L’ultimo numero di Mente & cervello dedica il dossier monografico alle “radici evolutive che predispongono il nostro cervello alla fede religiosa”. Nell’editoriale di presentazione, il direttore Marco Cattaneo ricorda che “il senso religioso, terreno della filosofia, non è stato terreno di indagine scientifica fino a relativamente poco tempo fa (casomai l’interesse è andato in senso contrario)”.
Ebbene, le cose stanno cambiando. Da un lato la filosofia è sempre meno interessata alla metafisica e ha ormai perso ogni legame con la teologia, nonostante la residua presenza di qualche confuso nostalgico à la Cacciari. Dall’altro, gli studi scientifici sulla religione aumentano. E si rivelano interessanti.
Il lungo articolo di Sandra Upson fa il punto della situazione. Alcuni degli studi citati sono stati già presentati sulle Ultimissime Uaar, come la ricerca curata da Ed Diener, che ha mostrato come la religione rende più felici solo se c’è crisi economica e sociale. Una sorta di via di fuga irrazionale a cui rivolgersi quando non sembrano a portata di mano soluzioni razionali: “chi vive in paesi in cui l’esistenza quotidiana è difficile è meno soddisfatto della vita. In questi paesi essere più religioso sembra conferire un di più di felicità rispetto ai vicini meno religiosi. Se la vita è facile, però, credenti e non credenti presentano livelli di benessere soggettivo simili e relativamente alti”.
Peraltro, dove registrano alti livelli di religiosità si registrano anche alti livelli di discriminazione nei confronti dei non credenti, e la correlazione è anch’essa facilmente spiegabile: alti livelli di religiosità spingono ad affidarsi con maggior trasporto ai leader religiosi. La cui maggior influenza sulla popolazione sarà facilmente utilizzabile nei confronti del potere politico, orientando la legislazione in direzione anti-atea. Si può essere felici allo stesso modo quando le istituzioni ti sostengono e quando invece ti reprimono?
Diener ricorda altresì che “l’influenza della società è forte se tutti quanti intorno sono credenti o no: verso la religiosità spingono forze legate alla società più che all’individuo”. Come nota Upson, “per i non credenti sono dati incoraggianti. Ciò vuol dire che gli atei non sono tagliati fuori da qualche sorgente di felicità , anche se potrebbe essere una buona idea trovare una comunità di persone affini”. Diener lo conferma: “la religione può certamente aiutare la gente a essere felice, ma ci sono altre cose che possono fare lo stesso. Una società pacifica e cooperativa, anche senza religione, sembra avere lo stesso effetto”.
Ne abbiamo già scritto commentando la diffusione dello studio di Putnam e Lim, pure citato dal Upson. È l’appartenenza a una comunità ad accrescere il proprio capitale sociale e di conseguenza la propria percezione della felicità. E una comunità non deve necessariamente essere una comunità di fede. C’è una certa convergenza, nel mondo accademico, a convenire che “molti elementi della religione si possono dopotutto ottenere altrimenti”. Tanto che libri come quello di Alain de Botton invitano apertamente gli atei a far propri gli aspetti più “utili” della religione.
Ciò non significa che bisogna creare “chiese” atee, o che le associazioni atee debbano necessariamente allargare indefinitamente le proprie attività (ne abbiamo parlato lo scorso 16 agosto). Ma, secondo noi, che le vie “atee” per trovare soddisfazioni sono assai più numerose di quelle consentite dalla fede.
Mente & Cervello pubblica anche un articolo di Pievani, Girotto e Vallortigara che condensa e aggiorna quanto gli stessi autori hanno affermato in Nati per credere. Dio, scrivono, “nel cervello non sembra avere una rappresentazione diversa da quella di un qualsiasi altro agente”. Inoltre, “le persone credenti, che considerano Dio come un’entità reale capace di contraccambiare le buone intenzioni di un fedele, quando pregano reclutano nel cervello le aree preposte alle cognizione sociale”. Le credenze religiose e nel sovrannaturale “poggerebbero perciò su caratteristiche naturali della mente che precedono la comparsa delle religioni”. Tuttavia, nonostante “tendenze intuitive così forti”, vi sono persone che non manifestano alcuna tendenza religiosa. Il motivo è spiegato da alcune ricerche che mostrano come “gli stessi meccanismi che sostengono le credenze religiose possono, se alterati, favorire quelle non religiose”. In particolare, è la predisposizione a forme di pensiero analitiche a indebolire la credenza nel sovrannaturale.
Come ha mostrato Phil Zuckerman studiando le società scandinave, “le istituzioni secolari che rendono la vita più sicura e che riducono la motivazione ad aderire a credi religiosi incoraggiano allo stesso tempo l’istruzione scientifica. Quest’ultima, a sua volta, alimenta il pensiero analitico e la conseguenza tendenza allo scetticismo religioso”. Insomma, chiudono Pievani, Girotto e Vallortigara, “anche se siamo nati per credere nel soprannaturale, abbiamo strumenti cognitivi e forme di organizzazione sociale per vedere il mondo con occhi meno intuitivi”. Homo sapiens, benché nato per credere, è anche nato per non credere più. Perché di Dio non ha alcun bisogno.
La redazione
niente di nuovo sul fronte orientale.
La religione fiorisce dove non c’è salute sociale. Alle istituzioni religiose fa comodo un clima sociale malato e si preoccupando di mantenerlo il più a lungo possibile.
Reiuky
Ti quoto
Dio, scrivono, “nel cervello non sembra avere una rappresentazione diversa da quella di un qualsiasi altro agente”
Chiedete ai bambini se preferiscono un gelato al parco o andare in chiesa la domenica !. Sebbene la rappresentazione mentale è la stessa lo stimolo è sicuramente diverso. Vogliamo comparare un gelato artigianale sicuro a una promessa vuota e piena di condizionanti ?.
verso i 6-7 anni, mia figlia volle andare a messa, “come tutte le sue amiche”
gliela portai, con l’accordo di assistere in silenzio, rispettosamente, fino alla fine
era pure la messa per i bambini che facevano catechismo, con predica specifica rivolta a loro
si annoiò terribilmente, e concluse che era decisamente meglio trascorrere la domenica mattina andando a fare un giro in bici, una passeggiata, giocando, trascorrendo del tempo con mamma e papà… e lo disse spontaneamente agli amici (alcuni dei quali poi gli dissero che sarebbe andata all’inferno: e sia ben chiaro, non ne hanno certo colpa loro se dicono certe crudeltà)
Lo dico sempre, i bambini se ben educati dai genitori (non a furia di prediche e messe), sono più intelligenti e arguti di quanto si pensi e tua figlia, ne è l’esempio lampante. ^^
Per gli altri bambini, beh non è colpa loro, si sa, imitano il comportamento dei genitori e senza rendersene conto, possono dire cose cattivissime, senza volerlo veramente.
Basta insegnarle che l’inferno non esiste e che si tratta di una invenzione per aspaventare i bambini. Non bisogna aver paura di essere diretti su certi argomenti, neanche quando per questi potrebbero andare in “conflitto” con gli altri. I bambini sono molto più maturi di tanti adulti perchè non hanno pregiudizi e condizionamenti e finiscono per essere amici anche con differenze che meterebbero certi adulti in guerra permanente.
Qualcuno c’è. Poi bisognerebbe indagare sul perchè.
Oggi mio figlio (ha 6 anni e fa la 1 elem.) ha chiesto a un suo compagno di classe il perchè non fosse venuto ad un compleanno di un loro amico che ha festeggiato domenica pomeriggio. L’assente ha risposto che è andato in chiesa e che la chiesa è più importante degli amici e di tutto il resto. Mio figlio mi ha chiesto: “Ma papà, come può essere più importante la chiesa degli amici?”. Mi sa, che su qualche bambino il lavaggio del cervello funziona bene, da fargli preferire la tristezza alla gioia.
Ignoranza + malessere collettivo= religione e superstizione
Cultura + benessere collettivo= razionalità e secolarizzazione
Nulla di nuovo insomma, son cose che si sanno da anni.
Inoltre concordo con whichgood, tra una cosa sicura, che sai che esiste, sai com’è fatta e un omino invisibile, stile amico immaginario, la scelta più ovvia ricadrà sulla concretezza, sulle sicurezze.
Tra la mia felicità e la mia infelicità io scelgo sempre ciò che mi rende felice: Dio.
Prova con il Coniglio Harvey, è invisibile anche lui, ma più divertente…
Liberissimo di farlo. A parte questo, qualche commento sullo studio?
Ma chi? Ronnie James?
Holy diver… 😆
Io parlo esclusivamente per me e non mi permetto di giudicare gli altri, tuttavia:
– “…la religione rende più felici solo se c’è crisi economica e sociale…”: non ho alcun problema di ordine economico o sociale eppure sono profondamente religioso;
– “…dove registrano alti livelli di religiosità si registrano anche alti livelli di discriminazione nei confronti dei non credenti…”: ho parenti molto stretti non credenti, cristiani di altre confessioni, animisti, non battezzati, eppure non per questo voglio a loro meno bene;
– “… la religione può certamente aiutare la gente a essere felice, ma ci sono altre cose che possono fare lo stesso…”: la felicità, ovvero il senso della vita, non viene soddisfatta appieno da nessuna cosa materiale;
– “… In particolare, è la predisposizione a forme di pensiero analitiche a indebolire la credenza nel sovrannaturale…”: per lavoro (ricerca guasti su apparecchiature di radioassistenza e navigazione aerea) ho una forma mentis piuttosto analitica, eppure questo non indebolisce minimamente la mia credenza nel sovrannaturale.
Mi accodo a Diocleziano, prova con questo:
https://www.youtube.com/watch?v=8Z7U56wLj3s
In Toscana esiste in detto:
“se uno è felice quando batte il sedere nudo sui vetri rotti……….”
Faccia pure, batte il suo. A me non sta bene la chiesa che vorrebbe ci battessi il mio a nome suo.
Se le illusioni e le favole ti rendono felice fai pure Giuseppe, ma io pure sto bene così. Amo la mia famiglia, i miei amici, i libri, il disegno, la natura, i miei gatti, la mia terra, il buon cibo. Non ho bisogno di specchietti per le allodole.
Comunque complimenti per le argomentazioni e come al solito, ti riveli per la persona triste e scialba che sei.
Io amo le persone nella loro concretezza, gli animali nel loro ambiente, le montagne, i miei boschi, il mare, il cibo a Km 0 e per goderere del canto delle allodole non ho bisogno di alcun specchietto.
Ma vi rendete conto con chi state parlando?
Con una persona che è felice a pensare ad un essere immaginario che vive solo nella sua mente.
Gente così sono pazzi pericolosi che possono combinare di tutto.
Ci stava Breivik che sognva i cavalieri medioevali e guardate che cazzo ha fatto.
Chi vive in un mondo immaginario e non distingue la realtà dalle proprie fantasie è pericoloso per la società.
Hai ragione Massimo ma non puoi fare “la guerra preventiva” e su che basi poi? Ci sono gli schizofrenici che fanno del male a se stessi e quelli che lo fanno agli altri. Esistono quelli che odiano le donne e passano la vita a masturbarsi e coloro che le stuprano arrivandole a ucciderle.
La criminologia non è arrivata a poter prevenire tali situazioni. Come puo fare la società civile a dire chi e come attuare giuridicamente certe restrizioni? Io non sono un giurista e più di tanto non mi sento di parlare.
Se qualcuno ha conoscenze meglio delle mie, felice di ascoltare.
@giuseppe
Buon pro ti faccia…
@Massimo
Evitiamo false generalizzazioni. Bollare ogni credente come un pazzo al pari di Breivik è del tutto irrazionale. Ciò che è da prendere in considerazione non è il singolo, ma la tendenza generale.
Allo stesso modo, però,
@giuseppe
qui non si parla di te, ma del contesto in cui la religione ha maggiore possibilità di esercitare una pesante influenza sulla società.
Strano come giuseppe prima dica di parlare per se stesso, poi tenti di applicare il suo modello alla generalità.
condivido appieno ciò che dice Giuseppe , bisogna vedere se la felicità del gelato o la tristezza della messa stanno esattamente in questo ordine…(mi sa che sono anch’io pazzo scatenato…come tutti credenti naturalmente… )
@Gianni F
Lo dici tu che i credenti sono pazzi scatenati, eh. Comunque, la conosci la proprietà commutativa?
gmd85
non non la conosco scusa, sono solamente un povero ingegnere….
Ma veramente non hai capito? O_o
“… la felicità, ovvero il senso della vita, non viene soddisfatta appieno
da nessuna cosa materiale…”
Ecco, queste affermazioni sono la fonte principale della sindrome
dell’intestino irritabile con diarrea incoercibile. 🙄
peppiniello è la prova vivente della sindrome di Stoccolma; è stato plagiato, contristato, ridotto ad apprezzare le donne solo per la loro attrattiva fisica,
(90-60-90) e mai per il loro spirito e la loro intelligenza e magari è stato pure
molestato, eppure è così legato a tutto quello che lo ha spento.
Cojntento lui…
Il tuo sarcasmo sulle donne non ti fa certo onore: per te una donna bella fisicamente è necessariamente stupida?
Tra la mia felicità e la mia infelicità io scelgo sempre ciò che mi rende felice: Dio.
Sono contento per la tua felicità,ma tu sei contento per la mia ?
La mia felicità aumenta se anche gli altri sono felici: perché dovrebbe dispiacermi la tua felicità?
Allora ti rende felice anche la mia felicità nell’essere libero
e incondizionato dall’idea di dio?
Si dice sempre “dio li fa e poi li accoppia” il proverbio viene dal tuo mondo, e quella
vanteria l’hai fatta tu; ora convincimi che una donna intelligente poteva scegliere te.
@giuseppe
No, priapus si riferisce al fatto che tu di tua moglie abbia decantato solo le caratteristiche fisiche. Non ha scritto che le donne attraenti sono stupide. Insomma, non è che puoi sempre tentare di ribaltare i commenti altrui, sai.
Se vai a rileggerti il perché la prima volta ho accennato alla bellezza di mia moglie, vedrai che l’ho fatto semplicemente per ribadire che non mi rifugiavo nella religione a motivo di insoddisfazioni familiari.
Del resto, una persona che domanda: “… convincimi che una donna intelligente poteva scegliere te. “, cosa credi possa apprezzare delle donne?
Ah, quindi l’insoddisfazione familiare dipende dall’avere una moglie più o meno bella?
Assolutamente no!!!
La bellezza poi è una cosa effimera.
il caro vecchio beppe…
mi pare che un tempo si “divertisse” di più.
ai tempi in cui ci spiegava che le preferisce bionde, ricce e maggiorate, se non ricordo male…
Se parli di me, ricordi molto male.
Bionda e solo un colore di capelli, ricca non mi interessa, maggiorata di solito non è naturale: io preferisco le persone nella loro realtà.
Ecco perché stanno tentando da anni di distruggere la scuola e impoverire il popolo.
Siamo il risultato di una selezione durata millenni: ateo? sul rogo!!!
Da quando sono spariti roghi e inquisizione sono iniziati ad aumentare gli atei.
quindi evolvendo l’uomo diventa ateo!!
Direi che la cosa va più di pari passo con l’educazione al pensiero critico e cose del genere… Anzi è proprio a causa dell’ evoluzione che tendiamo a credere…
Per evoluzione culturale, non biologica, non ci sarebbe stato il tempo sufficiente.
Comunque la stessa evoluzione culturale che ha fatto diminuire la violenza, reso scandaloso lo schiavismo e sancito l’eguaglianza uomo-donna. Vedere il nuovo libro del neuropsichiatra di Harvard ,Stiven Pinker, “il declino della violenza”.
Interessante notare che le religioni non solo non hanno contribuito a questo processo, almeno negli ultimi secoli, ma si sono attivamente opposte. Oggi le popolazioni dove è maggiore “la fede” sono quelle ove questo processo non è avvenuto o è in ritardo, quindi sono società più violente, diseguali, razziste, ignoranti, misogine e omofobiche. Ovviamente si parla di trends e correlazioni statistiche, sui grandi numeri, quindi è inutile citare casi individuali contrari, che probabilmente ci saranno, ma non invalidano questo assunto.
Nathan
Il ragionamento che hai riportato fila liscio ma bisogna aggiungere che l’evoluzione culturale e scientifica mette a nostra disposizione strumenti molto rischiosi.
Ad esempio le bombe atomiche se durante la guerra fredda da una parte o dal altra avessero commesso un errore a quest’ora saremmo tutti morti.
Quindi oggi anche se siamo più umanitari, più egualitari, più giusti ecc ecc che in passato corriamo un rischio che fino a 70 anni fa non esisteva e quindi necessitiamo di uno sforzo intenso e costante per migliorarci in una sorte di spirale che spero sia un circolo virtuoso.
L’uomo NASCE ateo e denigrando diventa credente. 😉
Secondo me, evolutivamente la correlazione è addirittura una causa (beninteso probabilistica): crisi, quindi poche risorse, quindi troppa gente, quindi eliminazione di qualcuno, quindi attacco alle minoranze, che nello specifico attuale sono gli atei, gli omosessuali, gli stranieri…
Facile vedere come il cerchio si chiuda.
L’articolo dice che “… in particolare, è la predisposizione a forme di pensiero analitiche a indebolire la credenza nel sovrannaturale…” e successivamente “… incoraggiano allo stesso tempo l’istruzione scientifica. Quest’ultima, a sua volta, alimenta il pensiero analitico e la conseguente tendenza allo scetticismo religioso”.
Quindi una società evoluta e più acculturata è obbligatoriamente sulla via della liberazione dalle ideologie religiose.
Per forza, più sai e meno sei disposto a credere a favolette e miti.
In un bellissimo ciclo di trasmissioni di alcuni decenni fa sull’argomento del “paranormale”, Piero Angela ha ripetuto alcune volte questo concetto (ricordo le parole con un po’ di approssimazione): “Un supposto fenomeno paranormale sembra tale solo quando non lo si esamina bene; ma quanto più ci si avvicina, più sono gli occhi e le orecchie che lo osservano e le persone che lo analizzano, tanto più il paranormale arretra, si fa piccolo, fino a scomparire, rivelandosi falso” 🙂
Einstei diceva che il sapere di un’uomo è paragonabile ad un palloncino gonfiabile. quello che sta dentro è il tuo sapere e quello che stà fuori è quello che non sai. mentre la superfice del palloncino è il confine del tuo sapere con quello che potresti sapere ma non sai.
ne consegue che più una persona è colta e più grosso è il palloncino e più grande la superfice e quindi più grande la tua coscienza di ignoranza….
questo per dire che una persona colta, se ha un minimo di onestà intelletuale e non si lascia prendere dall’orgoglio di sapere più degli altri, dovrebbe riconoscere che in pratica non sa nulla (come faceva Einstein)….quindi calma ragazzi perchè quello che stà fuori del palloncino è praticamente infinito e noi siamo completamente ignoranti….
@Gianni F
Quello che sta fuori dal palloncino lo si può studiare. Potremmo non riuscire a studiarlo tutto, ma il fatto che sia ignoto ora, non implica che lo sia per sempre. Come anche il fatto che se una branca non riesce a spiegare per il momento una cosa, non vuol dire che automaticamente lo possa fare un’altra branca.
@ Gianni F.
“noi siamo completamente ignoranti….” 😯
Completamente????????????? 😯
Ti smentisce il semplice fatto che tu stesso non ignori come si scrive al pc un commento qui 🙂
Mi raccomando, continuiamo a citare Einstein per i suoi discorsi postprandiali e non per i risultati per cui è famoso.
@Gianni F.
Ovvio: perché è inumano che una singola persona sappia tutto di tutto.
Di contro, i modi per far arretrare l’ignoto sono sempre correlati al numero di dati non ancora relazionati tra loro, i quali a loro volta, una volta relazionati con ciò che è noto, aumenta di nuovo esponenzialmente la quantità di concetti noti.
Come dire: l’oceano dell’ignoranza va in secca più rapidamente di quanto pensi…
@ Gianni F
Se quel che sta fuori il palloncino non si può conoscere faresti bene a non citare palloncini o pontificare sull’ignoranza.
Che sembra proprio tu adori il dio dei gap…
Gianni F
Visto che dice di essere ingegnere, significa che più studia il problema più non ci capisce niente. Più studia per progettare un ponte, una macchina o un’apparecchiatura più scopre di non saperla progettare?
Più studia e sa e meno è in grado di costruire macchine efficienti?
Strano che meglio conosciamo il problema più riusciamo a ridurre i coefficienti di sicurezza, definiti dai miei professori coefficienti di ignoranza.
Passando ad altri campi significa per esempio che più impariamo sul corpo umano e meno siamo in grado di curarlo?
Il fatto che la vita media si sia allungata, che la mortalità infantile sia diminuita non centra ovviamente niente con ciò che sappiamo in più rispetto al passato?
“un’uomo…. superfice…. stà”
Bando all’orgoglio e parti dalla grammatica, che è uno spazio finito, vedrai che più gonfi il palloncino più riduci l’ignoranza, fino a portarla a zero.
Gianni F.
Quello che diceva Einstein al di fuori del ambito della fisica mi interessa relativamente poco, dopo tutto il fatto che una persona sia un genio in un campo non lo rende necessariamente un genio in tutti i campi, inoltre anche in ambito fisico se un giorno qualcuno dovesse dimostrare che qualcuna delle sue idee è sbagliata sarebbe doveroso dargli torto, chi studia la fisica quantistica gli da torto infatti Einstein la rifiutò.
Se vogliamo fare una metafora esatta della nostra condizione riprendendo l’esempio del palloncino possiamo dire che più il palloncino cresce più cresce il nostro saper o altrimenti più ne sappiamo e più ne sappiamo, ripetizione voluta, che poi una persona onesta debba ammettere di non sapere tutto be questo lo diceva, in rapporto al tema dell’esistenza degli dei, già un certo Socrate, ma il fatto che Socrate ammettesse di non sapere con certezza nulla e che Einstein ammettesse di non sapere tutto vuol dire solo che erano due uomini intellettualmente onesti.
Ma oggettivamente non si può dire che ne sappiamo sempre di meno semmai che abbiamo meno certezze quante più domande ci facciamo ma prima o poi riusciremo a saperne sempre di più. Non so se sapremo mai tutto ma tra il non sapere nulla e il sapere tutto ci sono dei punti intermedi e tanto più andiamo avanti con il progresso tanto più ci allontaniamo dal primo e ci avviciniamo al secondo.
@Bertrand
Condivido dall’inizio alla fine
“Nati per credere. E per non credere più”
Mi ha fatto venire in mente questa barzelletta che sentito anni fa:
Una gallina passeggia tutta contenta per strada “coccodè, coccodè, coccodè”,
passa davanti ad una polleria “coccodio, coccodio, coccodio”
Scusate, che ho sentito.
La religiosità è diminuita anche perchè la società è cambiata.
Prendiamo ad esempio la società di 200 anni fa. La vita era molto più semplice. Si viveva di agricoltura e la domenica mattina il paesino si ritrovava alla messa. Era un “piccolo mondo antico” che a pensarci fa quasi tenerezza. E forse provo anche una punta di invidia per quel mondo così tranquillo e familiare.
Ma oggi si vive in una società frenetica. Ti svegli la mattina alle 6:30, prendi l’auto e ti imbottigli nel traffico. Poi arrivi al lavoro, e il capo ti cazzeggia perchè sei arrivato tardi. Arrivi a casa e la moglie ti cazzeggia perchè ti sei dimenticato di pagare la rata della smart della figlia.
La mattina dopo vai a pagare questa rata ma ti ricordi che devi anche pagare il bollo della tua auto poi torni in ufficio e ti arriva un’altra cazzeggiata…….
E BASTAAA…… VOGLIO TORNARE A QUELLA SOCIETA’ AGRESTE IN CUI IL TEMPO SCORREVA LENTO. E a quel punto mi sta bene anche la messa…..
Ma il punto è un altro. Io posso anche capire chi desidera di ritornare al “piccolo mondo antico” di una volta.
Ma prendiamo una persona che è costretta a vivere in questo frenetico mondo fantozziano. Dico io, ma che cazzo ci incastra il mondo della religione con il mondo reale?
Ma qual’è la voglia di una persona di fantasticare su Cristo o la Madonna pensando che sono esseri reali e dimenticando che è gente morta da 2000 anni?
Ora, se uno sceglie di fare il prete può anche permettersi di stare a fantasticare su quella roba.
Ma una persona che ha un lavoro normale e si mette a vivere in un mondo di fantasia oggi passa solo da scemo e disadattato. E se non sei competitivo è lo stesso mondo di lavoro che ti stritola.
OGGI NON CI SI PUO’ PERMETTERE DI VIVERE IN UN MONDO DI FANTASIA.
Ed è per questo motivo che alla fine la religione verrà sconfitta nei paesi più industrializzati.
Forse i paesi del terzo mondo rimarrano un baluardo delle religioni. Perchè laggiù non c’è lavoro e si muore di fame. E allora stare a fantasticare può essere una soluzione per patire di meno.
Io sono una persona estremamente concreta:
– un’apparecchiattura funziona solo se risponde in toto allo scopo per cui è stata ideata;
– se ho sete, credo solo a ciò che soddisfa a pieno la mia sete.
Anche se fosse ipnosi o condizionamento neurale?
Quindi dio funziona perché sei condizionato a pensare che dio funziona.
Quando le cose vanno male basta credere che la colpa sia di qualcun altro.
Quindi tu plachi la sete autoconvincendoti di non aver sete?
Quanto può durare?
@gmd85
Aggiungi:
Anche quando l’acqua va razionata?
Anche quando è sconsigliabile (vd. l’effetto dell’acqua col piccante)?
Se l’acqua fosse razionata o sconsigliabile, come sarebbe possibile estinguere efficacemente la sete?
Non mi dirai che anche tu sei convinto che per vincere la sete non è necessario bere ma basta autoconvincersi di non aver più sete?
@giuseppe
Vedi, è proprio questo il punto. Che uno si convinca di una cosa non vuol dire che la cosa in questione sia vera. La convinzione di non avere sete può funzionare sul breve periodo, ma non ho mai detto che sia raccomandabile. Suppongo che la forza di volontà degli asceti non si da considerare, eh.
E comunque non hai bisogno di credere a ciò che soddisfa la tua sete. L’hai sperimentato. Ma perché sia condivisibile deve placare la sete anche degli altri.
@ giuseppe
Giuseppe le cose hanno una funzione, cioè uno scopo attribuito dall’ideatore.
Tu ci stai dicendo di avere una funzione, quindi di essere una cosa.
Noi abbiamo altri scopi, i nostri.
“Sete” nell’accezione in cui usi la parola è una metafora, così come lo è la “soluzione”.
Confondere i livelli del linguaggio metaforico con quello reale è tipico degli schizofrenici. Fai pure…
Io sono una persona molto concreta:
– non mi basta credere che l’onda gaussiana ruoti nello spazio, me lo devono confermare gli strumenti;
– non mi basta credere che quella fonte plachi la mia sete, debbo averne le prove tangibili e durature nella vita di ogni giorno.
@ giuseppe
Forse con l’intervento sopra ho preteso troppo da te.
La sete fisiologica può essere soddisfatta solo con acqua (o liquido che ne contenga).
La “sete” di cui parli, essendo invece metaforica, può essere soddisfatta da qualsiasi altra metafora che si ritenga che la soddisfi. Anche inventandosela.
Quindi la tua frase “Quindi tu plachi la sete autoconvincendoti di non aver sete?”
è semplicemente STUPIDA in quanto confonde due livelli, quello reale e quello metaforico che NON possono esserlo. Ma tu non farci caso, la confusione ti è essenziale per continuare a soddifare la tua “sete”.
“Quindi tu plachi la sete autoconvincendoti di non aver sete?
Quanto può durare?”
E’ quello che mi chiedo anch’io, giuseppe.
Se riesci a gustarti piacevolmente la vita in ogni sua sfaccettatura ed imprevisto con una semplice metafora sono contentio per te: io, da parte mia, non riuscirei mai a vivere felicemente la reale concretezza di ogni giorno ricorrendo al semplice autoconvincimento.
@giuseppe
Rimanendo sul piano metaforico, semplicemente, non ho sete. Almeno, non ho la tua stessa sete. Tornando sul piano biologico, esiste una cosa chiamata effetto placebo. Non c’è bisogno che te lo spieghi, vero?
Tornando sul piano reale, mi dispiace che non ti interessi essere felice.
Venendo al piano biologico, conosco pilloline che tolgono il dolorw ma non pilloline che rendono felici.
@giuseppe
Oh, ma a me interessa essere felice. Riformuliamo: non mi disseto come ti disseti tu.
Venendo al piano biologico non ho mai parlato di pillole della felicità, di dolore e di farmaci che funzioni efficacemente. Ho parlato di effetto placebo, ovvero, un condizionamento mentale per tentare di farti capire che la mente si può manipolare.
Ah, invece mi sa tanto che tu ricorra proprio all’autoconvincimento. Ma non vuol dire che tu te ne accorga, eh.
@giuseppe
Non hai capito: non ci interessa la TUA felicità.
Aspetta che te la scandisco:
Non-ci-interessa-la-TUA–feli</iAcità…
O se vuoi la sillabo:
Non-ci-in-ter-es-sa-la-tua-fe-li-ci-tà…
O esplico:
Non ci interessa la tua felicità.
Laddove:
non = negazione
ci = a noi, a coloro con cui stai dialogando
interessa = importa, frega, tange, tocca, coinvolge…
la tua = di Giuseppe, che poi saresti te, tipica di te che sei Giuseppe, il tuo tipo, il tuo genere di…
felicità = visto che la invochi tanto non dovrebbe esserci bisogno di spiegartela, o no?
Casino coi tag, scusate… 😛
Errata corrige:
“Non-ci-interessa-la-TUA-felicità…
O se vuoi la sillabo:
Non-ci-in-ter-es-sa-la-tua-fe-li-ci-tà…
O esplico:
Non ci interessa la tua felicità.
Laddove:
non = negazione
ci = a noi, a coloro con cui stai dialogando
interessa = importa, frega, tange, tocca, coinvolge…
la tua = di Giuseppe, che poi saresti te, tipica di te che sei Giuseppe, il tuo tipo, il tuo genere di…
felicità = visto che la invochi tanto non dovrebbe esserci bisogno di spiegartela, o no?”
Poco importa come ti disseti, l’importante è placare veramente la sete (senza barare con se stessi).
Che la mente sia manipolabile è scientificamente provato, ma è dai frutti che si riconosce l’albero.
@ giuseppe
Sottoscrivo ogni parola scritta da FSMosconi, peraltro già ribadita in passato.
Stabilito che la tua felicità non prova niente, così come del resto la felicità di chiunque altro, non so se il ripeterlo continuamente serve ad autoconvincerti o fa parte di una credenza riguardo la cosiddetta testimonianza, cui attribuite tanta importanza. Fosse il secondo caso, vorrei informarti che della tua testimonianza cristiana ce ne importa quanto della tua felicità. Se quindi qualcuno ti ha detto che sono elementi importanti di convinzione ha convinto te ma non noi. Giusto per farti capire che ‘sto mantra della felicità ci avrebbe pure scassato, oltre ad essere francamente stupido. Comunque se vuoi ribadire questo ultimo punto fai pure, sappi che per noi non ce n’è bisogno.
@ FSMosconi
Mi dispiace veramente che la mia felicita ti crei problemi, ma non posso certo essere infelice per farti contento.
@ giuseppe
Non è che crei problemi, è che hai proprio rotto.
E puzza di finto.
@ giuseppe
è dai frutti che si riconosce l’albero.
Scrisse l’adoratore di quello che seccò un fico perché non dava frutti fuori stagione, che disse che il seme di senape era il più piccolo e che dava luogo ad un albero.
Dimenticandosi di aver creato queste cose.
Un vero pollice verde.
Comunque, se la cosa dovesse preoccuparti, da mo’ che abbiamo riconosciuto i tuoi frutti….
Non può essere vero, pensò Stefano, che la vita di un credente sia una giornata di sole senza una nube che lo possa offuscare, e sbottò: “E puzza di finto”.
@giuseppe
Senza barare con se stessi…
Tu parli dei piaceri della vita, ma senza la tua credenza cosa ti resterebbe? No, perché il tuo continuo ostentare fa sorgere dei dubbi, eh.
@giuseppe
Quanto ai frutti, non necessariamente sotto una buccia trovi il frutto che ti auguri.
“io, da parte mia, non riuscirei mai a vivere felicemente la reale concretezza di ogni giorno ricorrendo al semplice autoconvincimento.” 😆 giuseppe dixit.
Io parlo della bellezza della vita, in conseguenza della quale io credo; voi mi attribuite invece l’idea che la vita mi appare bella perché credo: sono due modi di approccio alla fede completamente diversi.
@giuseppe
No, no, è chiarissima la seconda. Ma che sia l’una o l’altra – entrambe soggettive – sono gli apparati apodittici che ne ricavi e che propini a essere discutibili.
Pardon, è chiarissima la prima.
E comunque la domanda rimane: senza la tua credenza cosa ti resterebbe? Se un giorno scoprissi inequivocabilmente che lo stare stesi su un amaca in riva al mare non è un dono del cielo come reagiresti?
@giuseppe
Non hai capito: non mi preoccupa la tua presunta felicità non più di quanto mi interessino i tuoi gusti in fatto di cucina, il fatto è che se continui a ripetere insistentemente che i tuoi sono I Gusti nonché siano il massimo per tutti indipendentemente fino alla nausea permetti che mi sarei anche scassato gli zebedei… comprendi?
Esordire una volta per tutte che la morte è sempre imminente non dimostra questo tuo paragone, casomai lo confuta.
Essere sempre in polemica idem.
Figurati ripetere sempre gli stessi concetti all’ossessione…
@ giuseppe
Puzza di finto il fatto che tu perda il tuo tempo qui a ripeterlo, genio.
@gmd85
Se non fosse un dono, perderebbe forse la sua bellezza?
@giuseppe
Appunto: che bisogno c’è di aggiungere in chiosa che è un dono?
@giuseppe
No. Ma non mi hai risposto.
@gmd85
Se si rivelasse non vero quello per cui sto vivendo una vita così bella, non mi rimarrebbe forse la bellezza della vita stessa che sto vivendo?
@giuseppe
‘Rda che “per cui” in italiano ha un significato preciso…
@giuseppe
Non mi hai ancora risposto. E non ho parlato di veridicità di ciò che vivi ma di veridicità della fonte.
Riformulo:
Tu dici di credere perché vivi una bella vita. Ma dici anche di vivere in funzione del dopo che poi dipende dalla fonte di ciò che stai vivendo. Risultasse falsa tale fonte, per cosa vivresti?
@gmd85
Io non vivo in funzione del dopo, ma dell’oggi.
Quello che mi interessa veramente è vivere da Uomo in questa vita ed assaporarne il senso più recondito.
Il problema del dopo è semplicemente il divenire dell’oggi come il futuro è il divenire del presente.
giuseppe, la bellezza della vita (seppure) non è affatto ragion sufficiente per essere cattolici e nemmeno credenti.
Caro Massimo
Il tuo commento è un po ingenuo . Il tuo “Piccolo mondo antico di una volta ” non è mai esistito se non nella mente di qualche narratore di favole . La vita era durissima, le carestie numerose e anche le guerre, le malattie falciavano tante vite prima della vecchiaia…
Quello che mi racontavano i miei genitori della loro gioventu, anche dei miei nonni, non era per niente idilico . E non è vero che tutti si volevano cosi bene… anzi… !
Poi tutto puo ancora cambiare… Oggi il sistema ultra-liberista sta importando il terzo o quarto mondo anche da noi ( disoccupazione di massa, grande poverta, miseria etc) e perciò non è detto che le religioni non abbino ancora qualche ” chance ” con il futuro poco roseo che ci aspetta….
Per non parlare dell 14 ore a rompersi la schiena e firggersi la salute nei campi.
Non per niente nel “piccolo mondo antico” la vita media era inferiore ai 50 anni.
Altro che ritmi a misura d’uomo dolcemente bucolici! La vita dei braccianti era devastante sia per la lunghezza della gironata lavorativa che per la pesantezza fisica altamente usurante. Altro che le 8\10 ore di lavoro odierne! Ci si alzava prima dell’alba e si rientrava quando ormai era buio 6 giorni su 7 se si era fortunati.
Per non parlare dei propietari terrieri che davano a mezzadria le terre in condizioni di puro strozzinaggio oppure “assumevano” i braccianti con condizioni di pura schivitù.
Anche al giorno d’oggi il lavoro di bracciante agricolo e tutto meno che leggero, rilassante e lento…. besterebbe chiedere agli stagionali che lo fanno.
Non penso che il Piccolo Mondo Antico non sia mai esistito. Anzi è sempre stato, pur subendo modificazioni dovute alle guerre ed alla tecnologia.
La ns. specie ha partorito la Grecia di Pericle e Fidia e le città rinascimentali, i villaggi Cherokee del nord America e quelli Yanomami del Rio delle Amazzoni. Ritengo che tutti costoro non fossero più infelici di chi vive oggi in una favelas o dalle parti della Gomorra di Saviano, ma anche di molti cittadini viterbesi o di Barcellona.
Penso che ora sia tutto più ipocrita e subdolo e la schiavitù, economica ed intellettuale, venga nascosta dietro a vocaboli e protocolli meno traumatici nella forma ma più pericolosi nella sostanza.
Non è che fosse tutto così idilliaco nell’Atene di Pericle: i cittadini ateniesi sì, godevano di alcuni privilegi, e per esserlo si doveva avere almeno un genitore ateniese, e fu proprio Pericle a promulgare la legge per restringere l’accesso alla cittadinanza ai figli di due ateniesi. Il resto dei residenti non erano cittadini, erano meteci, barbari, liberti e schiavi (pubblici, domestici o impiegati in cave e miniere). Tutti con vari doveri, tra cui per alcune classi andare in guerra o pagare la tassa di residenza. Sicuramente la Grecia è stato un ottimo laboratorio di democrazia, ma non parlerei di situazioni idilliache nemmeno in questo caso.
A proposito di situazioni che sembrano idilli democratici, un amico ci ha proposto questo indovinello matematico, che più o meno va così.
Dopo aver rovesciato una dittatura, un popolo decide di instaurare un governo democratico e di distribuire ugualmente le ricchezze (espresse per comodità in monete d’oro): viene eletto un capo, e a tutti, capo compreso, viene data una moneta. Tutti tranne il capo hanno diritto di voto, e solo il capo ha diritto di proporre eventuali modifiche alla distribuzione della ricchezza. Il capo però è egoista e furbo: in quante votazioni riuscirà a impossessarsi del maggior numero possibile di monete?
E’ un giochino divertente (e istruttivo): se si prende il capo e dieci cittadini, in una decina di mosse il capo dovrebbe arrivare ad avere 7 monete tutte per sè. E’ decisiva la prima mossa (in cui il capo dà l’impressione di rimetterci….).
A proposito di situazioni che sembrano idilli democratici, un amico ci ha proposto questo indovinello matematico, che più o meno va così.
Dopo aver rovesciato una dittatura, un popolo decide di instaurare un governo democratico e di distribuire ugualmente le ricchezze (espresse per comodità in monete d’oro): viene eletto un capo, e a tutti, capo compreso, viene data una moneta. Tutti tranne il capo hanno diritto di voto, e solo il capo ha diritto di proporre eventuali modifiche alla distribuzione della ricchezza. Il capo però è egoista e furbo: in quante votazioni riuscirà a impossessarsi del maggior numero possibile di monete?
E’ un giochino divertente (e istruttivo): se si prende il capo e dieci cittadini, in una decina di mosse il capo dovrebbe arrivare ad avere 7 monete tutte per sè. E’ decisiva la prima mossa (in cui il capo dà l’impressione di rimetterci….).
@ Sandra
Non ho usato l’aggettivo idilliaco, mi sembra eccessivo per le vicende umane.
Ho citato la Grecia classica in quanto è una forma sociale storicamente documentata (di cui conosciamo, ad es., anche i tratti pedofili seppur accettati socialmente di tanti personaggi importanti) e molto vicina a noi, geograficamente e culturalmente.
Il termine di paragone che ho citato, direi in modo evidente, riguardava la felicità o la percezione di essa nelle diverse realtà. Non mi pare che le nnss. società attuali siano più felici/serene/appagate/spensierate/etc di quelle da me citate.
“Non mi pare che le nnss. società attuali siano più felici/serene/appagate/spensierate/etc di quelle da me citate.”
Nel dettaglio non conosco le società di cui parli, ma l’assenza di guerre a ripetizione e l’accesso a medicina e istruzione sono fattori che rendono più felici. I poveri esistono in ogni società, ma nella società greca per esempio se non eri cittadino (e lo eri solo per ius sanguini ma previo superamento di un esame) passavi ad essere non cittadino, e quindi senza diritti: se per sfortuna ti capitava di diventare schiavo, addio spensieratezza, eri una proprietà, senza alcun diritto.
Se non hai diritti in quanto individuo, sei sempre potenziale vittima di ingiustizia (per questo ti devi cercare un “padrino”), e dimmi come fai a vivere sereno con una minaccia del genere.
@ Gerard.
mi sembra che l’attuale economia finanziaria sia una specie di religione, profiqua solo per i suoi sacerdoti ed altrettanto nefasta del nazicristianesimo o del marxismo-leninismo.
@ Giuliano,
l’usanza greca era socialmente accettata perchè era volontaria e verso adolescenti, non bambini, aveva il carattere di protezione, istruzione ed addestramento, mai di abuso, tanto che si stabilivano solidi legami, non solo erotici, ma anche a livello intellettuale. Il lato negativo è che le donne erano ritenute inferiori e, nonostante Aspasia avesse intellettualmente surclassato quasi tutti i maschietti, Aristofane ed altri continuarono a sparlarne, almeno dopo la morte di Pericle
Gerard
Uno scienziato aveva coniato una bella espressione: “il pensiero nostalgico”. E’ simile al concetto del buon selvaggio o di certi ambientalisti che rimpiangono a parole la bella vita agreste senza averla mai praticata, se non al massimo come turisti e simile al classico mito dell’età dell’oro che ha attraversato diverse culture. Ci sono persone che ovviamente non hanno mai vissuto in quell’epoca, nè in condizioni simili, che idealizzano il passato e gli attribuiscono valori positivi, ingigantendo i problemi dell’era attuale che invece sperimentano pienamente e direttamente.
Strano che i contadini ed i montanari, cioè quelli che hanno sperimentato effettivamente cosa fosse questa vita agreste, abbiano abbandonato le campagne e le montagne appena hanno potuto e che ormai la metà della popolazione mondiale viva nelle città. Strano che milioni di italiani siano emigrati all’estero perchè le condizioni di vita agreste erano invivibili.
100 anni fa i figli di contadini e operai non potevano che fare gli operai e i contadini, avevano un’istruzione minima ed iniziavano già dalle elementari a lavorare. Io invece pur essendo figlio di operai in questa società ho potuto studiare e diventare ingegnere e non cambierei per nessun motivo.
In quelle società una persona di 40 anni era già vecchia, distrutta dalle fatiche del lavoro. Per la maggior parte delle persone il problema era sopravvivere, trovare qualcosa da mangiare. Il problema è che spesso a descrivere le loro condizioni visto che erano analfabeti ci sono dei ricchi aristocratici o borghesi che hanno dato un’immagine distorta e non si preoccupavano certo della loro felicità. Quante persone hanno sofferto senza poterlo testimoniare. Oggi il concetto di povertà nei paesi evoluti è un’altra cosa, mentre allora, anche nelle civiltà più evolute e ricche come quella romana la situazione valeva per il 99% della popolazione.
Per non parlare della situazione femminile, delle continue guerre e degli abusi dei potenti, senza nessuna tutela. Oggi viviamo per fortuna in democrazia, anche se imperfetta, ma di certo non confrontabile con quella della Grecia classica, e dei vari problemi si parla apertamente, non vengono nascosti come in passato e le persone non vengono fatte soffrire in silenzio (vedi pedofilia e violenze sulle donne).
Ho la stessa opinione della vita rurale che ha Gérard, come lui tramite i racconti dei nonni. Altro che tenerezza, a me farebbe paura il pensiero di vivere come mia nonna, non sopravviverei una settimana. Era una vita talmente dura e a volte spietata che non potevi permetterti di vivere di fantasie. Quello lì era un mondo competitivo, prova a pensare al tipo dei chip sotto pelle: uno così mica lo avrebbero mantenuto agli studi. Eppure oggi complottisti che vivono di balordaggini ci sono, e nemmeno pochi. Credono sicuramente più loro a quello che sentono che i miei nonni che in chiesa andavano (mio nonno quasi mai) ma non certo per fede. Sinceramente e tutto considerato – livello di vita, di istruzione, disponibilità di letture – mi sembra che siamo noi quelli più disposti a credere.
@ Massimo A mio parere il suo quadro del “piccolo mondo antico” risente di molti tratti di fantasia. Forse lei non ha pensato che prima del nostro mondo caratterizzato dai ritmi frenetici non c’era affatto l’arcadia ma il lento ritmo… della zappa e del piccone che spaccavano la schiena e rendevano il profilo dei vecchi simile a quello di un punto interrogativo. In sostanza, il macchinismo tecnologico e l’estensione e complicazione degli espletamenti amministrativi hanno sostituito lo stress nervoso alla fatica fisica. Aggiungo che quando nel mondo pseudoidilliaco dell”Albero degli zoccoli” mancava il lavoro, si emigrava oltreoceano oppure si andava a scavare nelle miniere in Belgio.
Essendo carente o quasi assente la previdenza sociale, la famiglia patriarcale costituiva una reale ‘”unità produttiva” e un’agenzia di sicurezza contro malattie, infortuni, disoccupazione e quant’altro; il che implicava la vigenza spesso anche profondamente interiorizzata di regole e valori di distinzione – gerarchia di ruolo, di rispetto e di solidarietà attiva, anche intergenerazionale, a cui l'”immaginario religioso” imperniato sull’idea della “sacra famiglia” e sugli episodi delle vite dei santi faceva da modello e da esempio ( tanto per dirne una: san Martino che taglia a metà il mantello per dare al mendicante di che coprirsi ). Questo nelle situazioni di povertà più o meno accettabile, in cui emergevano casi di autentica “virtù altruistica” e “santità” popolare; in quelle di miseria vera e propria, come per i “lazzari” napoletani le cose andavano molto peggio, con condizioni di mendicità che oggi diremmo “da terzo mondo”.
In ogni caso qualcosa ha da dirci il canonico testo de “Il ragazzo delle via Gluck” di Celentano; ovvero, la poesia di quando il cortile della “casa di ringhiera” o della cascina grande con edicola infiorata della Madonna ( o nelle città l’oratorio ) costituivano una unità sociale. Il che fa apparire l’adesione religiosa di un tempo meno forsennata di quanto si voglia affermare oggi. Altrimenti come si spiegherebbe la resistenza delle popolazioni contadine ( vedasi Vandea e simili ) alle riforme laicistiche propugnate dalla borghesia illuminista?
Che “c’azzecca” la Madonna con la frenesia fantozziana?
Si sarà accorto che nei giri e rigiri di impiegati e impiegatoidi per città e dintorni è onnipresaente la figura della Donna: cartelloni, manifesti, volantini, giornali e quant’altro: non sarà che l’immagine della DONNA, nella sua duplice versione ( FANCIULLA e MAGNA MATER ) rappresenta una presenza “esigenziale” nel subconscio umano?
Qualcosa del genere per l’immagine dell’UOMO – DIO
( ricorda l’icona dell’Uomo di Leonardo e il “surrogato” di Gesù Cristo procurato per tanti decenni dalla figura di Che Guevara? )
Chi frequenta le chiese ( quando non lo fa per abitudine trascinata passivamente ) è convinto o è propenso a credere che Gesù Cristo e Maria non siano affatto dei defunti, morti e sepolti e chi s’è visto s’è visto, ma dei viventi.
Per capire la differenza con i personaggi delle fiabe occorrono due presupposti: 1) il riconoscimento di quella tale esigenza psicologica come antropologicamente oggettiva, con rifiuto del facile sarcasmo & battutismo stile barzellette idiote su Lourdes; 2) la conseguente buona volontà mettersi a studiare storia antica, storia delle religioni, antropologia e quant’altro. I testi utili allo scopo non mancano; bastA VOLERLI CERCARE.
Essere propensi a credere non vuol dire avere ragione. Adesso prova a paragonare la Madonna con le donne dei cartelloni e trovami il parallelismo -_-
Le icone come no: la leva obbligatoria per la guerra contro l’Austria non c’entrava nulla… 🙄 🙄 🙄
Chissà come facevano i protestanti che sono cristiani senza madonne e santi!
Strano sono anche i paesi più evoluti.
Curioso che lei si ricordi solo della Vandea (quanto spontanea poi) e non delle varie repressioni di rivolte di contadini e montanari per le dure condizioni di vita e di sfruttamento.
Bella la famiglia patriarcale: cosa farà il figlio di un contadino? Ma il contadino! Ed il figlio del figlio del contadino? Ma il contadino! E così via una generazione dopo l’altra. Ed infatti quando hanno avuto la possibilità con la rivoluzione industriale contadini e montanari hanno abbandonato i campi e le loro montagne. Ma c’è sempre stato anche il mito della terra promessa, di trovare una terra dove vivere bene, lasciando quella dove vivevano.
I così felici contadini italiani sono emigrati a milioni all’estero.
E per le donne? Il massimo che potessero aspirare era trovare un marito buono. Si è mai chiesto se fossero felici? Evidentemente la cosa non l’interessa! Se una donna voleva fare altro rispetto al modello prospettatole sin dalla sua infanzia? Rinchiusa in un qualcosa come le Magdalene o in un manicomio o abbandonata dalla famiglia! Proprio un bel mondo!
@Flo’
“il riconoscimento di quella tale esigenza psicologica come antropologicamente oggettiva”
E quindi? Essere è dover essere… da quando?
Da quando soprattutto la tua forma di problem solving a una tua esigenza è quella del resto del genere umano? Da quando esiste un solo modo per ovviare alle proprie irrazionali necessità?
@ Florenskij
“Chi frequenta le chiese ( quando non lo fa per abitudine trascinata passivamente ) è convinto o è propenso a credere che Gesù Cristo e Maria non siano affatto dei defunti, morti e sepolti e chi s’è visto s’è visto, ma dei viventi.”
Lo so bene. Diverse volte alla televisione ho visto gente che faceva discorsi del tipo “Io parlo con Cristo” oppure “Io parlo con la Madonna”.
Il punto è che se uno non crede, automaticamente pensa che questi siano dei matti visionari. E qui la pensiamo tutti così.
E per questo motivo non ci potrà mai essere dialogo tra atei e credenti.
@ Florenskij
“il riconoscimento di quella tale esigenza psicologica come antropologicamente oggettiva, con rifiuto del facile sarcasmo & battutismo stile barzellette idiote su Lourdes;”
Vuoi dire che esiste una esigenza psicologica dell’uomo di relazionarsi con esseri creati dalla fantasia?
Mah, secondo me questa esigenza non esiste in natura, ma viene inculcata nelle società in cui religione e potere stanno insieme (come in italia).
Come ho già detto altre volte, parlare con un amico immaginario e non saper distinguere la realtà dalle crezioni della propria fantasia è una situazione psicologica che può già essere definita pazzia.
Questa è una situazione che dovrebbe essere curata perchè è pericolosa per se stessi e per gli altri.
Sai quanta gente ha compiuto omicidi solo perchè “glielo ha detto Dio”?
@ Florenskij
la conseguente buona volontà mettersi a studiare storia antica, storia delle religioni, antropologia e quant’altro. I testi utili allo scopo non mancano; bastA VOLERLI CERCARE.
La storia io la conosco meglio di te. E in 5000 anni di storia le religioni hanno portato solo cose negative.
Vivere in “un frenetico mondo fantozziano” non mi sembra il massimo della felicità, specialmente se si hanno ulteriori difficoltà soggettive, come quelle realisticamente descritte nei film di Paolo Villaggio (condizione lavorativa fortemente subordinata, colleghi di lavoro “cambronniani” e superiori più ancora più male olenti, bruttezza fisica, problemi in famiglia). Non mi pare che tali soggetti non abbiano bisogno di qualche forma di consolazione ideale e di aderire a una comunità volontaria che abbia quei caratteri che non ritrova nella socieà civile. Caratteri di “società pacifica e cooperativa” ed accogliente nei suoi nei suoi confronti. Nè che faccia loro male la speranza del Paradiso (o, magari, quella dell’Inferno per chi li opprime). E neppure che l’adesione a una religione strutturata possa indurli ad atti tipo Breivik. Anzi … E a quale possibile felicità rinunzia un tale soggetto se, ipoteticamente, sia aderente a una Chiesa cristiana. Forse a quella che gli verrebbe dal sedurre la collega attraente? No, per il semplice fatto che i suoi tentativi in tal senso sono destinati a un frustrante fallimento. Non sarà, dunque, più felice astenendosene nella convinzione di compiere così azione virtuosa?
Aggiungo. E non sarà per lui desiderabile che superiori, colleghi e, soprattutto, familiari aderiscano a un sistema di idee dal quale si deduce che bisogna trattarlo con rispetto, e nel rispetto più scrupoloso dei doveri di ciascuno nei suoi confronti?
huffingtonpost.co.uk ha questo articolo che conferma in parte lo studio, non per l’aspetto della “vera fede” ma del marketing religioso:
A Recession-Proof Career? Church Of England Sees Spike In Young Priests Amid High Youth Unemployment
3w.huffingtonpost.co.uk/2013/03/11/church-of-england-young-priests_n_2852275.html?utm_hp_ref=tw
Come nota Upson, “per i non credenti sono dati incoraggianti. Ciò vuol dire che gli atei non sono tagliati fuori da qualche sorgente di felicità , anche se potrebbe essere una buona idea trovare una comunità di persone affini”.
http://www.repubblica.it/esteri/2013/03/08/foto/londra_nella_chiesa_degli_atei-54120922/1/?ref=HRESS-29#14
E‘ storicamente documentato come la chiesa cattolica si sia opposta all’educazione per tutti perchè vedeva nell’istruzione anche ai contadini e montanari il rischio che diventassero meno controllabili. Per lei l’istruzione doveva essere limitata alle classi benestanti, aristocratiche, borghesi e al clero perchè la cultura era uno strumento di controllo. Contrariamente fu, invece, in campo protestante che si cercò di promuovere l’istruzione per tutti anche se in maniera strumentale perchè potessero leggere ed interpretare direttamente i testi sacri.
Indubbiamente l’istruzione, soprattutto di livello elevato, crea problemi alle religioni perchè aumenta gli orizzonti e le possibilità di spiegazione e la capacità critica delle persone, come si vede bene tra gli scienziati dove si ottengono le percentuali più basse di credenti o se lo sono, lo sono in maniera particolare. Ma non è sufficiente.
Esistono anche altri meccanismi che complicano il quadro: tradizione, educazione e libertà (democrazia), informazione e globalizzazione. In passato, ed in minor misura attualmente, le classi benestanti sono state tradizionalmente in maggioranza credenti nonostante livelli di istruzione più elevati, questo sia per questioni di tradizione, perbenismo che per il tipo di educazione fatta spesso in istituti religiosi. La tradizione ed il condizionamento sociale giocano un ruolo importante, soprattutto tra i conservatori.
L’educazione pilotata ed autoritaria, la creazione di paure, colpe e bisogni, è uno strumento importante anche per la perpetuazione del modello religioso ed infatti tutte le religioni non rinunciano ai loro privilegi storici per cercare di intervenire sull’educazione dei giovani, altrimenti avebbero perso un maggior numero di fedeli ed è proprio tra i giovani dove hanno i maggiori problemi.
Ma è sicuramente dalla libertà di pensiero e dalla democrazia, unite all’informazione e alla globalizzazione che arrivano i maggiori problemi alle religioni. Fino a poco fa ed ancora oggi in maniera incompleta non eravamo liberi di decidere la nostra religione, una religione di stato veniva imposta al popolo ed il non appartenere ad una religione di maggioranza aveva conseguenze sulla nostra vita sociale.
E‘ questo mondo che sta sgretolando il modello religioso perchè quando sai che non sei obbligato a credere, che esistono anche altre visioni del mondo con cui ti devi confrontare, diventa più difficile credere, ma soprattutto diventa più evidente come sia nella natura umana avere tante differenti visioni del mondo, che non ci sia una tendenza naturale verso il pensiero unico. Non bisogna dimenticare che la famosa evangelizzazione tanto decantata dalla chiesa è avvenuta per imposizione, con una dura lotta di secoli per cancellare le credenze precedenti e le credenze concorrenti. Ed anche oggi cercano spesso di impedire che vi sia questo confronto.
Sicuramente le religioni non scompariranno perchè è nella natura umana avere diverse visioni tra le quali alcuni uomini preferiranno quelle religiose, ma vi sarà una distribuzione più equilibrata delle varie visioni del mondo, con evoluzione delle stesse e, spero, anche di quelle religiose arcaiche verso una visione più spirituale, intimistica e, soprattutto, democratica.
Florenskij risponde:
martedì 12 marzo 2013 alle 11:57
@ Massimo A mio parere il suo quadro …
Sempre sintetico ……… ma ha dimenticato di parlare dell’Australopitecus afarensis.
la prego di riformulare l’esposizione .
Grazie per la cortese attenzione
Anch’io mi occupo di neuroscienze, con una certa competenza e dovizia di documentazione credo, e devo dire che l’argomento è stato introdotto bene, ma svolto molto superficialmente. Le strutture che agiscono nella formazione del trasporto religioso sono molto più complesse e non hanno solo a che vedere con la felicità o con i meccanismi di ricompensa – reward – che comunque costituiscono le leve tra le più potenti del nostro cervello. il problema della felicità è relativo e può essere riassunto nel vecchio stereotipo della religione come “oppio dei popoli”. In particolare questi effetti sono dovuti al rilascio degli ormoni dello stress, in quanto tutte le religioni impongono rinunce e piccole torture (come ad esempio il cilicio o il digiuno coatto). Ricavare felicità dal dolore: questo è il segreto primario di tutte le religioni. Il trasporto religioso è però essenziale per la costruzione del social brain, perché il rapportarsi ad un dio – o ad una entità astratta, così come il rapportarsi ad un genitore defunto – rafforza il legame sociale e perciò moltiplica la propria sicurezza. Tutti i credenti non si sentono mai soli! Questo è importante. Il trasporto religioso attiva dinamiche astratte e simulazioni del rapporto tra l’Io e il fantasma dell’altro. Ci sarebbe molto altro da dire. Comunque ricercando sotto la voce “neuroteologia” si può trovare ampia documentazione sul tema.
Ricavare felicità dal dolore? Prego, accomodati pure.
La felicità di cui parlo io è il senso della vita.
E c’è bisogno di soffrire per coglierlo, eh?
@gmd85
Be’, dai, ricorda di star parlando di uno che fa la tragicommedia sui propri problemi pur di convertire gli altri a sua insaputa…
Non m stupirebbe se avesse un’altro tarlo di questo genere 😉 😉 😉
http://www3.varesenews.it/immagini_articoli/200703/7_13011.jpg
Io rifuggo il dolore evitabile ed apprezzo i piaceri della vita.
quanto e’ profondo giuseppe! mi ricorda il noto poeta De Mente il quale ci ha regalato profondi versi della stessa profondita’ degli interventi di giuseppe:
i cieli son celesti
i mari sono blu
a me le rondinelle
mi piacciono di piu’
Effettivamente lo stare distesi su un’amaca con un sottofondo di sciabordio d’onde sugli scogli ad osservare i percorsi delle rondini nel cielo è veramente piacevole: un vero dono del Cielo.
@giuseppe
Come sopra.
Tutto il dolore è evitabile, giuseppe. Finché si vive non è affatto vero che lo si rifugge.
Se sei convinto che tutto il dolore sia evitabile sei un illuso.
Se sei convinto che il dolore abbatta l’uomo, non conosci l’Uomo.
@giuseppe
Evitabile forse no, almeno quello contingente. Diversamente elaborabile, si. Dov’è che fab avrebbe scritto che il dolore abbatte l’Uomo?
@gmd85
Elaborare diversamente?
Non rischi l’effetto placebo?
@giuseppe
Un processo naturale (elaborazione del dolore) effetto placebo? Sicuro di stare bene?
@giuseppe
No, non ricorrendo a panacee o surrogati.
Quando mai vivere concretamente e pienamente la vita significa ricorrere a panacee o surrogati?
Parlavamo di elaborare il dolore.
Cosa significa, secondo te, vivere concretamente e pienamente la vita se non elaborare il dolore e trasformarlo in un’occasione di crescita umana?
Credi forse che, per il solo fatto che la mia vita è felice, sia priva di dolore?
Non so quali siano le tue vicende, ma ciò che costituisce dolore per te non per forza costituisce dolore per gli altri. Le cose avvengono, fanno parte della vita, senza bisogno di attribuirle ad altro. Libero di usare il tuo dolore come meglio credi, ma non pensare che per assaporare la vita sia necessario il dolore.
giuseppe, sai che cosa significhi “suicidio” o devo farti un disegnino?