Negli ultimi tempi non sono mancati, sul nostro blog, gli interventi riguardanti l’islam. È del resto inevitabile: il panorama religioso del continente si sta modificando e la presenza di milioni di musulmani interpella tutti, credenti e non credenti, clericali e laici. Un argomento di discussione assai dibattuto è quello sulla diffusione dell’integralismo tra i fedeli islamici. Un sondaggio condotto sull’argomento su un campione senza precedenti quanto a dimensione può fornirci qualche risposta. Una ricerca condotta dal Pew Forum, su 38mila interviste a islamici in 39 paesi, fornisce interessanti elementi e permette di capire meglio come gli stessi fedeli musulmani considerano le questioni sociali. Un dato diffuso è che gli islamici considerano la religione molto importante, indispensabile per avere un’etica e ritengono che debba condizionare anche la società e la politica.
Schiaccianti maggioranze caldeggiano l’imposizione della sharia come legge dello Stato, soprattutto nell’Asia del sud, ma anche nel Medio Oriente, nell’Africa mediterranea e in quella sub-sahariana. Tra i paesi dove la quota è più alta abbiamo Malaysia (86%), Indonesia (72%), Afghanistan (99%), Pakistan (84%), Bangladesh (82%), Iraq (91%), territori palestinesi (89%), Marocco (83%), Egitto (74%), Giordania (71%), Niger (86%), Gibuti (82%), Repubblica Democratica del Congo (74%), Nigeria (71%). Indicativamente, l’appoggio alla sharia è diffuso a prescindere dall’età, ma in pochi paesi — soprattutto quelli del Medio Oriente e del Nord Africa, la percentuale è minore tra quelli che hanno meno di 35 anni.
Nella maggior parte dei paesi islamici una percentuale altissima ritiene che la donna sia sempre obbligata a obbedire al marito, anche tra le stesse donne (idea però minoritaria in Europa). Il diritto della donna di scegliere o meno se portare il velo è riconosciuto più in Europa (88%) e sempre meno se si va nel Sud Est asiatico, in Asia centrale, Medio Oriente e Nord Africa (53%), Africa sub-sahariana. Il diritto delle donne al divorzio e ad ereditare come i maschi è riconosciuto meno in Asia, Medio Oriente e Nord Africa.
Una maggioranza di islamici, soprattutto nell’Asia del Sud, in Medio Oriente e in Nord Africa, ritiene che i giudici religiosi debbano occuparsi di questioni familiari. Il consenso alle punizioni corporali per i criminali è medio-alto, con un picco dell’81% nell’Asia del Sud. L’uccisione di coloro che abbandonano l’islam è caldeggiata soprattutto in Asia del Sud (76% a favore) e dalla maggioranza nel Medio Oriente e in Nord Africa (56%), mentre altrove gli apostati sono molto più tollerati. Sui comportamenti da giudicare morali o meno, circa il 90% degli islamici condanna la prostituzione, l’80%-90% l’omosessualità e il suicidio, mentre sesso fuori dal matrimonio, bere alcool, aborto ed eutanasia risultano leggermente più tollerati specie in Europa (ma comunque condannati da più dei 2/3).
Per quanto riguarda il terrorismo, una schiacciante maggioranza è contraria e non lo giustifica; trova un po’ più di consenso in Malaysia, Afghanistan, Bangladesh, Marocco, Egitto e soprattutto nei territori palestinesi. A proposito del rapporto tra religione e modernità e tra religione e scienza, per una maggioranza non schiacciante c’è comunque conflitto. L’evoluzione è sostenuta da una risicata maggioranza degli islamici in Europa, Medio Oriente, Nord Africa e Asia centrale, e da meno del 40% nel resto dell’Asia. La risposta sull’evoluzione è interessante: è come se i musulmani, arrivando in Occidente, anziché diventare più laici aggiungessero altre caratteristiche negative dei cristiani integralisti. Gli islamici assorbono elementi della cultura occidentale, ma ritengono che danneggi la morale (specie nell’Africa sub-sahariana e in Asia).
Nei paesi in cui è alto il sostegno alla sharia la maggior parte degli islamici è comunque a favore della libertà per le altre religioni. Si riscontra in media una percentuale tra il 50%-60% di islamici che ritengono che la sharia debba essere applicata solo ai propri correligionari. I ricercatori spiegano l’apparente dicotomia con la tesi che vorrebbero la sharia solo per i musulmani, ma non regge, visto che nel contempo vogliono che la sharia sia legge dello Stato. Quello di libertà religiosa è un concetto nato in Occidente, che fatica a essere compreso altrove. Si pensi che già da noi, benché la legge e la giurisprudenza lo estenda ai non credenti, la Chiesa cattolica continua a interpretarlo come diritto a non subire limitazioni da parte dello Stato. In poche parole, mentre i laici ritengono che la propria libertà religiosa trovi un limite nella libertà religiosa altrui, i clericali ritengono che la propria libertà religiosa non debba mai essere limitata, mentre la libertà religiosa di tutti gli altri, pur riconosciuta, è soltanto residuale. Questo è probabilmente il concetto di “libertà religiosa” che anche la maggioranza dei musulmani fa proprio.
Dallo studio emerge un quadro complesso. Si potrebbe dire che la maggioranza dei musulmani è moderata se si fa riferimento alle opinioni prevalenti nelle società a maggioranza musulmana, ma è integralista e clericale se si fa riferimento alle opinioni prevalenti nelle società occidentali. In questi paesi è indubbio che una parte importante dell’immigrazione si secolarizzi, ma rischiano nel contempo di attecchire idee molto arretrate rispetto alle legislazioni laiche europee. In Europa tuttavia pare che, nonostante gli allarmismi, una generale integrazione sia pragmaticamente possibile. Lo afferma una ricerca presentata allo University College di Londra per la NORFACE Migration Conference sulle comunità islamiche in Gran Bretagna e Germania. Lo studio ha messo in luce come favorire impiego e fornire case spesso porti alla coesione e all’integrazione.
Il confronto tra islam e Occidente genera diversi approcci. Interessante la testimonianza di Saif Rahman, storico attivista laico che ha abbandonato l’islam e che ora si definisce “musulmano per cultura”, come sintesi per descriversi come un “agnostico laico utilitarista razionalista riduzionista umanista con influenze culturali islamiche”. Mantiene poche caratteristiche culturali e rituali dell’islam che provengono dalla sua famiglia, sebbene non sia credente, e ha partecipato per esempio al funerale religioso (janazah) del padre. Dal suo punto di vista, è un modo per non auto-segregarsi e per avviare un dialogo con gli islamici liberali.
Uno scrittore di origine pakistana, che vive in Canada, Ali A. Rizvi, non ha da parte sua problemi sull’Huffington Post a definirsi “ateo musulmano”, in quanto non crede in Dio ma segue alcune tradizioni culturali di famiglia (come il digiuno del Ramadan, o le festività islamiche). Commentando il fiorire di critiche al new atheism di Richard Dawkins, Christopher Hitchens e Sam Harris bollato come islamofobo, fa notare che al di là del negazionismo e il buonismo di taluni proprio gli stessi integralisti islamici hanno sempre ribadito la profonda matrice religiosa fondamentalista dei loro atti e del loro pensiero. E che lui stesso, in quanto ateo ateo, sarebbe stato messo in galera o giustiziato nel suo paese di origine. Per fortuna la maggior parte degli islamici è tranquilla, conosce superficialmente il Corano e prende da esso solo ciò che gli fa comodo, proprio come gli aderenti di altre religioni. Accade ovviamente che islamici, o anche appartenenti ad altre religioni, siano oggetto di aggressioni razziste da condannare. Rizvi difende l’approccio del new atheism, che contesta in maniera puntuale i contenuti oppressivi e integralisti dei testi sacri, ribadendo che non si tratta di un attacco alle persone, che hanno tutto il diritto di fare sano cherry picking e ignorare le parti più retrive del loro credo. Bisogna onestamente riconoscere che la religione può causare disastri e che criticarla non può legittimare l’etichetta di “bigotto” o “islamofobo”.
Ma anche senza andare tra chi ha abbandonato la religione, pur non rescindendo tutti i legami, si può trovare un islam progressista. Purtroppo è decisamente minoritario. (Si pensi, per fare un solo nome, a Irshad Manjii) E lo è anche perché non è aiutato, in Europa, proprio dagli esponenti progressisti, che scivolano spesso in un aprioristico giustificazionismo nei confronti di qualunque situazione coinvolga l’islam. Come ha fatto Ken Livingstone, storico esponente laburista già noto per le simpatie verso l’islam, che intervistato dalla televisione iraniana Press Tv ha dato la colpa dell’attentato di Boston organizzato da due giovani integralisti islamici alle politiche degli Usa, in particolare di George W. Bush. D’altronde la commistione tra una certa sinistra e l’islam più conservatore e comunitarista è arrivato al punto che in Gran Bretagna un partito di sinistra filo-islamico come Respect, affermatosi in roccaforti laburiste, è obbligato a fare dei distinguo. Proprio George Galloway, uno dei suoi esponenti, ha dovuto chiarire pubblicamente che Respect “non è un partito islamico”.
L’islam moderato è probabilmente maggioritario, quantomeno in Europa, ma fatica a far sentire la sua voce. Un po’ quanto accade per i “cattolici non praticanti”: che rappresentano la maggioranza, tra chi si dichiara cattolico, ma che non ha alcun potere per modificare le posizioni della Chiesa. L’islam moderato non è quello dei leader religiosi, così come il cattolicesimo moderato non è quello dei cardinali. Per i fedeli musulmani evolversi potrebbe essere in teoria più semplice, visto che non esiste un’autorità dottrinale centrale a cui far riferimento: un aspetto che li avvicina maggiormente ai protestanti. Purtroppo non si vede in vista alcun Lutero, e quelle poche voci che talvolta condannano gli attentati più gravi sono comunque intimoriti dalle minacce degli integralisti, che fanno a gara a chi la barba più lunga.
La redazione