Scherza con i santi, ma lascia stare i monaci: giovane greco in carcere per blasfemia

Che paesi che seguono la sharia perseguano duramente ogni critica all’islam non sorprende. Repressioni analoghe possono tuttavia diventare realtà anche non troppo lontano da noi, in un paese dell’Unione Europea. Navigatori dalle dita veloci e dalla lingua affilata, attenzione: la repressione della “blasfemia” sta diventando sempre più frequente.

Proprio di recente nel mondo islamico gli integralisti hanno scatenato proteste e violenze per la diffusione di un film su Maometto preannunciato negli Stati Uniti  e per le vignette pubblicate sul settimanale francese Charlie Hebdo. Non sono mancate in passato censure imposte dai governi per contributi pubblicati su internet giudicati blasfemi, come nel caso del Pakistan contro Twitter. E arresti, per esempio in Tunisia e Indonesia, nei confronti di atei.

Nei paesi occidentali, sebbene non ci sia una repressione così feroce, esistono tuttora legislazioni che puniscono anche con il carcere la blasfemia. In Italia bestemmia e vilipendio della religione sono considerati tuttora reati. Non molto tempo fa l’arrivo nel nostro paese dell’opera Sur le concept du visage du fils de Dieu di Romeo Castellucci suscitò le proteste degli integralisti cattolici. Quel che è grave è che persino la Camera discusse se fosse da censurare. Gruppi cattolici particolarmente solerti si sono inoltre mossi per chiudere diverse pagine ‘blasfeme’ su Facebook. Tanti scrissero all’Uaar, che lanciò un appello.

Ma la situazione si fa sempre più pesante in Grecia. Alcuni mesi fa, tre attori colpevoli di aver preso parte ad uno spettacolo teatrale ritenuto ‘blasfemo’ sono stati arrestati. Stavolta il braccio secolare ha colpito un ventisettenne dell’isola di Evia, incarcerato perché gestiva una pagina su Facebook in cui si prendeva “pastafarianamente” in giro un noto monaco ortodosso, defunto nel 1994. Il religioso, noto come “il vecchio Paisios”, veniva ribattezzato con un gioco di parole “il vecchio Pastitsios”. E la sua immagine montata con un piatto tipico greco, il pastitsio appunto. Tanto è bastato perché arrivassero migliaia di segnalazioni contro la pagina e la polizia impegnata nella repressione del cyber crimine si prendesse la briga di arrestare il giovane.

La pena in Grecia, per certi reati, può arrivare anche a due anni di prigione. Secondo le forze dell’ordine, si tratta di un atto blasfemo e insultante nei confronti della Chiesa ortodossa e in particolare del venerabile religioso, oggetto di un culto fanatico simile a quello per padre Pio. Il partito greco di estrema destra, Alba Dorata, ha portato persino la questione in Parlamento.

Su Change.org è stata diffusa una petizione che chiede la liberazione del giovane e per abolire le leggi anti-blasfemia ancora vigenti. Anche la Federazione Umanista Europea, di cui fa parte l’Uaar, si è interessata al caso. Questa vicenda diventa davvero tragicomica, considerato il calibro della presunta ‘offesa’. Basta guardare i fotomontaggi diffusi su internet per rendersene conto. E per chiedersi come mai certi credenti siano così permalosi (pardon, “sensibili”) persino di fronte a queste inezie.

Ogni religione, quando grazie al potere politico si è trovata in maggioranza, ha chiesto e ottenuto leggi che la proteggessero dalla satira, o anche solo dalle critiche laiche. È facile gridare alle persecuzioni quando si è in minoranza, molto più difficile quando si hanno in mano le redini del potere. Sulla vicenda del giovane greco, come su altre, non si sente a sua difesa nessuna delle voci che si levano quando a essere presi di mira sono i cristiani pakistani. E la Grecia è un paese dell’Unione Europea. Le pressioni mondiali per silenziare ogni critica, condivise dal ministro Terzi, stanno già diventando realtà?

La redazione

AGGIORNAMENTO DEL 18 GENNAIO 2014. Il giovane è stato condannato a dieci mesi con la condizionale, scrive Greek Reporter.

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