Il privilegio viaggia col passaporto vaticano

L’ennesima torbida vicenda che sfiora lo Ior coinvolge questa volta direttamente il Vaticano. È stata resa nota dall’Espresso, ma non ha riscosso una grande eco: durante la luna di miele francescana è meglio non tirar fuori certi altarini. Eppure il caso non è affatto di quelli minori.

È la fine di febbraio e siamo all’aeroporto romano di Ciampino. Quando atterra una aereo privato proveniente da Torino da cui scendono Michele Briamonte, giovane e rampante avvocato consulente per lo Ior nonché consigliere del Monte dei Paschi di Siena, e don Roberto Lucchini, diplomatico vaticano nella segreteria di Stato guidata dal cardinale Tarcisio Bertone. Ma li intercetta la Guardia di Finanza, che intende perquisirli con regolare mandato. Gli agenti chiedono anche di consegnare loro le borse, ma i due si rifiutano. Anzi, tirano fuori dei passaporti diplomatici vaticani. Sebbene quei documenti non garantiscano affatto l’immunità, Briamonte temporeggia e chiama qualche alta sfera. Il Vaticano si mette in moto e i finanzieri alla fine li lasciano andare, senza averli perquisiti né prelevato le borse. Devono sicuramente avere la protezione di qualche santo in paradiso. Di cosa si preoccupavano i due? Trasportavano qualcosa di compromettente?

La Procura di Roma da febbraio sta indagando anche su denaro che sarebbe confluito in un conto Ior alla Banca del Fucino, che farebbe capo a personaggi legati all’acquisto di Antonveneta da parte di Mps. E Briamonte viene descritto da L’Espresso proprio come “l’anello di congiunzione tra due vicende ugualmente scottanti: lo Ior e l’inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena”. L’avvocato non è indagato, ma la sua casa e il suo studio a Torino sono stati perquisiti per la faccenda Mps.

Briamonte non a caso è nello studio legale Grande Stevens, che fornisce assistenza proprio al Vaticano. Gli avvocati che hanno difeso lo Ior quando, nel periodo di Tangentopoli, è scoppiato lo scandalo della maxi-tangente Enimont. Nel 1993 i magistrati di Milano, vale la pena di ricordarlo, avevano scoperto che ben 108 miliardi di lire dell’epoca in buoni del Tesoro erano passati nello Ior. Il Vaticano rispose alla rogatoria inviata dall’allora giudice Antonio Di Pietro, ma secondo il pool milanese avrebbe fornito documentazione falsa. Poi, grazie proprio alla blindatura che davano i Patti Lateranensi, dirigenti Ior e prelati non furono coinvolti nel processo.

briamonte

Già dalla fine del 2009 l’Istituto per le Opere di Religione è sotto la lente dei magistrati romani per sospetta violazione della normativa sulla trasparenza bancaria e sull’antiriciclaggio. L’indagine è partita da transazioni di dubbia regolarità per decine di milioni presso una filiale della banca Unicredit, ma si è poi allargata ad altri istituti di credito. Un conto Ior di 23 milioni presso il Credito Artigiano viene sequestrato. Il Vaticano aveva però reagito parlando di “attacco” nei suoi confronti. La violazione delle norme antiriciclaggio viene confermata dal tribunale del riesame, ma la Guardia di Finanzia non può intervenire perché è necessaria una rogatoria internazionale. Si parlerà poi di giustizia italiana “beffata” e anche l’Uaar scriverà al ministro della Giustizia Paola Severino.

Il Vaticano intanto corre ai ripari con una operazione trasparenza, per adeguarsi agli standard internazionali. Sulla base delle indiscrezioni che trapelano dalla Santa Sede, Benedetto XVI vorrebbe una riforma più incisiva dello Ior, ma è frenato dall’establishment curiale. C’è confronto tra l’Autorità di vigilanza finanziaria vaticana (Aif), istituto voluto con un motu proprio del dicembre 2010 proprio da Ratzinger, e lo Ior deciso a mantenere le sue prerogative. L’avvocato Briamonte, ben introdotto in Vaticano, fornisce consulenza allo Ior per respingere la richiesta dell’Aif di far valere retroattivamente le regole nuove di trasparenza bancaria, applicabili alle operazioni dall’aprile del 2011. Scoppia l’affaire Vatileaks, con una emorragia di carte segrete che rende più evidenti i giochi di potere nei Sacri Palazzi, in particolare l’influenza di Bertone e gli attriti con il presidente Ior Ettore Gotti Tedeschi. Intanto, l’Istituto per le Opere di Religione deve anche passare l’esame di Moneyval, l’organismo di controllo finanziario del Consiglio d’Europa, per l’inserimento nella white list. Anche qui qualche aiutino lo dà l’Italia del governo ‘clerical-tecnico’ di Mario Monti. Il Vaticano ottiene la sufficienza ma rimangono delle perplessità.

Ma i problemi per lo Ior non finiscono, tanto che a gennaio la Banca d’Italia blocca per un certo periodo i PoS del Vaticano, per sospette anomalie sulle transazioni bancomat di una quarantina di milioni di euro. E qualche grattacapo al Vaticano lo dà anche lo scandalo Monte dei Paschi di Siena. Niente di nuovo, visto che negli ultimi decenni quella che viene comunemente considerata la ‘banca’ de Vaticano è stata coinvolta in gravi scandali dove si intrecciano in maniera poco trasparente politici, faccendieri e scalate della finanza ‘bianca’. Emblematico il caso del Banco Ambrosiano, quando lo Ior era guidato da monsignor Paul Marcinkus. Ma di recente c’è anche, oltre al già citato caso Enimont, l’attivismo di “don Bancomat” nell’inchiesta che coinvolse la cosiddetta ‘cricca’ del G8.

Il passaporto della Santa Sede non garantisce l’immunità. Garantisce tuttavia che nei Sacri Palazzi qualcuno è pronto a intervenire in tuo favore, se ne sei in possesso. E garantisce che la Guardia di Finanza sia costretta a non intervenire, se arriva qualche autorevole voce d’Oltretevere. È solo l’ennesimo frutto avvelenato del Concordato e una ragione in più per chiederne l’abolizione. Chissà se il nuovo papa, così prodigo nel fare dichiarazioni per una chiesa “povera”, si ricorderà anche della trasparenza dello Ior e farà qualcosa di concreto.

La redazione

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