Nuova recensione sul sito: “Cattolici e violenza politica” di Guido Panvini

Una nuova recensione è stata pubblicata nella sezione Libri del sito UAAR.

Il volume è Cattolici e violenza politica. L’altro album di famiglia del terrorismo italiano di Guido Panvini (Marsilio). Recensione di Stefano Marullo.

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5 commenti

bruno gualerzi

Caro Stefano, sai quanto veda nella violenza, comunque motivata (anche la cosiddetta violenza rivoluzionaria) uno – forse il principale – dei ‘mali del mondo’… ma, in riferimento al periodo dei cosiddetti ‘anni di piombo’ , per quanto ne so (cioè non molto, e il contenuto del libro da te recensito effettivamente richiama – se ho capito bene – un filone storiografico per me inedito), qualcosa però non mi torna. Data la mia età, in quegli anni come contestatore ero già ‘fuori corso’ (oggi si direbbe già da rottamare), ma, bazzicando nell”università, ne vivevo molti aspetti, partecipavo alle analisi che in quell’ambito se ne facevano, e di gruppi cattolici in quanto tali violenti a livello di Brigate rosse (o nere), cioè attivamente terroristici, non ricordo di aver sentito parlare. L’aggancio diretto col cattolicesimo al massimo faceva riferimento ad uno dei fondatori (forse il primo) delle Brigate rosse, cioè a Renato Curcio e alla sua compagna Margherita Cagol, entrambi cattolici provenienti dall’università cattolica di Trento… ma, ripeto, di gruppi terroristici espressamente cattolici, al di là delle convinzioni personali dei singoli appartenenti, non sono venuto a conoscenza. Diverso il discorso per quanto riguarda molti protagonisti ‘ideologicamente’ violenti, di matrice cattolica (una fucina fu proprio l’Università cattolica di Milano, con figura di spicco il buon Mario Capanna, che terrorista certamente non è mai stato).
Se mai – come da mio tormentone – là dove si fanno scelte estremistiche che non esitano a considerare l’estinzione di vite umane un necessario ‘effetto collaterale’ per raggiungere fini… ‘nobili’, è determinante una sorta di fanatismo che è sempre potenzialmente presente nella testimonianza religiosa in quanto la vita umana ‘storica’, cioè reale, effettiva, deve essere spesa per una vita (mi scuso per la parolona… ma non me ne viene un’altra) meta-storica.
Questo per quanto riguarda il periodo richiamato e in merito alla natura violenta di ogni religione… mentre per quel che riguarda la violenza politica storicamente, concretamente, esercitata di matrice cattolica, o comunque cristiana… sempre a fini ‘nobili’ (veri o strumentali che fossero)… credo che il libro sia utile proprio per ‘scovare’ una violenza organizzata esistente anche al di là delle infinite violenze storicamente ben note.
(Anche se – proprio con riferimento alla nobiltà degli intenti – quando si parla della teologia della liberazione, per il contesto storico in cui ha preso forma e per la violenza ben poco nobile esercitata, direttamente o indirettamente, dalla ccar nei suoi confronti, sposterei il discorso su un altro piano.)

stefano marullo

Caro Bruno, una questione enorme quella della violenza e neppure l’urgenza rivoluzionaria appare emendarla del tutto come magistralmente ha raccontato Albert Camus nel dramma “I giusti”. Uno dei mali e forse il principale del mondo, dici. Certo, ma spesso la sua giustificazione è figlia di etiche della situazione che la declinano come male necessario o male minore. Sotto questo profilo non può considersi male assoluto. Un rifiuto della violenza a prescindere può provocare disastri ancora più grandi e la pratica nobilissima della nonviolenza non si improvvisa e abbisogna di energie ancora più grandi. Mi chiedo per esempio in quei villaggi nigeriani in cui in questo momento scorazzano i militanti di Boko Haram se non sia più saggio armarsi fino ai denti per respingere gli attacchi dei fondamentalisti. Se la cosiddetta comunità internazionale non abbia sulla coscienza avere temporeggiato oltremodo in Siria prima che la rivoluzione non cadesse nelle mani degli jihadisti che non sono migliori certamente di Assad.
Rispetto al tema trattato da Panvini in questo interessantissimo libro, il terrorismo “bianco” almeno nel nostro Paese non ha assunto forme eclatanti, come nel caso dei Nar o delle Brigate Rosse ma questo non lo ha reso meno pericoloso (come dire quando la Mafia non uccide non per questo è meno perniciosa anzi certe pax mafiose sono figlie di equilibri di potere imperscutabili e inquietanti) rispetto agli altri terrorismi di cui, mi ripeto, è spesso stato mentore.
Quanto alla natura violenta delle religioni, come la chiami tu, credo sia da mettere in relazione con l’implicito totalitarismo di ogni ideologia che tende ad approppiarsi della Verità senza mediazioni. In Italia (come vuole una famosa canzone di un rapper intelligente come Fabri Fibra, che non fa sconti al Belpaese) esiziale è sempre stata la tendenza identitaria che trasforma quelli fuori dal clan ipso facto in autentici nemici da eliminare. Siamo il Paese del Rinascimento, di Foscolo e Leopardi ma anche quello che ha inventato il fascismo e la mafia. Siamo condannati a fare cose grandi sia nel bene che nel male.
A salvarci dal fanatismo che nella violenza ha naturale sfogo non sarà un nuovo Dolce Stil Novo ma un nuovo radicalismo di stampo umanista. Una speranza attiva e impaziente, come la chiamava Fromm.

stefano marullo

Mi scuso dei molti errori ortografici frutto di stanchezza

bruno gualerzi

Caro Stefano, naturalmente quando parlo di violenza della religione non mi riferisco solo (altro mio tormentone che conosci bene) alle religioni istituzionalizzate, ma a qualsiasi altra forma di fideismo… tra i quali quello ‘identitario’ a livello di nazione (come ho richiamato nell’altro post) sta rivivendo giorni ‘gloriosi’. Quindi non posso che essere d’accordo con te.
Per quanto poi riguarda la violenza come ‘male assoluto’. E’ vero che parlo di violenza ‘comunque motivata’… ma intanto parlo di ‘uno’ dei mali del mondo, e in questo senso credo di dire niente più di un’ovvietà… mentre il “comunque motivata(…) rivoluzionaria compresa” si riferisce al ruolo storico che in genere viene attribuito alla violenza. Non sto parlando tanto della “guerra levatrice della storia” di un certo becero storicismo (anche se – magari con altra espressione – il ‘concetto’ è tutt’altro che scomparso), quanto della convinzione che ‘mors tua vita mea’ (o ‘homo homini lupus’) sia uno di quegli ‘imperativi’ naturali, contro i quali non c’è appello alla ragione che serva in definitiva a qualcosa: l’istinto di sopravvivenza questo esige, sia a livello individuale che collettivo. E così, poiché – come si afferma – questa è la natura umana… sia la si ritenga conseguenza di un ‘peccato originale’ che esigenza ‘evolutiva’ della specie… o si crede/spera che il riscatto vero dell’umanità avvenga solo ‘aldilà’ (e magari si invita evangelicamente a ‘porgere l’altra guancia’), oppure non si può che sperare/credere che provveda l’evoluzione a rendere l’uomo più saggio. In ogni caso, fatalismo.
Naturalmente – come giustamente richiami – esistono situazioni tali per cui solo rispondendo alla violenza con la violenza si può evitare che siano proprio i violenti a imporsi (gli esempi storici, come storia dei popoli, non mancano certo: dalle rivolte sociali per emanciparsi da regimi insopportabilmente oppressivi, alla indispensabile risposta alla minaccia, per esempio, portata dalla Germania hitleriana)… ma queste situazioni che io chiamo ricattatorie (“a quel punto non si può fare altro”) si riprodurranno sempre se si ritiene che rispondendo alla violenza con la violenza in quanto esigenza vitale (‘mors tua vita mea’), quindi assolutamente necessaria, si possa poi parlare di ‘progresso’: c’è solo da raccogliere i cocci. Ammesso e non concesso che – proprio rifacendomi agli esempi da te riportati (per esempio a proposito della Siria, e aggiungiamo pure Afghanistan e Iraq) – sia questa ‘necessità vitale’ il vero movente di certi interventi fatti in nome della comunità internazionale.
In conclusione (ovviamente provvisoria :)), a proposito della violenza io credo che, pur con tutti i suoi limiti, sia la ragione… o magari anche ‘solo’ la ragionevolezza, il cosiddetto buon senso… l’unico strumento per non trovarsi sempre periodicamente di fronte a quei ‘ricatti’ di cui parlavo. In caso contrario si scambia una necessità ‘storica’ (quando c’è) per una necessità metafisica.

stefano

Parole sagge, buon Bruno, ma i saggi non se la passano benissimo in questo stolto mondo…

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