’avventura filosofica)” – Ed. Aemilia University Press.
E’ il grande tema dell’alienazione del soggetto consapevole delle sue azioni, fino appunto alla sua alienazione totale irreversibile.
http://it.wikipedia.org/wiki/Alienazione
http://en.wikipedia.org/wiki/Marx's_theory_of_alienation
per dare appena una idea della risonanza e dell’ampiezza dell’argomento (che è molto bello) 🙂
Ritrovata la pagina in inglese: è questa
http://en.wikipedia.org/wiki/Marx%27s_theory_of_alienation
poi c’è anche questa, per una visione più generale e sociologica
http://en.wikipedia.org/wiki/Social_alienation
http://en.wikipedia.org/wiki/Marx's_theory_of_alienation
“Invece di essere le istituzioni a porsi al servizio dell’uomo, è l’uomo che è posto al servizio delle istituzioni: l’ingiustizia sociale massima.”
Certamente vero, mi piace questa rimarcazione di Bruno Gualerzi, che rispecchia sempre il tema dell’alienazione, spiegata bene soprattutto da Marx (sopra non mi ha preso la pagina specifica della teoria marxiana dell’alienazione nella società “moderna”, ma è quella lì) ed infine le istituzioni divengono una specie di riparo sociale per le relative classi che vi si contrappongono.
Il concetto di alienazione credo sia centrale per qualunque discorso critico nel confronti della religione, nella accezione più ampia del termine… o comunque per qualsiasi esperienza vissuta religiosamente.
Marx, che ha affrontato e approfondito magistralmente il tema, ha però considerato – per altro con considerazioni illuminanti – l’alienazione religiosa un portato dell’alienazione del lavoro, mentre a mio parere, sono solo due facce di una stessa medaglia. L’una rimanda continuamente all’altra, si autoalimentano vicendevolmente.
@ Prof. Bruno Gualerzi. Qualche accenno di risposta, se così si può chiamare un’offerta di confronto, piuttosto che una mossa destinata a “legnare” il cosiddetto avversario ( molto cosiddetto, perchè siamo tutti nella capanna di re Lear ).
Do per scontato il discorso dell’apprezzamento per il suo “stoicismo tragico” che supera le banalità di certo progressismo da Ballo Excelsior ( senza nemmeno l’eleganza del balletto di Manzotti e Marenco ).
Mi viene da osservare anzitutto che il suo concetto di “ordine” è calibrato essenzialmente sul fenomeno del tempo ( forse con un richiamo al concetto di “ordine ciclico” che si dice proprio della visone del mondo greca – non so con quanta esattezza ). L’andamento ciclico sarebbe a suo parere una ripetizione di contingenze che viene considerata “naturale” ma che potrebbe essere interrotta da un qualsiasi evento esterno al sistema ( ad esempio l’impatto di un meteorite ); dunque un ordine “di fatto” ma non di diritto. Nella mia mente il concetto di “ordine” si incentra invece sulla stabilità della Forma: con la maiuscola perchè si tratta della FORMA platonica o della “Gestalt” ( la “buona forma” di un’importante scuola psicologica tedesca che con ogni probabilità le è ben nota ).
Credo di conoscere bene la problematica postcopernicana-pascaliana ( e anche pirandelliana ) del crollo dell’universo geocentrico con tanto di involucro stellare volto a fasciare e impreziosire il sistema. Tuttavia le osservazioni sulla natura che ho potuto fare mi hanno indotto a pensare che la “dimensione platonica” non sia affatto una proiezione fantastica della povera umanità smarrita. Mi viene in mente la tavola di Mendeleijeff, con la distribuzione progressiva degli elementi in una specie di casellario cosmico ( tanto che la presenza di alcuni di essi è stata prevista in anticipo rispetto all’effettiva scoperta ); un casellario che mi fa pensare al concetto di “ordine dell’universo” come si intuisce ascoltando la musica di Bach. Mi viene in mente la connessione tra bellezza e geometria ( ad esempio il piacere estetico per certe curve – nell’architettura barocca come nell’architettura… del corpo femminile: è bella la sezione di cerchio o di ellisse o di iperbole, è meno bello o brutto il “ginocchio” costituito dal susseguirsi di due sezioni di cerchi e di curve con centri di rotazione diversi, bruttissima una linea molto spezzata ). Per dare il tocco definitivo al mio dire le ricordo il bellissimo libro sulla geometria delle forme naturali di D’Arcy Thompson. Tutto questo senza negare minimamente l’elemento caotico della natura, segnato dalle catastrofico cosmiche e telluriche e – ciò che fa più scandalo per chi coltiva propensioni platoniche – dal domino della predazione nel mondo biologico secondo la “legge della giungla”: mors tua, vita mea.
Un brano per me illuminante per la sua embematicità è quello leopardiano sui due livelli della natura: giardino se vista da una certa distanza. giungla se vista da un’altra; per cui nel mio personale “sistema” di idee ha una posizione centrale il concetto di “ambivalenza” con il conseguente interesse per le “figure ambigue” come quelle del grandissimo Escher ( su Wikipedia per chi non le conoscesse ancora ). penso in particolare alla immagine della bella damina che può essere vista anche come una brutta vecchia e viceversa: è il tema leopardiano della natura come alternativamente madre e matrigna.
Sarebbe troppo lungo enumerare i “giochi” che questa ambivalenza genera: posso citare, visto che siamo in questa sede, il discorso tipicamente neoateistico per cui il discorso dell’ORDINE viene introdotto per negare che esso sia riscontabile nella storia e nella natura ( con l’evidente scopo di smontare l’argomento fisico-teleologico ). Come dire: in un mondo catastrofico-caotico che posto può rimanere per una Divinità suprema ordinatrice? Dopodichè ci si scandalizza per il disordine nella vita politico-sociale ( scandali, furti, truffe, pedofilia ) sulla base di una esigenza di ordine che assume la connotazione della pretesa. Come dire: prima si afferma che il mondo sociale è come un vascello sgangherato sbattuto dalla tempesta, poi ci si lamenta con il cameriere perchè i calici di cristallo non rimangono in bell’ordine sul tavolo della mensa.
In definitiva: l’idea dell’ordine del cosmo, del mondo naturale, della società, buttato fuori dalla porta, rientra sempre e comunque dal buco della serratura o addirittura dalla finestra.
Una via d’uscita per chi volesse darsi una spiegazione potrebbe essere fornita dallo schema di pensiero maniche: un Regno della Luce contro un Regno delle Tenebre do pari grado. Io invwece, sulla scorta della concettualità agostiniana ( che però non condivido del tutto ) sono arrivato alla conclusione che c’è un PRIMATO ( AXIOLOGICO ? ONTOLOGICO ?) DEL BENE E DEL BELLO SUL MALE E SUL BRUTTO.
Detto con un esempio casareccio: la carie esiste perchè è esistito-esiste il dente sano; al contrario il dente può essere ed esistere come sano a prescindere dalla carie. il male può esistere solo sul più ampio sfondo del bene, il brutto sullo sfondo del bello, l’ingiustizia sullo sfondo della giustizia. In sintesi: IL MALE E’ non tanto e non semplicemente un grado inferiore nella scala del bene ( come ebbe ad escogitare Agostino ), ma UN PARASSITA DEL BENE.
Lei avrà certamente capito dove voglio andare a parare: a un modello metafisico-cosmico in cui il “prius” è un ORDINE da cui si verifica una caduta, che implica un movimento di ritorno secondo lo schema exitus-reditus ( che sia o non sia il “reditus” aiutato dall’Alto ). Ovviamente questo schema si oppone a quello, caro ai progressiti atei, secondo cui l’ORDINE VIENE A COSTITUIRSI GRADUALMENTE E ALEATORIAMENTE PARTENDO DAL BASSO. Senonchè nel discorso dei progressisti trapela sempre e comunque una istanza provvidenzialistica ( gli “immancabili destini” ) che rappresentano un ( inconsapevole ) travestimento dello schema di pensiero religioso. Il tutto come denunciato da Jacques Monod nelle ultime pagine del suo ultracelebre libro “Il caso e la necessità”.
Prima di chiudere per l’urgenza di incombenze pratiche ( i doverosi contributi per la colf ! ) mi permetto di domandarle se il suo attestarsi su una specie di ultrasoggettivismo kantiano sia ben fondato e se abbia mai pensato di poterlo-doverlo mettere in crisi. Io perdonalmente non sono riuscito a caprire come per il Kant della “Critica del giudizio” l’ordine finalistico riscontrabile negli organismi sia semplicemente una proiezione della nostra soggettività.
PS Dimenticavo: per quanto mi riguarda, ricerca nell’ambito del modello tradizionale ( il prius dell’ORDINE ) enza minimamente glissare sull'”immane potenza del negativo”.
Si faccia una vacanza Flo, che ne so’, un ritiro spirituale con punizioni fisiche se preferisce ma faccia qualcosa.
😆
Ciao Kaworu.
A proposito…torno da una lunga vacanza.
Propongo che nei criteri di banning dei commenti venga inserito un limite di righe o caratteri.
mario
@antonio
aaaaah sei appena tornaaaaato…
@wichgood. Certo. Una bella vacanza, ma per discutere e confrontarmi in compagnia di chi capisce qualche cosa del pensiero filosofico, come il prof. Gualerzi, non con i supponenti semiacculturati come lei. Siamo alle solite: gli argomenti scientifici e tecnologici per chiunque richiedono l’intervento degli esperti, con nozioni, concetti e linguaggio appropriato; invece gli argomenti umanistici ( che sono poi i MASSIMI PROBLEMI ) possono essere trattati con pretese di esaustività ( pure sentenziosa ) dal primo venuto.
Io vado in vacanza, lei rimanga a pascolare.
@ Kaworu. Mi viene in mente l’espressione dialettal-popolare: “Ridi, ridi, che la mamma ha fatto i gnocchi”.
Sì sì, dicono che usava tra gli adepti dell’opus dei. 🙂
@ Florenskij
magari fosse un confronto il suo, basta leggere per capire che è una dimostrazione di capacità di memorizzazione di riferimenti bibliografici, nient’altro, puro narcisismo intellettuale.
I MASSIMI PROBLEMI dal mio punto di vista sono la fame nel mondo, il problema climatico, demografico, ecologico ed energetico. Lei è un grande egoista.
A pascolo ci vanno le pecore, persone come lei e senza necessità di andare in vacanza. Mi dia retta, un bel fustighino con aceto (benedetto, mi raccomando).
PS. chieda alle sue autorità morali di ingrandire il recinto, tanto per sentire un po’ più di libertà di pensiero.
di solito i gnocchi li faccio io, flo 😉
comunque, mi rispondi alla domanda che ti avevo fatto sul libro della concia? grazie
@Kaworu
Fai gli gnocchi in casa? Ti adoro: anch’io li faccio con mia madre! 😀
(Tra noi: con o senza pepe? Tu dici che ci si può mettere qualche spezia o sono già tanto corposi da soli? 😉 )
Ad ogni modo pare che il nostro Flo’ ignori, ma va’?, l’origine dell’espressione:
a seconda della regione dell’origine si può intendere:
t’ha fatto gnocco cioè bello ma stupido
o
t’ha fatto i gnocchi cioè oggi ridi perché essendo venerdì mangerai tanto e buono ma domani stai praticamente a dieta: ride bene chi ride ultimo.
@mosconi
eccerto che li faccio in casa, ma non gli gnocchi alla romana eh, i comuni gnocchi di patate 😉 (a volte faccio anche quelli alla romana, comunque. quelli di semolino)
da noi “sei gnocco/a” significa solo sei bello/a
però vorrei sapere da flo che senso avrebbe leggere il libro della concia, se non per curiosità (poi va beh, “aggiornarsi” e “reich” nella stessa frase sono leggermente stridenti eh, ma fa nulla)
Florenskij scrive:
7 maggio 2012 alle 9:25
@ Kaworu. Sempre gentile e corretta. Io, per esemplificare sul mio “aggiornamento”, ho letto Wilhelm Reich e ultimamente il libro di Chiara Lalli sulle famiglie omosessuali; leggerò quanto prima quello di Paola Concia. E lei?
Nun ce se mette lu pepe negli gnocchi… è ERESIA!
E poi, perché andare leggeri il sabato?
Venerdì gnocchi, sabato…TRIPPA!
Fratello FSMosconi complimenti, ti destreggi bene con l’antropologia culturale,
non siamo in molti.
cybersaluti gnoccologici
P.S.
Wilhelm Reich,
“l’orgone”?
Ma non era “fantapsichiatria”?
Vorrei chiedere che si faccia un minuto di silenzio per le vittime (gli studenti) del professor Florenskij, ogni volta che leggo un suo commento non posso fare altro che pensare a loro.
*
@ Francesco, Kaworu. Rompo il silenzio-riserbo che mi ero imposto e le riferisco, perchè”quanno cce vo’ cce vo’ ” come dicono a Roma, nel momento in cui la cialtroneria ( sua e di altri asini pseudosaputi come lei ) supera il limite di guardia:
1) Un mio ex alunno di liceo ( sanissimo di mente ) mi ha scritto che sono il miglior insegnante da lui incontrato in tutta la sua vita;
2) Anni fa gli alunni di una mia classe presero l’iniziativa ( a cui, se richiesto, mi sarei dichiarato contrario ) di dare un voto a ogni singolo insegnante. Voto del sottoscritto: 9 ( nove ). Senza trucchi e con mia sorpresa.
Le basta questo. o dobbiamo tirare fuori dell’altro?
Ma sì, tiriamolo fuori!
Eccole un brano dal volume di Giampiero Moretti “La segnatura romantica – filosofia e sentimento da Novalis a Heidegger” Como 1992, pag. 46: “Per quanto riguarda
il problema dell’analogia in riferimento all’essere nella concezione di Arstotele, per Brandt “è il rapporto con l’origine comune l’elemento che costituisce la similitudine delle categorie dell’essere”; l’essere come insieme di essenti, non è infatti per Aristotele un genere come un altro che può suddividersi in specie – Brandt si appoggia in questa sua lettura all’interpretazione aristotelica di Franz Brentano – ma è piuttosto un OMONIMO, che non è casuale, viene appunto detta ANALOGIA. Concludendo, questa volta con il Platzeck, rispetto all’analogia in senso platonico, “il sillogismo aristotelico, che certo consiste anch’esso in una relazione transitiva, trascura tuttavia la DIAIRESI platonica ed appare quasi come una struttura particolare della più complessa dimostrazione platonica”. Quale sembra dunque essere la dimensione veritativa dell’analogia che nell’apparente perfezione del sillogismo aristotelico e negli sviluppi che esso ha conosciuto storicamente rischia costantemente di perdersi?”
QUESTO NON L’HO SCRITTO IO: L’HA SCRITTO UN NORMALE SAGGISTA-STORICO DELLA FILOSOFIA.
Signori ( anzi, per nulla signori ) miei, io intendevo rivolgermi da dilettante di filosofia al filosofo prof. Gualerzi. Voi c’entrate qualche cosa?
Tornate sui prati verdi, mangiate le erbette preferite e ragliate pure al vento.
Io penso che in un sito razionalista, anche se il nostro Flo spesso ripropone argomenti già detti e spesso con un certo sussiego, sarebbe bene evitare di rispondere con battute offensive in tanti, come si fosse al bar vicino casa, quando uno muove alcune obiezioni, non fosse altro che accodarsi a fare battute è una dinamica da branco, e, mettendomi nei panni di uno che arrivasse la prima volta sul sito, penserei che rispondere in questo modo senza confutare il merito (anche se spesso è cosa già discussa che Flo ripropone pari pari senza passare per le obiezioni) forse sottende carenza di argomenti, e ciò mette in non buona luce il razionalismo stesso, e, se gli argomenti sono già stati discussi (non so se questo è il caso, non ho letto il primo intervento perchè non ne ho molta voglia ed è prioritariamente diretto a Gualerzi) è bene farlo notare esplicitamente anzichè far scendere il livello alla caciara.
Questo è quel che penso io, mi pareve bene dirlo perchè non è, per chi si ponesse la prima volta, molto bello vedere una sfilza di battute di diversi utenti in risposta ad una discussione che non è nemmeno pratica, in cui si possono toccare temi etici che scaldano gli animi (l’aborto, il testamento biologico, la questione delle unioni di fatto ecc…); ed essendo uno che frequenta assiduamente mi pareva giusto (visto tra l’altro che di giustizia si parla) dirlo.
@ Batrakos
Quanto scrivi è ineccepibile se l’interlocutore è corretto. Non credo che in prima battuta un cristiano che si presenti qui ed esponga in modo educato le sue opinioni sia normalmente trattato male. Purtroppo è difficile che chi deve difendere una credenza rigidamente (anche se caoticamente) strutturata dica qualcosa di “nuovo” ma in linea di principio e in prima battuta credo che tutti qui siano disposti ad ascoltare. È successo anche con Florenskij. Ma quando l’interlocutore si presenta incessantemente a proclamare che tutti i cigni sono bianchi nonostante se ne siano mostrati di neri e se di questi dice che sono solo apparentemente neri perché le sue fonti assicurano che ne esistono solo di bianchi ebbene, credo che di fronte a questo continuo, irrispettoso comportamento lo sberleffo non solo sia del tutto accettabile ma addirittura auspicabile per cortocircuitare l’inconsistenza degli argomenti proposti e la maleducazione del riproporli inalterati nonostante le critiche. Non occorre andare lontano: in questo thread Florenskij ha riproposto le sue tesi sull’ordine delle cose e sulla sua giustificazione del disordine. Per rimanere solo al sottoscritto gli ho più volte spiegato che quanto afferma non è condivisibile, elencando più volte (negli anni addirittura) le ragioni: niente, alla prima occasione ripresenta tutto come se niente fosse. Mi trattengo un attimo sulla maleducazione e mi chiedo a che pro? Perché mai dovrebbe ritenere utile ribadire senza alcuna variazione quanto gli si è già detto che è da rigettare non fosse altro in virtù del fatto che è contraddittorio in se e rispetto ad altri elementi del suo sistema?
In tutta onestà non credo che simile atteggiamento meriti più di una veloce risposta (per risparmiare tempo) accompagnata da un sano sberleffo, nella speranza che, come dicono a Napoli, comprenda che accà nisciuno è fess.
Per Florenskij.
“Cialtroneria”?
Visto che mi ha definito un asino, allora in questo caso posso a maggior ragione affermare che il bue dice cornuto all’asino.
ma quando mai ti sei imposto silenzio e riserbo?
sei talmente pieno di te che non perdi occasione di dire quanto sei bravo e quanto sei buono…
Per Batrakos.
Guarda che la mia non era una battuta, ho solo utilizzato un tono leggero.
Immaginati di essere stato tu un allievo di Florenskij.
Ma se rompe le scatole con dei semplici commenti, figurati ad avercelo come professore per un’ora intera. Potrei invece essere accusato di affrontare con poca serieta’ l’argomento, professori come lui ne avranno rovinato di studenti.
@ Kaworu
1) Un mio ex alunno di liceo ( sanissimo di mente ) mi ha scritto che sono il miglior insegnante da lui incontrato in tutta la sua vita
Aveva finito soltanto l’elementare.
2) Anni fa gli alunni di una mia classe presero l’iniziativa ( a cui, se richiesto, mi sarei dichiarato contrario ) di dare un voto a ogni singolo insegnante. Voto del sottoscritto: 9 ( nove ). Senza trucchi e con mia sorpresa.
Il voto era da 1 a 100.
🙂
Per Kaworu.
“ma quando mai ti sei imposto silenzio e riserbo?”
Florenskij vive in un mondo tutto suo.
Ti ringrazio per aver aderito al minuto di silenzio. 😉
“1) Un mio ex alunno di liceo ( sanissimo di mente ) mi ha scritto che sono il miglior insegnante da lui incontrato in tutta la sua vita;”
Finalmente abbiamo scoperto chi ha dato il diploma al figlio di Bossi!
chi si loda, s’imbroda…
@ Batrakos
Se hai la pazienza di scorrerti le ultimissime degli ultimi mesi noterai che il nostro Flo ha già proposto più e più volte gli stessi identici argomenti che espone qui (argomento teleologico, i “dogmi” dell’ 89, equazione atei=progressisti, legge delle predazione, ecc, ecc….) e ha avuto risposte serie e documentate sia sul piano storico-filosofico sia su quello scientifico su tutti gli argomenti.
Il nostro però non ha MAI risposto nel merito alle osservazioni che gli sono state mosse e non le ha neppure mai considerate: continua infatti a riproporre come un disco rotto gli stessi ritriti discorsi come se i suoi interlocutori non esistessero.
Mi sembra evidente che questo non è certo l’atteggiamento di chi cerca un dialogo ma, al contrario, di chi ostenta una “cultura superiore” (infondata come dimostrano i vistosi errori e pressapochismi) che si pretende capace di cogliere dei non meglio identificati “grandi problemi” e con ciò si permette di disprezzare chi non condivide questa sua visione del mondo ascientifica che rifiuta la modernità. Si tratta di un atteggiamento paurosamente retrivo e reazionario (già analizzato da Furio Jesi in “Cultura di destra”) di rifiuto e disprezzo, dove il matrimonio tra omosessuali viene equiparato all’incesto, dove chi non la pensa come lui viene accusato di demolire la “civiltà” (occidentale) di essere un “orfano del muro” che rimpiange Stalin, o un personaggio da romanzo di de Sade. Di fronte a tanta arroganza, l’ironia è spesso l’unico modo di demistificare la sua falsa cultura che in realtà si rivela costituita solo di stupidi stereotipi e luoghi comuni.
Stefano, Francesco, Ferrer.
Non ho snobbato le vostre risposte, semplicemente ci riflettevo.
Al di là del bon ton personale di cui certo non mi arrogo di essere io giudice -e sul sussiego di Flo mi sono espresso già anche io, e devo dire che trovo molto illuminanti in particolare le parole di Ferrer, che si mostra sempre interlocutore per me istruttivo e stimolante- preciso che la mia preoccupazione andava più che altro a qualche lettore meno assiduo e più accorto che, senza le precisazioni scaturite dalla nostra discussione attuale, forse avrebbe trovato qualche perplessità nel leggere la sequenza di commenti; ci tengo a precisarlo perchè non volevo dare lezioni di galateo a nessuno, non potendo nemmeno permettermelo visto che spesso la netiquette l’ho violata e la violo anche io.
Per Batrakos.
Non ho mai pensato che tu avessi snobbato il mio commento. Ho creduto, visto che per carattere cerco di stemperare la situazione, credessi che si trattasse solo di una battuta. In realta’ la mia preoccupazione per gli studenti che hanno un professore come Florenskij e’ reale. Comunque non c’e’ problema.
@Flo’
Taglia corto:
-citi Platone, ma dimentichi che nel Fedone apertamente e nel Timeo più o meno velatamente (sarà che lo dava per scontato) si riferiva ai moti degli astri, intendendo cielo come il mondo: il vero mondo, mentre la terra sarebbe uno stagno di rane.
-L’idea ciclica è d’origine indoiranica: tolti gli Indiani, anche i Persiani l’avevano più o meno sottaciuta nel loro svolgersi della battaglia tra Angra Mainyu e Ahura Mazda (o se preferisci: Arimane ed Ormusta) con relativa (sic!) Apocatastasi. Ma anche qui si dimentica facilmente che le due entità sarebbero nientemeno che incarnazioni del ciclo dei pianeti: la battaglia dura circa 6000 anni cioè all’incirca un terzo di un Grande Ciclo Platonico, parimenti ci si dimentica che tra gli angeli citati ci sia nientemeno che Sirio [Tishthria] e la Luna [Mah].
-L’Universo non ha un ordine semplicemente perché le leggi che ci vediamo sono per definizioni modelli.
-Ci si lamenta della situazione sociale non per l’ordine ma bensì per la vivibilità: cosa che a quanto pare i sedicenti difensori della Legge Naturale(!) paiono dimenticare: vedasi i TeoCon e NeoCon e la loro politica sul Welfare.
-Agostino non ha calcolato però l’obiezione: e allora a che pro il male esisterebbe, a che pro il bene lo permetterebbe? Perché non agisce? Se non agisce per permettere il bene dal male di fatto l’azione sarebbe suicida, e non se ne esce comunque perché in questo sistema dicotomico è scontata la genesi del bene dal bene e del male dal male. Perché tutto ciò?
-Sull’ordine finalistico vedi la risposta sull’ordine generale fisico: il metodo è quello. Punto. Poi l’ignoranza non è un crimine eh…
Forse quando si parla di ‘ordine naturale’ sarebbe più corretto parlare di necessità anzichè di giustizia, perchè il concetto di giustizia, da ius, è concetto che riguarda l’uomo (ed eventualmente la divinità per chi la ammette), perchè la necessità di natura (che ci sia o meno ora è altro discorso) non si basa minimamente sul diritto, che vuol dire avere attestato ciò che mi spetta in conformità a quello che sono obbligato a dare, ed è su questa proporzione che si gioca tutto il problema della giustizia umana (la giustizia come evento storico-sociale come dice Gualerzi) e tutto il problema della necessità delle istituzioni e del loro intrinseco rischio di diventare una sorta di divinità immanente, depositaria indiscutibile di verità (e l’elogio acritico, quasi feticista, della magistratura che si faceva ai tempi di Berlusconi da parte dell’antiberlusconismo giustizialista ne è un esempio), oppure al contrario di essere pensate esse stesse causa di ingiustizia (le persecuzioni della magistratura rossa e gli intoppi del parlamentarismo nella visione berlusconiana, sempre rifacendoci al periodo a noi più prossimo).
E da qui nasce un grosso problema: come ripensare le istituzioni nel loro rapporto con la partecipazione dei cittadini stessi, perchè è la partecipazione alla politica e al lavoro sociale che può generare una presa di coscienza e una maturità democratica capace di considerare le istituzioni per quello che sono, uno strumento democratico nato dalla partecipazione, anzichè qualcosa che sovrasta ed annulla la partecipazione stessa come avviene nel burocratismo.
@ Batrakos
“Forse quando si parla di ‘ordine naturale’ sarebbe più corretto parlare di necessità anzichè di giustizia, perchè il concetto di giustizia, da ius, è concetto che riguarda l’uomo (ed eventualmente la divinità per chi la ammette), perchè la necessità di natura (che ci sia o meno ora è altro discorso) non si basa minimamente sul diritto che vuol dire avere attestato ciò che mi spetta in conformità a quello che sono obbligato a dare (…)”
Certo che il concetto di giustizia riguarda l’uomo, ma – a mio parare – lo riguarda anche, e direi soprattutto, nei suoi rapporti con la natura, nella misura in cui sente che gli sta sottraendo molte delle sue potenzialità di cui per altro essa stessa lo ha dotato. Dico soprattutto, perchè credo che abbia origine da qui l’esigenza di giustizia che poi impronta tutta la sua esistenza a tutti livelli.
Concordo pienamente con quanto comunque affermi a proposito della giustizia come evento storico- sociale. Che poi – come qui ho solo accennato e come tu approfondisci – altro non è che la base del problema politico .
Hai ragione anche tu, Bruno: che l’uomo, davanti agli eventi tragici e luttuosi della natura, si sente vittima di un’ingiustizia, ingiustizia che egli proietta su qualcosa che la giustizia non sa nemmeno cosa sia visto che è un ente inconsapevole è evidente, e forse da questa forma di alienazione primordiale (attribuire alla natura ciò che non può avere) derivano le proposte delle religioni soteriologiche.
Ma, e qui è il problema: è possibile disciplinare questo istinto a proiettare il finalismo fuori di sè? Beninteso, è possibile farlo dal punto di vista della ragione pura, ma poi a livello istintivo ed inconscio è così semplice?
Questi i quesiti che la tua riflessione mi mette in mente.
Qualche riflessioni :
–Non vedo un centro morale nel umano cervello e nemmeno un qualsiasi sistema morale, in quanto tale.
–I valori morali non sono delle essenze eterne, sono collegati alle preferenze, alle valutazioni degli individui, ed infine alle storie e/o tradizioni della moralità.
–Nella prospettica di un’etica evolutiva a vari livelli, non ci puo’ essere una definizione unica ed esclusiva del Bene.
–E’ sempre possibile raggiungere delle conclusioni desiderate sul comportamento umano, scegliendo adeguatamente determinati fatti e non altri.
E per finire direi che il nostro encefalo privilegia sempre le azioni che, in una data situazione, condurranno a una decisione giudicata migliore dai circuiti neuronali correlati alla ricompensa. Vorrei inoltre ricordare che il nostro cervello emozionale (limbico) NON ascolta mai il nostro cervello razionale (neo-cortex), credere il contrario è pura illusione…..
@ Alessandro Pendesini. E allora perchè gli ateoumanisti danno per scontato che i principi dell’89 sono universali, indefettibili, insuperabili e tali da fare da parametro per ogni possibile giudizio storico-etico? Sulla base delle sue affermazioni anche il marchese De Sade potrebbe non avere tutti i torti.
Come di norma, voi vi date le arie di non avere dogmi, ma li avete di fatto. Solamente, non bisogna pensarci troppo e non bisogna dirlo in giro: è un “ARCANUM IMPERII”.
Florenskij,
io rifiuto tutti i dogmi, senza darmi arie. La scienza è incompatibile con i dogmi.
Se interpreto correttamente Alessandro qui sopra, lui voleva sottolineare che la morale, come tutti i concetti metafisici (aggiungo io) non è affatto scienza. Ergo, qualunque morale potrebbe essere classificata come, almeno parzialmente, dogmatica. Infatti, ciò che è “giusto” o “bene” per lei, potrebbe tranquillamente essere “sbagliato” o “male” per me, e viceversa.
Senza voler sminuire il ruolo della filosofia, vorrei aggiungere che si tratta di una disciplina antica e nobile, ma che ormai, dopo Galileo e la nascita dell’epistemolgia della scienza, deve forzatamente riconoscersi le proprie caratteristiche oggettive e non universali. Caratteristiche eliminate in toto dalla scienza.
@Florenskij :
Tramite le sua risposta ne deduco –come già affermo’ quelche tempo fa- che lei ragiona effettivamente con le « meningi », ma a volte anche con…la « spina dorsale » !
Quello che lei sembra ignorare è che in un Mondo dinamico un principio morale umano « Universale » non puo’ essere assoluto, ma puo’ benissimo variare con l’evolvere della cosapevolezza e conoscenza umana ! La storia è la per ricordarcelo.
Inoltre a me sembra che lei confonda l’UAAR con l’ora di catechismo dell’oratorio ; su di questo vorrei rassicurarla che gli uaarini hanno oltrepassato l’età dell’infanzia e adolescenza….
P.S. Se vuole scrivere delle favole filtrate dalla retorica lessicale, questo non mi pare sia il sito adatto ! Per pavoneggiare con la sua particolarissima e stimatissima dialettica, le suggerisco il blog dell’UCCR, o comunque dei siti cattolici : provi sul « Campanone », o magari anche « öl Giupi’ » di Bergamo…..
@ Giorgio Pozzo
“Se interpreto correttamente Alessandro qui sopra, lui voleva sottolineare che la morale, come tutti i concetti metafisici (aggiungo io) non è affatto scienza. Ergo, qualunque morale potrebbe essere classificata come, almeno parzialmente, dogmatica. Infatti, ciò che è “giusto” o “bene” per lei, potrebbe tranquillamente essere “sbagliato” o “male” per me, e viceversa.”
La morale un concetto metafisico? Qualunque morale sarebbe, almeno parzialmente, dogmatica? E’ metafisico affrontare il problema del comportamento (tale dovrebbe essere l’etica), a cosa dovrebbe essere improntato, e perché? Per non parlare del valore da dare alle nozioni di ‘bene’ e male’, di ‘giusto’ e ‘ingiusto’. Che esistono, mi pare, nell’esperienza di ognuno come esigenza reale, quanto meno se si intendono stabilire criteri di comportamento, soprattutto nei confronti dei propri simili… quindi non vedo dove sia la ‘metafisicità’.
In quanto al dogmatismo… sarebbe tale se, appunto, si trattasse di definire la morale una volta per tutte in base a ‘valori’ prestabiliti, mentre – spero non lo vorrai negare – esite come problema, che certamente assume caratteri storicamente, oggettivamente e soggettivamente, diversi, ma non per questo cessa di essere un problema.
Come affrontarlo? Per me non c’è che un modo, che qui enuncio soltanto: usando la facoltà razionale… a sua volta storicizzabile, certamente, ma non vedo con quale altro strumento che non sia la ragione lo si possa affrontare.
In quanto alla scienza… ma non si dice continuamente che “non deve interessarsi di morale” in quanto i suoi procedimenti sono validi per se stessi, permettono di acquisire conoscenze ‘vere’ in quanto verificabili (o falsificabili, per Popper), e che poi l’uso che se ne fa, la possibile strumentalizzazione della ricaduta tecnica resa possibile da queste conoscenze dipende da altro? Quale ‘altro’? E’ irrilevante porselo come problema.
(Mi dirai tu se ho interpretato male quanto hai postato. In quanto a Pendesini ci siamo già confrontati più volte anche in altra sede… trovando per la verità pochi punti d’accordo)
La scienza è incompatibile coi dogmi e continua a rivedere le sue affermazioni sulla base di nuove informazioni che integrano e modificano quelle precedenti.
Le dichiarazioni del ’89 hanno rappresentato un punto di rottura e di ribellione col passato come lo è stata la rivoluzione copernicana, ma sono solo uno spunto di lavoro (o crede che l’universo di oggi sia quello copernicano?). L’obiettivo è migliorare le nostre condizioni di vita (per tutti), condizioni che non sono statiche.
Giorgio Pozzo
Concordo sull’ultimo paragrafo sulla filosofia, sentir parlare di Kant e Hegel per parlare del 2012 mi sconcerta. Ma non è vero che nella scienza certe caratteristiche siano state eliminate in toto: non lo sono per esempio nella psicologia e psichiatria, ma anche in parte nella medicina.
Bruno,
La morale, in quanto prodotto della mente umana, è senz’altro un concetto metafisico. Come dio, il numero 4, l’amore, il male, l’arte, e così via. Ed è, al contrario dei linguaggi metafisici ma formali come matematica e logica, una componente soggettiva, individuale, e non oggettiva, universale, della metafisica stessa.
Nel preciso momento in cui qualcuno volesse specificare quale morale sia positiva e quale negativa, quale buona e quale cattiva, definirebbe un dogma. Cioè, qualcosa della cui verità o falsità non si potrebbe dimostrare nulla.
Non possiamo far altro che tentare di decidere delle regole morali in modo che piacciano a quante più persone possibile, senza avere mai la certezza di essere nel giusto o nell’errore, come invece accade con la metafisica oggettiva della matematica o della logica, dove utilizziamo regole e dimostrazioni di verità o falsità.
Infatti, poichè la scienza si occupa di fisica e non di metafisica, concordo allora nel dire che la scienza non può occuparsi di morale.
@ Giorgio Pozzo
Non possiamo far altro che tentare di decidere delle regole morali in modo che piacciano a quante più persone possibile, senza avere mai la certezza di essere nel giusto o nell’errore
Sono parzialmente d’accordo. Alcune regole morali sono sicuramente il distillato dell’esperienza. Credo che un gruppo “generi” una regola morale (sto parlando di un processo, non una decisione dall’oggi al domani) perché la sua assenza si è dimostrata deleteria per lo stesso gruppo. Per questo il gruppo si prende “cura” dei dissenzienti. Non potendo farlo in modo sistematico e pervasivo torna buona un’agenzia invisibile che lo fa in modo infallibile, nella speranza di “convincere” anche i cheaters più riluttanti.
Ovvio che le facoltà cognitive partendo dai rudimenti astraggono e contestualizzano regole sempre più complesse per far fronte a situazioni sempre più complicate, tra l’altro anche dalle stesse regole.
@ Giorgio Pozzo
Pensa alle regole di un gioco: non necessariamente sono sorte insieme. Probabilmente quelle iniziali hanno definito il gioco, senza le quali non esisterebbe. Si parlerebbe di altro.
La sua pratica ha insegnato le modifiche, rese necessarie dalle conseguenze negative della loro assenza. Per inciso, senza interventi di entità metafisiche 🙂
@ Giorgio Pozzo
Evidentemente abbiamo un concetto diverso di metafisica. Per me esprime solo un’esigenza conoscitiva in merito a ciò che non può che sfuggire alla nostra ragione per limiti oggettivi della stessa (la risposta definitiva ai grandi quesiti esistenziali), reale come esigenza, ma destinata a rimanere tale. Tutt’al più (anche se non è poco) può costituire un punto di riferimento per ridefinire di volta in volta il limite in quanto si tratta di un limite mobile, reso mobile soprattutto dalla ricerca scientifica, ma sempre limite è. Limite che invece la religione ritiene di superare.
Perchè a mio parere la morale non ha niente a che fare con la metafisica? Perchè si tratta di un’esigenza che invece bisogna soddisfare, è necessario soddisfare, per problematico che sia è necessario definire di volta in volta criteri che diventino operativi… ma in funzione di un criterio razionale che bisogna pur sforzarsi di stabilire. E qual è, a mio parere, il criterio più razionale che la condizione umana richiede da quell’animale razionale che è l’uomo cui vanno rapportate le scelte operative? Niente di dogmatico, o se preferisci di metafisico, ma consiste nel trovare di volta in volta il modo migliore perchè i rapporti con i nostri simili non si traducano in una conflittualità autolesionista, al limite autodsitruttiva, cercando di volta in volta di trovare il modo migliore, usando questa chiave di lettura delle vicende storiche, per evitare che ciò accada, per perseguire e incentivare ciò che ha fatto in modo che non accadesse.
Credo che questo sia il criterio meno metafisico, meno dogmatico, più razionale,che si possa escogitare. L’alternativa è quella di ogni religione, di ogni deologia vissuta religiosamente: andare oltre la condizione umana, illudersi alienandosi di andare oltre.
@alessandro
1) Forse ti sembrerà strano, ma è oggetto di studio delle neuroscienze.
2) Ed è oggetto delle neuroscienze perchè queste riconosco un fondamento etico comune a tutta l’umanità, a prescindere dalla cultura particolare e dai diversi usi e costumi. Ricordiamoci che siamo un’unica specie.
3) Il bene comune universale fa da sostrato ai vari livelli etici particolari. L’etica di Socrate, Platone o Aristotele tratta le medesime questioni tuttora dibattute, soprattutto attinenti al bene e alla giustizia. Anche se i tempi sono notevolmente mutati, resta quindi immutata l’aspirazione dell’uomo al bene e alla giustizia. Paradossalmente anche chi è dedito alla sopraffazione sull’altro, pretenderà per sè solo bene e giustizia.
4) Come potrai leggere dal mio precedente commento, il comportamento umano, se studiato in profondità, presenta delle caratteristiche comuni. Cambia solo il diverso rapporto uomo-ambiente. Se gli aztechi, ovvero i nativi centro americani, avessero goduto delle condizioni ambientali favorevoli del Medio Oriente, allora molto probabilmente, sarebbero stati loro a conquistare l’Europa e non viceversa. E lì vi avrebbero trovato spartani che cannibalizzavano greci .
5) Le neuroscienze smentiscono questa netta separazione tra sistema limbico e corteccia cerebrale (vedasi studi di Antonio Damasio). Non solo, anche i circuti neurali deputati al movimento sono intimamente intrecciati con le capacità cognitive. Strutture corticali e subcorticali agiscono quindi in concerto in complessi circuiti neurali.
Le cure farmacologiche dei parkinsoniani per limitare i tremori involontari presentano effetti regressivi sulle loro potenzialità cognitive.
Quindi anche il mito della razionalità corticale pura è destinato a cadere. Anzi i vecchi miti sono universali molto più attuali delle vecchie filosofie, in quanto raccontano la vita dell’uomo: affetti, amicizia, amore, rapporti familiari, ecc.. ma anche gelosia, invidia, egoismo, competizione, forza, ecc…
Voler spazzare via tutto questo con la ragione è come voler separare la carne dalle ossa. Si illudono gli atei se credono che l’ateismo o il raziocinio puro scientista possano bastare all’uomo. Da questo punto di vista è l’ateismo ad essere irrazionale. Le pulsioni vitali, qualora soffocate da una logica razionale aridamente fine a se stessa, troveranno sempre altri sbocchi per emergere, e con molta più energia ed irruenza. Vale anche per gli atei. Il relativismo etico è quindi una scusa che permette all’individuo di colmare, spesso impropriamente, il manifesto vuoto spirituale che attanaglia la società moderna fondata sul binomio del cieco consumismo e della finanza predatrice. Dove la società fallisce è l’individuo che tenta di limitare i danni per sè.
@ Antonio72
Vedo che la vacanza non ha cambiato una virgola nei tuoi interventi. Nessun ateo si sogna di spazzare le emozioni con il raziocinio, che stupidaggine colossale!
La ragione serve per accertare e condividere la verità: come stanno le cose. Per questa funzione le emozioni, parte integrante della vita, non servono. Ti è stato già detto ma poiché non è funzionale al tuo sistema di credenze, nel quale la verità viene accertata e accettata per altre vie (beati coloro che pur non avendo visto crederanno) tu, da buon credente, semplicemente ignori le informazioni che non ti fanno comodo.
@Antonio 72 :
La invito a dare un’occhiatina al significato di « gerarchia di funzione dei nuclei neurosinattici » (da non confondere con gerarchia di dominio neuronale…). Dopo, ma solo dopo, se se la sente possiamo riparlarne.
@alessandro
Faccio rispondere direttamente la neuroscienza, dopo, ma solo se vuole, può replicare o commentare il seguente brano di un neuroscienziato, il quale ovviamente non sono io, come di certo lo è lei:
“L’anatomia funzionale di sistemi cerebrali dimostra che il processo razionale (espressione parziale dei processi cognitivi) non esiste se separato dai processi emozionali ed esperenziali motori, in quanto legato ad essi da vincoli inscindibili”.
Poi, se vuole, le cito anche la fonte…ma solo se vuole.
Ciò che contraddistingue l’uomo sin dalla notte dei tempi, dai cosiddetti popoli primitivi, è la tendenza a volersi affrancare dal caos naturale, di considerarsi parte integrante del divenire naturale, ma anche e soprattutto qualcosa di “diverso”. E ricordiamoci che è da questo impulso umano irresistibile che si è originata qualsiasi civilità umana. L’antropologo Marvin Harris (La specie umana) e successivamente Jared Diamond (Armi, acciao e malattie. Breve storia nel mondo degli ultimi tredicimila anni.) hanno dimostrato, direi inequivocabilmente, che le varie culture sviluppatesi nei più disparati angoli del mondo, hanno tutte un elemento comune: l’uomo. Ed in questo la giustizia può dirsi ristabilita dopo secoli in cui il pregiudizio razziale ha contaminato l’animo umano, inducendo l’uomo a compiere le azioni più vergognose.
Anche la biologia lo attesta, quando dimostra che il 99% del DNA umano è comune a tutti gli uomini. Vi è quindi una natura umana inscritta biologicamente e spiritualmente nell’uomo (e molto spesso quest’ultima componente arriva prima).
Oggi, chiunque di noi può fermarsi un attimo e guardarsi un po’ attorno: cosa può vedere? Davanti agli occhi un monitor luminoso sopra un tavolo e magari vicino un cordless o una stampante laser, seduto in mezzo una stanza con pavimento perfettamente levigato e piastrellato e circondato da quattro mura intonacate di bianco perfettamente ortogonali, un tetto sopra la testa tegolato e spiovente ecc.. Cos’hanno in comune tutti questi elementi? L’ordine e la finalità, le quali appartengono da sempre all’uomo, ripeto anche alle popolazioni più primitive, in cui l’ipersoggettivismo moderno non aveva spazio in una coscienza troppo arcaica.
Ma da dove proviene queste necessità umana, quasi come l’aria che si respira e per cui l’uomo è uomo?
Solamente dall’angoscia data dalla consapevolezza della propria mortalità o da qualcosa che proviene dall’esterno, dalla contemplazione positiva dell’ordine naturale, di cui dice bene Florenskij?
L’ordine e la finalità, l’uomo dapprima di certo li ha dovuti imporre per questioni di sopravvivenza, ma poi li ha potuti introiettare da una visione positiva della natura più matura e consapevole, visto che non può essere il contrario.
Oggi purtroppo si sta regredendo all’atteggiamento iniziale primitivo per giustificare il predominio tecnologico, il quale nel suo irresistibile corso, fa scempio di qualsiasi elemento ed ambiente naturale. La natura è nemica dell’uomo, in quanto proviene dal caos cosmico, dal caso senza alcun senso. Sta quindi prevalendo l’aspetto matrigno della natura.
Paradossalmente l’ipersoggettivismo riporta l’uomo all’età arcaica in cui è l’istinto di sopravvivenza che prevale, con le conseguenze che possiamo immaginare e che in parte assaggiamo tuttoggi. Se prevale l’ipersoggettivismo qualsiasi etica non avrà più necessità d’essere e prevarrà l’ingiustizia sociale. Oggi, non solo si vuole uccidere Dio come realtà vivente, ma anche il suo postulato, il quale per lo stess Kant era indispensabile all’uomo.
http://uregina.ca/~gingrich/s3002.htm
@ Giorgio Pozzo. Ogni impostazione morale è soggettiva e parziale? Concediamolo. E allora chi decide quale dev’essere il modello etico su cui va costruita e mantenuta la società in cui viviamo? E come lo decide e impone? Con la forza della polizia? Con la forza massmediatica? La Chiesa a suo tempo l’ha fatto, e per questo voi la bollate di immoralismo. E voi che cosa fareste di sostanzialmente diverso?
La parola dogma nella polemica anticlericale ( che ha le sue ragioni, beninteso ) ha assunto una connotazione totalmente negativa che non rende il concetto essenziale. I “dogmi” sono gli elementi fondamentali e “sistemici” del modello etico scelto da un raggruppamento umano: sono per così dire le “regole delle regole del gioco”. In questo senso i “principi dell’89” a cui si ispira la nostra costituzione sono dei “dogmi ( principi fondativi ). Come tali non sono giustificabili scientificamente nel loro nucleo: ad esempio, che cosa ci sarebbe di “non scientifico” nel progetto di una società retta da una elite di cervelloni i cui figli fossero allevati in scuole di supercervelloni e così via, in modo da creare una superelite capace di produrre in poche generazioni un prodigioso balzo in avanti della tecnoscienza? Ovviamente questo progetto implicherebbe la creazione di un sistema scolastico ultrelitario, assolutamente contrario alla “sdemocrazia scolaastica” che la sinistra presenta come irrinunciabile. Del rsto un modello di questo genere è stato già prospettato nel romanzo “Il mondo nuovo” di Aldous Huxley.
La non pia utopia dei “nuovi atei” è quella di pensare che il sistema politico “progressista” da loro preconizzato sia completamente “neutro”. Bastano già le opzioni nel campo della bioetica e della politica familiare a dimostrarlo; non parliamo del sistema pedagogico.
Il “disincantamento del mondo” indicato da grandi pensatori implica la non oggettività delle scelte di valore: e voi tornate a esprimervi ( e dileggiare chi non la pensa come voi ) come se questa oggettività esistesse?
Le regole del gioco possono essere modificate, integrate, abrogate, i dogmi no.
Scientificamente è stato dimostrato che figli di geni non sono molto spesso dei geni anche loro. La ricchezza è nella variabilità. Quindi l’idea di Huxley è solo fantascienza: certo che è singolare usare la fantascienza per dimostrare le proprie tesi. Qualcosa di oggettivo e statistico e analisi serie è chiedere troppo?
I principi dell’89 sono delle ipotesi di lavoro frutto di millenni di storia e che verranno integrati e rielaborati in un mondo che cambia. Che cosa ci trova di sbagliato in quelle affermazioni? Non le piace che tutti gli uomini siano uguali? Capisco che per uno di sangue blu questo non sia accettabile.
@ Roberto V
“Le regole del gioco possono essere modificate, integrate, abrogate, i dogmi no”
Che la chiarezza oscuri le menti di chi adora i misteri? 🙂
Florenskij,
La domanda è piuttosto difficile. Chi dovrebbe decidere il modello etico di una certa società? Beh, dovendo escludere che siano tutti i componenti della società stessa a decidere, in quanto sarebbe statisticamente sicuro il disaccordo, con la conseguente impossibilità a decidere, dobbiamo allora accettare che sia un gruppo di pochi a decidere. Il problema si fa allora meno arduo, ma sempre difficile. Il gruppo di pochi deve essere quanto più rappresentativo possibile delle individualità presenti nella società stessa. Di nuovo, statisticamente, le decisioni del gruppo sarebbero solo parzialmente rappresentative dell’insieme complessivo, con il problema di massimizzazione dei “contenti” rispetto agli “scontenti”. E ancora, nell’ambito del gruppo stesso, non sarebbe affatto certo avere uniformità di decisioni.
Tutto questo non fa che rafforzare la natura prettamente metafisica del concetto di morale. Metafisica soggettiva, non oggettiva. Che diventa dogmatica solo se i presupposti di partenza vengono sviluppati come postulati invece che assiomi. Una morale che mi dica “non uccidere” risulta discutibile in quanto questo postulato di partenza, che secondo alcuni è un dogma, porta invece a contraddizioni interne con altri postulati-dogmi. Se esistono contraddizioni interne costruibili a partire da postulati, significa che tali postulati non dovrebbero essere considerati tali in modo dogmatico.
La giustizia divina non è di questo mondo (anche perché NON ESISTE),
la giustizia terrena…idem (ma anche no, basta avere “li quatrini”).
«Ma se vogliamo riconsiderare la scienza in questo ambito nuovo (anche se vecchissimo), dobbiamo – come si diceva prima – modificare il concetto di filosofia per renderlo omogeneo e compatibile con la natura dell’attività scientifica. Non si tratta di effettuare una forzatura, ma di un fatto logico: solo se la filosofia diventa (o meglio torna a essere) “pensiero razionale” può contenere la scienza come settore e dialogare costruttivamente con essa.
In caso contrario la scienza procederà sempre per la sua strada. E farà bene a fare così. Continueremo ad avere una comunità di scienziati per lo più compatta e una banda di filosofi allo sbando. Una falange contro l’Armata Brancaleone.
A proposito di questo argomento, ritengo che giustamente la scienza nel corso dei secoli passati si sia prima isolata e poi resa indipendente, perché non poteva vivere al fianco di una filosofia degenerata, già trasformatasi in “filosofia religiosa” (altro ossimoro) durante l’ellenismo e poi imbrigliata dalla religione cristiana e resa “ancilla theologiae” nel corso dei mille anni del Medioevo. In seconda battuta, inoltre, diventa persino spiegabile (capibile ma non giustificabile) l’atteggiamento scientista che arriva a dire (come reazione, anche se, dal nostro punto di vista, erroneamente) che quella scientifica sia l’unica conoscenza valida. Classico “muro contro muro”: sbocchi zero.
Filosofia = pensiero razionale: l’affermarsi di una concezione del genere (che poi è l’idea originaria) sarebbe un’autentica “rifondazione filosofica” e costituirebbe una vittoria culturale senza precedenti.»
Riflessioni del biologo Oreglio:
http://www.scienceanddemocracy.it/interventi/intervento-oreglio.pdf
Concordo sostanzialmente col biologo Oreglio. Siamo ormai in un mondo di specialisti e mi da fastidio vedere i filosofi che continuano a ragionare in termini generalisti come se fossimo ancora a centinaia di anni fa. Sento spesso dei ragionamenti sulla scienza allucinanti. Anche i filosofi devono diventare degli specialisti e non possono pensare di occuparsi di tutto lo scibile umano e devono cercare di trovare dei criteri oggettivi e non soggettivi come attualmente. E limitarsi al loro campo d’indagine.
@ Sergio
“Filosofia = pensiero razionale”
Non so se questo richiamo è rivolto a me (in questo post si propone una mia ‘opinione’) – che accetto di essere definito ‘filosofo’ come ritengo lo sia chiunque intenda porsi una serie di domande e cercare di rispondervi con i mezzi culturali e intellettuali di cui dispone… ma, nel caso, in che cosa quanto cerco di argomentare (qui e altrove) non sarebbe razionale?
In caso contrario (cioè se non ti rivolgi a me), ovviamente, come si diceva da bambini, “parola torna indietro”
@ RobertV
“Anche i filosofi devono diventare degli specialisti e non possono pensare di occuparsi di tutto lo scibile umano e devono cercare di trovare dei criteri oggettivi e non soggettivi come attualmente. E limitarsi al loro campo d’indagine.”
Senza entrare nel merito del tema della specializzazione (o percellizzazione del sapere, correlato, come direbbe Marx, della parcellizzazione del lavoro con le conseguenze che stiamo scontando), quale sarebbe il ‘campo di indagine’ specifico della filosofia?
In campo scientifico siamo tutti degli specialisti per necessità a causa della mole elevata di informazioni, se usciamo dal nostro campo possiamo cogliere solo alcuni aspetti molto generali. E’ quello che mi succede quando leggo articoli per esempio di Le Scienze su argomenti lontani dal mio. La soluzione in campo scientifico quando si deve affrontare un problema complesso multidisciplinare è quella del lavoro di equipe con più competenze. Quali competenze può avere oggi un filosofo che da solo pretende di ragionare su realtà complesse senza avere i mezzi per comprendere il particolare? Personalmente ritengo che il lavoro del filosofo sia a valle del pensiero scientifico e che debba essere svolto a stretto contatto con esso altrimenti rischiamo di sentire discorsi sempre rivolti al passato: trovo assurdo citare Kant o Hegel per interpretare i tempi moderni (anche Marx).
@ Bruno G.
Il mio è stato un intervento fuori tema. Avevo letto l’articolo di Oreglio che mi era piaciuto e ho approfittato dell’occasione (si parlava di filosofia) per fargli pubblicità, nient’altro.
Ne approfitto ancora. La filosofia come pensiero razionale o ritorno al pensiero razionale è una bella proposta, no? Inizialmente (in illo tempore, in Grecia) la filosofia era vera scienza, poi è diventata ripetizione (philosophus dixit) e chiacchiera, magari colta (ancilla theologiae). Come si rompeva Schopenhauer a sentire i cattedratici dell’epoca! Ma che stanno dicendo, si chiedeva.
Ma può la filosofia (ri)diventare scienza ovvero puro pensiero razionale? Penso di sì, se riconosce i suoi limiti. È ciò che suggerisce anche il biologo Oreglio.
Se no – come dice lui – avremo di qua “una falange compatta, gli scienziati”, di là l’armata Brancaleone dei chiacchieroni, in più con la puzza al naso, come Severino e Cazziari (così lo chiama un collega).
Non sono riuscito a leggere tutto il tuo intervento per le note ragioni già più volte espresse (i tuoi discorsi sono maledettamente astratti e – per me – semi incomprensibili).
Ma già che ci sono ne approfitto ancora. Ma come la mettiamo con l’imperativo categorico del teologo di Königsberg? Esiste o non esiste questa legge morale apparentemente eterna e che l’uomo sarebbe in grado di riconoscere?
Io direi di no. Siamo tutti mossi dall’interesse, immediato o remoto. Per ottenere quel che vogliamo dobbiamo scendere a compromessi con gli altri che hanno interessi diversi, magari persino opposti.
Giusto è ciò che piace (credo si chiami edonismo). Allora anche Sade aveva ragione? Chissà, forse sì. Ma è chiaro che ho il diritto di difendermi da Sade e di spaccargli la faccia.
La situazione non mi sembra comunque tragica: ci si può accordare per potere tutti perseguire i nostri interessi (frizioni e scontri sono naturalmente inevitabili).
“Personalmente ritengo che il lavoro del filosofo sia a valle del pensiero scientifico e che debba essere svolto a stretto contatto con esso altrimenti rischiamo di sentire discorsi sempre rivolti al passato: trovo assurdo citare Kant o Hegel per interpretare i tempi moderni (anche Marx).”
Ma cosa vuol dire ‘a valle’? ‘A valle’ dove? Coa significa ‘essere a contatto col pensiero scientifico’? A parte che lo stesso pensiero scientifico si è venuto formando anche, e per certi aspetti soprattutto, ad opera di filosofi, e che comunque esiste una ‘filosfia della scienza’ come riflessione sul tipo di conoscenza reso possibile dal metodo scientifico (del metodo scientifico come tale, non da questa o quella scienza, ovviamente campo di specialisti)… quale ‘scienza’, proprio perchè sempre più specialistica, può affrontare, come dicevo replicando a Giorgio Pozzo, ad esempio la questione dell’uso non strumentale della tecnologia resa possibile dalla ricerca? Con le conseguenze anche catastrofiche che tutti conosciamo?
In quanto poi al citare Hegel, Kant, Marx, e aggiungi pure Aristotele, Platone ecc., come credi si siano formati i criteri cui facciamo riferimento per valutare tutto ciò che sentiamo la necessità di valutare, proprio – su questo sono d’accordo – per rendere sempre meglio vivibile la vita di ognuno? Non si tratta naturalmente di accostare il loro pensiero come si trattasse di una ‘bibbia’ (anche perchè si può dire che ogni filosofo di cui si è tramandato il pensiero può diventare una ‘bibbia’), ma riprendere le domande che la loro speculazione ha di volta in volta posto, considerare le loro risposte, ma per riformulre quelle domande alla luce dei mutamenti che per altro anche la loro ricerca ha reso significativi.
Parlo dei filosofi perchè tu li hai citati, ma il discorso vale per chiunque altro ha contribuito a farci capire sempre meglio la realtà in cui viviamo. Scienza e scienziati compresi ovviamente, in quanto… pensano. Cioè, in senso lato, sono anch’essi filosofi.
@ Bruno Gualerzi
quale sarebbe il ‘campo di indagine’ specifico della filosofia?
Non è una domanda semplice.
Il metodo scientifico prevede la generazione di ipotesi (anche ardite), i criteri per il loro controllo ed eventualmente il rigetto. Non vedo male la filosofia come lavoro a monte e a valle, di partecipazione alla generazione di ipotesi e di razionalizzazione dei risultati. Quel che è certo è che filosofare senza tener conto dei fatti è un vicolo cieco, qualsiasi sia l’argomento. La teologia è un chiaro esempio.
@ Stefano
“Quel che è certo è che filosofare senza tener conto dei fatti è un vicolo cieco, qualsiasi sia l’argomento. La teologia è un chiaro esempio.”
Tutto sta a intendersi su ciò che è ‘fatto’ e su ciò che è ‘chiacchiera’! Qui (ma non solo) chissà perchè, ogni volta che si tirano in ballo, che io o altri tirano in ballo, le cosiddette ‘domande esistenziali’, che si parla – tanto per dire – di vita e di morte, di senso o non senso da dare alla vita e cose del genere, si viene tacciati per inutili chiacchieroni che scimiottano la telogia. A me sembra invece che non ci sia fatto più concreto, perchè fa parte, che lo si voglia o no, dell’esperienza di ognuno, e più decisiva, più radicale, di ogni altra esperienza, di ciò che riguarda la vita e la morte. Ne parla anche la teologia? E con questo? Dobbiamo lasciare che siano solo i teologi ad affrontare questi temi? Non lamentiamoci poi se tanti che considerano solo chiacchiere queste questioni, quando vengono al pettine i nodi dell’esistenza (e prima o poi capita ad ognuno) magari ‘riscoprono’ la religione. Per non averci pensato… razionalmente pensato… prima.
@ bruno gualerzi
Mi ha un pò sorpreso il tono della tua risposta, quasi come se tu abbia interpretato il mio intervento come una critica alla filosofia, che al contrario ho in grandissima considerazione. Vorrei questo fosse chiaro. Ma se una parte importante della conoscenza umana non è legata e tiene conto di tutto il resto, anzi, fa affermazioni che sono in palese contraddizione con quello, mi permetto di dubitare delle conclusioni. Semplicemente questo. Mi guardo bene dal pensare alla filosofia come chiacchiere inutili. Dico solo che rischiano di diventarlo se non tengono conto di tutto di quanto ho detto. Ripeto, ne è esempio la teologia.
@ bruno gualerzi
Se vuoi, quanto sto affermando non è altro che
“Come affrontarlo? Per me non c’è che un modo, che qui enuncio soltanto: usando la facoltà razionale… a sua volta storicizzabile, certamente, ma non vedo con quale altro strumento che non sia la ragione lo si possa affrontare”
Comprenderai che un uso corretto della ragione in un certo campo difficilmente si concilia (in modo permanente) con risultati opposti in altro. Le eventuali contraddizioni possono essere solo temporanee e dipendenti dalla correzione degli errori nell’uno o nell’altro settore. Questo, ovviamente, presuppone che si possano e si debbano rivedere le affermazioni alla luce di nuove conoscenze, sia da una parte sia dall’altra. Questo significa che:
“non vedo con quale altro strumento che non sia la ragione lo si possa affrontare”.
In merito al mio intervento sul rapporto tra scienza e filosofia – se vuoi – significa che non spetta alla seconda entrare in laboratorio…
Ma certo fornire ipotesi e integrare risultati a più alti livelli di astrazione.
Secondo me, la filosofia non è pensiero razionale. La filosofia è il tentativo di arrivare alla conoscenza con l’uso del solo pensiero.
Che poi il pensiero sia sempre razionale, lo escludo categoricamente: basti considerare che molti filosofi dicevano il contrario esatto di altri filosofi. Ifatti, la mente umana è sia logica che illogica al tempo stesso (in quanto si contraddice senza accorgersene).
La filosofia nacque ben prima della scienza, ma recentemente, solo la scienza può essere il mezzo per arrivare alla conoscenza. Intendendo ovviamente la conoscenza universale: quella soggettiva e individuale non serve a bessuno se non al suo proprietario.
L’idea base della filosofia della scienza è quindi proprio quella di considerare, con il solo pensiero, gli ambiti entro i quali la scienza si deve autodisciplinare per essere veramente conoscenza unioversale.
Giorgio Pozzo.
Parto dal tuo incipit: la filosofia cerca risposte col solo pensiero, il pensiero non sempre è razionale, ergo la filosofia non è pensiero razionale.
E’ un non sequitur evidente, in base alle regole del formalismo logico (se una cosa non sempre è razionale non vuol dire che non sia razionale per essenza, ma vuol dire che semmai in alcuni casi viene usata la ragione).
E, si badi bene, la filosofia non è una sorta di letteratura più bizantineggiante, ma, se fosse fatta correttamente, l’applicazione della logica ai contenuti dell’esperienza, dunque una forma di conoscenza retta da un metodo oggettivo (quando si fa filosofia e non letteratura filosofica).
Io mi formo i concetti dalle sensazioni, esprimo giudizi (ovvero definisco un soggetto con un predicato tramite una copula) e paragono due giudizi per trarne un terzo, a partire -la logica come meccanismo procedurale della ragione, la ragione come applicazione della logica ai contenuti dell’esperienza- da assiomi indimostrabili ma intuitivamente evidenti alla mente necessari per costruire il ragionamento (in primis il principio di non contraddizione).
Gli errori di ragionamento possono derivare o da un giudizio superficiale in cui il predicato non è perfettamente coincidente col soggetto, o da errori di valutazione dei sensi o da errori di logica formale.
La scienza è invece sperimentale perchè ha un altro campo di indagine, la spiegazione dei fenomeni coi fenomeni mentre la filosofia è una riflessione sui fenomeni in quanto tali e non sulla loro correlazione e dunque non è sperimentale per suo statuto.
Certamente la spiegazione del fenomeno col fenomeno ha un grado di oggettività maggiore ma non esagererei nemmeno qua: se ci fosse possibilità di massima oggettività e veridicità la scienza non procederebbe per correzioni e contrasti tra ipotesi ma avrebbe risposte certe e indiscutibili quasi immediate…il fatto che sia storicizzabile rende le caratteristiche di verità e oggettività quantomeno ridimensionate.
Il fatto stesso che le categorie fondanti della scienza, ovvero la definizione stessa della scienza, la riflessione sul metodo sperimentale e la falsificabilità, non siano scientifiche ma filosofiche, toglie oggettività alla scienza oppure, per converso, ne aggiunge alla filosofia, perchè se una disciplina basa le categorie logiche su un’altra è evidente che il legame sia più sottile di quel che si penserebbe a prima vista.
Nella parentesi iniziale ho omesso ‘male’… dunque sarebbe ‘viene usata male la ragione’, male evidentemente nel senso di ‘in maniera non corretta’ rispetto a quanto espresso poi sotto.
@ Batrakos
“Il fatto stesso che le categorie fondanti della scienza, ovvero la definizione stessa della scienza, la riflessione sul metodo sperimentale e la falsificabilità, non siano scientifiche ma filosofiche, toglie oggettività alla scienza oppure, per converso, ne aggiunge alla filosofia, perchè se una disciplina basa le categorie logiche su un’altra è evidente che il legame sia più sottile di quel che si penserebbe a prima vista.”
Perfetto! Stavo faticosamente elaborando un concetto simile, cercando di sintetizzare quanto avevo scritto nel mio sito, con varie argomantazioni, in merito al rapporto tra scienza e filosofia, quando ho letto il tuo commento. Condivido… e fatica evitata!
Batrakos,
ti dò ragione: avrei dovuto scrivere
– La filosofia cerca di arrivare alla conoscenza con il solo pensiero
– Il pensiero può essere razionale o irrazionale
=> La filosofia può essere razionale o irrazionale
La logica, in quanto linguaggio formale, è invece basata solamente sulla razionalità.
Ma filosofia non implica affatto logica.
Perchè la filosofia non implica la logica? Proprio per il fatto che è ragionamento astratto deve fortissimamente basarsi sulla logica che è l’unico criterio di verificabilità/falsificazione ove non sia possibile l’esperimento.
Se non si applica la logica, ovvero il principio di non contraddizione, e alcuni altri derivati (esempio: la parte non può essere maggiore dell’intero che la contiene, oppure se a=b e b=c a=c) non si può proprio ragionare, e infatti tutto il lavoro di formalizzazione della logica nasce proprio dalla filosofia greca antica molto prima del pensiero scientifico.
La logica è alla base di ogni modus di pensiero: tutto sta nel vedere se è ben applicata.
Il grado di maggior oggettività della scienza, conseguente al suo campo epistemico, si dà per la sperimentalità, ma l’esperimento è preceduto dall’ipotesi (e dunque dalle categorie logiche universali di ogni procedere razionale) e a sua volta una nuova teoria generale può dare un’interpretazione differente del medesimo risultato sperimentale.
@ Giorgio Pozzo
“- La filosofia cerca di arrivare alla conoscenza con il solo pensiero
– Il pensiero può essere razionale o irrazionale
=> La filosofia può essere razionale o irrazionale”
Anche qui forse si tratta solo di una questione linguistica, ma ritengo che la filosofia sia ‘comunque’ razionale nel momento in cui affronta razionalmente i problemi. Che non è una banale tautologia, ma si basa sulla considerazione che la filosofia è prima di tutto formulazione e analisi di problemi… tra i quali, non certo marginale, anche il problema della razionalità o irrazionalità del pensiero. Un filosofo che critica la ragione in quanto tale non è un irrazionalista… anche perchè (scusa la facile, perfino banale, considerazione) ci si può definire irrazionali solo facendo un discorso razionale altrimenti non si definirebbe niente di comprensibile.
In quanto alla logica… la stessa considerazione. Esiste una logica formale che definisco tale, e utilizzo come tale, sempre in base ad una elaborazione razionale che ‘viene prima’ della logica formale. Che la fonda come tale.
Per tornare alla filosofia… solita apparente tautologia. E’ irrazionale quando non argomenta, asserisce e basta, pretende di assere valutata sulla base di un qualche principio di autorità… che si può anche richiamare (tutto, o quasi, il pensiero scolastico si caratterizza per questo), ma sempre motivando la ragione di questo richiamo. Mancando ciò la filosofia… non è filosofia.
La nostra valutazione, è l’opposizione dei migliori e peggiori: “questo è meglio di quello” (valutazione soggettiva). Questa è esattamente la definizione di quello che io chiamo la valutazione interna degli oggetti mentali, con costante riferimento al mondo esterno, il sé, la memoria delle esperienze passate, le regole morali e convenzioni sociali interiorizzate.
Tutte queste caratteristiche contenute della nostra mente (pensieri) sono soggettivi ! Il potere della scienza (e questo è importantissimo !) deriva dalla sua capacità, basata sulla sperimentazione la più neutrale, imparziale e obiettiva possibile, che consiste nel verificare cio’ che può essere coerente (accettato sia pure provvisoriamente) in una miriade di soggettività individuali.
.
“Il potere della scienza (e questo è importantissimo !) deriva dalla sua capacità, basata sulla sperimentazione la più neutrale, imparziale e obiettiva possibile, che consiste nel verificare cio’ che può essere coerente (accettato sia pure provvisoriamente) in una miriade di soggettività individuali.”
Se ho inteso bene, in questo modo allora la scienza si ridurrebbe di fatto ad una pecie di sociologia, nel senso che certificherebbe, illustrerebbe, solo ciò che accade senza come tale contribuire in alcun modo a farlo accadere. Tutto legittimo e utile, sia ben chiaro, ma – come più volte ho rilevato confrontandomi con te – non credo possa tradursi in una sperimentazione “la più neutrale, imparziale e obiettiva possibile” come se a condurla fossero spettatori esterni non coinvolti in quelle che tu chiamo ‘valutazioni soggettive’. Perchè mai, o comunque come, la scienza – opera di uomini che vivono in una specifica epoca storica a contatto culturale con altri uomini – sarebbe esente da questa soggettività disponendo invece di strumenti oggettivi considerati tali soggettivamente?
Per me si tratta… secondo un tema che ho trattato nel libro che ho richiamato in nota (non credo sia pubblicità gratuita, tanto penso che comparirà qua e là solo in alcune librerie di alcune città italiane che nemmeno so quali siano. Comunque si tratta dello stesso testo riportato nel mio sito)… di un circolo vizioso.
Certamente la scienza sperimentale parte da soggetti, individui, che operano in modo soggettivo, ma su un mondo oggettivo. L’esperimento scientifico, per essere tale, deve essere ripetibile da chiunque, da qualunque altro soggetto. Questa ripetibilità, che possiamo chiamare verifica di un esperimento, è però solamente il punto di partenza della scienza vera e propria.
A partire da una serie di esperimenti soggettivi, a tavolino possiamo descrivere l’esperimento universale, oggettivo, che comprende tutti i casi possibili e verificabili da chiunque. In seguito, il punto cruciale riguarda il lavoro induttivo che ci permette di passare da questa moltitudine di casi particolari alla legge universale. Ovviamente, essendo l’induzione passibile di errore, anche madornale, una volta scitta la legge universale, questa si dirà “teoria scientifica” solo se passibile di falsificazione.
La scienza è semplicemente l’insieme di tutte le teorie scientifiche, e le teorie sono scientifiche solo se falsificabili. L’Intelligent Design, infatti, non essendo falsificabile, non è una teoria scientifica. Se poi una teoria scientifica viene effettivamente falsificata, allora sarebbe semplicemente errata.
@ Sergio
“Ne approfitto ancora. La filosofia come pensiero razionale o ritorno al pensiero razionale è una bella proposta, no?”
Naturalmente mi dispiace che ti risulti incomprensibile quanto scrivo, ma questo so fare, e continuerò a fare fino a quando qualcuno riterrà comprensibili i miei argomenti. A parte questo ribadisco un punto che tu non puoi nè confermare nè smentire perchè ti risulto astratto e incomprensibile, evidentemente intruppato nella ‘schiera dei chiacchieroni’: la filosofia come pensiero razionale non credo sia una gran proposta… perchè se non è razionale, non è filosofia. Credi forse che Shopenhauer, tanto per citarne uno, criticando certo razionalismo (non comunque Kant, cui per tanti aspetti si rifà) non fosse ‘razionale’?
“La filosofia come pensiero razionale non credo sia una gran proposta… perchè se non è razionale, non è filosofia.”
È chiaro. Ma chissà forse Oreglio voleva distinguere fra “filosofia buona” (e quindi razionale) e tutto ciò che si fa passare per filosofia e filosofia non è, ma appunto chiacchiera. Credo si possa distinguere l’una dall’altra. Comunque non credo affatto che tutti i pensatori o filosofi celebri dei due ultimi secoli siano stati poco razionali o chiacchieroni. Molta filosofia (o cosiddetta) è una riflessione sulle difficoltà dell’uomo ad adattarsi al suo mondo, a trovare risposte soddisfacenti alle sue domande. Riflessioni ovviamente legittime e interessanti e magari anche soddisfacenti, ma che probabilmente non possono dirsi scientifiche in senso stretto.
Penso per esempio a quel bellissimo scritto di Tolstoi, “La confessione” (si può scaricare dalla rete). Non è scienza, ma può essere utile perché contiene qualcosa di profondamente umano. Logicamente non è nemmeno filosofia (pensiero razionale). Ma lo stesso un discorso su ciò che sentiamo, ci inquieta. O alla Pascal (che non apprezzo molto): “Le coeur a ses raisons que la raison ne connaît pas.”
“È chiaro. Ma chissà forse Oreglio voleva distinguere fra “filosofia buona” (e quindi razionale) e tutto ciò che si fa passare per filosofia e filosofia non è, ma appunto chiacchiera’
Tu, non Oreglio, in base a cosa distingui la ‘filosofia buona’ (e quindi razionale) dalla chiacchiera? Penso che mi potrà essere utile, avendo l’impressione (si fa per dire) che definendomi astratto e incomprensibile, mi abbia catalogato tra i sacerdoti della chiacchiera.
Sto diventando un pò acido, lo so… ma, credimi, non è esaltante essere tacciato, direttamente o indirettamente, non certo solo da te, come chiacchierone. E vorrei almeno sapere dove e in che senso.
Non ti ho mai dato del chiacchierone, ma – per i miei gusti che saranno anche dei limiti – sei troppo astratto e / o hai un periodare troppo complicato che mi stanca: a un certo punto rinuncio. Ripeto: possono essere benissimo limiti miei.
Non ho ancora letto “Il mondo come volontà e rappresentazione”. Ho cominciato un paio di volte e mi sono scocciato. Anche Schopenhauer è complicato o difficile. Farò ancora un tentativo, anche perché sono abbastanza motivato. Come sai il mio “filosofo” di riferimento è Ortega y Gasset. Perché leggere Ortega y Gasset è per me “sempre” un vero piacere (praticamente ad ogni frase) e invece altri sono insopportabili, a cominciare dall’immenso Kant (così si dice, ma credo che Kant sia da ridimensionare: ha detto cose che non stanno né in cielo né in terra, per esempio che non si può dimostrare la non esistenza di Dio, ma ha detto anche di peggio).
Distinguere la filosofia buona dalla mediocre? Non so se ne sono capace. Diciamo che diffido definitivamente dei “parolai” alla Severino e Cazziari. Hanno scritto migliaia, forse persino decine di migliaia di pagine insieme – per dire poi che cosa? A certa gente bisognerebbe razionare la carta.
Sergio,
Kant aveva invece ragione: è perfettamente corretto dire che non si può dimostrare la non esistenza di dio (o di qualunque altro oggetto mai sperimentato prima).
La logica ci dimostra infatti che la falsificazione di un’affermazione esistenziale è impossibile.
Falsificare un’affermazione esistenziale equivale logicamente ad affermare un’asserzione universale.
Ergo, per falsificare un’affermazione esistenziale bisogna verificare una asserzione universale, e questa verifica risulta impossibile a farsi in quanto dovrebbe esaurire tutte le possibilità particolari contenute nell’affermazione universale.
Ad esempio, è impossibile falsificare: “non esistono corvi rosa”.
L’affermazione esistenziale “esistono corvi rosa” (equivalente a “qualche corvo è rosa”) falsificata diventa “non esistono corvi rosa” (= “nessun corvo è rosa”) = “tutti i corvi sono non-rosa”. E la verifica dell’universale “tutti i corvi sono non-rosa” è impossibile in quanto bisognerebbe verificare ogni singolo caso contenuto nell’affermazione, cioè ogni singolo corvo.
Nel caso di dio, non possiamo verificare che nessun universo possiede un dio, ergo, non possiamo dimostrare che dio non esiste.
@ Giorgio Pozzo
Ok, ma essere corvi e rosa non sono proprietà incompatibili. Pur non vedendosene in giro e pur potendo affermare in base all’esperienza che tutti quelli visti sono neri ed è improbabile di vederne di rosa, la cosa rimane teoricamente possibile.
Meno se affermo che esiste il corvo aquila o quello cane. Se metto insieme due proprietà che vanno in cortocircuito la non esistenza di quella entità si può se non dimostrare almeno tranquillamente postulare. In mancanza, viene meno un fondamentale strumento di comprensione.
Infine, affinché si possa dire che non è possibile dimostrare la non esistenza di corvi rosa occorre che di corvi si possa parlare perché qualcuno se ne è visto e soprattutto si sa riconoscere o definire con sufficiente precisione cosa sia un corvo. Affermare che non si può “dimostrare” la non esistenza di uno sbaraquak senza saper bene cosa sia e attribuendogli proprietà incompatibili, forse da un punto di vista logico non sarà a rigore possibile ma io una mano sul fuoco ce la metterei tranquillamente.
@Sergio
Ce la metteresti per l’inesistenza dello sbaraquak o per l’inesistenza di Dio? Mentre il primo te lo sei inventato di sana pianta al momento, l’ultimo è oggetto di infinite discussioni da millenni, fino ad oggi compreso, 8 maggio 2012.
Quindi nell’ultimo caso, se proprio non vuoi desistere, ti consiglio vivamente di metterci la mano sinistra se sei destrorso o destra nel caso opposto.
@Antonio72
Quale dio? Con quali caratteristiche? Il tuo? O Manitou? O Thor? O Zeus?
Per millenni e senza risultati? Suvvia…
Dovesse esistere un/ alcuni/molti “dio” non è/sono di sicuro nessuno di quelli inventati, a pari titolo dello sbaraquak. Tanto più che consistono in collezioni di caratteristiche contraddittorie.
Tutte e due le mani ci metto.
@ Antonio72
Curioso poi come tu ti sia sentito di intervenire sulla terza “entità” di cui ho scritto, quella mal definita e con caratteristiche contraddittorie, per “difendere” il TUO “sbaraquack” 😉
Stefano,
Consiglio di non fossilizzarsi su un esempio. Il punto è che la logica, che è un linguaggio formale come la matematica, ci dimostra che non si può dimostrare la negazione di una affermazione universale. Non entrando nel merito dei contenuti delle affermazioni stesse, cioè non considerando gli oggetti dell’affermazione stessa. Se si dimostra che A=B+C, questo vale per qualunque A, B o C.
Alcune precisazioni aggiuntive sul tuo post:
– essere corvo non è una qualità (infatti, le famose prove ontologiche dell’esistenza di dio sono errate in quanto, sempre grazie a Kant, ci si deve convincere che l’esistenza non è una proprietà).
– non si può definire matematicamente la probabilità che esista dio o un corvo rosa: il valore numerico che gli assegni è perfettamente arbitrario e quindi irrilevante. Anzi, contraddice la definizione di probabilità.
– se consideriamo almeno due proprietà di un certo dio, allora ti dò ragione, e diventa possibile dimostrare logicamente che tali proprietà si contraddicono logicamente. Tutto questo però ci dice che, mentre possiamo essere atei riguardo a un certo particolare dio (ad esempio, quello della bibbia), dobbiamo rimanere agnostici verso un generico dio del quale non si specificano in modo preciso le qualità.
La negazione di un’universale si può ottenere con un’affermazione particolare in contraddizione con l’universale.
Tutti gli uomini sono bianchi viene invalidato dal fatto che io trovo un uomo non bianco.
Ben prima della teoria della falsificabilità, ciò è stato dimostrato filosoficamente col quadrato logico dei contrari e dei contraddittori..a proposito del legame molto più stretto di quel che si penserebbe.
Batrakos,
il tuo esempio non è il mio:
tu parli di negare un universale positivo, io parlo di dimostrare un universale negativo.
Nel tuo esempio, possiamo chiaramente negare “tutti i corvi sono neri” trovando un corvo rosa. O verde.
Nel mio esempio, non possiamo mai dimostrare che “non esistono corvi rosa”.
Non ha senso affermare l’inesistenza di un universale, per cui è uno pseudoproblema.
Dio -visto che di questo parliamo- però non è un universale, e in secondo luogo nel problema sull’esistenza di dio non c’è chi afferma o chi nega come spesso semplicisticamente si sostiene, ma chiunque afferma, dato che la domanda iniziale non è se dio esiste o meno, ma come interpretare il fatto che ci sia l’universo.
A seconda del ragionamento che si sviluppa da questo problema si apre un ventaglio di ipotesi (e appunto sarebbe da verificare la tenuta logica di tutte), una delle quali è dio, un’altra è la materia, un’altra la materia e volontà alla Schopenauer, un’altra l’idea hegeliana e via così…
@ Giorgio Pozzo
– essere corvo non è una qualità (infatti, le famose prove ontologiche dell’esistenza di dio sono errate in quanto, sempre grazie a Kant, ci si deve convincere che l’esistenza non è una proprietà).
Vero, sono stato impreciso.
Rosa è tuttavia un attributo che non è logicamente incompatibile con la “corvità”.
Addirittura potrebbe essere frutto di una anomalia genetica.
non si può definire matematicamente la probabilità che esista dio o un corvo rosa
Vero.
tuttavia, sebbene in astratto sia scorretto fare affermazioni sulla probabilità dell’esistenza dei corvi rosa saresti disposto (credo) a partecipare ad un gioco in cui si vince 10 volte la posta se entro domani qualcuno non porta un corvo rosa (non dipinto 🙂 ).
se consideriamo almeno due proprietà di un certo dio, allora ti dò ragione, e diventa possibile dimostrare logicamente che tali proprietà si contraddicono logicamente. Tutto questo però ci dice che, mentre possiamo essere atei riguardo a un certo particolare dio (ad esempio, quello della bibbia), dobbiamo rimanere agnostici verso un generico dio del quale non si specificano in modo preciso le qualità.
Poco da aggiungere, se non che non interessa molto questo generico “dio”.
Non più di uno “sbaraquak”. E si può essere “agnostici” nei confronti del primo allo stesso titolo con cui lo si è per il secondo. Sempre che tale agnosticismo sia praticamente giustificabile (?).
Batrakos,
a rigore stretto, vero che dio non sia un universale. Ma posso sempre costruire un’affermazione universale di non esistenza a riguardo dio come a qualunque altro oggetto immaginato, come il corvo rosa. Voglio dire:
non esistono corvi rosa
equivale logicamente a dire
non esiste alcun corvo rosa,
e allo stesso modo
dio non esiste
equivale logicamente a dire
non esiste alcun dio
Cioè, è sufficiente negare l’esistenza di un solo oggetto per dire che non esistono oggetti di quel tipo. Ma è impossibile, ripeto, dimostrare tale negazione di esistenza, sia che si riferisca ad un solo oggetto, sia che ne consideri altri uguali.
Il dio generico del quale non posso dimostrare la non esistenza potrebbe essere uno dei tanti, magari uno per ogni universo possibile. Infatti, possiamo a buon diritto dire che potrebbe darsi che il nostro universo non sia l’unico. A quel punto, potremmo iniziare a scornarci discutendo dei creatori degli altri universi…
Pozzo.
La semantica ci viene in aiuto: dio è sia quello abramitico, sia uno dei tanti delle religioni, ma theos è anche l’atto puro aristotelico, ed in genere a quello ci si riferisce in filosofia perchè non ha contenuti di rivelazione rispetto a quelli religiosi.
Dunque, quando si usa un termine che può dare adito ad equivoci, è bene definire prima il senso del termine che si vuole usare.
Per il resto, che è il discorso centrale, confermo quanto già detto e su cui la tua risposta non entra: si può prioritariamente solo affermare l’esistenza di qualcosa, solo secondariamente l’inesistenza (come detto per il quadrato logico, oppure, come detto da altri, se l’ente presenta caratteristiche contraddittorie), cioè il famoso discorso per cui l’onere della prova spetta a chi afferma, affermazione verissima, ma non usata propriamente riguardo all’esistenza di dio (inteso nel senso della filosofia), che è una delle risposte elaborate dal pensiero umano rispetto al problema dell’universo, e che, scaturendo da questa domanda, è un’affermazione al pari delle ipotesi in cui dio non è presente (materialismo, idealismo, volontarismo ecc..).
@Stefano
I risultati sono la civiltà umana e ce lo dice l’antropologia.
Per quanto riguarda le diverse concezioni di Dio, si potrebbe dire lo stesso della filosofia e della scienza visto che in entrambi i casi si dovrebbe parlare più correttamente di filosofie e di scienze. E allora: quale filosofia? Quale scienza?
Quindi anche la filosofia e la scienza sono false.
boh ?
Il pezzo è una mirabile rappresentazione della condizione e della “cognizione” umana, delle sue proiezioni e sublimazioni. Gualerzi è la prova provata che le “teste pensanti” non vanno mai in pensione.
Messaggio per Florenskij.
Proverò, prima della chiusura del post, a replicare, almeno in parte, o comunque ripetendo necessariamente le mie critiche solite, alle tue argomentazioni. Non sempre per me comprensibili, ma a volte invece stimolanti, convenendo con te in ogni caso che sarebbe sempre bene evitare le ‘legnate’.
Buona notte.
@ Stefano (ore 23:09)
Comincio a credere di essere un povero di spirito, un vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro (pazienza, dovrò scegliermi la compagnia adatta a me).
Mentre ho fatto fatica a leggere il pezzo di Giorgio Pozzo (e credo di non averlo capito) ho letto invece con grandissimo piacere la tua replica, piana, comprensibile e giusta. È semplicemente ridicolo stare a discutere dell’esistenza o non esistenza di qualcosa che non si può nemmeno definire e ha addirittura proprietà incompatibili (per es. il corvo aquila, il dio perfetto e strunzo come quello cristiano – perché ci vuole veramente una bella dose di strunzaggine a creare il mondo in un empito di amore – bonum est effusivum sui – e poi vedersi costretto a tormentare per sempre i poveri esseri creati perché non sono venuti come voleva lui ovvero hanno fatto uso della libertà che aveva loro donato – bella libertà!).
Alla fine Kant ha rinunciato a pensare per potere (di nuovo) credere. Tanto valeva, poteva risparmiarsi la fatica di pensare.
Sergio,
nella mia spiegazione ho tentato di riassumere uno dei concetti fondamentali di Popper nella sua “Logica della scoperta scientifica”.
Detto in termini pratici e ridotti, non si può dimostrare che X non esiste, in quanto dovresti dimostrare che X:
1) non esiste in Cina
2) non esiste in fondo al mare Tirreno
3) non esiste nel tuo giardino di casa
4) non esiste nel WC di FLorenskij (nemmeno dopo aver tirato lo sciacquone)
5) non esisteva a casa di Giulio Cesare
6) non esiste sulla Luna o su Saturno
7) non esiste nelle orecchie di Berlusconi
8) non esiste sotto il tuo letto nelle notti di luna piena
8.1) non esiste sotto il tuo letto nelle notti di luna nuova
8.2) non esiste sotto il tuo letto nelle notti di Natale degli anni bisestili
8.3) non esiste sotto il tuo letto nelle notti del compleanno di Beppe Grillo
8.3.1) non esiste sotto il tuo letto nelle notti del compleanno di Belen Rodriguez
….
come vedi, la casistica si spezzetta in una moltitudine di casi e sottocasi che divergono rapidamente e aumentano esponenzialmente.
Impossibile dimostrare logicamente la non esistenza di alcunchè, a meno che questo non abbia delle proprietà logicamente contradditorie (vedi miio post sopra, p.f.)
🙂
“Impossibile dimostrare logicamente la non esistenza di alcunchè, a meno che questo non abbia delle proprietà logicamente contraddittorie.”
Ma mi sembra che sia stefano che il sottoscritto affermino proprio questo: l’impossibilità dell’esistenza di circoli quadrati o di triangoli circolari (quesito del resto già posto nel medioevo). Il Dio cristiano è assurdo proprio in quanto triangolo circolare: se ne può escludere tranquillamente e logicamente l’esistenza (non può essere sommamente buono e giusto e poi massacrare di botte per tutta l’eternità un povero cristo che non ha fatto la riverenza al potere: elementare Watson). Dunque io affermo senza tema di smentita che il Dio cristiano è inesistente.
L’ippogrifo esiste davvero? No, non può esistere, solo nella fantasia di Ariosto (o forse se avesse un’apertura alare di 50 o 100 metri, cosa pensabile, ma altamente improbabile).
Siccome sappiamo, come ha detto un tale (non so più chi), che ci sono più cose in cielo di quante ne possiamo immaginare, non si può escludere l’esistenza di cose anche solo pensate (per es. le famose tazze intorno a Marte). Questo è vero. Diceva Tullio Regge a Primo Levi: “È solo una questione di tempo e distanze, ma prima o poi t’imbatterai in una statua di sale che ha le fattezze di Primo Levi.” Perché no? Quasi tutto è possibile. Quasi tutto, ma non proprio tutto. Passi per la statua di sale di Primo Levi a 13 miliardi di anni luce o in un universo parallelo, ma il Dio di Kant non esiste.
@ Sergio
“non può essere sommamente buono e giusto e poi massacrare di botte per tutta l’eternità un povero cristo che non ha fatto la riverenza al potere”
Non è più politicamente corretto per i credenti pensare all’inferno come lo hanno propagandato fino a quando non sono stati sensibilizzati da chi faceva loro notare quanto fosse ripugnante. Ora preferiscono l’interpretazione esistenzialista:
Dio non ti manda all’inferno ma sei tu che lo “scegli” per l’eternità.
Da qui si capisce anche la loro posizione sul fine vita…. 🙁
sintetizzare per piacere
@ sabner
sint…
😉
@Antonio72 :
Lei scrive : “L’anatomia funzionale di sistemi cerebrali dimostra che il processo razionale (espressione parziale dei processi cognitivi) non esiste se separato dai processi emozionali ed esperenziali motori, in quanto legato ad essi da vincoli inscindibili”.
Ma chi ha mai contestato la pertinenza di questa frase da lei descritta ???
Dalla sua risposta deduco che non abbia minimamente capito cosa intendessi dire tramite il mio commento !!! cioè : « Vorrei inoltre ricordare che il nostro cervello emozionale (limbico) NON ascolta mai il nostro cervello razionale (neo-cortex), credere il contrario è pura illusione….. », tramite questa frase (se ho capito bene) lei deduce che confermo l’ESISTENZA DI UNA SEPARAZIONE TRA I NOSTRI « TRE’ » CERVELLI ???
P.S. Non ho altra scelta che ripetermi : Ogni essere umano vede del mondo cio’ che l’organizzazione del suo cervello permette di « vedere » e nient’altro.
In ogni momento l’informazione non è contenuta nei segnali che noi captiamo del mondo, ma nelle risposte (interpretazioni) del nostro cervello ; il quale non funziona sui dati del mondo, ma su delle variabili neuronali o biochimiche che segnalano cio’ che è importante nel mondo, delle variabili intermedie.
Per sua informazione : il nucleo accumbens (incluso il nucleo grigio centrale), è un territorio responsabile della nostra impulsività (istinto) e gestisce tutte le nostre motivazioni. Una volta attivata, questa rete limbica genera l’attrazione, l’appetito o la soddisfazione ecc… e questo avviene qualche millisecondo prima di esserne a conoscenza !!! Da meditare….
Ma quello che contesto è che quella sua frase non ha senso, ovvero dire che il cervello-limbico non ascolta mai il cervello-corticale, in quanto non esiste nell’uomo una capacità puramente logico-razionale, è pura illusione.
Si potrebbe affermare anche l’opposto visto che, come già detto, le due capacità cerebrali non possono essere separate. Ovvero non esiste nell’uomo, per fortuna, una pura componente istintiva-animale che agisca autonomamente o gerarchicamente.
A questo proposito sottoscrivo il seguente brano di Giorgio Pozzo:
“Che poi il pensiero sia sempre razionale, lo escludo categoricamente: basti considerare che molti filosofi dicevano il contrario esatto di altri filosofi. Infatti, la mente umana è sia logica che illogica al tempo stesso (in quanto si contraddice senza accorgersene).”
La filosofia fallisce perchè si appella (o meglio astrae) solo ad una componente che costituisce il nostro pensiero, ovvero all’intelligenza razionale. Ma oggi sappiamo che esistono molte intelligenze diverse (se ne contano almeno sette) e non ha più senso misurare il QI.
Dove la filosofia fallisce ecco che interviene la religione e quando questa va in crisi, ecco allora l’idolatria, la superstizione, le tre famigerate effe (fama-fresca-frittola) ecc..
La scienza naturale invece non può dire nulla di interessante all’uomo, perché il suo unico scopo è descrivere il meccanismo quantitativo della natura con la matematica, niente di più.
Feynman scrive: “La legge di conservazione dell’energia è un teorema riguardante quantità da calcolare e sommare, senza alcun accenno al meccanismo interno, e analogalmente le grandi leggi della meccanica sono leggi matematiche quantitative per cui non abbiamo nessuna spiegazione. Perché per descrivere la natura possiamo usare la matematica, senza riuscire a spiegare il funzionamento? Nessuno lo sa, ma dobbiamo andare avanti lo stesso in questo modo perché funziona.”
Poco prima Feynam parlava della gravitazione asserendo che sappiamo come i corpi si muovono, ma non conosciamo cosa sia la gravità. E come è noto alla scienza non si può chiedere alcun perché. Quindi la scienza evade proprio le domande che interessano l’uomo. Per questa ragione, come già detto, gli atei si illudono che possa essere spazzata via qualsiasi religione o pensiero di Dio. Se elimini Dio, questo si moltiplica nel politeismo, nell’idolatria, nella superstizione, nell’illusione dell’immortalità assicurata dalla tecnologia, ecc.. perché appunto la logica non esaurisce lo spirito umano, checchè ne dica il nostro caro Odifreddi, e la pura logica può portare solo al suicidio antropologico.
PS
Al contrario di quanto afferma, le neuroscienze stanno studiando il comportamento morale dell’uomo e pare abbiano già individuato le diverse aree cdi competenza. Ovviamente sia strutture corticali che subcorticali.
Pare che le aree anatomiche che rispondono al contesto sociale e quelle che attivano l’elaborazione del pensiero morale, coincidono o mostrano vincoli indissolubili.
Per questo l’etica ateo-individualistica porterà inevitabilmente alla totale disgregazione sociale. In altre parole non può esistere un etica del genere. Lo stesso Bobbio conferma.
Colgo l’occasione di questo thread e degli interventi riportati per far rilevare ai signori credenti che sebbene gli ateacci non si trovino d’accordo il dialogo può procedere e a volte arrivare a conclusioni condivise perché ognuno è diposto a rivedere le proprie posizioni alla luce delle obiezioni che gli sono state mosse, senza che qualcuno salti su a dire che “sente” di aver ragione per cui l’altro ha sicuramente torto o che quel che si è detto ci è stato rivelato da fonte infallibile sebbene irreperibile.
Sono d’accordo che nessuno di noi abbia la verità in tasca, altrimenti la stessa discussione non avrebbe senso.
Non sono invece d’accordo quando critichi le fonti visto che qui nessuno, credo, possa definirsi un tuttologo.
Ovviamente le fonti non possono essere infallibili, ma se sono fonti scientifiche, le si dovrebbe riconoscere un certo grado di attendibilità.
La cosa si fa complicata, o forse intrigante, quando sul medesimo argomento una disciplina scientifica, ovvero studio scientifico, cade in contraddizione con un’altra.
Come si palesa la giustizia divina è superiore a quella umana poichè èrazionale e non istintiva,tende a punire senza umiliare.
E quindi, tu sei stato PUNITO…
giusto?
fin troppo duramente, direi
@ Kaworu
@ cyberego
Secondo me è stato pure umiliato. Rientra a pieno diritto tra i problemi della teodicea.
no, secondo me ale è il modo di dio per punire noi. ma visto che non voleva umiliarci, ed aveva paura di rischiare di farlo per sbaglio, per sicurezza si è assicurato di umiliare e rendere umiliante lui…..
ale diarroico,
”dio punisce senza um… ” è quello che stavano per dire gli abitanti di Sodoma,
Gomorra e tutti gli abitanti della terra al tempo di Noè.
Con te poi non ci è mica andato giù leggero… forse stava sperimentando
o era di cattivo umore.
Voi atei siete stati creati perchè noi credenti ci burlassimo di voi.
Condensando, perchè a leggere di tanta filosofia si corre il rischio oltre che di rigettare la cena in corso di digestione anche di perdere l’ultima dose di quella razionalità che ci fa uomini diversi dalla bestia ,,,
Giustizia deriva da IUS, termine latino per il Diritto, e a mio parere al di là di tante chiacchiere di filosofo, solo lo ius dovrebbe essere l’unico concetto interessante per noi uomini confinati nel nostro tempo finito, in quanto come ius humanum può concernere tanto doveri nostri verso singoli e collettività, quanto doveri altrui o di collettività verso di noi, cioè i nostri diritti in questo unico mondo che abitiamo e in cui transitiamo per il brevissimo tratto del tempo che ci riguarda. Lo Ius che poi unico si sublima nel concetto astratto di Giustizia.
Concettualmente e praticamente, ab origines, ben distinto dal FAS, perché di ben diversa origine spirituale: la credenza in un fas, considerato come una volontà soprannaturale, indeterminata, arcana, fu una credenza di origine fantastica, come il Fato; il Destino e similari.
il Ius invece ebbe radice bene incarnata neIIa coscienza moraIe dell’uomo; perciò nel fas l’uomo subisce Ia voIontà soprannaturaIe arcana di origine fantastica, nel ius agisce per volontà propria, obbedendo, nella forma più pura dell’azione, all’imperativo di tale coscienza morale.