Cento anni fa, Albert Camus

Esattamente cento anni fa, il 7 novembre 1913, nasceva a Dréan (allora Mondovi) in Algeria Albert Camus: filosofo, romanziere, drammaturgo, giornalista, nonché premio Nobel per la letteratura nel 1957 (tre anni prima della sua prematura scomparsa), con la sua multiforme opera è stato in grado di descrivere e comprendere la tragicità di una delle epoche più tumultuose della storia contemporanea, quella che va dall’ascesa dei totalitarismi al secondo dopoguerra e al concomitante inizio della guerra fredda. Non solo: le sue riflessioni filosofiche, magistralmente espresse in immagini letterarie, hanno una valenza universale e atemporale capace di oltrepassare i meri confini della contingenza storica, riuscendo a descrivere la condizione umana nel suo nucleo più essenziale.

In un tentativo di estrema sintesi del­l’opera camusiana è possibile affermare che in essa si avvicendano essenzialmente due personaggi: l’uomo e il mondo. Dietro di loro, come uno sfondo oscuro e intangibile, l’assenza di Dio. Partito dalla descrizione del fragile equilibrio mediterraneo fra i due personaggi succitati (Nozze, L’Estate), Camus rappresenta ne Lo Straniero la graduale presa di coscienza del­l’uomo nei confronti di un mondo ai suoi occhi sempre meno antropomorfico, sempre più inospitale e insensato. Vano è il tentativo di ricostituire in unità il mondo, così come descritto ne Il Mito di Sisifo: la domanda di senso del­l’uomo è destinata a rimanere irrisolta, non perché egli non abbia cercato abbastanza a fondo, bensì perché in verità non c’è nulla da cercare, essendo il mondo assoluta indifferenza e cieca irragionevolezza.

camus

L’assurdo si definisce allora come il divorzio inconciliabile tra l’uomo che domanda e il mondo che non (può) risponde(re): lo sforzo interminabile di Sisifo, il quale per punizione divina solleva un macigno destinato a ricadere in eterno, è proprio metafora di questa irrisolvibile condizione assurda. Ma agli occhi di Camus questa condizione non rappresenta un punto di arrivo, come fu per gli esistenzialisti à la Sartre, bensì soltanto di partenza: Sisifo deve divenire Prometeo, sostituendo alla eroica ma sterile lucidità del primo una lucidità diversa, volta alla trasformazione concreta della vita degli uomini, hic et nunc, al di là di qualsiasi prospettiva fideistica, teleologica o utopistica, sia essa religiosa o politica. Di fronte alla scelta tra Dio e la Storia, tra la croce e la spada, tra l’illusione della trascendenza religiosa e la miseria del materialismo storicista, L’Uomo in rivolta prospetta una terza via: il pensiero meridiano, di cui la nozione di misura è il perno fondamentale. A tal riguardo il romanzo La Peste è una perfetta rappresentazione del significato della rivolta camusiana: lotta estenuante e senza speranza contro un male metafisicamente inestirpabile, in un mondo che non risponde in alcun modo alle esigenze del­l’uomo e in cui non v’è alcuna traccia di Dio.

La posizione di Camus all’interno della storia del­l’ateismo è peculiare e controversa. Spesso, infatti, Camus rifiutò con nettezza l’etichetta di ateo: non perché segretamente credesse in Dio o fosse tentato dalla prospettiva religiosa, come qualche interprete cattolico ingenuamente lascerebbe intendere; bensì perché egli voleva chiaramente distinguersi da quella forma di ateismo allora predominante — il materialismo storico —, reo di aver divinizzato la Storia al posto di Dio. In effetti, se è vero che nessun personaggio camusiano arriva a negare direttamente l’esistenza di Dio, è altrettanto vero che ognuno di essi riconosce l’illusorietà e l’inutilità del­l’ipotesi divina. Il messaggio di Camus è a tal riguardo più che chiaro: in un mondo nel quale il male persiste e Dio inesorabilmente tace, tutta la responsabilità di ciò che accade agli uomini ricade sulle spalle degli uomini stessi, senza possibilità di appello.

Nel centenario della nascita, questo breve articolo vuole rinnovare l’invito alla lettura e alla rilettura del­l’opera di Camus, nella convinzione che essa costituisca un’imprescindibile tappa nell’evoluzione di un ateismo consapevole, vigoroso e maturo.

Giovanni Gaetani
Vincitore del premio di laurea Uaar 2013, categoria Discipline umanistiche


Errata corrige: Camus nacque a Dréan, non Algeri come erroneamente indicato in un primo momento.

31 commenti

Tiziana

In onore del fatto che ha avuto il Nobel l’anno in cui sono jnata dedicherò il fine settimana a rileggere Camus che amavo quando ero giovane.
Mi sembra, ma è una osservazione piuttosto da ignorante, che il premio Nobel per la letteratura nel corso del tempo, in particolare negli ultimi anni, premi poco la letteratura occupandosi piuttosto della nazionalità vicenda sociale e umana dello scrittore. Ma è una opinione , ripeto, superficiale e sicuramente ignorante.

Luca

…Non so; discutibili si sono spesso rivelate, a mio dire, la scelta di Nobel per la Letteratura. Quest’ultimo, invero, è diverso dai precedenti – secondo me: anziché un discorso puramente o soprattutto sociale, mi sembra si torni al senso reale del premio (anzi, addirittura si esplorino nuovi fronti: essendo un premio dato ad una eminente scrittrice di brevi racconti. Difatti, per curiosità, ho acquistato uno dei suoi – molti – libri; non conoscevo per nulla l’autrice, ne avevo sentito parlare alcune volte).

Tiziana

@Luca,
forse è vero per quest’anno. Infatti pochissimo se ne è parlato se non nel mondo che si occupa di letteratura (come forse è giusto che sia). Sono sempre stupefatta, ma ripeto la mia mancanza di capacità critica e conoscenza sul tema, che non venga assegnato il nobel per la letteratura ad amos oz e philip roth (o a paul auster)

Luca

Grazie della segnalazione,
ho letto un paio di libri di Camus, appena avrò modo “indagherò” (…) meglio il suo pensiero.

Saluti.

antoniadess

“anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice” da Il mito di Sisisfo
grande Camus! il filosofo e il letterato dell’impegno, per la libertà, contro le ingiustizie, contro l’oppressione, ma anche del disincanto, lucida ricerca di senso nel mondo assurdo

laverdure

Durante la guerra civile in Algeria,Camus non volle appoggiare nessuna delle due parti con questa motivazione:
“Avrei buoni motivi per appoggiare sia la Francia,che e’ il mio paese,sia la causa algerina ,come sostenitore dei diritti dell’uomo.
Ma entrambe le parti stanno commettendo atrocita,e appoggiare una delle due parti mi obbligherebbe a accettare tacitamente i suoi crimini e ad accusare solo la parte avversa,e questo mi e’ insopportabile”.
Secondo me questo lo eleva al di sopra di parecchi “intellettuali impegnati” sia nostrani che esteri,passati e attuali.
(Spero non lo vorrete paragonare al famoso slogan :”Ne ‘ con le brigate rosse ne’ con lo stato” di certa nostra intellighenzia,che puzzava di puro opportunismo condito di ipocrisisa lontano un miglio.)

stefano marullo

@ laverdure

Anche Sartre non volle mai prendere posizioni nette a favore dei palestinesi contro Israele o viceversa affermando che entrambi avevano buone ragioni ma non sufficienti per anteporle a quelle dell’altra parte

stefano

“i monaci sono come le scimmie, più salgono in alto e più mostrano il culo” – Albert Camus.

Florenskij

Non voglio attribuire a Camus adulto e maturo una segreta “credenza” in Dio ( a che servirebbe? ), ma quanto all’essere tentato dalla prospettiva religiosa… sta di fatto che si era laureato in Filosofia ventitreenne, nel 1936, con una tesi sul pensiero di Plotino e di san’Agostino: “Neoplatonismo e filosofia cristiana”. Con il che mi sembra sia lecito definirlo un postcristiano, nel senso che molto probabilmente nella prima giovinezza aveva preso sul serio i “massimi problemi” sul mondo e sulla vita come impostati dalla teologia speculativa della tarda antichità ( dunque non pura e semplice “fuffa” ). Me ne sento confortato un pochino nella mia ipotesi della “farfalla laica da bozzolo religioso”.
Ovviamente gli atei, non avendo dogmi, come dicono, possono differenziarsi in vari orientamenti; però è singolare l’accostamento, fatto dalla stessa redazione, fra la campagna “10 milioni di Italiani VIVONO BENE senza D.” e una recensione rispettosa e ammirata per un autore di cui si ricorda la “lotta estenuante e SENZA SPERANZA CONTRO UN MALE METAFISICAMENTE INESTIRPABILE”.
Trovo conferma alla mia idea dell’esistenza di due filoni di ateismo: quello “umanista-progressista” e quello “tragico-nichilista”, variamente miscelati e intrecciati, come in Leopardi, che invita gli uomini ad affratellarsi nella comune lotta contro la Natura maligna.

stefano

Leopardi non solo era ateo ma odiava la vita in se; “non so cosa per l’uomo sia la vita, ma per me è male” (cit. Opere Morali e corrispondenza) a causa della tisi ossea che lo tormentava, pensiero che lo avvicinava alla visione nichilista di Nietzche che “la vita senza dio sola comincia a valere la pena di essere vissuta” e di Stirner “dio è un fraintendimento pericoloso; l’uomo proietta se stesso laddove crede debbano risiedere gli dei, ovvero l’aldilà oltre la vita, senza capire che è soltanto il suo Ego malato a sentire questa condizione e non altro”, potrei andare avanti fino a domani; esiste un solo ateismo che nasce spontaneo nelle menti di chi pensa, il resto è solo trippa.

Sergio

“… esiste un solo ateismo che nasce spontaneo nelle menti di chi pensa.”

Se non sbaglio hai studiato teologia e immagino che l’hai studiata perché allora eri credente (ma forse sbaglio). Ma allora non “pensavi”, hai cominciato a pensare dopo? Ho qualche dubbio su quello “spontaneo”. Direi che uno che davvero pensa prima o dopo deve arrivarci. Purtroppo ci sono vari impedimenti, vedi il caso Florenskij.

bruno gualerzi

@ Florenskij
“Ovviamente gli atei, non avendo dogmi, COME DICONO, possono differenziarsi in vari orientamenti”

Ho sottolineato il ‘come dicono’, perché ovviamente sta a indicare che per te gli atei possono dire ciò che vogliono, ma i dogmi ci sono, e come, anche per loro. E anzi – provo ad andare oltre nel tuo pensiero – ci sono tanto più quanto più si illudono di non averne.
Ora si può disquisire più o meno dottamente sul termine ‘dogma’, sulla sua origine, sui significati che è andato assumendo nella sua storia, ciò che sicuramente tu saprai fare con le dovute citazioni… ma credo che difficilmente sia contestabile ciò che dogma in ultima analisi significa: verità rivelata. E rivelata da qualcuno o qualcosa di ‘esterno’ alla propria coscienza.
Non sarò certo io a negare che si possa vivere l’ateismo in modo dogmatico, ‘religiosamente’… ma con una differenza fondamentale: mentre il credente NON PUO’, pena il non considerarsi più tale, rinunciare al dogma, quale che sia il modo di interiorizzarlo, come pacificazione o come tormento… l’ateo PUO’ (l’ateismo lo contempla, è implicito nella dimensione in cui si muove) essere vissuto senza dogmi, senza verità rivelate… e mentre i credenti possono differenziarsi in relazione al modo con cui vivono il dogma, ma sono accomunati dall”obbligo’ che il dogma impone, e quindi in realtà l’orizzonte in cui si muovono NON PUO’ che essere ala fine lo stesso… l’ateo PUO’ – che ci riesca o meno – vivere il proprio ateismo in assoluta libertà, almeno in quella permessa dalla condizione umana. E anche qui, in modo, per così dire, ‘naturale’ oppure in modo tormentato, in seguito ad un rapporto ‘pacifico’ con la propria esistenza, o soffrendone tutte le contraddizioni.
Certamente si tratta di una schematizzazione, la psiche umana non potrà mai essere scandagliata fino in fondo, fino al punto quanto meno di essere rinchiusa, appunto, in uno schema definitivo… ma mentre il credente (chi intende realizzare la propria umanità rimettendosi ad una fede, quale che sia, non necessariamente religiosa in senso proprio) questo schema ritiene di averlo trovato… l’ateo (inteso nella sua accezione più ampia, come rigetto di ogni fideismo, di dogma inteso come verità rivelata, non importa da chi o da cosa ‘rivelata’) può muoversi in un orizzonte… certamente limitato alla, e dalla, condizione umana… ma nel quale non gli viene preclusa ‘dogmaticamente’, in quanto precostituita, preordinata, alcuna esperienza.
Quindi – parlando di orientamenti – mentre gli orientamenti ‘atei’ si possono differenziare in senso proprio, liberamente, anche schematizzabili, come tu fai, ma solo come tendenza sempre riscontrabile, non obbligatoriamente… ciò è precluso al credente. Il dogma, che il credente si deve sforzare di vivere, gli toglie la libertà che la condizione umana rende possibile, cioè l’unica libertà possibile… quella invece che la pretesa di trascenderla toglie dall’orizzonte umano.
Che poi – per quanto si diceva circa l’insondabilità della psiche umana – ci si possa sentire più liberi accettando il dogma non è certo da escludere, ma questo permette quanto meno di rovesciare (per altro a mio parere senza alcun costrutto) quanto in fondo – pur riconoscendo che non vuoi appiattirti su tale assunto – ritieni: cioè che l’ateo vero deve pur sempre la sua ‘verità’ ad una forma di fede… ma allo stesso modo si può sempre affermare che il credente ‘vero’ in fondo è un ateo!

bruno gualerzi

Precisazione.
Per ‘credenti’ intendo quanti si riconoscono in una qualche religione storica, istituzionalizzata – trascendente o immanente che sia – caratterizzata da:
principi da accettare fideisticamente (leggi: dogmi, verità rivelate da una ‘divinità’, umanizzata o umana che sia );
almeno un figura carismatica cui si riconosce il potere di conoscere e trasmettere la vera natura di questi principi, o addirittura di incarnarli (Guru, Maestri, Illuminati vari);
norme di comportamento cui adeguarsi per testimoniare una specifica appartenenza;
un clero a sua volta istituzionalizzato, ‘professionale’;
un culto specifico;
un impegno – implicito o esplicito – al proselitismo.
Quale che sia il livello della loro adesione ad una religione, il loro impegno a viverla e a testimoniarla.

Giorgio Pozzo

E’ addirittura ovvio che gli atei, come tutti a questo mondo, si rifacciano più o meno consapevolmente a dei dogmi, ma personalmente io rifiuto di considerare che esistano dei dogmi relativi all’ateismo. A meno che con il termine “ateismo” si voglia considerare la fede in una possibile dimostrazione della non esistenza di qualcosa di trascendentale.

Se consideriamo un mondo trascendente, allora questo, per definizione, non è dimostrabile e va accettato per fede pura e semplice. Anche il reciproco risulta vero per definizione: se è trascendente, nemmeno la sua non-esistenza non è dimostrabile. Ecco quindi che l’ateo, in questa accezione, sta facendo un atto di fede. Dogma è la fede nell’esistenza del trascendente, e dogma è la fede nella non esistenza del trascendente.

La posizione corretta, quindi, che evita dogmatismi, è quella agnostica: se questo “mondo” trascende il nostro, allora non possiamo dimostrare un banano di niente.

Però, però, nel momento esatto in cui iniziamo a considerare altri dogmi, che si aggiungono cumulativamente al primo, ci dovremmo accorgere che cadiamo in contraddizioni logiche. A quel punto, mentre il credente deve continuare ad essere fedele ai vari dogmi che proliferano e si combattono l’uno con l’altro, l’ateo può liberarsi del suo dogma e dimostrare formalmente che le contraddizioni logiche dimostrano la propria non esistenza.

Simultaneamente l’agnostico diventa allora, a ragion veduta (appunto), ateo.

In conclusione, Floresnskij ha ragione se ci si ferma al primo dogma primordiale e fondamentale del non meglio identificato trascendente. Ha torto se a questo si aggiungono altri dogmi che invece rendono la vita facile all’ateo.

gmd85

@Flo

Mai che si espongano i dogmi atei quando ne parlate, eh.

Lo sai che disse Eco di sant’Agostino, no? Che proprio la sua lettura ha contribuito maggiormente a farlo diventare ateo. Piantala, dai.

Florenskij

@ gmd85. Lei non si smentisce mai: la scortesia come abitudine ( ” Piantala, dai !” ). Per sua informazione, so benissimo che Eco è un ex cattolico ( anzi, da giovane, all’inizio degli anni ’50 un importante dirigente dell’Azione Cattolica ), che si è laureato sull’estetica di san Tommaso e che, pur avendo abbandonato la fede, ritengo senza nostalgie, è rimasto uno studioso del mondo culturale del Medioevo, nel suo aspetto più alto e raffinato ( filosofia teoretica e logica ). Non ho alcuna difficoltà a credere che Agostino con il suo discorso sull’umanità come “massa damnata” abbia costituito la “pietra d’inciampo”. Per cui la sua “rivelazione ” non mi fa nè caldo nè freddo.
Io volevo dire che Camus iniziò a meditare sui problemi “abissali” della esistenza umana e del mondo all’interno dei quadri forniti dalla metafisica tardo antica che volgeva allo spiritualismo pagano e cristiano: qualcosa di più serio dei Babbo Natale e dello Spaghetto Volante. Non era più credente dell’Ivan Karamazov di Dostoijewskij, il quale negava Dio in considerazione della sofferenza degfli innocenti. Dire che la farfalla laica si sia formata all’interno del bozzolo religioso non esclude affatto che poi sia volata lontano, lontanissimo, e che escluda qualsiasi ritorno.
Comunque a lei e agli altri ripropongo il quesito: posto che sia un atteggiamento profondamente umano porsi le domande “abissali”, magari anche arrivando all’agnosticismo o all’ateismo, il posterone con la x su Dio invita a un atteggiamento meditativo oppure presenta uno slogan con qualche caratteristica di superficialità?
Sa com’è, parecchi insegnanti lamentano il fatto che gli studenti di oggi, posti di fronte ai problemi filosofici, si annoiano e sbadigliano.

Diocleziano

”… invita a un atteggiamento meditativo oppure presenta uno slogan con qualche caratteristica di superficialità?…”

Flo, quale profondità trovi nel pensiero di Sua Banalità quando invita i boccaloni della piazza a dire una preghiera o a rispondere a domande stupide e prevedibili? È sempre marketing. Ma con molta ipocrisia. Direi anche con molto cinismo demagogico; esiste una parola che indichi disprezzo per la semplicità e la fiducia della gente semplice?

Giovanni Gaetani

Senza voler aprire in questa sede inappropriata una polemica che peraltro ho molto a cuore, chiederei a chi, come Florenskij, volesse sostenere una tesi simile di argomentare meglio la loro posizione, con un rimando serio ai testi e, sopratutto, alla biografia di Camus. La tesi su “Metafisica cristiana e neoplatonismo” non è affatto un testo confessionale e apologetico, tutt’altro: ivi si discute come il cristianesimo delle origini abbia distorto il pensiero greco, come l’idea cristiana di reincarnazione fosse impensabile per i greci, etc., il tutto da una prospettiva filosofica laica e profondamente scettica. L’invito alla lettura e rilettura di Camus sopra formulato sta tutto qui: diamoci da fare, leggiamo non solo i testi maggiori, ma anche i suoi inediti, i suoi taccuini, la sua biografia. Solo così potremo realmente capire la portata del suo messaggio, solo così potremo restare fedeli ad esso, senza distorsioni e pregiudizi.

Sergio

“… diamoci da fare, leggiamo non solo i testi maggiori, ma anche i suoi inediti, i suoi taccuini, la sua biografia.”

Pur con tutta la simpatia per Camus non ho la minima voglia di leggere tutte queste cose, la vita è troppo breve ed è davvero un peccato passarla solo sui libri. Ci sono chissà quanti autori meritevoli di essere letti e conosciuti, ma è materialmente impossibile conoscere bene e a fondo anche solo i più illustri di questi autori. E poi non so nemmeno se leggere tutti gli scarabocchi dei grandi autori – perché anche i più grandi di sciocchezze ne hanno dette e fatte (prendi per es. Tolstoi) – aiuti a capirli meglio, a capire meglio noi stessi. La stragrande maggioranza degli Italiani, quasi tutti probabilmente, non ha letto né La peste né Lo straniero, ma per questo non sono da disprezzare. Io ho un buon “ricordo” di questi libri, ma non è che li ritenga essenziali per una “buona vita”. Preferisco la compagnia di Cechov, di Tolstoi e altri. Camus non mi ha “segnato” (e nemmeno Sartre). E de gustibus ecc.

stefano

in risposta al commento sopra, non ho mai studiato teologia e per quanto mi ricordo non ho mai creduto in dio 🙂
penso davvero che l’ateismo nasca spontaneo nelle menti razionali, come l’agnosticismo.

Giovanni Gaetani

Come sempre le discussioni su internet prendono le pieghe più inaspettate e si prestano ai più grandi fraintendimenti. Preciso la mia posizione: sono uno studioso di Camus e parlo da un punto di vista accademico. Ho suggerito di leggere a fondo l’opera di Camus, compresi quelli che lei chiama in modo infelice “scarabocchi”, solo ed esclusivamente in quest’ottica: non ho in alcun modo auspicato che lei e “la stragrande maggioranza degli italiani” leggiate Camus — e tanto meno ho detto di disprezzarvi perché non lo fate! In questo modo lei mi attribuisce arbitrariamente dei pensieri non miei. Molto più semplicemente ho risposto a Florenskij, il quale nel suo intervento proponeva un’interpretazione di Camus errata da un punto di vista filologico. Il mio compito in quanto studioso di Camus è appunto di mantenere la discussione sulla sua opera quanto più oggettiva possibile, attraverso un assiduo riferimento ai testi, così come gli studiosi nietzschiani fecero con Nietzsche negli anni 60′: è solo grazie al loro meticoloso lavoro di lettura e rilettura delle opere e degli “scarabocchi” nietzschiani che oggi non consideriamo più Nietzsche il padre ideologico del nazionalsocialismo. Una lettura distorta di un autore oggi diverrà domani facilmente un luogo comune su di esso: la ragione principale del mio intervento è stata appunto di evitare che un simile luogo comune su Camus “farfalla laica da bozzolo religioso” prenda piede e si consolidi. Tutto qui. Spero di aver chiarito felicemente la mia posizione.

Florenskij

@ Giovanni Gaetani. Non ho affermato che la tesi di laurea di Camus è un testo confessionale o apologetico, ma solo che costituisce la testimonianza della sua “presa in considerazione” di certi quadri teoretici, da persona seria e impegnata quale ritengo che fosse.

Giovanni Gaetani

Come sempre le discussioni su internet prendono le pieghe più inaspettate e si prestano ai più grandi fraintendimenti. Preciso la mia posizione: sono uno studioso di Camus e parlo da un punto di vista accademico. Ho suggerito di leggere a fondo l’opera di Camus, compresi quelli che lei chiama in modo infelice “scarabocchi”, solo ed esclusivamente in quest’ottica: non ho in alcun modo auspicato che lei e “la stragrande maggioranza degli italiani” leggiate Camus — e tanto meno ho detto di disprezzarvi perché non lo fate! In questo modo lei mi attribuisce arbitrariamente dei pensieri non miei. Molto più semplicemente ho risposto a Florenskij, il quale nel suo intervento proponeva un’interpretazione di Camus errata da un punto di vista filologico. Il mio compito in quanto studioso di Camus è appunto di mantenere la discussione sulla sua opera quanto più oggettiva possibile, attraverso un assiduo riferimento ai testi, così come gli studiosi nietzschiani fecero con Nietzsche negli anni 60′: è solo grazie al loro meticoloso lavoro di lettura e rilettura delle opere e degli “scarabocchi” nietzschiani che oggi non consideriamo più Nietzsche il padre ideologico del nazionalsocialismo. Una lettura distorta di un autore oggi diverrà domani facilmente un luogo comune su di esso: la ragione principale del mio intervento è stata appunto di evitare che un simile luogo comune su Camus “farfalla laica da bozzolo religioso” prenda piede e si consolidi. Tutto qui. Spero di aver chiarito felicemente la mia posizione.

Sergio

Che anche i grandi, anzi i massimi abbiano detto e scritto e fatto delle cazzate è assodato. Prendo di nuovo Tolstoi: è un genio (si dice), va bene, ma ha anche scritto La sonata a Kreutzer e, come se non bastasse, ha poi aggiunto una postfazione … da brivido. Per non parlare poi del suo rapporto con la moglie ecc. Umanamente, un mostro. Che fare? Buttiamo Guerra e Pace e Anna Karenina? Ovviamente no. Ma che facciamo delle tremila pagine di diari? Ci mettiamo a leggere anche quelli? Invitiamo la popolazione a leggerli per “approfondire” la conoscenza di Tolstoi? Insomma, se uno ha tempo e voglia perché no, legga anche i diari. Ma ripeto, non possiamo metterci a leggere anche la lista della spesa dei cosiddetti grandi. Lei è studioso di Camus, bene, capisco che anche la lista della spesa di Camus il giorno tale possa risultare per lo meno interessante, anzi perché no rivelatrice. Ma non credo lo sia per il resto della popolazione. I libri sono il suo e anche un po’ il mio pane, ma non esageriamo con gli “approfondimenti”. Non escluderei che Camus abbia detto, almeno ogni tanto, qualcosa di ovvio, delle banalità. O è un’offesa a Camus?
Ripeto: quasi tutti gli Italiani non hanno letto nemmeno La peste e Lo straniero, ma io un po’ li capisco (non si può leggere tutto, no?).

Senjin

Sergio la stragrande maggioranza degli italiani semplicemente non legge affatto, purtroppo.
La carenze di letture, sopratutto di letture di qualità, incide molto pesantemente sulla capacità di esprimersi e anche di pensare.
Al lavoro colleghi con fior di diplomi e lauree vengono a chiedere a me, un dislessico, come formulare email e lettere ai clienti ogni qualvolta serva un linguaggio anche solo minimamente formale.
Non dico di leggersi ogni singola pagina scritta da ogni “autorone” del pianeta, materialmente impossibile, ma trovo tragico che la maggioranza dei miei cittadini non abbiano nemmeno idea di chi siano Tolstoi, Camus, Pirandello, Milton e via dicendo.
La carenza di letture qualità si sente pesantemente anche nell’apprendimento delle lingue straniere. Ai ragazzi vengono propinati insulsi libri in stille “John e Jill tornano da scuola” andrebbero proposti testi decisamente più avvincenti e con un lessico che sia più ricco di “the pen is on the table” o “the cat is on the sofa”.
Se vuoi un esperienza divertente, rilassante e che fornisca anche un bell’arricchimento lessicale consiglio la lettura in lingua originale di Lovecraft, Herbert e Stocker.

Giovanni Gaetani

Visto che lei continua ad attribuirmi cose che non ho detto chiuderei gentilmente qui la discussione, sottolineando che:

1) non ho mai invitato l’intera popolazione italiana a leggere questa o quest’altra opera di Camus, come lei sostiene avrei detto;
2) non mi interessa che la popolazione italiana lo faccia;
3) non biasimo una persona perché non ha letto La Peste o Lo Straniero, pensiero che lei implicitamente mi ha attribuito nel primo e nel secondo intervento.

Mi riporti gentilmente i passi del mio intervento in cui io avrei detto una di queste cose e le chiederò scusa.

Sergio

@ Giovanni Gaetani

Effettivamente lei – ma qui ci diamo del tu, siamo alla buona – non ha detto le cose che elenca ai punti 1,2,3. Non volevo polemizzare, non ho insinuato le cose che dice, mi sono solo permesso di fare qualche osservazione, forse un po’ cattiva o non molto cordiale. Alla sua proposta di leggere “anche” le opere minori di Camus, i suoi appunti e magari qualche biografia, ho sbottato: no grazie, non ne possiamo più di libri. Ormai i libri e gli autori sono troppi. Io i contemporanei non li conosco e non m’interessano nemmeno, sono fermo a Calvino, Sciascia, Bassani, Ginzburg, Moravia, Morante ecc. Ho provato a leggere “il più grande autore contemporaneo” (Jan McEwan, a dire di Gillo Dorfles che peraltro stimo) ma ho letto due schifezze, anzi tre, basta. Poi ho provato con Massimiliano Parente, peggio che andar di notte.
Troppi autori, troppi libri, troppi per la nostra breve vita: questo era il succo del mio discorso, quello che volevo dire.

Trovo però strano che lei, come studioso di Camus, non sia interessato alla diffusione delle sue opere (“non m’interessa che …”).

Su con la vita. Una chicca: “Il guado della vita è l’allegria.” (João Guimarães Rosa).
Cordialmente

P.S. Milan Kundera sosteneva che di un autore ciò che conta è l’opera, l’opera soltanto, non i diari, le biografie, i pettegolezzi. Non sono completamente d’accordo, ma lo stesso un’opinione interessante.

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