Carlo Flamigni, medico specializzato in ostetricia e ginecologia, accademico e scrittore, è presidente onorario dell’Uaar e dell’Aied. Maurizio Mori, professore ordinario di Bioetica all’Università di Torino, è presidente della Consulta di bioetica Onlus.

Nel libro ricordate che la legislatura di centrosinistra (1996-2001) rappresentò un’occasione sprecata, perché una maggioranza trasversale impedì l’approvazione di una legge laica. Per contro quella successiva, con una maggioranza parlamentare di centrodestra, vide l’approvazione di una legge che, come scrivete, è improntata a una “concezione da ‘Stato etico’”: eppure fu sostenuta anche da settori dell’opposizione. Se qualcosa è mutato, in questi dieci anni, è soltanto grazie alla magistratura. Perché gli elettori laici non trovano rappresentanze politiche adeguate? E perché la cosiddetta “libertà di coscienza” si è trasformata in un grimaldello per consentire ai parlamentari cattolici di venir meno ai programmi elettorali su cui sono stati eletti?
È vero che abbiamo rilevato come la diaspora dei cattolici abbia portato a bloccare l’innovazione nella legislatura 1996-2001 e a favorire la reazione in quella successiva, ma questi fatti vanno inseriti in un quadro più ampio e generale che ci porta a una prospettiva meno pessimista, soprattutto se nelle domande formulate si distinguono almeno tre problemi diversi.
Dire che “se qualcosa è mutato, in questi dieci anni, è soltanto grazie alla magistratura” è concedere troppo agli strilli dei cattolici romani che continuano a gridare al “golpe dei magistrati”, e bisogna distinguere con maggiore attenzione. È sbagliato dire che solo la magistratura riesce a produrre cambiamenti: sulla scorta dei tempi richiesti dall’iter previsto per queste azioni la magistratura ha fatto quel che sin dall’inizio già sapevamo bene, e cioè sgretolato la Legge 40/2004 (o legge Berlusconi-Ruini) perché questa non era conforme alla Costituzione e ai principi dell’ordinamento. Invece di dire che sono i giudici a far mutare la situazione è più corretto e preciso dire che essi hanno ribadito l’ordine costituzionale che la malapolitica berluscon-ruiniana aveva cercato di forzare. Non è la magistratura che produce “cambiamento”, ma era stata la legge Berlusconi-Ruini che aveva scantinato e deviato.
L’altra domanda circa l’assenza di rappresentanza degli elettori laici è molto complicata, perché coinvolge diversi livelli di analisi diversi. Qui ne consideriamo uno solo, senza pretendere che sia il più importante. Sul piano della “mentalità diffusa, una ragione è che la cultura cattolica ha abituato molti italiani a dissociare l’azione dall’idea (lo faccio ma non lo dico, e lo dico ma non lo faccio!), per cui i laici non si preoccupano molto di essere “rappresentati” a livello politico. È un atteggiamento che ha radici molto profonde e per coglierle raccontiamo un fatto reale: un nostro amico d’Oltralpe vuole venire a stare in Italia per dare al figlio una “educazione italiana”. Contattiamo un’ottima scuola elementare che offre tutte le garanzie di eccellenza e che non essendo a tempo pieno ricorre a suore che provvedono a integrare il servizio tenendo i bambini nel pomeriggio in luogo acconcio per una modica retta. L’amico osserva e approfondisce il discorso, ma poi scarta quella scuola perché ritiene sia preferibile evitare di avere a che fare con le suore: non è questione di budget, ma è che è meglio non avere commistioni con la religione, anche a costo di dover accollarsi fatiche maggiori per trovare un’altra scuola. La nostra mentalità italiana invece ci avrebbe portato a accettare la comodità della “supplenza religiosa”, ritenendola al fondo poco rilevante. Al contrario con molta pacatezza e senza alcuna vena di rigidità, l’amico d’Oltralpe l’ha vista come una mela avvelenata da cui tenersi lontano. Ebbene, qualcosa di analogo capita coi politici: riteniamo che i temi “laici” non siano così significativi da meritare una seria battaglia anche perché poi – per la dissociazione ricordata – si riesce sempre ad arrangiarsi. Così si finisce con l’accettare il compromesso e la soluzione tradizionale, ossia quella antica veicolata dalla religione.
La ragione appena ricordata ci fornisce forse anche il bandolo della matassa per capire l’uso distorto dell’idea circa la “libertà di coscienza” del parlamentare che è lasciata dai partiti (soprattutto di centro-sinistra: perché a destra poi arriva la comanda del leader che chiude le discussioni) ai singoli parlamentari. È bene chiarire che “libertà di coscienza” non è equivalente a “assenza di vincolo di mandato”, cioè libertà di non rispondere alle richieste dei propri elettori. Quest’ultimo aspetto è garantito dalla Costituzione e è un pilastro della democrazia rappresentativa: l’elettore scontento non voterà più il rappresentante. La “libertà di coscienza” concessa ai parlamentari dai partiti laici è in realtà la scelta di non avere una linea politica sui cosiddetti “temi eticamente sensibili”. Ancora una volta ciò accade perché questi temi sono ritenuti essere politicamente poco significativi sia perché non porterebbero voti, sia perché si ritiene inopportuna la promozione a livello pubblico di una “visione laica del mondo”. Questa autolimitazione prospettica riduce i nostri programmi politici a mere mosse tattiche escogitate per tamponare qualche falla e acchiappare qualche voto in più. Ma sono giochetti di scarso respiro. Ancora una volta emerge l’esigenza di riguadagnare la dimensione dei grandi ideali e di lanciare quei sogni capaci di allargare gli orizzonti perché solo avendo una generale “prospettiva di senso” è possibile dare inizio a spinte propulsive per un cambiamento della vita concreta. La laicità è in grado di offrire questa prospettiva di senso, che deve tradursi in programmi politici con soluzioni concrete e sostenuti da partiti che non lasceranno più la cosiddetta “libertà di coscienza del parlamentare” perché invocheranno la disciplina di partito come già avviene su altri temi importanti della vita sociale.
Ma è in atto un altro cambiamento che deve essere preso in esame. Nel 2011 la Corte europea per i diritti dell’uomo ha emanato una sentenza che riguardava la proibizione di eseguire donazioni di gameti femminili che era sancita da una specifica legge in Austria. Quello che conta non è tanto il contenuto della sentenza, quanto il messaggio che la CEDU ha ritenuto opportuno inviare ai legislatori europei: in materia di PMA il diritto è in costante evoluzione – anche perché la scienza stessa in questo campo è in costante sviluppo – e ciò richiede un esame permanente da parte degli Stati contraenti. In realtà queste conclusioni rappresentano un chiaro invito ai Governi a considerare in modo sistematico le modificazioni della morale di senso comune relativamente ai temi della vita riproduttiva per potere adeguare le normative vigenti a questi mutamenti, considerati probabili e costanti, oltre che in chiaro rapporto con i progressi delle scienze mediche e l’efficacia della divulgazione operata in questi settori. Solo per confermare la rapidità con la quale si modificano morale e normative in questo settore, ricordiamo che nel gennaio del 2014 la Corte Costituzionale austriaca ha giudicato illegittima la proibizione della ovodonazione, dando in effetti ragione alle decisioni prese dalla sezione della CEDU, quelle successivamente contraddette dalla Grande Chambre.
Le norme approvate in tema di procreazione medicalmente assistita dovrebbero essere quindi costantemente modificate sulla base di questi mutamenti delle conoscenze scientifiche e del consenso sociale per evitare un “difetto di proporzionalità dell’ingerenza dello stato nel diritto nel rispetto della vita privata e familiare garantito dall’articolo 8 della CEDU e l’impossibilità di invocare il margine di apprezzamento riconosciuto agli Stati membri della stessa convenzione”. La sentenza della Grande Chambre non avrebbe affrontato l’argomento se tra il 1999 e il 2011 il legislatore austriaco avesse rispettato il “dovere di evoluzione” della propria legislazione (dovere che, come abbiamo detto, è stato rispettato solo nel 2014). Il tribunale di Milano ha perciò ritenuto di dover riproporre le ragioni di censura già presentate nella sua precedente ordinanza di remissione in quanto non le ha considerate contrastate dalla pronuncia della Grande Chambre. Ha ritenuto di conseguenza che le norme oggetto di censura violerebbero l’articolo 117 1° comma della Costituzione italiana in riferimento all’articolo 8 della CEDU nonché gli articoli 2, 3, 29, 31 e 32 primo e secondo comma della Costituzione italiana. In linea con queste premesse il Magistrato ha operato un costante riferimento alla sentenza della CEDU intesa nella prospettiva della necessità che il legislatore tenga conto delle evoluzioni del sentire sociale oltre che dei progressi delle conoscenze scientifiche. In questo senso le norme oggetto di censura potrebbero offendere e limitare il diritto alla vita privata familiare inteso come diritto alla autodeterminazione della coppia che desideri procreare e che per farlo sia costretta a ricorrere a una di queste tecniche. Il documento fa anche cenno alla “ingiustificata disparità di trattamento quanto alla possibilità di procreare tra coppie in grado di produrre gameti e coppie nelle quali almeno uno dei due componenti è incapace di produrli”. Nella conclusione il documento si riferisce alla possibilità che il divieto di fecondazione “eterologa” rischi di non tutelare l’integrità fisica e psichica di queste coppie, malgrado che questa tutela sia effettivamente possibile in base agli sviluppi della scienza e della tecnica nel campo della medicina della riproduzione.
In definitiva, la Cedu ha considerato l’origine della dottrina morale come il risultato delle modificazioni della morale di senso comune, la morale collettiva che si modifica in base alle intuizioni dei vantaggi che possono derivare dai progressi delle conoscenze scientifiche, e ha stabilito la necessità che su temi come questi la norma debba essere leggera e pronta ad essere modificata.
Il divieto di diagnosi preimpianto, oltre a essere particolarmente inviso anche alla popolazione, è quello su cui sono intervenute con maggior decisione le sentenze dei tribunali. Cosa spinse i legislatori a introdurre tale proibizione?
La fecondazione in vitro ha consentito di avere embrioni al di fuori del grembo femminile: nella provetta. La legge 40 è stata pensata per scoraggiare al massimo il ricorso alla fecondazione in vitro, in modo da lasciare incontaminata la “naturalità” della riproduzione umana. La diagnosi pre-impianto è meno invasiva delle altre diagnosi prenatali e evita l’eventuale ricorso all’aborto del secondo trimestre: la si è vietata perché potrebbe essere un incentivo alla fecondazione in vitro, soprattutto per le coppie a rischio di malattie genetiche. Si è preferito trascurare i vantaggi per le persone concrete pur di contrastare il processo di de-naturalizzazione della riproduzione umana. Questo divieto fa il paio col divieto di sperimentazione su embrioni umani a fini di ricerca scientifica: si è preferito sfavorire la ricerca scientifica che potrebbe portare a combattere tante malattie pur di affermare il principio (astratto) della “tutela dell’embrione”.
Fin dal sottotitolo del vostro libro sostenete che è “meglio ricominciare da capo”. Quali sono i punti più rilevanti della legge rimasti ancora inalterati dalle sentenze della magistratura e su cui a vostro avviso è più urgente intervenire? Il triste fenomeno del “turismo riproduttivo” può essere considerato ormai alle spalle?
La questione del “turismo riproduttivo” va trattata a parte, e non possiamo qui intervenire su tutto. Riteniamo sia il momento di “ricominciare da capo” perché la Corte costituzionale ha sicuramente smontato i due piloni che sostenevano l’impianto della Legge 40. Ma restano altri due aspetti di notevole importanza su cui conviene tornare a riflettere per “ricominciare da capo”. Il primo riguarda il modo di considerare la fecondazione assistita, se vederla come mero aiuto per la cura dell’infertilità o invece come allargamento delle capacità riproduttive. Per ora la Legge 40 impone ancora la prima concezione, tanto che consente l’accesso alla tecnica alle sole coppie eterosessuali conviventi o sposate e dichiarate infertili. Una donna sola che volesse avere un figlio può procurarsi il seme andando in discoteca e trovando il partner adatto, ma non può ricorrere alla fecondazione assistita. L’altro aspetto da considerare è quello già ricordato della ricerca scientifica sugli embrioni, un aspetto che ritarda l’avanzamento delle conoscenze. In generale, bisogna cassare la parte dell’art. 1 che tenta di dare all’embrione una tutela pari a quella dovuta agli altri soggetti coinvolti.
Nel testo definite la legge 40 “legge Berlusconi-Ruini”. A vostro modo di vedere ora la situazione è cambiata, e dunque propizia a una revisione della legislazione: Berlusconi non è più al potere e, con l’ascesa al trono di papa Francesco, “sembrano cessati gli annunci di scomunica sui vari temi della bioetica”. Tuttavia, Renzi (che a suo tempo era favorevole al divieto di eterologa) non ha manifestato ancora alcuna opinione sull’argomento, mentre gli interventi sui temi bioetici da parte della Cei non sembrano essere diversi dal passato. È dunque il contesto a essere cambiato?
Sicuramente il declino di Berlusconi è un aspetto positivo, come è vero che la linea di Francesco sembra meno pressante sui temi di bioetica. I due papi precedenti tornavano a condannare qualcosa un giorno sì e il giorno dopo ancora, mentre papa Francesco sembra avere diradato la presenza sul punto. Ma quando interviene su questi temi lo fa ripetendo pari pari i suoi predecessori: con la stessa durezza e forse con minore finezza teologica. Insomma, quasi facendo un riassunto delle tesi elaborate dagli altri (si veda per tutte l’omelia sul matrimonio del 2 aprile 2014). Invece di continuare a sperare che i cattolici allentino la presa sui temi bioetici, crediamo che sia “meglio ricominciare da capo” nel senso che si deve puntare su una propositività laica: bisogna essere in grado di sostenere le soluzioni esistenziali proposte perché esse sono razionali e migliori di quelle tradizionali dei cattolici, e non tanto perché “è una robaccia, ma la legalizziamo perché non si riesce a vietarla” (come ancora si sente dire!).
I sostenitori dell’attuale legge hanno fatto spesso ricorso all’inquietante immagine del “Far West riproduttivo” che secondo loro si aveva e si tornerebbe ad avere in assenza di regole. Voi esprimete la preferenza per una nuova legge composta di pochi articoli. Non si corre in tal modo il rischio di esporla a una nuova e martellante campagna propagandistica?
Il rischio di una intensa campagna propagandistica non si può escludere, ma una sua grande efficacia pare sia dubbia. Non bisogna dimenticare che appena approvata la Legge 40 i suoi fautori dissero che era la legge più bella del mondo e che avrebbe fatto scuola alle altre nazioni. È vero che la propaganda può far molto, ma è un fatto che la Legge Berlusconi-Ruini non è stata presa a modello da nessuno e che anzi ci ha resi ridicoli al mondo oltre che condannati in Europa! C’è un’altra considerazione da fare circa la notevole durezza dei toni usati dai pro-life di tutti i tipi nei loro interventi sul tema: si pensi che qualcuno, con termini al limite dell’insulto, ha persino proposto l’abolizione della Corte costituzionale per porre al sicuro la Legge Berlusconi-Ruini, e altri non perdono occasione per ribadire che siamo ormai in una vera e propria “guerra”, da combattere con scaltrezza e determinazione. È indubbio che negli ultimi anni le organizzazioni pro-life hanno alzato i toni, aumentato il fuoco di fila e sono prontissimi a sparare su qualsiasi cosa. La domanda da porsi è se questo nuovo atteggiamento sia indice di acquisita forza o invece sia frutto di insicurezza per la diffusa percezione di non avere più la presa sociale di un tempo (anche solo una decina di anni fa!). Esempio: l’intero 2013 è stato speso nell’iniziativa “Uno di noi” finalizzata a togliere le risorse europee per la ricerca scientifica sulle staminali embrionali. Avendo raccolto un milione e settecentomila firme, cantano al successo, dimenticando di averne previste almeno 20 milioni e che quelle raccolte corrispondono allo 0,3% degli europei: un po’ pochini per quello che dovrebbe “divenire il tema rifondativo dell’Europa, il punto di partenza di un generale rinnovamento civile”!
Negli ultimi giorni la fecondazione artificiale è finita sotto attacco in seguito allo scambio di embrioni avvenuto all’ospedale Pertini di Roma. Pensate che la vicenda possa rappresentare un ostacolo per il superamento della legge 40?
Ancora una volta rileviamo un certo qual cedimento al pensiero conservatore: al Pertini è successo un errore, un gravissimo errore. Ma da qui a dire che allora si deve mettere in dubbio o sotto attacco la fecondazione assistita ce ne corre. Quando capita un incidente ferroviario (e ne sono capitati tanti!) non si mette sotto attacco la bontà del treno in sé, ma discute su come aumentare le misure di sicurezza del mezzo. Si può trarre l’altra conclusione solo se si ha già in partenza un qualche pregiudizio verso la fecondazione assistita o verso il treno! In questo caso, l’incidente o l’errore diventa una conferma della malvagità della tecnica.
Non è da escludere che da noi in Italia si cerchi di usare l’errore accaduto al Pertini per ostacolare i passi aperti dalla Corte costituzionale circa la fecondazione assistita. Anzi, qualcuno l’ha già scritto che per evitare casi analoghi ci vuole una legge che torni a vietare la fecondazione assistita. Al riguardo possiamo solo riprendere un altro tema sviluppato nel nostro libro, e cioè quello della refrattarietà alla scienza. L’ombra lunga del processo a Galileo si riverbera ancora su di noi, e questa ha impedito di far buon uso del metodo scientifico. Se la mentalità scientifica fosse più diffusa, sarebbe ovvio il ragionamento fatto sopra circa il fatto che un errore di per sé non scredita la bontà di un progresso scientifico! Il problema è che ci sono professori in facoltà scientifiche che della scienza conoscono solo risultati imparaticci ficcati in testa a memoria, senza il corrispettivo procedimento metodologico. L’effetto finale è che quando si affrontano temi emotivamente carichi come quelli della bioetica le conoscenze scientifiche sono subissate dagli antichi pregiudizi e dalle tante superstizioni diffuse, e che l’assenza di metodo impedisce quel processo di autorevisione di sé e delle proprie convinzioni.. Ecco perché il pericolo paventato di strumentalizzazione dell’errore accaduto al Pertini non va sottovalutato.