Sabato 2 novembre, nell’ambito del X congresso nazionale, si è svolta la premiazione dei vincitori del Premio di laurea Uaar 2013.
Sono state premiate le tesi:
- dr.ssa Lisa Benzoni. Crescere liberi pensatori. Un’esperienza di educazione e genitorialità non confessionale (categoria altre discipline)
Motivazione: La giuria ritiene questo lavoro un contributo utile al rafforzamento della cultura laica. L’elaborato, ponendo grande attenzione ai bisogni cognitivi, emotivi e culturali dei bambini, analizza un progetto di educazione e genitorialità non confessionale in modo competente e cerca di dare risposte concrete ai quesiti che ogni genitore o educatore non credente si pone riguardo al proprio orientamento educativo. Pur avendo il limite di approfondire poco il tema della “esportabilità” nella realtà italiana dell’esperienza descritta, il lavoro risulta interessante, ben scritto e dunque chiaro nell’esposizione e di piacevole lettura, offre informazioni utili ed è assolutamente centrato sulle tematiche della laicità che sono oggetto d’interesse dell’UAAR.
- dr. Giovanni Gaetani. Nichilismo e responsabilità ai tempi della morte di Dio in Nietzsche e Camus (categoria discipline umanistiche)
Motivazione: L’autore, partito da una conoscenza già accuratissima di Albert Camus, ha mostrato di saper allargare i suoi interessi, utilizzando un metodo che gli ha permesso di confrontare le idee di due pensatori d’importanza fondamentale. Il risultato è un lavoro di prim’ordine, pensato e scritto con un taglio accademico. L’elaborato vincitore costituisce un ottimo esempio di cosa dovrebbe essere una tesi di laurea: non solo sfoggio di preparazione e capacità, ma anche il coraggio di esplorare percorsi di ricerca ancora inesplorati.
- dr. Luigi Pati. Attività degli enti locali ed esercizio del diritto a celebrare il culto. I finanziamenti dei Comuni (categoria discipline giuridiche)
Motivazione: Il lavoro, pur affrontando un tema col quale è grosso il rischio di cedere al didascalico, offre una panoramica ampia ed esauriente dell’argomento così come è normato e così come si presenta nella realtà italiana. Non manca una completa ricostruzione storica dei mutamenti socio-legislativi nonché una particolare attenzione al livello regionale e comunale, anche attraverso una ricerca specifica su Bologna e dieci comuni limitrofi in tema di accesso al finanziamento. La parte propositiva, attraverso il riadattamento dell’istituto delle fabbricerie, denota un approccio originale al tema.
Le tesi vincitrici sono pubblicate integralmente sul sito.
La redazione
Ho avuto modo di leggere la tesi di Giovanni Gaetani e l’ho molto apprezzata, anche per affinità tematiche. Ciò nonostante quel richiamo della motivazione al ‘taglio accademico’ che personalmente (sarebbe una lunga storia) ho sempre considerato più un limite che un pregio… ma che nel caso in questione mi sembra brillantemente superato.
A quando premi a tesi di lauree ingegneristiche, tipo “Come ti sgamo il volto di Padre Pio sul muro tramite alberi di classificatori,trasformate scala invarianti e pattern recognition.”?
Peccato che di fatto le tesi in materie scientifiche siano escluse, per una semplice questione di argomenti. Forse si potrebbe creare un premio a parte per le materie scientifiche che verta più che sull’argomento sul fatto che il giovane laureato meritevole è ateo, in un ottica di promozione culturale delle menti “atee”.
Magari hanno paura di ricevere l’asino d’oro per testi di divulgazione scientifica, come qualcuno di vostra conoscenza.
I tuo commenti in fila basterebbero a fartelo vincere. Complimenti, poi ti lagni…
Da cultore delle materie scientifiche (sono un biologo) ritengo giusta la scelta dell’UAAR di non inserirle in questa premiazione. Qualsiasi lavoro scientifico si attiene a quelli che sono i dati empirici raccolti sul campo per verificare delle ipotesi. In questo senso, qualsiasi lavoro scientifico è anti-fideista per definizione (non mancano sgradevoli esempi di fideismo verso una teoria scientifica ma questo è un altro discorso). Le ipotesi bisogna dimostrarle e, anche quando si crede di averle dimostrate, essere pronti a ritornare sui propri passi se viene dimostrato il contrario.
Per faber.
Discorso giustissimo, se non nella pretesa che una seria analisi scientifica sia in opposizione con la fede, non certo con il fideismo. A riprova il grande numero di scienziati credenti di cui é costellata la storia di ieri e di oggi, molti preti compresi. I pregiudizi ideologici, dall’una e dall’altra parte, sono da evitare.
Dipende quale fede, perchè di fedi ce ne sono milioni…
E ho i miei dubbi che oggi ci sia un “grande numero di scienziati credenti” nella fede cattolica romana in tutti i suoi aspetti…
@peppino
Il fatto è che fede e fideismo sono spesso coincidenti. Dire che uno scienziato è credente è generico. Tra l’altro, dubito seriamente che gli scienziati credenti abbiano mai avuto a che fare seriamente con argomenti che mettono in crisi la loro fede. Alla peggio, riconducono tutto a Dio. Si chiama giocare facile.
@ giuseppe
“A riprova il grande numero di scienziati credenti di cui é costellata la storia di ieri e di oggi, molti preti compresi”
Il fatto che ci siano scienziati credenti – ovvia constatazione – non prova come tale un bel nulla in termini di rapporto tra scienza (intesa come conoscenza ricavata da procedimenti razionali) e fede, in sostanza tra fede e ragione. La pratica scientifica come tale richiede un uso strumentale della ragione dalla quale, ovviamente, non può prescindere nessuno scienziato serio, credente o non credente che sia. Il problema vero consiste nel valore che viene poi attribuito ad una conoscenza così ottenuta, all’uso che se ne deve fare… ciò che si riflette sul procedimento stesso. Per lo scienziato credente in realtà il procedimento scientifico è un procedimento deduttivo, ricavato da una conoscenza superiore dovuta alla fede, per cui le verità scientifiche non possono che essere subordinate alle verità di fede… e quando c’è contraddizione sono le verità di fede, assolute, come tali le sole veramente ‘scientifiche’. Per lo scienziato non credente invece le ‘verità scientifiche’ non sono mai verità assolute, definitive, se non come risultato di un procedimento rigorosamente sperimentale nel senso più ampio del termine, ma da conquistare progressivamente con procedimento rigorosamente induttivo, e fino a prova contraria, quindi relative. In generale per il credente c’è un fine implicito nella realtà fenomenica, nella cosiddetta natura, che consiste in un ordine che ha la sua vera causa in un creatore; per il non credente, non c’è nessune fine nei fenomeni naturali, nessun ordine precostituito, ma solo ciò che il procedimento scientifico consente di conoscere e continuamente da verificare. E’ qui che scatta l’incompatibilità, cioè concretamente, come dicevo, sull’uso in ultima analisi che si deve fare delle conoscenze scientifiche. Sul loro vero valore conoscitivo.
Questa è la questione da prendere in considerazione, non il numero degli scienziati credenti o non credenti.
Contrariamente anche a quanto tanti amici atei ritengono, non credo che di per sé la pratica scientifica, in quanto basata su procedimenti necessariamente razionali, apra la mente.
@ Gualerzi
Ben detto caro Bruno. Il fatto che ci siano scienziati credenti non è più probante di una ballerina che sia anche esperta di culinaria. A meno di ammettere che non si potrà essere grandi ballerine se non si hanno conoscenze di cucina.
Fino a poco fa si era in pratica, anche con metodi pesantemente coercitivi, obbligati ad essere credenti.
Quindi non sappiamo quanti fossero credenti e quanto lo fossero veramente.
Per esempio Galileo ha rischiato la vita per aver voluto separare la religione dall’interpretazione della natura e lo stesso Copernico, spacciato come prete dalla propaganda cattolica, non era un prete, ma solo un canonico interessato alla rendita per poter finanziare i suoi studi che vennero pubblicati solo alla sua morte per il suo terrore di persecuzioni per quanto riportava. Tra l’altro lui intrattenne rapporti amichevoli coi protestanti e il curatore del suo libro fu proprio un protestante, quindi non conosciamo le sue idee sulle religioni perchè mai si espresse a riguardo dato che non ne era interessato.
Anche di altri preti non sappiamo se fossero opportunisti perchè la possibilità di studiare e di mantenersi agli studi era concessa ad una ristretta elite di clericali ed aristocratici, con la stragrande maggioranza della popolazione che moriva di fame.
Ancora oggi non c’è una vera libertà di scelta dato il forte condizionamento e potere che le religioni detengono quindi non possiamo sapere se quegli scienziati presunti credenti lo siano per semplice conformismo o opportunismo.
Se applicassimo la stessa logica di categorizzazione come credenti degli scienziati del passato dovremmo anche concludere che la maggior parte degli scienziati era aristocratica, ricca o clericale, che erano degli anti-democratici, dei monarchici, ecc, cioè applicheremmo delle categorizzazioni senza senso.
@ Bruno Gualerzi
@ Stefano Marullo
“I credenti in superstizioni, scaramanzie, oroscopi & religioni sono:
il 99 % degli analfabeti
il 94 % dei V elementare
il 90 % dei III media
il 74 % dei diplomati
il 45 % dei laureati in materie scientifiche
il 31 % degli scienziati ad alto livello
lo 0 % dei premi Nobel italiani viventi”
Dalla trasmissione “White Rabbit” by Bruno Moretti Turri, Radio Varese, 1978″
Da: http://setiitalia.altervista.org/aforismi4.html
(Scusate, è l’ennesima volta che la cito… Prima o poi troverò una statistica più recente di questa, che è del 1978…)
@ Federix
Ma queste statistiche – indipendentemente dalla loro attendibilità, dandole per buone – cosa dovrebbero dimostrare? Che il grado di istruzione è inversamente proporzionale alle varie forme di fideismo? Si tratta di intenderci sul termine fideismo: la sua funzione alienante esiste del tutto indipendentemente dal livello culturale nel momento in cui il non riconoscersi in una qualche religione positiva, il non dare alcun valore alle varie forme di superstizione più smaccata (oroscopi, scaramanzie ecc.), non implica di per sé l’impermeabilità ad altre forme di alienazione. Per esempio di natura ideologica. Quanti scienziati, anche geniali, premi nobel compresi, hanno poi fatto scelte ideologiche che di razionale avevano ben poco? Compresi certamente anche i molti scienziati credenti, che piaccia o no, ci sono e come!
Per ciò che riguarda il ruolo della scienza, ne ho parlato diffusamente negli altri interventi.
Specifico. Ho parlato di scienza e di scienziati perchè è soprattutto su questo che si sta dibattendo… ma ciò che sostengo vale allo stesso modo per filosofi, artisti, letterati e intellettualità varia. Che – a scanso di equivoci – non sono certo da considerare alienati in quanto tali, ci mancherebbe! ma non necessariamente, sempre in quanto tali, automaticamente vaccinato contro i fideismi.
@ RobertoV
“Se applicassimo la stessa logica di categorizzazione come credenti degli scienziati del passato dovremmo anche concludere che la maggior parte degli scienziati era aristocratica, ricca o clericale, che erano degli anti-democratici, dei monarchici, ecc, cioè applicheremmo delle categorizzazioni senza senso.”
D’accordo… ma categorizzazioni senza senso esistono anche nel momento in cui – come ho cercato di argomentare – si categorizzano gli scienziati come esenti da fughe fideistiche in quanto tali.
Gualerzi
D’accordo sulla categorizzazione, infatti si possono costruire tante categorie senza senso ed in base all’opportunità, soprattutto a livello storico. Comunque non è la categoria che fa il grande studioso o scienziato categorie che non entrano nel merito per esempio di che tipo di credente uno sia.
Sicuramente anche scienziati e studiosi possono essera attratti da derive fideistiche, ma da un punto di vista probabilistico è più facile che un analfabeta sia attratto da visioni fideistiche rispetto ad una persona altamente istruita, soprattutto in campo scientifico-tecnico (faccio fatica a vedere tanti scienziati credenti col culto di Padre Pio).
@ RobertoV
Come già sostenevo, è ovvio che la persona colta difficilmente darà credito alle versioni più smaccatamente superstiziose implicite nelle varie credenze religiose, oltre che alle religioni come tali…
ma già qui, la presenza inequivocabile di tanti scienziati, o genericamente di uomini di cultura, credenti e praticanti, inficerebbe la tesi che sostieni. Per esempio, riferendomi all’attualità, mi viene in mente Vendola, indubbiamente persona colta e con ottime frecce dialettiche nel suo arco utili per la politica, il quale si professa credente e devoto di padre Pio…
ma ora mi interessa soprattutto il ruolo dello scienziato, del suo rapporto con il fideismo. Lascio perdere il fideismo che molti manifestano ‘divinizzando’ la scienza, e riprendo il tema della alienazione ideologica. A questo proposito cito sempre il padre della missilistica, il geniale Von Braun, il quale era un nazista convinto, iscritto al partito, inteso a sfruttare le sue conoscenze per potenziare il regime… e che solo una scelta strategicamente ‘sbagliata’ – del potere politico ma da lui evidentemente condivisa – ha impedito di costruire quella bomba atomica per la quale c’erano tutte le conoscenze e tutti i mezzi, e che avrebbe dato ben altra svolta alla IIGM. Ma questo potrebbe essere considerato un caso limite, l’eccezione che conferma la regola… se non fosse che poi scienziati organici a regimi totalitari non avessero a loro volta reso possibile – naturalmente disponendo delle conoscenze necessarie, cioè di alto livello – la costruzione di armi nucleari. Forse costretti, forse, anzi senz’altro, usufruendo anche di apporti esterni sia teorici che tecnici… non potevano però non conoscere l’uso che si sarebbe potuto fare – e si potrebbe sempre fare – del risultato delle loro competenze, e qualche scelta alternativa, senza bisogno di diventare eroi (ma qualcuno può averci provato e avere pagato di conseguenza), la potevano fare… e in ogni caso faccio fatica a considerarli campioni di razionalità. Quella relativa ai problemi etici, non quella necessaria per la pratica scientifica.
@ Tutti
Ma che glielo spiegate a fa’, tanto questo qui (Giuseppe + altri) non ha capito e non capirà mai.
@ Bruno Gualerzi
“Ma queste statistiche – indipendentemente dalla loro attendibilità, dandole per buone – cosa dovrebbero dimostrare? Che il grado di istruzione è inversamente proporzionale alle varie forme di fideismo? (ecc.)”
Significano semplicemte che più uno ne sa di cose scientifiche, meno è probabile che creda in cose irrazionali tipo “superstizioni, scaramanzie, oroscopi”. In altre parole: la conoscenza scientifica dà una specie di immunità (che beninteso non è mai del 100%, come succede con le vaccinazioni) contro le irrazionalità.
N.B.: non credo sia un caso il fatto che nella statistica di Bruno Moretti Turri si parli di “scienza” per caso: poichè se al posto di “scienziati” mettiamo “letterati” o “magistrati”, immagino che le % cambino (sfortunatamente non ho statistiche al riguardo), poichè aumenterebbero le % dei credenti nelle varie irrazionalità.
Siamo fatti a cassetti: uno può avere un’abilità grandiosa nel suo ambito, ma può essere ingenuo in antri ambiti (es.: Maradona è passato alla storia come un genio del pallone, ma anche come uno che si è lasciato influenzare da chi ha approfittato di lui e ne ha fatto un tossicodipendente, ovvero Maradona non era altrettanto geniale nel badare a sè stesso).
Così i diversi tipi di laurea (o, in generale, di attività) “tutelano” meglio o peggio nei confronti delle irrazionalità summenzionate.
@ Frederix
Ma che tu sia d’accordo o meno (ovviamente non lo sei) io ho contestato quel sondaggio, non perché non sia veritiero (questo non lo so, ma lo accetto), ma perché considera senz’altro pensatori più liberi, meno alienati (questo dopo tutto è in ballo) chi possiede una istruzione medio alta, con gli scienziati in testa. Non lo credo affatto perché quanto determina questa classificazione è il presupposto che il non dare valore a scaramanzie, oroscopi, religioni e superstizioni varie… che ovviamente, come scrivevo in altro intervento, è più riscontrabile nelle persone colte… sia sufficiente di per sè per considerarli vaccinati nei confronti di altre forme di fideismo, soprattutto ideologico, non meno alienanti, non meno irrazionali. Anzi, più pericolose proprio perché si tratta di persone colte in genere con una responsabilità, direttamente o indirettamente, pedagogica. E ho portato vari esempi, di varia natura, con vari riferimenti… se si vuole tenerne conto… per confortare questa mia convinzione. E in questo senso, cioè nel senso di prendere posizioni fideistiche, non ho fatto alcuna distinzione tra scienziati, filosofi, artisti, intellettuali vari: sono tutti (ovviamente ‘possono’ essere tutti) passibili di questa deriva irrazionale nonostante la loro cultura. E, ripeto, di esempi… che riguardano soprattutto gli scienziati perché a questi principalmente si faceva riferimento, ma non solo… ne ho portati tanti: mi si dica se sono esempi probanti oppure no, e mi si motivi perché si ritenga che non lo siano.
@ bruno gualerzi
Ok, accetto i tuoi esempi probanti di scienziati credenti, ma ti pongo la questione: quanti scienziati saranno non credenti?
E all’altro capo della scala di %: come sono messi al riguardo coloro che hanno un basso grado di istruzione?
Mi dici “io ho contestato quel sondaggio, (…) perché considera senz’altro pensatori più liberi, meno alienati (…) chi possiede una istruzione medio alta, con gli scienziati in testa. Non lo credo affatto “.
Ma allora, secondo te come vanno interpretate quelle percentuali? O secondo te non significano niente?
@ Frederix
“Mi dici “io ho contestato quel sondaggio, (…) perché considera senz’altro pensatori più liberi, meno alienati (…) chi possiede una istruzione medio alta, con gli scienziati in testa. Non lo credo affatto “.
Ma allora, secondo te come vanno interpretate quelle percentuali? O secondo te non significano niente?”
Significano – ovviamente parere personale – un’identificazione dell’alienazione fideistica solo riferita a certe credenze… che sicuramente una persona colta sa valutare per quello che sono, cioè forme di superstizione… ma non mettono nel conto altre forme di alienazione che come tali possono coinvolgere anche persone con una certa istruzione e una certa cultura… per esempio quella costituita dalla adesione a certe ideologie vissute, appunto, fideisticamente; con le conseguenze che ho cercato di esemplificare. Da qui la mia ‘contestazione’.
Che quindi – ci tengo a ribadirlo – non riguarda solo l’alienazione esplicitamente religiosa, ma soprattutto quella ideologica quando l’ideologia di fatto diventa (‘può’ diventare, ovviamente) un surrogato della religione.
Gualerzi
Non mi risulta che Wernher von Braun fosse un nazista convinto, ma uno che ha lavorato prima per la Repubblica di Weimar, poi per i nazisti come poi ha lavorato per gli americani per inseguire i suoi interessi, cioè di sviluppare la missilista e l’astronautica. Cioè ha lavorato per chi gli permetteva di sviluppare le conoscenze tecniche necessarie. Purtroppo queste tecnologie sono costose e, quindi, non si possono fare chiusi in un laboratorio o sui libri. Molti scienziati se mai sono opportunisti, come per l’esempio di Copernico che avevo fatto, il che non dice niente su quali siano le loro idee. Inoltre in una dittatura è un po’ difficile aspettarsi che le persone scelgano liberamente di lavorare per la dittatura, altrimenti dovremmo considerare tutti gli scienziati russi dei comunisti e prima dei zaristi, o tutti gli italiani dei fascisti prima del 1945, per questo criticavo la categorizzazione come credenti in un’epoca in cui non esisteva libertà di scelta. Idem per le situazioni di guerra come si vede bene col caso della costruzione della bomba atomica.
Inoltre non possiamo considerare tutti i fideismi allo stesso livello.
Ma comunque le analisi si fanno sui grandi numeri a livello statistico, non sui casi singoli che possono sembrare sempre tanti. Si possono criticare i numeri e le categorizzazioni di Federix, ma la tendenza è quella. Col crescere dell’istruzione diventa più difficile credere in certe cose, cioè si trovano statisticamente più persone non credenti o diversamente credenti (il che implica che comunque continuerà a trovarne, anche perchè l’istruzione e la conoscenza non sono le uniche variabili che influiscono su una problematica complessa). Avevo visto in un’indagine di quest’anno che tra i cattolici austriaci solo la metà crede nella resurrezione di Cristo e nella vita oltre la morte, solo poco più della metà nell’esistenza dell’anima: evidentemente anche per gli stessi credenti diventa sempre più difficile credere a dei capisaldi delle loro religioni, cioè tendono a diventare più scettici. Se il numero di cose in cui credono si riduce, comunque c’è stata una riduzione del fideismo. se dovessimo applicare il concetto di fideismo o non fideismo perfetto, probabilmente poche persone corrisponderebbero a queste categorizzazioni.
@ bruno gualerzi
Nota che – come avevo scritto nel post delle % – la statistica non è mia, ma è una citazione da una pagina web di Bruno Moretti Turri, che non è uno sconosciuto per l’UAAR.
Ma a parte questo, considero valida la risposta di RobertoV:
“Si possono criticare i numeri e le categorizzazioni di Federix [che come detto non sono farina del mio sacco, n.d.F.], ma la tendenza è quella. Col crescere dell’istruzione [soprattutto quella scientifica, e non certo l’istruzione che viene impartita ad una scuola per cuochi o per infermieri o per pranoterapeuti, aggiungo io Federix] diventa più difficile credere in certe cose, cioè si trovano statisticamente più persone non credenti o diversamente credenti (il che implica che comunque continuerà a trovarne, anche perchè l’istruzione e la conoscenza non sono le uniche variabili che influiscono su una problematica complessa). (ecc., ecc.).
Per informazioni molto interessanti (e contenente statistiche eseguite su campioni di popolazione che più macroscopici di così è difficile, trattandosi di dati dell’ISTAT sulla popolazione italiana) sulle correlazioni tra cultura e fede e diverse alte cose, mi sento di proporti il libro “Geografia dell’Italia cattolica”, di Roberto Cartocci:
http://www.mulino.it/edizioni/volumi/scheda_volume.php?vista=scheda&ISBNART=15060
@ Roberto V
@ Frederix
E’ chiaro a questo punto (ma forse era chiaro anche prima) che difficilmente ci intenderemo. Sono un simpatizzante e sostenitore di UAAR, non socio, e da quando l’ateismo è diventato per me un impegno costante cui dedicare i miei giorni di pensionato (ero diventato ateo da tempo, ma ero un ateo ‘indifferente’) ho cominciato a riflettervi seriamente, arrivando alla conclusione che (come per tanti altri temi ‘filosofici’ cui mi sono dedicato), per farlo veramente mio, dovevo ‘rivisitarlo’. Tutto ciò è confluito in un sito ‘chiuso’ (elaborato da amici: io ero, e in gran parte sono ancora, un imbranato in materia) sotto il titolo ‘ateismo da ripensare’ (v.). In breve, che tesi di fondo vi sostengo, riproposta in tante occasioni sul blog? Che ‘ateo’ può essere preso come simbolo di tutto ciò che porta l’uomo ad alienarsi, cioè a ‘vendere’ la propria umanità identificando un ‘altro da sè’ su cui proiettare le proprie aspettative, ritenendolo in grado di dare le indicazioni per risolvere, in tutto o in parte, i problemi posti dalla condizione umana. Con forme spesso di fanatismo vero e proprio.
La forma più completa di alienazione ovviamente si trova nelle religioni, nel riferimento ad una qualche divinità (ecco perché ‘ateo’), ma della stessa natura, con lo stesso impatto psicologico, è – a mio parare – l’alienazione costituita dal rimettersi a qualcosa o qualcuno che di fatto è un surrogato della divinità. In genere questo surrogato viene identificato nella cosiddetta figura carismatica (un capo religioso, ovviamente, ma anche un leader politico o personaggio in ogni caso che si segue non tanto per le idee che professa, ma per la fascinazione che esercita la sua figura, quale che sia la sua reale dimensione. Si pensi, ad esempio, al panorama politico attuale)… oppure, su un piano più complesso, funziona da surrogato una fede a-critica in una ideologia che porta a vivere i suoi principi e le sue proposte nello stesso modo in cui si vivono le dottrine religiose.
Ecco perchè, soprattutto sotto questo secondo aspetto, ritengo che sia proprio l’uomo colto… pur refrattario alle forme più smaccate di superstizione… il più alienabile. Per non parlare ovviamente dell’alienazione religiosa la quale però, sia pure in misura diversa, riguarda tanto l’uomo colto quanto il semplice fedele. In diminuzione gli uni e gli altri? Forse, ma – altro mio tormentone a più riprese proposto nel blog – se dalla disaffezione nei confronti delle religioni tradizionali (anche qui per altro molto dipende dalle circostanze, per esempio dalle reazioni di fronte alla crisi), si passa ad altre forme di alienazione, riscontrabili in crescita anche nei paesi più laici… non vedo – come molti, redazione UAAR in testa, invece vedono – una grande prospettiva per il diffondersi della secolarizzazione.
Da tutto ciò il mio giudizio sulle statistiche riportate.
Precisazione. Ciò che chiamo alienazione ideologica (alienazione in una ideologia ‘laica’, perchè anche quella religiosa è un’ideologia), non consiste necessariamente in un’adesione per così dire, ‘attiva’, ma più spesso in una accettazione dei comportamenti, dei rituali e dei culti veri e propri che l’ideologia comporta, per mancanza – nel senso di non cercarle – di alternative, o per opportunismi di varia natura. Come avviene per altro in tanti aderenti ad una qualche religione.
A questo punto credo che sia l’aspetto quantitativo, la ‘percentuale’, di quanti si alienano in qualche surrogato della divinità, che diventa rilevante, perchè leggo nei vostri interventi non tanto — detta così o in altro modo – la negazione di questa possibilità di alienazione, ma il ritenerla un fenomeno circoscritto, soprattutto se ci si riferisce agli uomini di scienza. Io non lo credo e non posso che rimandare ancora a quanto riportavo.
In quanto a Von Braun, non ho presente da dove ho ricavato il giudizio che riportavo, ma credo siano significativi anche solo questi due passaggi tratti dalla sua biografia trovata su Google… tenendo presente che certe vicende sono messe in sordina in quanto è soprattutto lo scienziato ‘adottato’ dagli americani che si vuole mettere in rilievo.
Comunque ecco i brani:
“A causa di forti pressioni, von Braun nel novembre 1937 entrò nel Partito Nazista e nel mese di maggio del 1940 diventò un ufficiale delle SS. Iniziò come Untersturmführer (sottotenente) ed Himmler lo promosse tre volte, l’ultima come Sturmbannführer (maggiore) nel giugno del 1943.” (Questo riferimento alle ‘forti pressioni’, vista la carriera successiva, non mi sembra molto convincente – nda.)
“L’indebolimento della manodopera, causato dal massacrante lavoro nel campo di concentramento provocò, si stima, almeno 20.000 morti, tra coloro che lavorarono al progetto. Alcuni vennero uccisi mentre tentavano di sabotare i missili. Non ci sono prove che von Braun abbia protestato per tali uccisioni, anche se successivamente disse di provare vergogna per quanto successe a Dora.” (Sulla ‘vergogna’ postuma di tanti nazisti… soprattutto per rifarsi una verginità… ci sarebbe molto da dire – nda)
Faccio i miei più sinceri complimenti in particolare a Giovanni Gaetani. Nichilismo e Responsabilità sono un binomio perfetto. Il primo ha rivelato all’occidente che siamo dei pastori erranti, la seconda impone di inventarci rotte nuove in assenza di morali e ideologie che ci traviano. Difficile immaginare Hans Jonas senza Bataille
Non sono affatto sicuro di poter condividere la posizione nichilista sulla morale, anzi, sull’assenza di morale. D’altra parte, non mi convince nemmeno la posizione teistica che afferma che la morale mi arriva paracadutata dall’alto.
Invece, penso proprio di rifiutare questo dualismo come molti altri dualismi, in quanto non credo che le spiegazioni su come funzioni il mondo sono fortemente riduttive se si considerano solamente due posizioni estreme.
Non posso dire che la morale mi arrivi da un dio, e nemmeno che non esista. Un certo concetto basilare di morale è originata in noi da evoluzione e processi neurobiologici. E su questo substrato oggettivo si articolano delle costruzioni soggettive.
Scusate: “credo che le spiegazioni…”, e non “non credo che le spiegazioni…”
@ Giorgio Pozzo
“E su questo substrato oggettivo si articolano delle costruzioni soggettive.”
E come si costruiscono le ‘costruzioni soggettive’ in quanto soggettive? In cosa consisterebbe questa soggettività, quale ‘facoltà’ la rende possibile come tale?
Quando parlo di facoltà intendo la facoltà razionale, intesa ‘materialisticamente’ come un istinto vitale tra gli altri istinti vitali di cui l’evoluzione ha dotato l’uomo, non certo come una sorta di entità metafisica… che quindi l’uomo, nei limiti della condizione umana, può usare ‘liberamente’. Per esempio usandola per elaborare una morale. La quale, o è costruita razionalmente, oppure l’uomo non potrà mai elaborare criteri di comportamento cui attenersi. Che variano nel tempo storico, certamente, determinate dal ‘substrato oggettivo (dall’evoluzione), certamente, spesso in contrasto con altri istinti vitali (per esempio con l’istinto di sopravvivenza), certamente, ma, entro questi limiti, per scelta.
Quindi, nessun dualismo: gli istinti si diversificano, ma la matrice è la stessa.
@ Giorgio Pozzo
Mi colloco, manco a dirlo, sulla linea di Guarlerzi. Parli di morale come “substrato oggettivo” sul quale “si articolano delle costruzioni soggettive”. Trovo in questo una contraddizione di ordine prima logico e poi filosofico. C’è un ordine di priorità per cui è sempre il soggetto a cogliere l’oggetto. Il mondo dell’oggetto, come sosteneva Sartre, è il mondo del probabile, incapace di autogenerare delle regole. Nulla di oggettivo può arrivare a noi senza dei soggetti che ne colgano l’inferenza attraverso la coscienza (che è sempre soggettiva).
Nessuna contraddizione.
Con il termine “morale oggettiva” mi riferisco alla base neurologica, o comunque biologica, della morale stessa. Come spiega la Churchland in questo interessantissimo libro (che consiglio vivamente),
http://www.ibs.it/code/9788860304599/churchland-patricia-s-/neurobiologia-della-morale.html
la morale è in qualche modo innata in ciascuno di noi, ed è verificata da molti esperimenti. Ad esempio, il livello di serotonina nel sangue influisce su parecchi aspetti del comportamento “sociale” di animali sia umani che non umani. Si tratta di risultati a matrice evoluzionistica, che si svolgono su basi neurobiologiche. E dove ci sono fenomeni neurobiologici, abbiamo una descrizione oggettiva, e scientifica, dei fenomeni stessi.
Per quanto riguarda poi la parte soggettiva, questa è ovviamente data dalle componenti aggiuntive che si sviluppano in ogni individuo, e che vanno a sovrapporsi alle basi neurobiologiche di cui sopra. Ovviamente, l’esempio migliore è proprio dato, quasi paradossalmente, dalla morale cosiddetta religiosa, che altro non è se non un’invenzione soggettiva (come la religione di per sè). Se vogliamo, anche le diverse culture che popolano questo pianeta potrebbero essere portate ad esempio di morali soggettive, “artificiali” nel senso di antropomorfiche, differenti e magari contradditorie rispetto a quelle “naturali”, neurobiologiche e quindi oggettive.
L’evoluzione e la nostra neurobiologia di specie ci dice che cosa “sentiamo” giusto e che cosa sbagliato. La nostra soggettività lo amplia e lo modifica. Alla fin fine, sta al nostro intelletto definire una accettabile etica oggettiva e universale, ma non possiamo esimerci totalmente dal considerare che, analiticamente, la morale sulla quale dovremmo basare l’etica comune risulta essere in parte oggettiva e in parte soggettiva.
Parimenti, non vedo l’impossibilità tra soggettivo e oggettivo. La scienza ci spiega l’oggettività dei fenomeni, mentre le componenti soggettive degli stessi sono lasciate ad altro (che non è scienza). Ma non esiste contraddizione logica in quanto le due componenti sono perfettamente distinte e distinguibili (basta usare il criterio di Popper). Per quanto riguarda poi un’eventuale contraddizione filosofica, beh, si tratta di una tautologia: la filosofia è potenzialmente contradditoria per definizione, proprio perchè generata dall’intelletto umano, che potenzialmente è sia logico che illogico.
La parte logica della mente ha generato matematica, scienza, e tutti i linguaggi metafisici formali, mentre la parte illogica della mente ha generato religione, arte, superstizione, e tutte le metafisiche non formalizzabili.
@ Giorgio Pozzo
E’ chiaro che a questo punto è difficile intenderci. Richiamo solo una questione. Sei tu che attribuisci alla ragione una dimensione metafisica nel momento in cui – pur affermando che non c’è contraddizione – distingui tra una dimensione razionale e una irrazionale. Domanda: in base a cosa distingui ciò che è razionale da ciò che è irrazionale se non operando una scissione nella psiche umana (molto utilmente fatta oggetto di continua ricerca da parte delle neuroscienze circa i meccanismi e i chimismi che la informano, sia ben chiaro) se non riproponendo alla fine, cartesianamente, la classica separazione tra ‘res cogitans’ e ‘res extensa’, tra pensiero e materia? Considerando che la razionalità ha la stessa matrice biologica degli altri istinti vitali dovuti tutti al processo evolutivo, e che consiste nell’esistenza di una coscienza, cioè di un’attività pensante… non vedo proprio come questa attività pensante non sia la stessa quando presiede tanto alla elaborazione scientifica quanto a quella filosofica, alla creatività artistica; se mai posso accettare la separazione ma solo formalmente, come espediente utile per la ricerca, non certo strutturale. E certamente ciò vale anche per la religione… la quale infatti è pur sempre da attribuire ad un tipo di risposta dovuta ad una speculazione, ad un ‘pensiero’ (accettabile o meno… per me ovviamente non accettabile proprio nel momento in cui ritiene di dover abbandonare la facoltà raziocinante sottomettendola illusoriamente alla fede, come se ciò fosse possibile, incorrendo perciò nelle tante sue contraddizioni) ai problemi posti dalla condizione umana.
Sono amareggiato nel costatare che l’UAAR non sembra velere evidenziare l’importanza e/o ruolo della scienza nel comportamento e cultura umana, che ritengo indicutibilmente un progresso ! A torto ? Tenendo conto che l’encefalo umano è pressoché stabile da circa 40.000 anni. Il nostro « progresso » è dovuto particolarmente alla nostra conoscienza scientifica ; non di certo alla « saggezza » o « razionalità » umana che non è sostenuta dagli stessi processi mentali.
Grazie all’approccio scientifico, l’uomo ha potuto fare fin dall’antichità dei progressi fantastici. Le domande che si è posto relative alla Terra, l’Universo, la vita, il tempo, lo spazio, la materia, le organizzazioni umane, senza dimenticare la sofferenza… hanno trovato risposte pertinenti e utili, escludendo una ipotetica causa divina o immateriale ! La più straordinaria scoperta sarebbe rimasrta sterile se non fosse rivolta al miglioramento della vita e dell’umanità, in particolare di coloro che soffrono di gravi malattie. Ma questo, purtroppo, molti sembrano ignorarlo o averlo dimenticato !
P.S.: Se gli scienziati possono verificare le loro ipotesi attraverso la severa metodologia scientifica, il filosofo (che ignora la scienza) non ha alcun modo obiettivo di poterlo fare per difendere le sue convinzioni. Non credo esista una “logica” filosofica, bensi una miriade di logiche sovente contraddittorie…..
Potremmo negare che senza le luci della scienza e dei vantaggi della tecnologia, staremmo ancora vivendo nell’oscurantismo il più totale nel senso sia letterale che metaforico ?
Pendesini permettimi una domanda: i filosofi della scienza per te sono dei falsi filosofi o dei falsi scienziati ?
@ stefano marullo
Se mi consenti di intromettermi, direi che un “filosofo della scienza” è molto meno “scienziato” di quanto sia “calciatore professionista” uno che il calcio lo guarda alla tv e lo commenta senza aver toccato un pallone da quando aveva 14 anni…
Non credo, Federix, che quello che hai detto renda giustizia a gente del calibro di Telmo Pievani (che tra pochi giorni presenterà un libro per il nostro Circolo a Padova vedi sezione Appuntamenti UAAR) o di Martino Rizzotti fondatore dell’UAAR, apprezzati sia come scienziati che come epistemologi
@ Stefano Marullo
Una cosa è essere “scienziati”, un’altra è essere “filosofi della scienza”, un’altra cosa ancora è essere sia “scienziati” sia “filosofi della scienza”.
Infatti, non esiste.
Per il semplice motivo che la filosofia si basa sulla mente, sull’intelletto, e sul ragionamento individuali, che sono aspetti potenzialmente logici e illogici allo stesso tempo. Intendo logici e illogici nel significato di contradditori.
Mi permetto poi di rispondere alla interessante quanto intrigante domanda, anche se non indirizzata a me: nessuna delle due.
Poichè secondo me scienza e religione sono le due figlie della filosofia, avendone la prima ereditato la parte logica e la seconda quella illogica, possiamo avere dei filosofi della scienza e dei filosofi della religione. Rimane ovvio che le due cose possono coesistere, e che lo stesso filosofo può pensare e “ragionare” sia come filosofo della scienza o “sragionare” come filosofo della religione (abbiamo esempi a bizzeffe, a cominciare da Platone), mescolando addirittura le cose.
Con queste premesse, dunque, la mia personale (ma non molto, in quanto condivisa da tanti) risposta è che un filosofo, dunque, non è nè vero nè falso, ma va nella direzione giusta se considera la filosofia della scienza, mentre si dirige in quella sbagliata se considera la filosofia della religione (e diventa per esempio teologo).
“Potremmo negare che senza le luci della scienza e dei vantaggi della tecnologia, staremmo ancora vivendo nell’oscurantismo il più totale nel senso sia letterale che metaforico?”
Caro pandesini, non credo sia questo il modo più corretto di inquadrare la questione. Intanto, in quanto all’oscurantismo, occorre essere ben chiari: se si giudica la questione astrattamente, cioè non tenendo conto dei prezzi pagati, e che si continuano a pagare, da parte delle persone reali, storicamente esistenti, e ci si riferisce ad un’umanità che, appunto, di per sé è un’astrazione dove i singoli individui sono solo numeri, progresso sicuramente c’è stato… se invece il progresso viene valutato non in termini di semplice sviluppo, materiale e cognitivo, ma, appunto avendo come referenti gli uomini concretamente esistenti, non credo che si siano fatto grandi passi avanti. Fino a quando milioni di uomini continuano a morire ad opera di altri uomini, magari proprio utilizzando mezzi tecnologicamente avanzati… ciò che è difficile negare… e non è certo l’aumento quantitativo della popolazione mondiale da prendere come prova del progresso, perché parallelamente a questo aumento – anche senza mettere nel conto la qualità della vita di intere popolazioni – sono aumentate in proporzione le situazioni di morte (più aumenta la popolazione e più aumentano le morti che l’hanno resa e la rendono possibile)… non credo che si possa parlare di un vero progresso: si tratta, appunto, di sviluppo, che è un’altra cosa.
Negare allora valore alla scienza, allo straordinario aumento di conoscenze verificabili che ha reso possibile e alla ricaduta tecnologica che ciò ha comportato e comporta proprio in termini di soluzione concreta di bisogni concreti di uomini concreti? Nemmeno per sogno! Si tratta solo (si fa per dire) di fare in modo che queste potenzialità della scienza siano poste veramente al servizio dei singoli individui, non dell’umanità come tale… il che non credo possa dipendere dalla scienza come tale. Per la solita questione: la scienza e la tecnologia che essa rende possibile contribuiranno ad un progresso reale… insisto, per gli uomini realmente esistenti, i singoli individui, i soli reali, verificabili, non per un’umanità che di fatto è una entità metafisica, non verificabile come tale se non in termini puramente quantitativi… solo se ne viene fatto – come afferma il senso comune, o, se si preferisce, il buon senso – un uso appropriato. E a che livello può essere determinato l’uso appropriato? Con un ricorso alla razionalità, certamente, che però non può consistere solo nella logica formale, quella che è certamente necessaria alla ricerca scientifica, ma ad una logica, e quindi ad una razionalità, determinata dalla condizione umana. Che di questo se ne occupi la filosofia (per me, intendendola in un certo modo, praticandola non fideisticamente, nozionisticamente come spesso avviene nella scuola, la filosofia se ne occupa, e come!… ma questa è un’altra questione) o altra forma di conoscenza, a questo punto poco importa.
Fino a quando si dovrà parlare di ‘vittime del progresso’, di un progresso che non tiene nel dovuto conto ciò che può costare – come costa – ai singoli individui considerati come una variabile indipendente… di ‘oscurantismo’ purtroppo si dovrà ancora parlare.
@Gualerzi
Avrai notato che nel commento precedente ho scritto : ….Il nostro « progresso » è dovuto particolarmente alla nostra conoscienza scientifica ; non di certo alla « saggezza » o « razionalità » umana che non è sostenuta dagli stessi processi mentali…..
Quando parlo di « progresso » alludo ovviamente alla scienza/tecnologia e non di certo al nostro encefalo o cognizione umana. Nella preistoria i nostri antenati si scannavano con lance e simili, oggi niente è cambiato, solo i mezzi per uccidere hanno evoluto NON grazie alla scienza o technologia, ma all’irrazionalité e aggressività umana. Con un coltello posso taglire il salame come uccidere una persona : secondo te la colpa è di chi ha inventato il coltello ? Se eliminiamo i coltelli siamo sicuri che il martello ma anche una pietra non possa ferire od uccidere un uomo ?
Vorrei inoltre sottolineare che le armi sofisticate, bomba atomica ecc…NON sono l’opera della scienza (la storia e l’attualità mi insegna che gli scienziati sono persone relativamente pacifiche), ma da fanatici militari e politici irresponsabili, molti dei quali -sovente psicopatici- avrebbero dovuto essere, e tuttora, internati ! Questi hanno e continuano ad utilizzare le scoperte scientifiche non per contribuire al benessere umano, bensi per nutrire la loro avidità e desiderio insensato di dominio.
La Finanza con i « guanti bianchi », utilizza sofisticati sistemi matematici per sfruttare la gente, speculando su alimenti di prima necessità, creando situazioni di malessere intollerabili : secondo te la colpa sarebbe della matematica ?
@ alessandro
“(…) secondo te la colpa sarebbe della matematica?”
Non ho mai detto questo o qualcosa di simile. Ho parlato, e ripetutamente, dell’uso che si può fare delle conoscenze scientifiche… il che, a mio avviso, deve essere demandato ad una elaborazione etica che – servendosi certamente, e sempre, anche della conoscenza ad esempio resa possibile dalle neuroscienze per quanto riguarda i comportamenti umani – non può essere elaborata scientificamente nel senso di pratica scientifica. Proprio perché non si ritorca contro l’uomo.
@Stefano Marullo
Avrai forse notato che ho scritto : ….il filosofo (CHE IGNORA LA SCIENZA) non ha alcun modo obiettivo di poterlo fare per difendere le sue convinzioni…..
Quali e quanti filosofi/scienziati -o della scienza- recenti (escludendo una piccola minoranza, tra i quali Daniel Dennett e Bertrand Russell) hanno contribuito realmente allo sviluppo della scienza moderna ? Se non mi sbaglio anche nel passato pochi erano i filosofi stoici che si interessavano alle scienze naturali, e molto più quelli che si interessavano alle “scienze” morali, teologiche (o considerate tali!)
La rivoluzione del metodo scientifico è cominciata con Galileo che trasformo delle “sensate esperienze” in “dimostrazioni necessarie”….
P.S. Fino prova contraria, la Neuroscienza (o se preferisci la filosofia della neuroscienza) sta modificando profondamente, ed in determinati dettagli, la percezione che l’individuo umano ha di sé, la sua origine, la sua evoluzione, il suo sviluppo sin dal suo concepimento fino alla morte. Ma di questo rarissimi sono i filosofi (non scienziati) attuali che ne parlano, se non altro per criticarla ! Purtroppo…
@ Alessandro Pendesini
Premesso che ho sempre la sensazione che tu faccia confusione tra Scienza (come ricerca e come giudizio sui fenomeni) e tecnologia (epifenomeno della scienza medesima), devo dirti che il fregiarsi del titolo di “scienziato” o di “filosofo” può essere relativo. Un pensiero può essere interessante e utile alla crescita dell’umanità a prescindere dal pedigree. La sociobiologia di Edward O. Wilson, per esempio. o le riflessioni semiotiche ed etiche di Karl Otto Apel, credo siano più immediatamente urgenti e fruibili del bosone di Higgs
@Gualerzi … D’accordo… ma categorizzazioni senza senso esistono anche nel momento in cui – come ho cercato di argomentare – si categorizzano gli scienziati come esenti da fughe fideistiche in quanto tali….Scrivi nel tuo intervento delle 16:29
–L’obiettivo della scienza non consiste nell’adattare perfettamente la nostra conoscenza per le nostre sensazioni, ma di inquadrare una rappresentazione del mondo fisico che sia completamente indipendente dalla personalità degli uomini che compongono questa rappresentazione, cioé quello di avere una descrizione della natura, che sia priva di giudizi di valore, veridica e priva di illusioni.
O, come diceva Einstein : “La scienza può determinare solo ciò che è, non ciò che dovrebbe essere, al di fuori del suo campo, dei giudizi di valore di qualsiasi tipo restano necessari”.
–Una delle caratteristiche più importanti del movimento scientifico è quello di accettare la revisione di una “verità” imposta da secoli, ma anche progredire nella conoscenza del mondo e di noi stessi. La dinamica della scienza si basa particolarmente sulle proposte dei modelli teorici, le rappresentazioni mentali di un oggetto, di un processo, un universo, ecc … che sulla prova sperimentale dalla dimostrazione pubblica, la validazione, l’invalidazione, l’evocazione di nuove teorie, l’imitazione, l’innovazione e la concorrenza in una ricerca internazionale di scienziati che evolve con il tempo e lo spazio.
P.S. : Quello che fa la forza della scienza, è che tra molti sistemi, è l’unico -dico bene l’UNICO- che sia dotato di mezzi di controllo drastici della legittimità e l’onestà dei suoi attori.
Questa è anche la risposta a Stefano Marullo
2(…) ma di inquadrare una rappresentazione del mondo fisico che sia completamente indipendente dalla personalità degli uomini che compongono questa rappresentazione, cioé quello di avere una descrizione della natura, che sia priva di giudizi di valore, veridica e priva di illusioni.”
Caro alessandro, siamo alle solite. Non credo che esista, né che possa esistere, una ‘scienza pura’ cioè che – come dici tu – sia completamente indipendente dalla personalità degli uomini’. Che lo si voglia o no la scienza è pur sempre un prodotto della ragione umana che evolve come evolve la scienza… o meglio è la scienza che evolve come evolve la ragione umana, la quale può servire a tante cose, ma se non serve a risolvere sempre meglio i bisogni che la condizione umana comporta (l’uomo, il singolo uomo, come tutti gli esseri viventi, per continuare a vivere – prima che arrivi la morte – deve fare fronte con i mezzi a disposizione… primo fra tutti la facoltà razionale, ad una serie di bisogni ineliminabili), comporta solo un esercizio accademico fine a se stesso. Può contribuire la scienza per affrontare con un certo successo… anche se necessariamente sempre relativo… ad affrontare i bisogni umani? Assolutamente sì perché, come giustamente affermi, può pervenire a conoscenze sempre verificabili e che sono per questo sempre utilizzabili e che solo la scienza è in grado di elaborare… ma si tratta di un contributo, appunto, il quale, per quanto prezioso, non può sovrapporsi, nel senso di costituirne l’unica soluzione, alle esigenze esistenziali, scavalcarle come si trattasse di impedimenti al corretto esercizio della ragione
(A questo proposito, e di tutto questo lungo discorso che sto facendo dietro gli stimoli di tante obiezioni, per le quali ringrazio tuti gli intervenuti, ci tengo a precisare un punto: in definitiva, filosofia o non filosofia, credo di essere mosso dal puro, in quanto elementare, buon senso. O quanto meno mi sforzo di tenerlo in considerazione prima di ogni altro riferimento più o meno colto e del linguaggio che necessariamente uso, più o meno propriamente, per dialogare)
…..Caro alessandro, siamo alle solite. Non credo che esista, né che possa esistere, una ‘scienza pura…..
@Gualerzi
Sara probabilmente il mio pessimo italiano che crea confusioni ?
Non penso comunque di avere affermato -ma neanche pensato- …. « che esista, né che possa esistere, una ‘scienza pura” !
Spero poter chiarire intelligibilmente quello che intendo dire : Una proposizione è vera in quanto riflette il mondo così com’è (almeno alcuni dei suoi aspetti, anche se la nostra visione del mondo non potra mai essere assoluta, ma sempre una interpretazione (unica per ogni individuo) elaborata dal nostro encefalo, e che miliardi di persone considera una realtà e/o verità assoluta !), la sua verità o falsità dipende da ciò che è il mondo, e non delle credenze o altre caratteristiche soggettive di un individuo o di un gruppo.
Dobbiamo distinguere l’idea di verità dal sentimento della verità. La prima risulta della risoluzione obiettiva, essenzialmente neocorticale dell’alternativa vero / falso, mentre la seconda dipende dell’adesione a una credenza o convinzione, fonte di piacere, di origine limbica. Questa è tutta l’opposizione, quotidiana ed eterna, tra il pensiero scientifico e pensiero logico o mitico, tra “la religione della verità e la verità della religione.”
In altre parole : Il cervello impone al mondo le sue regole di analisi. La percezione è fondamentalmente proiettiva. Il nostro rapporto con l’oggetto è dell’ordine della “velocità intenzionale”. Il cervello -dice A.Berthoz-, fa delle ipotesi sul mondo; proietta su lui le sue prepercezioni. Non si limita di interpretare i dati del mondo, ma impone delle regole di interpretazione. Il mondo percepito non è conforme al mondo vissuto.
P.S. -E quando certi chiedono perché la scienza dovrebbe essere credibile ? -Perché le sue risposte sono le migliori (o più razionali) che abbiamo per il momento.
Buona notte
@ alessandro
“(…) anche se la nostra visione del mondo non potra mai essere assoluta, ma sempre una interpretazione (unica per ogni individuo)”
Sulla base di questa affermazione (Schopenhauer apre la sua opera maggiore con la frase “Il mondo è la mia rappresentazione”) non posso che condividere gran parte delle tue considerazioni. Gran parte, perché certe conseguenze che ne trai mi sembrano non coerenti con questo principio. Per esempio sul tipo di credibilità che si dovrebbe dare alla scienza. Il fatto che le sue risposte ‘siano le migliori’ è condivisibile alla condizione che se ne tenga sempre presente il soggettivismo (non solo individuale, ma propria della specie)… il che – e qui credo che stia la vera differenza tra le nostre posizioni – apre la strada ad una serie di riflessioni sulla condizione umana, sui problemi esistenziali (la vita, la morte, il loro significato ecc.) che la sola applicazione del metodo sperimentale ai comportamenti umani… per quanto probante in termini di conoscenza delle dinamiche che presiedono alle nostre scelte e alle nostre azioni… non può (e, secondo la deontologia scientifica, giustamente nemmeno lo vuole) tenere in considerazione. Ed è qui che, per quanto riguarda i problemi esistenziali, c’è – schematizzando al massimo – la risposta religiosa e la risposta filosofica, in radicale contrapposizione se si fa riferimento, come è inevitabile, alla facoltà razionale.
Che poi ci siano filosofi credenti e filosofi non credenti, scienziati credenti e scienziati non credenti, filosofi scienziati e scienziati filosofi e così via, è da mettere nel conto del fatto che in ogni caso lo strumento che viene usato è sempre lo stesso per tutti: la coscienza, intesa come attività pensante.
Buon giorno a te.
@Gualerzi
Ovviamente sarebbe assurdo negare che certi argomenti filosofici, possono essere utili per militare contro qualsiasi tipo di ideologia, dogmi e verità assolute. La storia ci ricorda fior di filosofi integri, contestatari e anticlericali.
Ma oggi le cose si complicano quando dei docenti universitari cristiani o cattolici occidentali e statunitensi, ecc..diffondono nelle loro università argomenti pseudoscientifici e postano sui loro siti (vedi..CCR) articoli « scientifici » con pretesa, ad esempio, di dimostrare l’esistenza di dio mediante il « fine tuning » determinato dall’antropia forte (che non va confusa con l’antropia debole la quale riposa su basi scientifiche). A questo punto non mi risulta che siano i filosofi « tout court » che contestano queste ragliate, ma gente che conosce sufficientemente certe branche della scienza ! Da notare che esistono centinaia di esempi simili, (tra i quali le errate interpretazioni dell’evoluzionismo appositamente volute da gente di malafede) e che non sempre certi filosofi hanno conoscienze specifiche sufficienti per contrastare la propaganda che questa brava gente diffonde -tramite false simmetrie- spacciandola per scientifica !
Sono rimasto stupito nel leggere decine di volte su siti cattolici italiani, quanto certi « scienziati » o considerati tali, con grossi titoli di studio, siano o opportunisti/ipocriti o ignoranti ! Mi immagino male se non esistessero in Italia degli Gilberto Corbellini, Odifreddi, Telmo Pievani -e non solo- competenti in campi scientifici, gli abusi che verrebbero commessi da gente senza scrupoli, pronti a diffondere qualsiasi baggianata come prova dell’esistanza -e castigo- divino…
Questo mi fa pensare che in Italia la « leggerezza » dell’insegnamento di certe branche scientifiche sia voluta dai dominanti clericali e politici : tenere il popolino nell’ignoranza è, ed è sempre stata, la loro volontà !