Meditazioni crepuscolari

Stefano Marullo

Fotina Marullo 2

Si ritiene, a torto, che gli ateo-agnostici evitino di parlare della morte. Finanche la dea Ragione sembra avere le armi spuntate contro di essa. Paolo di Tarso, l’apostolo autodidatta, che baldanzoso gridava: “Dov’è, o  morte, il tuo pungiglione?” (1Cor 15,55) ammetteva anche che “l’ultimo nemico  ad essere annientato sarà la morte”(1 Cor 15,26). Neanche il Cristo poté sfuggire alla discesa agli inferi di tale inesorabile destino.

Che gli atei trovino disagio ad affrontare l’argomento è quantomeno smentito dalla bellissima monografia che “L’Ateo” ha dedicato proprio alla morte nel numero 2/2011. La recente dipartita di Marco Accorti, a cui idealmente sono dedicate queste righe, hanno dato ulteriore stimolo a porre domande attorno all’epilogo che ci attende tutti. A dire il vero, se ne era già ritornato a parlare con riferimento ad alcune morti eccellenti (ovvero eccellenti vite) di notori atei e laici che hanno scelto la strada della morte autoprocurata  e qualcuno aveva provato a specularci sopra sostenendo che, in fondo, per un non credente, il suicidio sarebbe un atto coerente per chi ritiene che l’eternità sia una bugia e questa vita priva di significato.

Lo scandalo vero non è tanto la scelta di porre fine alla propria esistenza, ma l’hybris di avere deciso in piena libertà, fuori dalla tutela di Numi e Dei, ritenuti ipotecari della vita e della morte. Sempre che ci sia una consecutio logica tra l’ammissione che non ci aspetti alcun aldilà con lo svilimento di qualsiasi interesse per questo mondo laddove potrebbe essere vero il contrario. Molti mistici anelavano alla morte e ritenevano la vita un esilio interminabile che li separava dalla visione celeste. Quanto all’ossessione del memento mori, solo chi si prefigura un redde rationem, giudizi universali con premi e castighi, può temere qualcosa dal passaggio finale dell’esistenza

E’ certamente riscontrabile una mancata enfasi riguardo la fatal quiete da parte degli atei. In larga misura ciò è dovuto ad una consapevole accettazione di un destino universale ineluttabile . Un mero ritorno al Nulla (qualcosa ho scritto qui tempo fa ) da dove si è provenuti che però non è una stoica e amorale rassegnazione. Solo un “folle per Cristo” (e comunque folle) come il poverello di Assisi poteva avere l’ardire di chiamarla sorella, la morte. A onor del vero, diversi secoli dopo, userà la stessa locuzione un celebre poeta (Ungaretti). E persino un poeta rock come Jim Morrison in The end, sembra quasi vezzeggiarla. La morte è nell’ordine delle cose, in uni(multi)versi che continuamente si spengono per riaccendersi, niente di più naturale insomma, eppure continuiamo a percepirla come sommamente innaturale. Laddove di innaturale, latu sensu, vi è la vita o il briciolo temporale di coscienza di esistere che ha strappato l’uomo al cono d’ombra che ammanta i suoi estremi (l’origine e la fine segnati dalla non-coscienza) attesa la deviazione della scimmia ominide che fa dell’uomo “l’unica creatura che non accetta di essere quello che è” come voleva Camus. Ma il senso di tanta inquietudine di fronte alla morte può spiegarsi anche con un’ancestrale paura, su cui hanno prosperato e prosperano le religioni, di una cesura irreparabile con l’umanità che resta. Foscolo nel suo mirabile carme Dei sepolcri, nega che ciò possa avvenire, una religione civile lega i vivi ai morti, il ricordo delle grandi imprese degli uomini sono destinate a perpetuarsi nel ricordo di quelli che vengono. Ma un velo di mestizia avvolge il suo carme, inutile negarlo. Lo stesso che si prova al Pantheon di Parigi. Ma sì, Voltaire, Rosseau e tutti i grandi, un’aria gelida avvolge il  monumento che li accoglie, il modo migliore di onorarli è nelle loro splendide opere, immortali, piuttosto che nelle loro povere spoglie, avvolti da marmi e scritte auliche.

Non è facile superare la paura della morte, che pure è un ignoto che ci era noto quando non eravamo al mondo. Un famoso libro di Eugen Herrigel, divenuto presto un best seller, che introduce allo zen l’uomo occidentale, individua tra i traguardi di lunghi anni di ininterrotta meditazione il non provare più alcuna angoscia per la vita, pur vivendo volentieri nel mondo, e l’assenza di timore per la morte, il cui pensiero non turba più. Vivere morendo e morire vivendo, ha scritto efficacemente Carlo Tamagnone. Nessuno scandalo, anzi, A’livella di Antonio de Curtis/Totò vede il momento fatale come paradigmatico e quasi auspicato di sommo egalitarismo tra tutti gli esseri umani, divisi in ceti e lignaggi senza senso.

Già Russell, che pure si dispiaceva della consapevolezza della non-eternità, si consolava pensando che anche gli uomini della peggior specie dovranno rassegnarsi ad una cessazione naturale delle loro iniquità, per il gran sollievo delle loro molteplici vittime.

In fondo, diciamocelo senza remore, non la vita, non la morte, è mistero. Non Dio, ipotesi, o meglio, ipostasi sublimata delle nostre paure e speranze. Mistero  è piuttosto la gratuità della Compassione, nel suo più alto significato etimologico (con-patire) che ci lega ai nostri simili, altrove declinata da filosofie e religioni con Amore, Carità, Amicizia, termini tutti trasudanti anatocismo. Quella che ci fa scegliere di dedicare la nostra esistenza ad una, più persone, condividendo insieme lo stesso destino. Il soffio di vita entro cui questo mistero si compie, alieno di ogni pretesa di immortalità, immerso nel fango della quotidianità (e che rifulge come il fiore di loto). Già, l’immortalità, che come ci insegna Fosca, tragico personaggio di Tutti gli uomini sono mortali della De Beauvoir, può essere mortalmente noiosa. Compassione, la vera chiave di volta del nostro vivere. E’ la lezione che ci viene da Antonius, cavaliere de Il settimo sigillo di Bergman, film senza tempo quindi sempre attuale, seppur sconfitto dalla Morte, invero vincitore morale su di essa. L’Universo, il Destino, la Natura, la Storia non ci amano né ci odiano (il sole si spegnerà tra quattro miliardi e mezzo di anni, senza curarsi di chi abiterà la terra allora) ma sono meri demiurghi che ci usano come materia prima e, se potessero, invidierebbero la nostra capacità di commuoverci per i nostri simili, caratteristica probabilmente non solo umana ma che, come molti etologi ammettono, condividiamo (in barba al nostro tracotante specismo) con altri esseri animali abitanti del nostro mondo. E’ la lezione di Gabriel Conroy, celebre protagonista de I morti di Joyce, che circondato dalle ombre dei vivi e dei morti, mentre la neve cade “come la discesa della loro ultima fine, su tutti i vivi e i morti” (like the descent of their last end, upon all the living and the dead), intuisce che l’amore perduto/donato è la cifra del valore di ogni esistenza presente e trapassata.

Ce ne andremo spogli esattamente come siamo arrivati, ma comunque sazi di avere assaporato la gioia della gratuità, in mille espressioni. Il nichilismo non ci salverà, mi diceva un amico, ma se ci dà coscienza della disfatta a cui siamo votati non per questo annulla l’irripetibile ricchezza  di  ogni profumo alla cui fragranza abbiamo attinto.  Se mi dicessero che mi manca un minuto per morire, forse avrei il tempo di dire che lo sguardo di mia figlia che mi sorride vale tutto quello che ho fatto, errori compresi, e  da solo può riempire l’esistenza e darne un senso sufficiente. E… scusate se è poco.

NB: le opinioni espresse in questa sezione non riflettono necessariamente le posizioni dell’associazione.

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83 commenti

Gabriele

Vabbè… in conclusione??? Non mi pare un pippone tanto diverso da quelli propinati dai saceerdoti di turno… Mi pare irragionevole parlare di questi argomenti in questo spazio poiché credo che, liberati dal dogmatismo e dalla credulità, ogni libero pensatore affronti la morte in un modo strettamente personale. Gli sfoghi speudo-filosofici di questo tipo li ritengo fuori luogo. Concentriamoci sulla “causa comune” ovvero l’affermazione della laicità nella vita pubblica con conseguente libertà di scelta (in campo relazionale, fine vita ecc.).
P.S.
Io sono dell’idea che sia immorale sprecare spazio pubblico pel la creazione di cimiteri e che i nostri cadaveri dovrebbero essere utilizzati per farci del concime… Poi magari si potrebbero tenere dei banchetti nelle piazze vendendo questo “compost di ateo” per finanziare l’attività dell’UUAR.

fabrizio

Aggressività, Tracotanza e Presunzione ti dicono niente? Vogliamo aggiungerci anche Cattivo gusto e Inurbanità? Alle volte è meglio pensarci un po’ prima di sparare stoltezze su riflessioni che sono evidente frutto di un lungo e umanissimo percorso, la cui condivisione è tutt’altro che inutile. Se pensi che qui ci sia posto solo per azione di tipo politico-sindacale e per boutades del piffero credo che tu sia in grave errore. Mi scuserei, fossi in te.

Gabriele

Non metto in discussione il “lungo e umanissimo percorso” ma, fino a prova contraria, questa rubrica è intitolata “Ultimissime”. Semplicemente non ritengo che le riflessioni del Sig. Ste­fa­no Ma­rul­lo abbiano una dignità superiore a quelle di qualsiasi altro essere umano pensante. Magari l’UAAR potrebbe prendere in considerazione l’idea di riservare a questo tipo di sfoghi-sermoni uno spazio apposito, se non altro per una questione di coerenza del materiale pubblicato.

faidate

Sono d’accordo. Aggiungo. Ci sono 7 miliardi di esseri umani (più o meno) e non credo ce ne siano due con lo stesso atteggiamento nei confronti della morte. Nessuna generalizzazione. Per un ateo è un evento importante in quanto definitivo (quelli che credono nell’aldilà, da loro considerato molto più bello dell’aldiqua, cercano però di prolungare la vita e di non staccare la spina: mentre per un ateo si tratta solo di anticipare di poco un evento certo). Questa certezza può condizionare i suoi comportamenti rispetto all’uso del tempo che ha a disposizione. Scelta comunque individuale. Chi vuol esser lieto sia. Aggiungo una poesiola che non so più dove ho trovato.

Mausoleo metamorfico.

Ma che importa, non cambia, fate pure.
Solo esprimo una scelta, voti e veti.
Non voglio marmi lisci e levigati
cassa di legno lucida zincata
tenuta stagna chiusa all’aria e all’acqua.
Sembra più bello il mucchio di letame
caldo fumante nido di tafani,
tiepida terra molle umido bruna
radici fitte vermi rosa viola
rivivere con loro ancora ancora.

bruno gualerzi

A proposito di ‘seghe mentali’. A parte che non è vero che le seghe fanno diventare ciechi (^_^) … sai quanti segaioli che non si riritengono tali ci sono in giro che blaterano di razionalità senza sapere veramente cosa sia, e la cosiderano qualcosa che non ha niente a che fare con riflessioni sulla vita e sulla morte? Che si tratta di filosofemi da quattro soldi che non servono a niente? Tanto – dicono – cosa c’entra tutto questo con l’uomo? Figuriamoci poi con chi si ritiene ateo…

bruno gualerzi

“Vabbè… in conclusione??? Non mi pare un pippone tanto diverso da quelli propinati dai saceerdoti di turno”

Perfetto. Di vita e di morte come esperienza esistenziale debbono parlare solo i sacerdoti, solo loro debbono essere gli ‘addetti ai lavori’ per simili sciocchezze! Basta con queste ‘pippe’, con questi ‘sfoghi pseudo-filosofici’ (ma cosa sarà poi la filosofia non ‘pseudo’?)…
Ecco, però poi non meravigliamoci se, dopo secoli di progresso, per la stragrande maggioranza della popolazione mondiale (e non parlo solo dei cosiddetti paesi sottosviluppati), la sirena religiosa (delle religioni in senso proprio e dei loro surrogati) è ancora lì a condizionarne i comportamenti.
Grazie Stefano per questa ‘meditazione’.

Batrakos

Mi associo al ringraziamento di Gualerzi: entrare nelle pieghe dell’esistenza è sempre qualcosa di suggestivo, quello che è alla base delle più grandi opere umaniste di ogni tempo.

Gabriele

Una sola domanda… Ma le pare questa un’ultimissima? Se si chiederò di pubblicare le riflessioni del mio cugino ateo che ha trovato come fine della propria esistenza ciò che fa rima con “biga”, “diga” e ” riga”.

bruno gualerzi

@ Gabriele
‘Ultimissime’ – almeno io credo – propone notizie anche (non solo, ma anche) per stimolare opinioni, riflessioni. Le quali, in quanto opinioni, riflessioni su eventi ‘ultimissimi’ rimandano, lo si voglia o no, a riflessioni-opinioni di carattere più generale. Che possono servire – condivisibili o meno che siano, gradite o meno che siano ( si può sempre non leggerle) – a offrire elementi per affrontare con qualche considerazione in più i fatti di giornata.
A parte questo – a sua volta naturalmente condivisibile o meno – a me, e a qualche altro, è sembrato ti premesse più parlare di ‘pippe’ o di ‘sfoghi pseudo filosofici’ a proposito di questa, o altre, ‘opinioni’ (del resto ribaditi anche in questo tuo intevento) che non l’uso improprio del blog.
Opinione legittima la tua… e credo condivisa da molti in questo blog… sia ben chiaro, ma che non puoi pretendere non venga commentata come tale.

Batrakos

Non è un’innovazione delle ultimissime pubblicare opinioni e riflessioni di simpatizzanti o iscritti Uaar al di là delle ‘novità’ della cronaca.
Visto che è stato sempre fatto (basta cercare e se ne troveranno a bizzeffe) perchè non si deve fare per le riflessioni di Marullo anche se a te il suo tono di riflessione non piace?

francesco s.

@Gianluca, guarda che volendo puoi pubblicare anche tu le tue riflessioni, basta che ti firmi e metti la tua foto.

@Stefano Marullo

Interessante la sua riflessione sulla morte, io personalmente penso che la morte sia una delle poche cose giuste della vita: tocca a tutti prima o poi a prescindere dal sesso, religione, cultura e … (non è poco) condizione economica (vabbè diciamo che i denari possono al più posticiparla).

francesco s.

Aggiungo che da un punto puramente meccanicistico la morte è necessaria se non esistesse l’ecosistema collasserebbe.

Batrakos

Sul tema della morte aveva abbastanza ragione Heidegger: la morte non è solo la fine della vita, ma è il suo orizzonte di senso perchè noi da vivi sappiamo che c’è la morte, perchè noi viviamo sempre la vita in rapporto alla morte ed essa è sempre presente, come un’ombra, nel nostro modo di pensare e progettare la vita.

Per questo credo che sia giusto in parte quel che dice Stefano: la coscienza della nostra precarietà (la morte arriva spesso senza avvisare…) non ci nega il piacere dell’attimo, ma, se si fanno i conti con se stessi, quell’attimo di piacere porta sovente con sè, subito o poco dopo averlo vissuto, una certa sensazione di malinconia, proprio perchè in fondo sappiamo che quell’attimo finirà, e certamente ne arriveranno di nuovi, ma con la vita tutti questi attimi finiranno e non ci sarà più nulla.

E a questo si collega un altro problema: gli attimi di bellezza sono spesso fatti di relazioni umane (da quella sessuale a quella il più intellettuale possibile passando per tanti altri modi), ma noi sappiamo sempre che le persone con cui sviluppiamo relazioni possono essere soggette alla morte in qualsiasi momento, e la presenza della morte spesso si fa paura non tanto nel pensare alla fine di tutto (dunque alla nostra fine) ma alla perdita e alla scomparsa delle persone care, anzi finchè la morte non è vicina (e dunque non si attiva l’istinto di conservazione) è spesso la perdita delle persone care che ci fa paura e ci sgomenta.

Ecco perchè alla morte non si può togliere più di tanto la sua radicalità e la sua incidenza: perchè è il fondamento del senso di precarietà esistenziale che avvolge l’uomo sempre e comunque… sostanzialmente e non accidentalmente per dirla coi classici.

Tiziana

Ricordare i morti fa parte della nostra vita indipendentemente dalle nostre convinzioni filosofiche. Del resto ricordiamo i morti anche durante festività laiche che ci sono più o meno care , dal 25 aprile al ricordo dei caduti della Repubblica Romana.
I cattolici e le religioni in generale pensano di poter avere una voce più evidente grazie alla gestione dei funerali, (circa un anno fa dovetti discutere per un intero giorno con una pompe funebri di paese che non aveva mai avuto richieste di bare senza croce) e la scenografia in genere è molto ricca e commovente , ma è l’ennesima idiozia delle religioni pensare di avere una superiorità su qualsiasi argomento riguardi la vita.

lonfetto

A me il post è piaciuto parecchio!
Se il problema sia quello di pubblicare tali riflessioni sotto Ultimissime o meno, se ne può discutere… A me sta bene così, come si è sempre fatto. Fra l’altro sono sempre ben distinguibili dalle notizie vere e proprie.
Mi infastidiscono le persone gratuitamente aggressive come Gabriele

bruno gualerzi

Eccon cosa scrivevo in altro contesto a proposito della morte:
“Non è possibile fare esperienza del futuro, tranne forse in un caso: a proposito della morte. E se non è possibile è comunque l’unico caso in cui si può legittimamente tentare di fare questa esperienza, di ‘pensare’ questa esperienza, perché abbiamo tutta una vita per provarci. Una vita che sembra fatta apposta per farci pensare al suo contrario, a ciò che si presenta, meglio, si prospetta – si potrebbe dire ufficialmente, istituzionalmente – come il suo contrario. Vivendo siamo costretti a combattere quotidianamente, anzi, istante per istante, contro ciò che si oppone alla vita. Vivere è ‘realisticamente’ possibile solo confrontandoci-scontrandoci con l’opposto della vita. Con la morte…
Anche se, quando poi arriva veramente, arriva per noi solo quando arriva per gli altri. Per quel tanto che aveva visto con occhi forse aperti come non mai l’antico Epicuro, arriva anzi più per noi che per gli altri che muoiono intorno a noi. Vediamo gli altri – da vicino con chi ci è stato vicino, in una lontananza che può anche lasciarci indifferenti emotivamente ma che rimanda solo le emozioni, con chi ci è stato lontano – dileguarsi, prima che nel fisico, in ciò che è stato il loro nome, la loro identità, la loro esigenza di esserci, il loro desiderio di essere riconosciuti, di essere amati. Non ci sono più, non ci saranno mai più. E non serve l’inganno del ricordo, perché sappiamo benissimo che vale, fin che vale, per noi, ma non vale per loro, per quelli che non ci sono più. Loro non ricorderanno niente di sé, cioè non ricorderanno niente di nessuna cosa, proprio come noi non ricorderemo niente di nessuna cosa e di noi stessi. Vivere nel ricordo è cercare di prolungare un’esistenza che non c’è più, di dare consistenza ad un’eco non udita da chi l’ha provocata.
E allora fare l’esperienza del futuro attraverso l’esperienza della morte non è propriamente un’esperienza… oppure lo è solo perché siamo costretti a fare l’esperienza del suo contrario. Perché viviamo.

Don Drakh

La morte non mi spaventa se non per il dolore che questa potrebbe arrecare alle persone a cui voglio bene. Sapere che in giro ci sono ancora persone sane di mente che portano avanti un progetto di crescita e perfezione dell’essenza umana tramite le scienze mi basta come consolazione. La più grande tragedia per l’uomo sarebbe il permettere agli esseri putridi, quelli per cui la vita terrena non ha valore se non come sollazzo momentaneo o come sala d’attesa per l’adilà, di castrare l’uomo di questo suo potenziale di crescita e lasciarlo alla deriva nello spazio-tempo. Quella si che sarebbe LA MORTE.

Ratio

Io non ho tempo di riflettere sulla morte, a 61 anni sono troppo impegnato a godermi la vita e ogni giorno è un gradito regalo.
Adesso vi saluto perché devo andare a piantare i pomodori.
E domani vado dal concessionario KTM a vedere se ha la nuova Freeride 350cc.
Un’ultima cosa: penso che una volta morto non me ne fregherà proprio nulla di esserlo e dunque non vedo perché dovrebbe fregarmene adesso.
Buon pomeriggio e buona serata a tutti! 🙂

bruno gualerzi

Atteggiamento più che ragionevole il tuo (e in ogni caso siamo qui anche per scambiarci esperienze e opinioni)… a condizione che non si ritengano nel merito irragionevoli atteggiamenti di altra natura. Anche a me non frega niente di ciò che sarà dopo morto… ma ciò non toglie che ci si possa interessare di questa scadenza inevitabile, riflettervi sopra. Ovviamente mentre si vive… e si può vivere in modo pieno la propria vita anche pensando alla morte. Non solo e non sempre, ci mancherebbe!, altrimenti non si vivrebbe, ma c’è chi potrebbe sentirsi non pienamente realizzato come uomo (o donna) fingendo a se stesso che non ci sia.
Auguri per il tuo raccolto di pomodori.

Batrakos

E perchè a 61 anni sei troppo impegnato a goderti la vita e ogni giorno è un regalo?
Perchè non puoi non pensare alla morte, altrimenti non avrebbe senso il tuo discorso sul ‘non perdere tempo’… ed è quando siamo vivi che ci frega di morire non quando siamo molrti 😉

Antonio72

@Ratio

Ogni giorno è un gradito regalo, ma da parte di chi?

Questo per dimostrare che inconsciamente anche l’ateo è pregno di quella cultura cristiana che vorrebbe rinnegare o affogare nelle miriadi di occupazioni, ma soprattutto di oggetti, che si possono tutti inglobare nella triade fama-fresca-frittola.
E’ sicuro di godersi la consapevolezza di esistere e non invece la moto o quant’altro?
Anche il gatto non si pone alcuna domanda sul senso della vita, che ovviamente include anche la sua tappa finale. Ergo, l’esistenza di un uomo che si limita a vivere, o meglio a sopravvivere, sfiorando la superficie di tutto, inclusa la propria coscienza, non è molto diversa da quella di un gatto.
Se fosse veramente così, ha sbagliato a scegliersi il nick-name.
Cmq la vera angoscia non è data dal fatto di dover morire (lo dice anche Epicuro) ma dalla certezza di perdere la cosa che si ha più cara al mondo: la propria personalità. O anche perdere un proprio caro: ma da queste parti questi temi sensibili non sono di certo affrontabili, quando si considera la vita solo il profumo di questo o di quello, e noi stessi la materia prima, o forse seconda e terza, di un fantomatico demiurgo. Per quanto riguarda l’etologia e la presunta commozione comune con altre specie di animali, come al solito si riduce l’uomo al solo patrimonio genetico. Secondo l’ateo Dawkins il gene è egoista anche quando dimostra di essere altruista, ed in natura viene selezionato solo il più adatto all’ambiente..altro che commozione!
Ed anche lo stesso Leopardi la pensava pressapoco così, con il suo amor proprio e amore del piacere, che descrive pienamente una visione pagana dell’esistenza.
Lo svilimento umano, ovvero la riduzione alla sua materia prima genetica, viene quindi applicato scientificamente al di qua, proprio da coloro che non credono in nessun aldilà. E non potrebbe essere altrimenti.
Tuttavia anche l’articolista nella meditazione crepuscolare non può tralasciare alcune accenni religiosi quando dice del mistero della compassione. E mi riferisco in particolare alla parola “mistero” che da queste parti è considerata pressapoco una bestemmia atea.
Ma come? Poco dopo non è detto che l’uomo condivide la compassione con altre specie animali?
Se ciò fosse vero, la spiegazione esiste e non può essere che biologica-genetica, altro che mistero! Credere nel mistero della compassione umana è già un passo verso ciò che qui è considerato un antro oscurantista-religioso. ( E secondo me nell’articolo si insinua pericolosamente un filo rosso religioso).
Non a caso le repliche, di cui dicevo, con i tentativi del filosofo uaarino affannosi ed in parte grotteschi di riparare i danni.

Ratio

…….Ogni giorno è un gradito regalo, ma da parte di chi?

LOL! E perché dovrebbe essere da parte di qualcuno?

E’ un gradito regalo perché sono in buona forma fisica, in buona salute e non sono ancora affetto da qualche malattia che potrebbe benissimo cominciare ad affliggermi domani.
Ognuno si gode la consapevolezza di esistere a modo proprio, non esistono ricette.
Sei stato dentro il cervello di un gatto? Come fai a parlarne con tanta consapevolezza?
Una visione pagana dell’esistenza mi aggrada di piu’ di una visione cattolica, sei anche tu convinto del “valore salvifico del dolore e della sofferenza”?
La mia visione atea dell’esistenza mi aggrada piu’ della altre due.
Il “filosofo uarrino” non fa alcun tentativo affannoso né grottesco per riparare i danni. Lui si limita ad esprimere le sue opinioni e non ci sono danni da riparare, forse è bene che ti ricordi che nell’ateismo non esistono eresie né ortodossie.
Ogni ateo è ateo a modo proprio, hai presente il concetto di “Libero Pensiero”?
Io, ad esempio, sono sempre stato ateo e non ho mai creduto alla cicogna, alla befana e a tutte le fandonie della religione che mi hanno raccontato.
Non ho bisogno di supportare il mio ateismo leggendo Dawkins o altri, preferisco leggere testi di storia, di politica e di economia.
Un’ultima cosa: se ritieni che qui si cerca di riportare sui binari gente che deraglia a destra e a manca ti sbagli di grosso, questo forum è libero e ognuno esprime le proprie opinioni.

Antonio72

@Ratio

La teoria de “Il Libero pensiero” potrebbe risuonare anche come le campane a morte del pensiero stesso. Sarebbe più corretto allora dire “Libero dal pensiero”. Esattamente come il gatto, di cui dicevo. Anche credere che possa esistere un pensiero libero ed individuale è una fede, se consideriamo il pensiero qualcosa di più d’una opinione.
Il pensiero isolato dal suo contesto umano e sociale non serve a nulla, né all’individuo né alla società. Se come dice, ogni ateo è libero di pensarla a suo modo, l’ateismo può esistere, se considerato solo in accezione negativa, in quanto la negazione di Dio è l’unica cosa che accomuna gli atei.
Quindi se ne deve dedurre che l’ateismo per sua stessa natura non può costruire alcunchè di positivo, ma solo distruggere qualsiasi religione, che viceversa, per sua propria natura, può farlo.
Per quanto riguarda il discorso dei binari, mi sono limitato, da osservatore, a constatare il fatto che l’ateo Stefano Marullo è molto diverso da altri atei qui presenti. E che l’altro ateo, Bruno Gualerzi, prenda le parti del primo, piuttosto che dei vari replicanti.
E siccome non ho mai nascosto di essere di parte, è chiaro in questo caso dove vada la mia preferenza (del male minore). Non le sta bene? Pazienza, me ne farò una ragione.

Dino

Più che “Meditazioni crepuscolari” si dovrebbe intitolare “Contraddizioni crepuscolari”. Non si può pretendere di riportare simili riflessioni in un articolo, con citazioni a effetto messe qua e là e con qualche locuzione latina per apparire profondi. Non si può non dar ragione a Gabriele: si tratta di pseudo-filosofia; si tratta, a parer mio, d’uno scritto estremamente superficiale (e con questo non intendo affatto mancare di rispetto all’autore né metter in discussione la sua interiorità).

Ratio

@ Bruno e Batrakos:

Ci penso spesso e piu’ ci penso e meno me ne frega.
A 15 anni ho visto morire il mio compagno di banco, poi persone care, i miei genitori, amiche e amici.
Non vedo cosa ci sia da riflettere, è la cosa piu’ banale di tutte e che tutti “sanno fare” (volenti o nolenti).
Per uno che vive in campagna e ama la natura e l’ambiente come me è solo la fine del ciclo vitale di un essere, null’altro.
Vi dico di piu’: non riesco proprio a vedere nella morte qualcosa di negativo, quando, in un modo o in un altro, si arriva alla fine del nostro ciclo vitale è bene “togliere il disturbo”. C’est la vie! 🙂

Batrakos

Ratio.

Io sostengo che è impossibile pensare alla vita senza aver sempre presente il riferimento alla morte, anche se non ci si pensa direttamente.
Questo non vuol dire che uno ci pensi sempre o ci pensi con angoscia o debba in qualche modo ‘risolvere il problema’…semplicemente è inevitabile pensarci perchè se si pensa alla vita si pensa anche alla morte perchè la ricerca del piacere e dell’attimo dipende proprio dalla consapevolezza che morirermo e che tutto finirà.
E, ripeto, anche io in questo momento non ho paura di morire (ma quando in passato ho rischiato di morire di paura ne ho avuta, è puro istinto) e capisco che è normale che si muoia, ma proprio il fatto che ci pensiamo e ne parliamo vuol dire, almeno secondo me, che è un po’ -per così dire- l’ombra della vita.
E se hai figli o persone care (che non siano gente anziana come i genitori, perchè in questi casi di solito accettare tutto è più facile), come ti senti al pensare che per qualche disgrazia possono morire prima di te e che tu puoi sopravvivere alla loro morte? Come ci si sente a pensare di sopravvivere ai propri figli?
Io penso che l’angoscia della morte sia quasi sempre l’angoscia per la morte dell’altro…si può non pensarci e riuscire a non farlo per lungo tempo, ma in fondo a noi stessi si sa che c’è questa tragica possibilità, ed è questa consapevolezza che proietta sempre un minimo di inquietudine anche in quegli attimi di felicità…
Poi molto entrano i lati personali e caratteriali ma, appunto, ti parlo io che non sono considerato una persona ombrosa…forse perchè accetto di guardarci dentro l’ombra.

bruno gualerzi

“Non vedo cosa ci sia da riflettere, è la cosa piu’ banale di tutte e che tutti “sanno fare” (volenti o nolenti).”

Scusa, ma questo non lo dovevi dire. Non ti passa per la testa che per altri non ci sia proprio niente di banale, anche ‘ se tutti lo sanno fare’? Questa, amico, è solo presunzione, propria di chi presume di conoscere tutto della vita. Della sua e di quella degli altri.

Batrakos

Anche la nascita di un figlio è la cosa più banale del mondo (spermatozoo+ovulo+gestazione+parto), eppure la gente ne è emotivamente toccata; anche l’amore è qualcosa di banale e di legato ai feromoni eppure la gente ne è emotivamente toccata e ci trova gioia e sofferenza e ci pensa e ci scrive su…che vogliamo farci se noi uomini diamo così importanza alle banalità ? 😉

Tiziana

@Ratio

Sono d’accordo sul ciclo della natura e anzi dobbiamo essere pure felici di essere nati in un momento in cui la scienza e la ricerca medica ci aiuta a vivere più a lungo e meglio.
Però la morte è terribile.
Non so se ci sia un modo meno disperato di vivere il lutto, ma tutto cambia con la morte di una persona cara. Certamente ognuno ha un modo diverso di sentire, e quindi non c’è nessun desiderio di contraddire i tuoi sentimenti, però mi sorprendo che il tuo compagn di banco e i tuoi genitori non ti abbiano lasciato un senso di doloroso vuoto.

Ratio

Batrakos:
Sono d’accordo con l’ultima parte del tuo scritto. Non c’è nulla di piu’ lacerante della morte di una persona cara, mio padre è spirato mentre gli sostenevo la testa, perché, in quel momento comprendi che è accaduto qualcosa di definitivo.
Non so come sia la perdita di un figlio perché non ne ho ma credo che sia molto piu’ lacerante.
Credo però che sia piu’ difficile nascere che morire.

Bruno:
Io la penso così ma senza alcuna presunzione di sapere tutto, mi limito ad osservare ciò che accade intorno a me. Tutti coloro che ci hanno preceduto hanno iniziato e terminato il loro ciclo vitale.

Tiziana:
Tutte le persone care che ho perso mi hanno lasciato un grande vuoto, doloroso e permanente, ma credo che sia proprio l’ineluttabilità di questi tristi eventi che mi ha aiutato ad accettare la morte e ad apprezzare la vita, giorno dopo giorno, anche nei momenti peggiori che ho vissuto.

A tutti e tre:
Spero di essere riuscito a spiegarvi la mia posizione e mi scuso se non ci sono riuscito.
Saluti. 🙂

Batrakos

Ratio.

Anche a me piace la vita, eccòme se mi piace.
Spesso, per capirci, non capisco le esortazioni a ‘doversi godere la vita’ che sembrano quasi un imperativo e denotano un fondo di malinconia ancor più pesante di quella palese, un po’ come il ‘tunnel del divertimento’ di cui parla Caparezza.
Ma non era il tuo caso, ed hai ragione in pieno quando dici che è proprio quell’ineluttabilità a spingerci a gustare l’attimo…forse senza quel senso di ineluttabilità non avremmo gli ‘strumenti’ per apprezzare il bello e il piacevole.
Se sia più facile morire o nascere non lo so…mi sembra una domanda oziosa, nel senso che sono cose che accadono senza alcuna partecipazione intellettiva o di volontà nel soggetto, tantopiù che quando si nasce non si è nemmeno coscienti, e forse lì il vero sforzo lo compie la mamma che ci mette al mondo!
Per il resto, per quel che mi riguarda ho capito molto bene la tua posizione…in verità l’avevo capita dall’inizio (e questo tuo nuovo commento me ne da conferma), e infatti non avevo preso il tuo intervento nel senso di ‘preunzione’ come l’ha inteso Bruno.
Un saluto anche a te e buona serata!

bruno gualerzi

@ Batrakos
“Per il resto, per quel che mi riguarda ho capito molto bene la tua posizione…in verità l’avevo capita dall’inizio (e questo tuo nuovo commento me ne da conferma), e infatti non avevo preso il tuo intervento nel senso di ‘preunzione’ come l’ha inteso Bruno.”

Ma guarda che io ho parlato di presunzione solo dopo la replica. Alla prima uscita di Ratio anch’io ho parlato di atteggiamento, non solo legittimo (figuriamoci!), ma anche assolutamente ragionevole.
E’ quando ha cominciato a parlare di ‘banalità’ che mi sembrava di aver colto una nota di presunzione.
Comunque, almeno per quanto mi riguarda, polemica (se polemica c’è stata) chiusa.

Batrakos

Sì Bruno, io mi riferivo al secondo commento, nè avevo alcuna intenzione polemica nei tuoi confronti; in effetti, rileggendomi, può dare quell’idea e me ne spiace.
Oi, bello però: è una sorta di rugbistico terzo tempo dopo una discussione civilmente controversa! 😉

Tiziana

Ratio

Figurati, ci mancherebbe pure che un si debba scusare per le proprie idee.
Io mi interrogo sull’argoento proprio perchè no riesco ad uscire dal lutto, quindi ero rimasta incuriosita dalla tua serenità. Sia chiaro che non era na critica. Sul dolore mio della morte h scritto questo http://www.nessundio.net/blog/2012/03/29/5688/

Ratio

Ciao Tiziana,
ho aperto il link e letto il tuo scritto, letto e apprezzato, molto.

Volevo risponderti ma ho visto che i commenti sono chiusi, mi piacerebbe però avere la possibilità di farlo.
Se hai qualche altro link su cui è possibile risponderti lo farò molto volentieri.
Grazie in anticipo.

giuseppe

Ce ne andremo spogli esattamente come siamo arrivati, ma comunque sazi di avere assaporato la gioia della gratuità, in mille espressioni. Il nichilismo non ci salverà, mi diceva un amico, ma se ci dà coscienza della disfatta a cui siamo votati non per questo annulla l’irripetibile ricchezza di ogni profumo alla cui fragranza abbiamo attinto. Se mi dicessero che mi manca un minuto per morire, forse avrei il tempo di dire che lo sguardo di mia figlia che mi sorride vale tutto quello che ho fatto, errori compresi, e da solo può riempire l’esistenza e darne un senso sufficiente. E… scusate se è poco.

Questi profumi e questa frafanza non vi salveranno dalla disperazione di una morte senza prospettive. E rimarranno solo ricordi che non faranno che aumentare la vostra pena del distacco. Inutile girarci intorno con sofismi vari. La morte é il momento più importante della vita, quello che mette a fuoco il senso di tutto.

bruno gualerzi

Ecco qui un altro che, dall’alto delle sue fisime, crede di sapere solo lui cos’è lavita, come deve essere vissuta e tutto il resto. Pazienza se ritenesse di saperlo solo per sè… ma no, sente il bisogno di saperlo anche per gli altri. Nonostante si ritenga confortato dal trovarsi in numerosa compagnia… deve sentirsi tento solo.

Ratio

……..Questi profumi e questa frafanza non vi salveranno dalla disperazione di una morte senza prospettive. E rimarranno solo ricordi che non faranno che aumentare la vostra pena del distacco. Inutile girarci intorno con sofismi vari.

E tu che sai? Come fai a scrivere queste stupidaggini?
Almeno rileggi prima di postare.

Stefano

@ giuseppe

“non vi salveranno dalla disperazione di una morte senza prospettive”

pensa che tristezza il non poter accorgersi di aver creduto a prospettive che non esistono.
Se tu ti sbagli non ti ne accorgerai mai.

Stefano

@ Antonio

No, Antonio: cosa ti può far cambiare idea sulla tua fede qui sulla terra?
E’ infalsificabile. Perlomeno fino a quando non ridai spazio alla ragione.
Cerca di capire le domande prima di rispondere 😉

Antonio72

@Stefano

Ma è proprio la mia ragione a dirmi che serve avere fede in qualcosa di più del dato materiale falsificabile. D’altronde qualcuno crede di essere riuscito a falsificare il sè o la coscienza. Ma allora cosa mi rimane, o ci rimane?
Puoi di certo contestare o credere che la mia fede in quanto metafisica sia irragionevole, ma non puoi affermare che lo sia anche l’etica che ne deriva.
Puoi non credere nella resurrezione dei corpi e condividere il messaggio etico cristiano, senza cedere alla tentazione irragionevole di buttare via il bambino con l’acqua sporca.

Stefano

@ Antonio

Se l’etica cristiana è ragionevole ha poco di cristiano se è irragionevole ha poco di etica. Se di qualcosa devi avere fede non è ragionevole, se è ragionevole non c’è motivo di averne fede. I bambini e l’acqua non c’entrano niente. I tuoi discorsi sono tentativi nemmeno troppo nascosti di conservare capra e cavoli o mangiarti il dolce eppure tenertelo. Se tu non te ne accorgi non puoi sperare che succeda anche a noi.
Se in un discorso etico introduci elementi indiscutibili sulla base di una fede stai dando una pedata alla ragione.
Credo non ci sia molto da discuterne ancora.

Antonio72

@Stefano

Quando un’etica non si fonda su valori condivisi e quindi indiscutibili, diventa una morale individualistica o poco più.

FSMosconi

@Giuseppe

Tanto importante che in genere del defunto ci si ricorda solo quello…
Nevvero?
🙄

Osvaldo

“Inutile girarci intorno con sofismi vari. La morte é il momento più importante della vita, quello che mette a fuoco il senso di tutto.”

Besta che tu aggiunga un “per me” e il tuo discorso diventa accettabile.

DURRUTI 51

Non credo che possa esserci una via atea che ci aiuti ad affrontare l’inevitabile trapasso.Le religioni promettono un'”altra” vita,cioè una sorta di immortalità, il loro vantaggio rispetto all’ateismo sta in buona parte qui. Un conforto ateo quale potrebbe essere? scartando:mal comune mezzo gaudio, per non esporsi ad un ovvia ilarità, anche la proposta di Epicuro : se c’è la morte non ci sei tu ha il limite di non cogliere che la morte è un evento relazionale, conosco la morte perchè vedo morire gli altri e penso che toccherà anche a me , questo mi angoscia più che l’idea che da morto mi sentirò disagiato.L’angoscia di morte è un fattore molto potente in molte dinamiche psicologiche, ma anche sociali storiche, politiche persino a ben vedere, qualcuno l’ha vista come il vero motore della storia. Ci si può liberare da questa angoscia ? questo è il punto, senza essere preda della nevrosi religiosa? Credo di sì anche se è più difficile di quanto sembri.Nessuno vuol morire tranne che in casi limite, quando la vita diventa un insopportabile tortura e comunque si muore sempre da soli, come canta una canzone di De Andrè.

Antonio72

Mah..
Le varie testimonianze che si possono leggere nei commenti ed i tentativi del filosofo Bruno Gualerzi di riportare sui giusti binari l’ateo materialista medio, il quale da questo punto di vista non può che deragliare a destra e a manca, conferma in pieno l’affermazione dell’amico di Stefano Marullo: “Il nichilismo non ci salverà”.
Strano che a questo proposito non si faccia alcun cenno del pessimismo cosmico di Leopardi che così si può sintetizzare dalle sue stesse parole: “tutto il reale essendo un nulla, non vi è altro di reale, né altro di sostanza al mondo che le illusioni”. (Zibaldone, 52, 99).

FSMosconi

Sinceramente non trovo niente di strano nel ritenere il mondo un illusione: al di là dalle esagerazioni gnostiche (le quali però son giustificate dal fatto di nascere nel mainstream platonico-astronomico caldeo), la cosa venne promossa come stile di vita nell’Hagakure. E non si creda che i Samurai e i Daymio siano stati questo esempio di religiosità…
Uno stile di vita tutto qui.
L’importante sarebbe semplicemente ricordate che per coerenza non solo il mondo dovrebbe essere illusione ma anche noi stessi.

FSMosconi

@P.S.:

Rispondendo al tuo pistolotto sull’ultimo articolo:
possiamo tranquillamente e ragionevolmente parlare di come per te sia impossibile edificare una società su un bisogno che tu ritieni vitale, ma ciò non toglie che tali questioni non possano tranquillamente rientrare nei giudizi di qualunque altro.

Oh, e un’altra cosa: solo perché una cosa è emotivamente gratificante non necessariamente è vera, men che meno è vera se la gratifica è posta come causa: chiamasi Fallacia dell’Appello ai Sentimenti, del sottogruppo degli Appelli alle Conseguenza di una Credenza.

Antonio72

@FSMosconi

Ripassa Leopardi ed anche la storia occidentale, perchè io parlavo del passato storico dell’umanità, non di una mia utopia o di speranze per il futuro. E’ d’accordo anche l’antropologo ateo Marvin Harris (La nostra specie).
Vedo con dispiacere che sulla natura umana sei proprio di un’ingenuità colossale. E secondo te le illusioni a cui si riferiva Leopardi non dovevano essere per definizione emotivamente gratificanti? Insomma, di che parla Leopardi, del teorema di Pitagora?
E qualunque conferenziere ti potrà dire che all’incirca ogni dieci minuti l’attenzione cognitiva del pubblico se ne va per la tangente se non la si richiama per i capelli con qualche battuta che attivi i centri emozionali.
D’altronde lo hanno dimostrato anche le neuroscienze; sempre che ci fosse bisogno di dimostrare qualcosa di cui sappiamo tutti per esperienza scolastica personale.
Infine sono felice che mi accusi di avere fatto un pippone, come è accusato da qualche altr’ateo anche lo stesso articolista. E giuro di non essere un “sacerdote di turno”.

FSMosconi

@Antonio

Riesci a comprendere che essere ateo non significa essere un Leopardi, sì? O devo ritenere che sei in grado di ragionare solo a stereotipi.

Vedo con dispiacere che sulla natura umana sei proprio di un’ingenuità colossale.

Rispetto a quel che mi son dovuto sorbire leggendoti, lo ritengo un complimento. Davvero: perlomeno c’è chi qui ha avuto la decenza di non banalizzare.

Puoi dire lo stesso?

FSMosconi

@Antonio

Oh, poi mi citi quegli articoli di neuroscienze di cui tanto parli: sia mai che hai solo temporeggiando…

Stefano

@ Antonio

” ogni dieci minuti l’attenzione cognitiva del pubblico se ne va per la tangente se non la si richiama per i capelli con qualche battuta che attivi i centri emozionali”

Si, ma di grazia, che c’entra?
Qui si parla di quali regole e metodi siano da usare per giungere a conoscenze attendibili e condivise. Si può sapere che vuoi dimostrare con tutti questi riferimenti?
Che il cervello è un sistema complesso con molte varibili interconesse? Davvero?
Credevi non lo sapessimo?
E questo cosa c’entra con le modalità di accertamento della verità? Vuoi che sia chiaro? NIENTE. Se non che ogni tanto occorre riposarsi….
Antonio, non è che mescolando insieme conoscenze raccattate qua e là si riesce a fare un bel discorso se non si è capito di che si tratta….

Antonio72

@Stefano

Ma deve essere una verità che sia compatibile con le caratteristiche umane di cui dicevo, ovvero con la complessità umana. Deve quindi considerare anche valori affettivi, emozionali, come la compassione, la solidarietà, ecc.. perchè l’uomo non è un computer digitale.
Una ragione che non consideri alcuni valori, non spiegabili scientificamente, ma riconosciuti dagli esseri umani in quanto umani, non porta di certo alla verità, ma molto più facilmente alla follia.
Per quanto riguarda il non-senso della vita di cui dicevo, non è di certo una mia idea, ma dell’ateo Odifreddi, su cui ci ha intitolato anche un blog. Ma ovviamente non sarai d’accordo neanche con Odifreddi…insomma hai una qualche idea in comune con un tuo simile?
Senso della vita non è avere obiettivi. Quelli sono gli scopi e li può avere chiunque, anche chi crede che la vita non abbia senso. Anzi, appunto perchè la vita dell’uomo non ha un senso, vi può essere un ampio ventaglio di scelta, al di là del bene e del male.
Ciascuno di solito è portato a darsi obiettivi diversi, spesso provvisori e contraddittori con gli obiettivi di altri, talvolta prevaricatori. Ma il senso della vita deve riguardare tutti gli uomini indistintamente dalle diverse scelte personali.
E’ qualcosa che inerisce all’essenza dell’uomo e non alla sua bramosia. Chi nega l’essenza dell’uomo parte già da una ipotesi irragionevole, e qualsiasi altro ragionamento susseguente non potrà che ergersi su fondamenta d’argilla.

Stefano

@ Antonio

Come al solito quando trattasi di religione sei portato naturalmente a banalizzare tutto.
In psicoanalisi questo meccanismo di difesa si chiama proiezione.
D’altronde non ci vuole molto capire che è totalmente indifferente all’etica cristiana e a qualsiasi etica umana ragionevole, che l’islamico beva il vino o no, mangi o non mangi carne di maiale.

Un bel paio di ciufoli. Non riuscite a decidervi nemmeno su questioni banali figuriamoci la solidità di un’etica basata su comandi di un dio che non sa cosa vuole.
Ma ragiona prima di scrivere!
La psicoanalisi sta alla psicologia clinica come l’omeopatia alla medicina. Figuriamoci cosa me ne faccio della tua battuta sulla proiezione.
Aggiornati.

“qualsiasi etica umana ragionevole” per definizione non ha bisogno di fedi a supporto.
E’ un pò che te lo dico e finalmente – senza rendertene conto – te ne sei accorto.

Antonio72

@Stefano

Ma per me, al contrario di te, la ragione e la fede non sono affatto incompatibili. Anzi è più ragionevole avere fede e speranza che non averne affatto, né di fede né di speranza.
E l’ho anche dimostrato, se si intende per ragione, la sola razionalità scientifica. Se invece si intende altro, allora si può avere fede in questa o in quella filosofia, a seconda dei gusti.
Nello stesso articolo si parla di “mistero”, ovvero di qualcosa che non è spiegabile razionalmente, tanto meno scientificamente (nemmeno con la tua psicologia).
Se secondo te nella vita di un uomo, l’amicizia, l’amore e la Carità sono componenti secondarie o paragonabili alla legge della gravità o al bosone di Higgs, allora significa che sì, l’etica umana può fondarsi su un’equazione matematica, o meglio su più d’una.

Stefano

@ Antonio

Che tu dica che fede e ragione siano compatibili (perché ti fa sentire più”in”) non significa che nei fatti lo siano. Anzi, ben il contrario. Se non te ne accorgi è preoccupante. Tutto ciò che non crediamo è irrazionale. Se tu lo credi a quel punto finisce la compatibilità. Dai,non costringermi a spiegarti l’ovvio ogni volta….
Non c’è niente di ragionevole nel credere a acqua che diventi vino, vino che diventi sangue, pane che diventi carne, vergini che partoriscono, resurrezioni, ascensioni, camminate sull’acqua e altre amenità, a meno di piegare il significato di ragione per includervi questi fenomeni in modo – mi scuserai la citazione di firestarter cruda ma efficace – da sentirsi meno cretini.
Un mistero è semplicemente ignoranza, dalla quale non è lecito trarre alcuna conclusione, meno che mai quelle che sono in palese contrasto con quanto si conosce. Meno che mai adorare le conclusioni del tutto arbitrarie che se ne vogliono trarre. Pestare i piedi per farlo, tu per i tuoi, altri per i propri, costitusce proprio la corruzione dell’etica che porta – nella propria indiscutibilità – all’intolleranza più virulenta. La ragione non è necessariamente un’equazione, non mi pare di averne usata alcuna in questo intervento. E’ solo buona argomentazione, basata sui fatti, su buone premesse, e buoni ragionamenti, volontà di correzione delle proprie posizioni, da non considerare dogmatiche. Senza l’introduzione di elementi arbitrari e indiscutibili e sopratutto idiosincratici.
Riprova.

Antonio72

@Stefano

Se è per questo per qualche filosofo non c’è niente di ragionevole di credere che un ente diventi un ente altro da sè, per es. che un bambino diventi adulto o che la legna divenga cenere. Per qualche scienziato è irragionevole credere nell’esistenza del tempo e del movimento, che esista un solo mondo, che Dio gioca a dadi, ecc…
Come vedi le tue presunte sicurezze ragionevoli, non lo sono affatto per qualcun’altro.
Il fatto è che siamo avvolti nel mistero e nell’ignoranza. L’uomo stesso è un mistero visto che è quasi impossibile darne una definizione univoca.
E la scienza naturale, come si dice giustamente nell’articolo, non può dire nulla dell’amicizia, dell’amore, che mi sia si qualche utilità per scegliermi un amico o una donna.
Allora ciò significa che l’amicizia e l’amore siano irrazionali?
E nemmeno può dire alcunchè sulla morte, se non intesa prettamente a livello scientifico, ovvero la morte di un uomo quale organismo biologico e non per ciò che significava per un altro uomo o donna, o addirittura per una società intera.
Una cosa è certa: la ragione è portata naturalmente a dare un senso alle cose, soprattutto alla vita umana, e quindi l’uomo alla propria esistenza.
Ma se si crede nel non-senso della vita dell’uomo come si può pretendere che l’uomo assegni ragionevolmente un senso ad alcunchè?

Stefano

@ Antonio

A me le idee balzane di qualcun altro mi possono interessare solo per curiosità.

Finché un ‘idea curiosa non è condivisa e diviene conoscenza attendibile non è ragionevole. L’ennesima ovvietà da spiegarti.

Io parlo di cose serie. Ci sono quelli che credono che il mondo sia un parto della nostra fantasia, pare che tu propenda per queste amenità. Fosse così prova a dare una testata contro un muro con tutta la forza della tua idea.

Poi, comprendo che tu voglia difendere l’indifendibile, ma anche il famoso bambino dell’acqua sporca capisce che l’acqua per quanto sporca vino non diventa, mentre lui, salvo imprevisti diventa adulto come tutti i suoi amici. Lui, non altri.

Senso nella sua etimologia vuol dire direzione. Mi spiace che tu non sia in grado di dare un senso, obiettivi, alla tua vita se non con un pacchetto in franchising.
E mi spiace che tu non possa dare un senso a qualcosa a meno che non duri per l’eternità. Che poi che senso ha qualcosa che non finisce mai?
Forse tutto sommato preferisci che la tua vita piuttosto che avere il senso che tu decidi di darle abbia la funzione che altri le danno. Insomma dai tuoi discorsi è chiaro che preferisci essere un uomo oggetto 🙂

PS Pensi che dio sia capace di dare senso o aspetta che glielo dia tu?

bruno gualerzi

“Strano che a questo proposito non si faccia alcun cenno del pessimismo cosmico di Leopardi che così si può sintetizzare dalle sue stesse parole: “tutto il reale essendo un nulla, non vi è altro di reale, né altro di sostanza al mondo che le illusioni”. (Zibaldone, 52, 99).”

Ma guarda che il riferimento a Leopardi, all’ateo Leopardi… almeno per quanti vedono le cose in un certo modo… qui, oltre ad essere proposto esplicitamente in più di un’occasione, è dato per scontato.

Antonio72

Vorrei precisare: l’ateo-pessimista Leopardi.
Pensavo che da queste parti le cose date per scontate non fossero ammesse. In ogni caso vorrei ricordare a coloro che continuano a propagandare l’onnipotenza della razionalità scientifica quale unica ed esclusiva forma di salvezza per l’uomo, che qualche celebre ateo la pensava molto, ma molto, diversamente.

Stefano

@ Antonio

Qui nessuno propaganda l’onnipotenza della ragione. Si dice che il suo uso è l’unico modo per arrivare a conclusioni condivise e condivisibili. E attendibili. Il contrario dei comandi contraddittori di onnipotenti in competizione. Credo che a questo punto la cosa dovrebbe risultarti sufficientemente chiara. Almeno spero.

bruno gualerzi

@ Stefano
E’ la solita esigenza del credente (qui mi riferisco ad Antonio72… ma si tratta della ‘sindrome del cortile dei gentili’) di assimilare tutto e tutti al proprio mondo, nel terrore che ce ne possa anche essere un altro. Che farebbe crollare tutto l’impianto.
Così (sfruttando però qui – a mio parere – un reale pericolo insito nel pensiero scientifico) bisogna a tutti i costi che la scienza mostri un suo lato oscuro per poterlo poi illuminare con la luce della fede.

Credo che, in altro post, sia stato proprio Antonio72 a rinfacciarmi (si parlava della ‘fatica di vivere’) che mentre lui, credente, trovava consolazione nella fede, io, ateo, trovavo pur sempre consolazione in altre cose, magari nell’ateismo stesso. Come se, proprio di fronte alla ‘fatica di vivere’ (tra l’altro vissuta da ognuno soggettivamente, quindi eventualmente anche non vissuta) si dovesse per forza rispondere con la fede. Naturalmente fede in qualcosa di trascendente la condizione umana, perchè esiste certamente anche una ‘fede atea’: nell’uomo. Per quello che è, e per quello che può diventare con le proprie forze, non per quello che si vorrebbe fosse fidando in un intervento esterno.
@ Per Antonio72. Questa seconda parte del mio intervento è diventata anche una replica ad un tuo commento contenuto – se ricordo bene – in altro post e che non ho fatto in tempo a inviare. Ripeto, se ricordo bene… in caso contrario mi scuso con te.
A proposito di Leopardi. Giustamente non posso pretendere che si leggano tutti i post presenti e passati, ma i richiami espliciti a Leopardi sono innumerevoli)

Antonio72

@Stefano

Ma la ragione umana non può esaurirsi solo nella razionalità scientifica o nella logica matematica, come ho dimostrato più volte.
Per molti credenti è ragionevole avere fede ed irragionevole non averne. O forse mi vorresti dire che solo i non credenti fanno uso delle ragione, negando l’evidenza che vi furono molti uomini razionali e credenti, tra i quali diversi scienziati e filosofi. E come sai la libertà, o libero arbitrio, è una componente fondamentale della religione cristiana. Semmai è proprio qualche scienziato o neuroscienziato che la vorrebbe negare, riducendo inevitabilmente l’uomo ad uno spinotto d’organo o ad un tasto di pianoforte.
Allora per essere coerente te la dovresti prendere di più con questi ultimi piuttosto che con Gesù Cristo.
E poi siamo sicuri che esista solo un modo di ragionare? La storia della filosofia smentisce questa ipotesi, mentre la stessa neuroscienza conta almeno sette intelligenze diverse, di cui una sola misurabile con il QI.
E poi guardiamo il mondo moderno globalizzato, fondato di fatto su un solo tipo di razionalità, o presunta tale. Ti sembra un mondo razionale?

Antonio72

@bruno gualerzi

Ma se ha fede nell’uomo, per quello che può diventare con le proprie forze, l’uomo in cosa dovrebbe riporre la propria fede per essere motivato ad agire, nell’ineluttabile nulla? Se non mi ricordo male Nietzsche a differenza di Leopardi, era riuscito a risolvere il problema con la sua filosofia dell’eterno ritorno dell’uguale. Ciò ricorda vagamente qualche teoria scientifica dell’universo ciclico. Ma purtroppo è una soluzione provvisoria in quanto la scienza ha dimostrato che anche un universo ciclico deve avere avuto un inizio, e quindi non può essere eterno. Ed il nulla che vanifica qualsiasi opera e sforzo umani rialza inesorabilmente la testa. Ha vinto Leopardi.

FSMosconi

@Antonio

Non mi sembra che la religione sia propriamente legata alle scoperte di costoro, men che meno che da questa sia dovuto il loro successo: così fosse, Galilei non avrebbe dovuto abiurare e Newton non sarebbe stato tacciato di magia…

Stefano

@ Antonio

“Ma la ragione umana non può esaurirsi solo nella razionalità scientifica o nella logica matematica, come ho dimostrato più volte.”

Non mi pare che qui si introducano continuamente equazioni. Ma nemmeno rivelazioni indiscutibili.
Se qualcosa non si esaurisce nella ragione non è ragionevole, per quanto tu pretenda di “dimostrare” (non mi pare tu abbia dimostrato proprio niente).
Io credo che tu continui a prendere il granchio di attribuire agli atei l’idea che la ragione debba avere il sopravvento sulle emozioni o che queste non abbiano significato o funzione. Nessuno pensa una cosa del genere. Le emozioni sono un elemento preziosissmo, indispensabile, della vita psicologica. Ma non servono a stabilire come stanno le cose in modo attendibile e condiviso. Perché non sono discutibili. Non posso discutere il tuo gusto riguardo al gelato al kiwi, se tu da quello vuoi far discendere conseguenze sulla mia vita ti blocco.
Metti pure n intelligenze: se da qualcuna vuoi far discendere elementi idiosincratici e indiscutibili dubito che si tratti di qualcosa di utile per la convivenza civile e per l’etica individuale.
Fare affermazioni che vadano contro la logica e pretendere che sia legittimo farlo perché la ragione può andare oltre e rimanere ragionevole (?) significa semplicemente rompere ogni possibilità di comunicazione e di accordo.
Se poi credi che si possa violare il principio di non contraddizione e non sia nemmeno necessario giustificarlo dimmelo che mi adeguo nelle mie conversazioni con te. Vedrai che bel balletto!

Antonio, mi pare chiarissimo. Se non ti piacciono le conclusioni rivedi le tue premesse….

Stefano

@ Antonio

Poi mi dirai come si fa ad andare oltre la ragione e riuscire a sapere in modo ragionevole di aver azzeccato la fede giusta…
Tutti ne sono sicuri…
Le loro emozioni lo certificano.

RobertoV

“O forse mi vorresti dire che solo i non credenti fanno uso delle ragione, negando l’evidenza che vi furono molti uomini razionali e credenti, tra i quali diversi scienziati e filosofi.”
A parte il fatto che le loro scoperte non centrano niente con la loro religione, è’ piuttosto scorretto utilizzare ciò in cui credevano scienziati e filosofi del passato per supportare il presente visto che parliamo di altri tempi in cui le persone credevano in tante cose (tipo alchimia, magia e astrologia) e non avevano le conoscenze moderne, oltre al non sapere quanto liberi fossero nella scelta della religione (ricordo che fino all’800 c’era l’inquisizione) visto che la libertà di scelta sta solo facendosi strada faticosamente ai tempi odierni, proprio grazie alla riduzione del potere delle religioni. Quindi solo studiosi cattolici in Italia e a maggioranza protestante al nord. Curiosamente oggi che c’è un po’ di libertà di scelta il numero degli scienziati credenti è crollato.

“E come sai la libertà, o libero arbitrio, è una componente fondamentale della religione cristiana.”
Ed infatti per secoli è stata combattuta molto violentemente qualsiasi variante alla propria religione (sin dall’inizio, vedi ariani) ed anche oggi i cristiani non sono uniti e continuano a conservare le loro divisioni e la loro storia di separazione. Erano molto più tolleranti i pagani. Anche oggi all’interno della chiesa cattolica non viene accettato nessun dissenso e si invita continuamente all’obbedienza e al non crearsi un dio personale, ma solo quello “doc” fornito dalla gerarchia dominante.

“E poi guardiamo il mondo moderno globalizzato, fondato di fatto su un solo tipo di razionalità, o presunta tale. Ti sembra un mondo razionale?”
Perché il mondo moderno le fa tanto schifo? Ci porta dati oggettivi e consistenti, studi affidabili e non parole a vanvera, che indichino che i tempi passati erano migliori di quelli attuali e più “razionali”?

Antonio72

@RobertoV

Allora, se vuole, applichi lo stesso ragionamento agli scienziati e filosofi contemporanei. Di certo la religione non ricade nel dominio della scienza, come quest’ultima nella prima. Ma l’uomo, evidentemente, che sia scienziato o no, le comprende entrambe.
Per quanto riguarda la storia della Chiesa, non può di certo paragonare il periodo del potere temporale con oggi. Lei stesso è la dimostrazione vivente che esiste la libertà di scegliere o meno la Chiesa e il suo Magistero. Anzi qualcuno si sente libero addirittura di scegliere solo la prima criticando l’ultimo. Come vede i colori dell’umanità presentano molte più sfumature del suo bianco o nero.
Se le pare razionale una società fondata solo sul profitto e quindi costretta a moltiplicare ed incentivare gli istinti egoistici individuali (egoismo da non confondere con l’amor proprio leopardiano), allora abbiamo un concetto opposto di razionalità.
Per non parlare della società del consumo dove spesso viene consumata anche la stessa dignità umana. E di un sistema economico basato su grandiosi debiti, tutti inevitabili ed inesigibili, pena il tracollo economico ad effetto domino.
Secondo me l’antico baratto è molto più razionale.

PS
Ma la cosa più irrazionale che possa esistere e che l’umanità ha sfiorato (pare più volte) qualche decennio fa è l’autodistruzione. Ed il materiale bellico nucleare è ancora lì, a testimoniare l’irrazionalità dell’uomo moderno.

bruno gualerzi

@ Antonio72
“Ma se ha fede nell’uomo, per quello che può diventare con le proprie forze, l’uomo in cosa dovrebbe riporre la propria fede per essere motivato ad agire, nell’ineluttabile nulla?”

Ma ti pare che ‘porre fede’ nell’uomo sia porre fede nell”ineluttabile nulla’? Cosa c’è di meno nulla per l’uomo del suo esserci e del disporre degli strumenti per organizzare la propria esistenza? Certo, nell’arco di tempo che va dalla nascita alla morte, cioè l’unico tempo che ha a disposizione… ma che può (che lo faccia o meno da questo punto di vista non ha importanza) gestire con le proprie forze.
Non ti pare invece che sia molto più riporre la propria fede nell”ineluttabile nulla’ porla in qualcosa che – e parlo da ateo ovviamente, ma dovresti tenerlo presente anche per qunato detto sopra – è solo frutto del desiderio e della paura? Per esorcizzare la paura?
Capisco che per te è un esercizio difficile, per non dire impossibile, ma sforzati di capire che dal momento che per un ateo “non è stato dio a creare l’uomo ma l’uomo a ‘creare’ dio”, è il credente che crede in una propria proiezione, cioè in qualcosa che non esiste al di fuori di sé. Cioè nel nulla.
Non sarai ovviamente d’accordo, e dirai che vale anche il reciproco, però non puoi dire che l’ateo in quanto ateo ‘ripone la propria fede nel nulla’: l’uomo, comunque si interpreti la sua esistenza, non credo sia un nulla nemmeno per te, ovviamente… mentre una dimensione trascendente, per definizione ‘trascende’ la condizione umana.

Antonio72

@bruno gualerzi

Secondo me l’uomo è sempre portato a riporre una fede in qualcosa, ovvero la natura umana è intrinsecamente religiosa. Lei la ripone nell’uomo che con le sole proprie forze deve salvare se stesso ed il mondo. Che è pressapoco ciò che pensava Nietzsche anche se, consapevole della titanica impresa rispetto alle deboli forze umane e alle sue molteplici tentazioni contrarie a questa eroica impresa, fu costretto a trascendere l’uomo in un superuomo utopico, che somiglia all’eroe pagano.
Con Nietzsche sono d’accordo sulla premessa, l’uomo è inadeguato, ma non sulla sua conclusione che trovo un’aberrazione umana. O meglio, filosoficamente può anche essere accettabile ma dal punto di vista pratico è un’idea repellente.
Secondo Lei è invece sufficiente l’uomo che conosciamo.. anche se non si capisce a quale uomo si riferisca. Di certo non all’uomo religioso, forse a quello tecnologico? Ma più che riporre la fede in quest’ultimo è più corretto dire che solo la scienza-tecnologia potrà salvare l’uomo.
Secondo me, qualunque fede deve essere sempre altro dall’uomo, in quanto l’uomo è costretto ad avere una fede proprio per superare la sua abissale solitudine.

Paolo

Io non credo alla morte perchè sono fatto di stelle immortali (gli atomi) che cambiano il loro essere, ma non muoiono. In questa accezione io sono immortale perchè dal nulla emergo e al nulla mi dirigo. Ciò che muore di me è la coscienza che è un prodotto troppo contigente a ciò che mi circonda e di cui mi libererò vlentieri.

bruno gualerzi

@Paolo
Non riesco in alcun modo a pensare di ‘vivere un’ immortalità’ di cui non avrò mai coscienza. Coscienza di cui ci si può anche voler liberare, nessun dubbio… ma senza la quale l’uomo come uomo non credo proprio che esista.
O meglio, questa vita ‘atomistica’ la si può vivere (pensare di vivere) mentre si vive… non certo quando davvero saremo diventati ‘atomo’.
Però, sia chiaro, se questo può tradursi in un ‘non credere nella morte’, ben venga.

hexengut

Marullo. Definire “comunque folle” Francesco equivale, scusami ma è così, o non conoscerlo o banalizzarlo; era , contrariamente alla sdolcinatura agiografica, un uomo durissimo, lucido ed estremamente accorto, anche se, alla fine e post mortem, fortemente tradito. Lasciamo perdere il simplex et illiteratus, lo joculator Domini e il novissimus pazzus in hoc mundo, i travisamenti e i frutti della cassazione conventuale della scelta di Francesco di programmata adesione alla marginalità, e in merito alle strofe su sorella morte (tra l’altro probabilmente da lui aggiunte dopo la composizione originaria del Cantico), cerchiamo di ricordare come nascano -così come tutto lo scritto- in stretta correlazione con la polemica anticatara e in contrapposizione al pessimismo dualistico; Francesco esalta pertanto una concezione gioiosa dell’esistenza per chi sapesse coglierne il pervasivo valore divino, una letizia che non viene annullata nemmeno da sofferenze, umiliazioni e neppure dalla morte, un mondo e una natura intesi non già come contesa tra forze opposte ma come fraternità e condivisione di gioie e patimenti (proprio la compassione di cui parli). Ovviamente di siffatta enunciazione condividiamo ben poco; ma da qui, commettendo il più grosso errore imputabile a uno storico, dimenticando cioè quali fossero il contesto storico, la mentalità del momento e la novitas francescana, ad insistere ancora sulla reale follia di Francesco ce ne corre; e non siamo nemmeno né Elia né Jacques d’Uèse.

stefano marullo

La follia la intendo in senso erasminiano. Credo anch’io nella novitas francescana, dilapidata dalle guerre intestine. E credo anch’io che Francesco fosse un uomo durissimo. Un uomo che finisce la sua vita tra le stimmate (vere od immaginate) non può che avere una concezione tragica dell’esistenza (finanche a vedere la morte come la fine di ogni esilio ergo “sorella”)

gioacolp

Stefano Marullo, ha stimolato attenzioni, che altro serve a darci coscienza del vivere? Irridere e definire pipponi o peggio ancora offendere un pensiero solo per disaccordo con le tesi espresse è disdicevole

Ben vengano opinioni contrastanti.

Un motivo in più per sentirsi presenti e vivi

stefano marullo

Come sovente accade, Gualerzi, più di tutti, credo abbia colto la “filosofia” di articoli come questo. Che anche parlare dei Massimi Sistemi (la vita, la morte, l’amore) non debba essere appannaggio dell’homo religiosus, anche gli ateo-agnostici, con la loro etica (meno “alta” ma forse manco tanto meno sublime) hanno molto da dire; anch’essi capaci di commuoversi e di vivere con la dignità propria di esseri pensanti. Molto meno disposti al “sacrificio dell’intelletto” ma non meno proni a ritenere la filiazione con altri propri simili un valore degno per cui si può vivere e forse morire.
Che anche Antonio 72 (che leggo sempre con interesse pur trovandomi in perenne disaccordo) possa trovare della “religiosità” in tutto questo mi fa sperare in un’intriseca ricchezza delle parole comunicate.
Dio (ove esistesse) benedica quelli che credono in lui senza maledire quelli che non l’hanno trovato. La Ragione giustifichi anche coloro che vi hanno abdicato in nome di divinità crocifisse, sorde, cieche, e ricompense ultraterrene. Nessuna ragione e nessuna fede che implichi l’odio per i propri simili sia ammessa.

Antonio72

@stefano marullo

Spero di non venire attaccato anche in replica a questo commento, perchè voglio solo dire che sì, l’articolo mi è molto piaciuto. Ma come sa, noi cattolici, siamo geneticamente predisposti per quelli che taluni ritengono impropriamente (e mi faccia dire, anche sciattamente) dei “pipponi” clericali, o qualcosa di simile. Tuttavia la prossima volta Le consiglio di scrivere un articolo più oggettivo e attuale, per es. di cosa significhi (o non significhi) la morte per l’uomo moderno occidentale e globalizzato. Che rapporto può mai avere l’uomo ipertecnologizzato e iperconsumatore con la “fanciulla morte”, che consuma sempre e non viene mai consumata?
Ogni tanto è bene fare una capatina nella società contemporanea.

Otto Permille

La nostra struttura cerebrale non ci consente di pensare né ad un inizio assoluto e neppure ad una fine assoluta. Non si può formulare dei concetti quando non c’è materia per farlo. Nessuno riesce mai a rappresentarsi la propria fine e neppure la fine delle persone scomparse con le quale continua comunque a dialogare. Persino le persone che si suicidano in realtà fanno questo gesto per salvare qualcosa di prezioso. Il suicida è prigioniero di un mito. Sono processi e dinamiche naturali. La maggior parte del nostro cervello non è governato dalla ragione che si trova dislocata in piccole aree collocate nella parte anteriore.

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