Orlando Franceschelli, filosofo, insegna Teoria dell’evoluzione e politica presso l’Università La Sapienza. È autore di Dio e Darwin. Natura e uomo tra evoluzione e creazione (2005); La natura dopo Darwin. Evoluzione e umana saggezza (2007) e di Karl Löwith. Le sfide della modernità tra Dio e nulla (2008), Darwin e l’anima (2009). Lo intervistiamo riguardo il suo ultimo libro Elogio della felicità possibile. Il principio natura e la saggezza della filosofia (Donzelli).
Il suo libro ruota intorno al riconoscimento del principio natura, il cui cuore filosofico è costituito dalla “consapevolezza che l’esistenza e l’evoluzione della realtà fisica non hanno un’origine né un destino soprannaturali”. La saggezza del vivere e l’anelito di felicità devono dunque inevitabilmente improntarsi a una filosofia che soddisfi il criterio epistemologico di plausibilità. Questo approccio naturalista non esclude tuttavia un dialogo con chi invece si riconosce nel principio opposto, che presuppone una creazione divina. Quali possono essere le basi di un confronto basato su dati e ragionamenti plausibili? La disponibilità a rivedere le proprie tesi in presenza di nuove evidenze empiriche non sta forse da una parte sola?
Le due nozioni richiamate all’inizio della domanda svolgono un ruolo effettivamente imprescindibile nella definizione della mia proposta filosofica, ossia di una visione coerentemente naturalistica dell’universo e della natura umana che dell’evoluzione bio-cosmica è frutto e parte. Non solo: soltanto a partire dal principio natura e dall’epistemologia della plausibilità mi sembra praticabile anche il confronto che da naturalista post-religioso sono interessato a coltivare nella sfera pubblica con le donne e gli uomini che si fanno sostenitori di prospettive filosofiche diverse da quelle naturalistiche. Perciò anche in questo libro propongo e cerco di praticare quello che già nel mio precedente Dio e Darwin definivo un laico “dialogo della plausibilità”. Ogni altro confronto che non sia interessato alla ricerca del plausibile (ossia: a valorizzare il rispetto per i dati scientifici e per la produzione di ragioni valide) può essere anche mosso dalle migliori intenzioni, ma nella sostanza mi appare destinato a rimanere filosoficamente sterile.
Certo, la ricerca del plausibile risulta sempre impegnativa. Mette in crisi idee, valori e orientamenti etico-politici che le evidenze empiriche e una critica argomentazione dialogica rendono non più sostenibili. In questo senso, nel libro, provo a dimostrare che nella ricerca del plausibile viene alla luce la nostra saggezza, e nella chiusura dogmatica a ciò che è più plausibile la nostra stoltezza. A me sembra appunto che il naturalismo post-religioso e post-ideologico educhi più di ogni altra prospettiva filosofica a coltivare anche nella nostra sfera pubblica, sempre più culturalmente meticcia, una simile, costruttiva pedagogia della plausibilità. In ciò vedo risiedere anche lo stretto rapporto tra l’odierno naturalismo e la forza emancipatrice della laicità autentica, del rispetto del pluralismo, della crescita della libertà di ognuno di noi.
Quanto all’ultima parte della domanda: “non sta forse da una parte sola” la capacità di impegnarsi nella ricerca del plausibile e nell’eventuale revisione delle proprie tesi, risponderei così: da naturalista mi sento sempre impegnato a coltivare proprio una simile capacità, nella convinzione che la sua ricchezza umana può diventare significativa e feconda anche per chi, pur non essendo naturalista, non sia però fanaticamente propenso a sacrificarla a favore di pregiudizi dogmatici, vane speranze, visioni ideologiche della storia umana che in realtà si limitano a prendere il posto delle antiche fedi religiose. Ma quando è autentico, da ogni confronto — come anche da questa nostra conversazione — si esce sempre arricchiti e più consapevoli di se stessi e degli altri.
In proposito, lei sottolinea anche le aperture al confronto da parte dell’attuale pontefice. Papa Bergoglio non sembra tuttavia essere molto interessato alla teologia. Vien da chiedersi se è possibile un confronto filosofico con il mondo cattolico che prescinda dai teologi…
Non saprei se papa Bergoglio sia o non sia interessato alla teologia, anche se un qualche discorso razionale su Dio e sulla propria fede (teo-logia, appunto) costituisce sempre il presupposto di ogni esperienza religiosa non ciecamente fideistica. Mi sembra però che le sue aperture — poichè, almeno fino ad ora, è di aperture che è corretto e prudente parlare — vadano in una direzione ben diversa dall’autentica rotta di collisione con la modernità perseguita dalla teologia del suo predecessore. Se, per limitarci a qualche esempio, le polemiche antidarwiniane e la pretesa, cara al cardinale Ruini e a papa Ratzinger, che la teologia cattolica sarebbe addirittura l’unica depositaria e custode della dignità umana, se questa arroganza teologico-metafisica della gerarchia è alle nostre spalle, anche il pluralismo della nostra sfera pubblica e lo stesso confronto tra sostenitori del principio natura e sostenitori del principio creazione ne trarranno giovamento. Senza dimenticare che questo principio e la testimonianza di fede che esso ispira anche a tante cittadine e cittadini del nostro Paese, sono ben lungi dal costituire una sorta di proprietà o, ancor meno, di monopolio della gerarchia cattolica.
La seconda parte del testo è dedicata alla sua proposta filosofica, una “etica dell’ecoappartenenza” che sia “in grado di educarci finalmente al possibile buon uso terreno delle nostre capacità naturali e a mettere al servizio di ogni concreto impegno etico tutta la nostra saggezza”. Nelle pagine seguenti cita volentieri anche il pensiero di Bruno, Epicuro, Orazio… Negli ultimi secoli, quali passi ha compiuto la specie homo sapiens per procedere su una strada di ricerca che ha origini tanto nobili e antiche? Qual è l’ambito che, a suo modo di vedere, deve essere coltivato con maggior dedizione negli anni a venire?
Il naturalismo è una prospettiva che affonda le proprie radici lungo tutta la storia della filosofia e della scienza occidentali. Come testimoniano anche i nomi citati nella domanda e ai quali mi piace sempre aggiungere quello del nostro Leopardi, tanto amato quanto poco ascoltato dalla nostra tradizione culturale. Ancora oggi questi autorevoli sostenitori del principio natura hanno molto da insegnarci quanto a ricerca di saggezza e felicità terrene. Il naturalismo ha spalle larghe e radici ancora ben fertili e fruttuose.
A me pare tuttavia che noi odierni naturalisti abbiamo quasi una specie di privilegio: la comunità scientifica ci offre ogni giorno conoscenze nuove e in grado di rendere sempre più plausibile il critico superamento di ogni indebito ricorso al soprannaturale. In questo senso, mi sembra che uno degli eventi decisivi di tutta la modernità sia costituito proprio dalla rinascita dell’idea di natura di ascendenza presocratica, in alternativa all’idea di creazione di ascendenza biblica. Noi siamo gli eredi di questa rinascita moderna della naturalità del mondo e dell’uomo. Una rinascita indubbiamente complessa e contrastata dai difensori e dagli epigoni della tradizione platonico-cristiana, ma che solo pregiudizi teologici e crociate anti-naturalistiche possono far derubricare a mero scientismo, nichilismo etico-antropologico, polemica ideologica contro le fedi e le chiese.
E tuttavia, e qui mi rivolgo a chi naturalista dice di esserlo: essere eredi significa anche che il compito principale che oggi siamo chiamati ad assolvere da sostenitori del principio natura è proprio quello di definire e praticare finalmente e in positivo l’approdo etico di un naturalismo non solo metodologico ma anche filosofico. Come dire: definire e testimoniare la nostra capacità di saper vivere e morire senza protesi soprannaturali e avvicinandoci sempre più a quella “saggezza della felicità possibile” cui appunto è dedicata tutta la seconda parte del libro.
Il libro contiene una riformulazione eudemonistica della regola aurea: “fai per la fioritura della felicità degli altri tutto ciò che ritieni possibile e vorresti fosse fatto per la fioritura della tua felicità”. Cosa risponde a chi ricorda il rischio — presente nella stessa regola aurea — che si corre quando qualcuno è così convinto di sapere cosa si debba fare “per il tuo bene” da volerlo imporre a tutti?
In ossequio all’epistemologia della plausibilità, io provo innanzitutto a definire la capacità di Homo sapiens di produrre cultura e valori etico-politici ispirati a questa regola, non a caso presente in ogni cultura e valorizzata dallo stesso Darwin. Declinarla nei termini eudemonistici che anche voi avete appena ricordato mi sembra la conclusione più plausibile di un’etica dell’eco-appartenenza effettivamente emancipata da aneliti e da rimpianti di felicità soprannaturali. La ricerca di felicità, saggezza, virtù e amicizia (l’eudaimonia classica così mirabilmente definita e insegnata già da Epicuro) mi sembra più plausibile della ricerca di potenza caldeggiata da un naturalista moderno del calibro di Nietzsche, che alla fine proprio con Epicuro finì per polemizzare, come spero di aver efficacemente dimostrato. A mio parere, ricerca della propria felicità, sensibilità per ogni sofferenza e concreto impegno a favore anche della felicità degli altri, sono strettamente legati.
Capisco il rischio che siano gli altri a voler imporre a noi quello che sarebbe il nostro bene. Ma francamente è un rischio da cui proprio l’antropologia e l’etica dell’eco-appartenenza ci mettono due volte al riparo: esse, se coerentemente ispirate alla plausibilità del naturalismo moderno e al superamento di ogni imposizione agli altri delle proprie — e spesso presunte — Verità, ci dissuadono sia dall’imporre che dal subire anche qualsiasi bene-felicità che non abbia la libera approvazione di ognuno. Mi è difficile immaginare una plausibile ricerca di saggezza, felicità e solidarietà che non vada di pari passo anche con la tutela e la valorizzazione della libertà di ognuno.
Lei non lesina critiche al pensiero naturalista quando si limita a negare il teismo. È una posizione che anche l’Uaar fa propria. Come lei ricorda, già Nietzsche sosteneva che “colui che li attacca [i preti] finisce facilmente per contaminarsi”. Cosa che finì del resto per fare lo stesso filosofo. È una deriva a cui è impossibile sottrarsi? E come occorre agire per assumere costantemente atteggiamenti definiti in positivo?
In questa domanda vedo culminare un po’ tutto il senso della nostra discussione: il mio libro propone sicuramente, come il titolo eloquentemente recita, un elogio della felicità possibile, ben sapendo che la saggezza e la felicità non si prescrivono: di esse i naturalisti testimoniano la sobria e piacevole ricerca. Ma appunto: è questa ricerca che è tempo di elogiare, tanto più di fronte alle sfide ecologiche e bioetiche in cui tutti ci ritroviamo coinvolti.
Mi sembra infatti che l’odierno naturalismo si voterebbe a un ruolo subalterno se, dopo secoli di illuminismo moderno, si mostrasse in grado di definirsi soltanto come negazione del teismo: come a-teismo militante. Ovviamente, il superamento del teismo costituisce un aspetto ineludibile di ogni naturalismo che non si limiti a riproporre una qualche acritica contaminazione tra principio-natura e principio-creazione. A cominciare dall’ossimoro, così caro a teologi e metafisici cattolici, natura-creata, fino alle varie versioni del panteismo. Ma il naturalismo di cui siamo eredi ha già ampiamente assolto questa pars destruens dell’emancipazione moderna dal teismo, dalla metafisica e dalla secolarizzazione delle loro Verità e dei loro Valori. E certo non è un caso se persino la teologia cosiddetta “adulta” sia giunta da tempo a riconoscere che una visione naturalistica del mondo, dell’uomo e dello stesso sentimento religioso è del tutto plausibile. Esemplare a riguardo è la difesa dell’etsi deus non daretur da parte di un teologo protestante dell’importanza di Dietrich Bonhoefferr.
Noi odierni sostenitori del principio natura dobbiamo assolvere dunque un compito che non è né ingenuamente prescrittivo e né “soltanto” distruttivo, ma è plausibilmente propositivo e costruttivo. È un compito che insomma coincide col nostro saperci collocare non più contro, ma oltre ogni visione teologico-metafisica, educandoci così anche a definire e praticare tutta la felicità terrena che qui e ora, nel nostro presente, possiamo godere con saggezza e solidarietà. Perciò un intero capitolo è dedicato alla rivendicazione della “umana saggezza del presente”: della nostra capacità di saper vivere e morire senza confidare in alcuna futuristica felicità ultraterrena. E tanto meno in quella promessa dal principio speranza.
È nella realizzazione di un simile approdo etico che mi sento impegnato. Le polemiche di retroguardia contro la religione e le nostalgie del sacro (le ombre di Dio così ben smascherate da Nietzsche) sono ormai alle nostre spalle. Come lo è anche, giova precisare, il naturalismo da volontà di potenza verso cui Nietzsche sentì di dover indirizzare il proprio superamento della bimillenaria menzogna della metafisica platonico-cristiana. A me interessa non l’accrescimento dell’umana potenza, resa oggi ancora più insidiosa dal possibile uso mercantile delle biotecnologie, ma la fioritura e il sereno godimento della possibile saggezza e felicità di ogni essere senziente. Non è questo il senso della vita — l’umanesimo — che il principio natura ci consente di coltivare? Di più: ci educa anche a condividere alla luce della stessa regola aurea?
Bella intervista. Altro volume da acquistare.
Dedico questo paragrafo ai soliti noti – che magari non resisteranno dal commentare, viste le tematiche – e a tutti i loro compari 😀
gmd85. Sono perfettamente d’accordo con l’impostazione problematica data dal prof. Franceschelli. La questione si gioca sul concetto di natura, madre e matrigna per Leopardi. Poco o per nulla congruente con lo stile del professore trovo invece l’atteggiamento di chi usa espressioni malandrinesche ( i soliti noti, compari ) e faccine irridenti. Reduce da una predica serale del tutto insulsa e dalla lettura, ben più’ coinvolgente di Dawkins “l’orologiaio cieco” e “il gene egoista”‘ mi accontento di constatare per l’ennesima volta il fari play impeccabile di cotanto razionalista. Saluti agostani dal vecchio tuo.
@Flo
Impostazione che tu dimostri di non avere ogni volta che commenti, nonostante tu ti dica d’accordo. Sei riuscito a incartarti su Leopardi ponendo al centro anche se è uno degli autori citati. Ah, inutile che tu ti dia ad altre letture se comunque continui a dare credito a ciò in cui hai bisogno di credere 😉
Le “espressioni malandrinesche” hanno evidentemente sortito il loro effetto, visto che ti sei sentito chiamato in causa. Non ti smentisci mai, vecchio mio 😆
Le “espressioni malandrinesche” hanno evidentemente sortito il loro effetto, visto che ti sei sentito chiamato in causa.
ehhhhehhhhhhehhhhhhh……………eeeeeeeeehhhh
gmd85 Con tutta evidenza lei spesso e volentieri provoca con espressioni di compatimento e indebita familiarità’ allo scopo preciso di prendere per il lato B. Nel caso specifico avevo apprezzato la nitidezza con cui il professore ha inquadrato la problematica e trovato particolarmente degna di annotazione la bibliografia. Nitidezza che manca del tutto o quasi nella stragrande maggioranza dei sostenitori del Diritto Naturale. Non avevo alcuna intenzione di intervenire, ma la sua villania fa fremere le dita ( in futuro le metterò’ a bagno ). Senonche’ il un certo senso il professore invita al dialogo su dati plausibili, mentre lei vuole sfottere e non molto di più’. Allora facciamo qualche piccola annotazione. 1) E’ sicuro che i presocratici fossero materialisti, del tutto alieni da qualche tendenza panpsichista? Mi sembra di ricordare una frase se non sbaglio di Talete: “Tutto è’ pieno di dei”. 2) Un autorevole ( ed educatissimo ) frequentatore del blog ( prof. Gualerzi ) , se non ho capito male, sostiene che uno degli elementi necessari al funzionamento di ogni sistema sociale umanistica mente orientato e’ l’Utopia, ovviamente un’Utopia non troppo distante dalla “realtà effettuale”.
Spieghi lei, prenditore per i fondelli ormai quasi professionale, come si declina l’Utopia e in generale il mondo dei Valori in un sistema materialistico assolutamente coerente e senza teologie mascherate / inconfessate. 3) Trovo Dawkins un personaggio di notevole livello, che è’ opportuno leggere e rileggere attentamente, ma il suo rifiuto dell’ipotesi di una evoluzione in qualche modo “guidata” e’ di una sommarietà’ che ne rivela il pregiudizio iniziale ( credo motivato esistenzialmente ) la molto britannica impreparazione filosofica. 4) Mi sfugge in che senso mi sarei incartato su Leopardi, visto che l’illustre professore lo cita.
@Flo
Mi/le chiedo: ma lei capisce quello che legge?
O meglio lei legge quello che legge? O sfoglia invano cercando conferme o non conferme a quelle tre/quattro idee strampalate che ha in testa?
Evoluzione guidata? Sta parlando del famoso ID?
Lei pensa seriamente che uno scienziato debba perdere più di due righe di tempo per liquidare una boiata come quella?
Vede signor Flò l’onere della prova di ciò che si asserisce spetterebbe a chi asserisce!
Sarebbe un po troppo bello e facile inventare fandonie e poi dire: ora andatevela a cercare la dimostrazione.
“E’ sicuro che i presocratici fossero materialisti, del tutto alieni da qualche tendenza panpsichista?”
brrr… che paura… pensi un po… sai cosa potrebbe cambiare a noi se scoprissimo che avevano qualche tendenza panpsichista.
Secondo lei dopo duemila anni di evoluzione del pensiero dobbiamo ancora preoccuparci di questo?
Sopratutto sembrerebbe che dobbiamo pendere dalle labbra dei presocratici per decidere se credere o meno agli ‘spiritelli’? E, tanto per tranquillizzarla, non cambia nulla se al posto dei presocratici ci mette Xxxx o Yyyyy.
@Flo
Vecchio mio, tu Leopardi non perdi occasione di metterlo in mezzo per portare acqua al tuo mulino, deviandone il corso per come ti fa comodo. Impostazione che usi in ogni tuo commento e, probabilmente, nel tuo modo di ragionare.
Allora:
Eh, ma non puoi fare così, vecchio mio. Buttare un straw man solo perché interessa a te non è bello. Anzi, è proprio stupido.
Dati plausibili: ci sono quelli che tu spacci per tali o sei convinto che lo siano perché ti serve crederli tali – o proprio non riesci a interpretarli – e quelli che rifiuti perché cozzano con la tua visione. Tu, col plausibile, non hai nulla a che fare.
Presocratici: certo, il fatto che ci fossero speculazioni metafisiche o che si possano rintracciare collegamenti alla religione orfico/misterica sminuisce la sostanziale impostazione naturalista e materialista della filosofia presocratica volta a individuare spiegazioni razionali dei fenomeni naturali. Perché è questo che vuoi affermare, vero, vecchio mio?
Se tu non riesci ad andare oltre le tue necessità religiose/spirituali e innesti una eventuale Utopia solo su di esse, problema tuo.
Evoluzione teleguidata: se è teleguidata, non è evoluzione. Non ti rendi neanche conto che un’azione esterna, per te fondamentale, è più simile a un processo di selezione artificiale. Il fatto che tu consideri sbrigativo l’approccio di Dawkins, mi fa pensare che, di fondo, l’evoluzione tu l’hai assimilata a macchie. Chissà se questo fantomatio guidatore ha creato prima i formichieri e quando si è reso conto di come erano venuti fuori ha creato le formiche in modo che potessero vivere in formicai ai quali i formichieri potessero accedere. Pensavo anche che sarebbe strano, per questo guidatore, creare habitat popolati per la maggior parte da organismi dotati di sistema di filtraggio dell’acqua e poi inserirvi anche dei mammiferi. Così, giusto per esempio.
Mi sa che il primo commento era proprio fondato, vecchio mio 😆
Florenskij se l’evoluzione fosse guidata dovrebbero eserci anomalie statistiche nelle comparsa di mutazione ed eventi contingenti che hanno portato a Homo sapiens, ma è ampiamente dimostrato che tali mutazioni ed eventi sono stati totalmente casuali ergo nessun disegno.
Inoltre non è obiettivo della scienza spiegare il fine delle cose e supporre un progettista è superfluo per spiegare i fenomeni, la scienza non si occupa del trascendente quindi uno scienziato non ha bisogno di questa ipotesi e Dawkins è uno scienziato.
Inoltre è così difficile accettare l’dea di essere frutto del caso e di eventi contingenti. Non è forse più meritorio per H. sapiens esserselo guadagnato il suo status di superpredatore riuscendo a sopravvivere alle avversità della natura, sviluppando il suo encefalo e creando la Civiltà che lo ha sottratto alle insidie delle altre bestie?
@Flo
Ah, non è che una selezione artificiale debba avere fini particolari che vadano oltre un interesse tecnico/sperimentale. E se hanno senso in un contesto omogeneo – ovvero, una sola specie – su contesti diversi perde ogni significato.
@Flo
Ah, non è che una selezione artificiale debba avere fini particolari che vadano oltre un interesse tecnico/sperimentale. E se hanno senso in un contesto omogeneo – ovvero, una sola specie – su contesti diversi perde ogni significato.
@Flo
Ah, non è che una selezione artificiale debba avere fini particolari che vadano oltre un interesse tecnico/sperimentale. E se ha senso in un contesto omogeneo – ovvero, una sola specie – su contesti diversi perde ogni significato.
Ops, errori di connessione.
Da questo articolo emerge :
“…..nel libro provo a dimostrare che nella ricerca del plausibile viene alla luce la nostra saggezza….”
— Quando trattasi di “saggezza umana” sarei comunque un po’ più prudente ! Non dobbiamo dimenticare che nella nostra scatola cranica coesistono tré tipi di cervelli i quali non sempre sembrano trovare o adottare soluzioni razionali. Quello che decide non è il cervello razionale (neocortex) contrariamente a quello che credono miliardi di persone, bensi il limbico, epicentro delle nostre emozioni. E di qui nascono moltissimi dei nostri problemi che possiamo -quando è possibile- modulare trovando dei compromessi che possono avverarsi relativamente soddisfacenti. Comunque ognuno di noi è “libero” di sognare sempre sperando che il sogno non diventi, anche involontariamente, un incubo….
P.S. -Il termine « felicità » viene citato diverse volte nell’articolo ; personalmente lo ritengo eccessivo, avrei senzaltro preferito (per le medesime ragioni esposte sopra) un’alternativa di un termine che, modestamente, trovo più appropriato o giustificato : « benessere umano »…A torto ?
Dici tre tipi di cervello: neocorteccia, limbico e il terzo? sono curioso.
Rettiliano : cervelletto e tronco cerebrale. Ma potremmo anche andare ben oltre !
“Le polemiche di retroguardia contro la religione e le nostalgie del sacro (le ombre di Dio così ben smascherate da Nietzsche) sono ormai alle nostre spalle.”
Le ‘ombre di Dio’ sono ben smascherate da Nietzsche, afferma Franceschelli… ma secondo questo passo tratto da ‘La gaia Scienza’:
“Dopo che Buddha fu morto, si continuò per secoli ad additare la sua ombra in una caverna – un’immensa orribile ombra. Dio è morto: ma stando alla natura degli uomini, ci saranno forse ancora per millenni caverne nelle quali si additerà la sua ombra. – E noi – noi dobbiamo vincere anche la sua ombra!”
(F. Nietzsche – La gaia scienza – Libro III, par.108)”
non mi pare che combattere le ‘ombre di Dio’ sia un battaglia di retroguardia. Al contrario credo che sia una battaglia ancora tutta da combattere… e proprio perché Dio non è affatto morto. Si è solo camuffato, tenuto ancora ben vivo dentro gli uomini (nelle ‘caverne’ dell’inconscio) da un pensiero magico-religioso che si è ‘evoluto’ inventandosi sempre nuovi miti, creando sempre nuovi idoli. Addirittura – recentemente – rivestendoli con gli abiti tradizionali di un papa, modificati quel tanto che basta per presentarsi come ‘nuovo’. Trovando subito il consenso di tanti ‘orfani di Dio’.
E non solo questo naturalmente.
PS. Chi frequenta assiduamente questo blog sa che, appena si presenta l’occasione, ritiro fuori questo tormentone che confronto con le varie notizie. E questa – se ho capito quanto sostiene Franceschelli (il che è tutt’altro che assodato) – è una di quelle occasioni.
Devo concordare. Se non altro perché da quel che posso notare, la secolarizzazione, almeno dal punto di vista dei singoli, avviene a macchie. Magari mi sbaglio, ma il cambiamento si nota di più nelle nuove generazioni, anche se non è un dato omogeneo. E ciò è legato – questo è quello che ripeto sempre io, invece – a un più semplice accesso alle informazioni.
“Non saprei se papa Bergoglio sia o non sia interessato alla teologia, anche se un qualche discorso razionale su Dio e sulla propria fede (teo-logia, appunto) costituisce sempre il presupposto di ogni esperienza religiosa non ciecamente fideistica. Mi sembra però che le sue aperture — poichè, almeno fino ad ora, è di aperture che è corretto e prudente parlare — vadano in una direzione ben diversa dall’autentica rotta di collisione con la modernità perseguita dalla teologia del suo predecessore”
Personalmente non vedo proprio nessuna apertura, se non – come dicevo – di pura facciata. Del resto non capisco in cosa veramente dovrebbe consistere una teologia ‘non ciecamente fideistica’. La teologia… proprio quando intende imbastire ‘un discorso razionale su Dio’, e proprio perché dovrebbe ‘costituire il presupposto di ogni esperienza religiosa’… se vuole essere coerente con questa prospettiva, o sfocia in un ateismo tutto da costruire, oppure approderà ad un ‘credo quia absurdum’ da vivere esistenzialmente come sofferenza (qui parlerei di ‘religiosità’), non certo tale comunque da riconoscersi nelle religioni positive.
@ gmd85
L’accesso all’informazione, con la rivoluzione informatica in atto, o va di pari passo con un processo di trasformazione culturale (‘processo’, non rivoluzione), oppure rischia di presentare i soliti problemi senza che le straordinarie potenzialità del web vengano adeguatamente sfruttate. Per ora temo che i tempi della rivoluzione informatica (straordinariamente accelerati) e quelli di una trasformazione culturale (che non può che essere graduale) siano difficilmente sincronizzabili. In ogni caso bisogna provarci.
@bruno
Assolutamente d’accordo – anche sulle presunte aperture papali. Davo per scontato che a un accesso più ampio all’informazione dovrebbe seguire un cambiamento culturale, anche se, però, già il maggiore accesso potrebbe essere segno di cambiamento. Cambiamento che comunque è ancora agli inizi e tenacemente contrastato.
“Dio non è affatto morto.”
Ora dirò una cosa che, incredibilmente, metterà tutti d’accordo, ma per interpretazioni opposte della stessa frase:
Dio non è affatto morto, perchè non è mai nato!
@ Gianluca
“Dio non è affatto morto, perchè non è mai nato!”
E’ nato, purtroppo, nella testa degli uomini… e da lì – a mio parere – li sta ancora manipolando nella stragrande maggioranza. Magari, all’occasione, cambiando look.
Partendo dal commento di Bruno sulle “battaglie di retroguardia”, le quali, in effetti, sono appena iniziate e non concluse, vorrei sottolineare l’utilizzo del termine originario: “polemiche”, e non “battaglie”.
Tutta, ma proprio tutta, la critica negativa che da secoli viene mossa all’ateismo, risiede proprio in questa parola: polemica. Gli atei polemizzano. Gli atei non fanno critiche ragionate, gli atei polemizzano. Gli atei non possiedono una morale religiosa, gli atei polemizzano. Gli atei non accettano le gioie della fede, gli atei polemizzano. Gli atei polemizzano proprio contro i valori positivi che tutti accettano e sono anzi felici di condividere.
Ma che cosa vogliono questi atei? Perchè sputano nel piatto in cui mangiano? Sono polemici per natura: il Signore tende loro la mano, il Signore ha fatto loro dono della vita, ed essi la respingono arroganti e polemici.
Sapete che vi dico? Ho iniziato da un pezzo a stufarmi di questa fama negativa che gli atei possiedono. E tutto arriva proprio dall’utilizzo improprio della parola “polemica”. Dirò di più: si tratta di una parola che mi fa venire l’orticaria. L’ho già eliminata da un pezzo dal mio vocabolario, e se per caso mi scappa in un discorso, autorizzo chiunque a sputarmi in un occhio. E’ una parola che viene utilizzata da chi vuole imporre qualcosa agli altri con la forza, contro la loro volontà. Fateci caso: è molto comoda da utilizzare quando non si vuole cambiare un certo status quo imposto. E la si usa molto efficacemente al posto di “protesta”, quando si vuole immediatamente dare un significato negativo alla protesta stessa. Il popolo non ha il pane e protesta? Mangi brioches, e la smetta di fare polemiche. A te che non vai a letto con il principale non arriva l’aumento? Ma non fare polemiche. Sei stato battezzato e adesso protesti? Fai polemica di retroguardia.
Bah.
Caro Giorgio – anche se quasi sicuramente parto da presupposti diversi per obiettivi probabilmente da te non del tutto condivisi – faccio mio il tuo sfogo… quanto meno in relazione al continuo tentativo di smussare la forza critica, tenacemente razionale, che dovrebbe essere propria dell’ateismo anche a livello filosofico (questa è la mia personale scelta), accusandolo – come mi pare anche da parte di questo filosofo – di essere solo ‘polemico’, di non costruire niente di positivo, soprattutto accusandolo di prendersela ‘ancora’ con dio e coi suoi rappresentanti in terra.
Perciò – DA ANARCHICO (PER ME SINONOMO DI ATEO) NONVIOLENTO (buonista, pacifista, ecc.) – riporto questo mio ‘sfogo… scritto tempo fa in tono volutamente apocalittico, provocatoriamente catastrofico, in chiave psicanalitica… che ha come bersaglio quanti ritengono di fatto che bisogna venire ad un comrpomesso con dio (cioè poi, concretamente, coi suoi rappresentanti), illudendosi di averlo finalmente reso inoffensivo. E con lui i suoi rappresentanti.
Il tutto – ribadisco – da anarchico nonviolento, quindi ‘non polemico’, nel senso che, mi pare di aver capito, intendi tu.
Ecco parte del testo:
“Domanda: “Dio è morto?”.Risposta – da prendere proprio alla lettera: nemmeno ‘per sogno’!
Infatti, anche chi avrebbe voluto, o dovuto, ‘ucciderlo’ – chi ancora ‘crede’ di averlo ucciso – ne è diventato in realtà quasi sempre solo l’ennesimo orfano inconsolabile, tenendolo così ben vivo ed operante dentro di sé. E vivo ed operante al livello più pericoloso, cioè al livello di un inconscio non riconosciuto come tale, non riconosciuto, in altre parole, per ciò che è relativamente alla nostra possibilità di ‘sondarlo’… Il che significa lasciarlo libero di agire fuori controllo, lasciarlo in sostanza, di fatto, tutto interno al ‘sonno della ragione’. Con le conseguenze che ben si conoscono…
Perché un dio che occupa il posto di un inconscio non riconosciuto per ciò che è può diventare un dio ferocemente vendicativo, messo in grado di disporre dispoticamente, senza incontrare resistenza, di chi ‘lo rimuove’. Per cui, non solo dio non è morto, ma se gli uomini non riusciranno a liberarsene davvero nel solo modo possibile e il prima possibile, ad ‘ucciderlo’ dentro di sé smettendo di evocarlo come se fosse un interlocutore attendibile, e soprattutto smettendo di ‘sostituirlo’ col dare credito a sempre nuovi miti, SARA’ DIO AD UCCIDERE GLI UOMINI. Se i miti (la mitopoiesi) – di per sé ineliminabili in quanto scaturiti dall’inconscio – continueranno ad essere ‘razionalizzati’ solo a proprio danno, SARA’ DIO AD UCCIDERE GLI UOMINI.
Quindi occorre liberarsi di dio il più presto possibile perché ormai non resta più molto tempo per procrastinare questa ‘resa dei conti’ nella speranza di rimediare ai danni – che il rinvio sta ogni giorno di più rendendo irreparabili – facendoli come sempre subire e pagare ai soliti fiduciosi credenti di una qualsiasi fede…
i quali però in passato avevano almeno la possibilità, trovandosi traditi nella loro fiducia, di ‘ri-credersi’, mentre ora a farne le spese potrà essere l’intera umanità, credenti e non credenti. Perché in grado oggi, questa umanità… con gli stessi mezzi da lei scientificamente elaborati per tutt’altri scopi, con ben altre prospettive di vera emancipazione… di liberarsi ‘finalmente’ della dimensione astratta in cui si è sempre fatta cacciare da dio. In grado di proiettarsi concretamente (tecnicamente: vale a dire non più solo in modo rituale, ‘teorico’ – anche se spesso disumanamente sacrificale) ‘aldilà’ dello spazio e del tempo.
Eros (l’istinto di vita), ciò che a suo tempo ha ‘creato dio’ puntando sulla trascendenza, sull’‘oltre-sé’, per sfuggire a Thanatos (l’istinto di morte) potrà avere ‘finalmente’ la meglio su quest’ultimo… ma al prezzo paradossale – per togliere la morte dalla vita – di proiettare concretamente (tecnicamente) quest’ultima oltre se stessa, in braccio alla trascendenza.
Eros – l’istinto di vita degenerato ormai da tempo, e forse in modo ormai irreversibile, in vitalismo, cioè in sfida alla morte per ‘dimostrare’ la propria supremazia su di essa – potrà proiettare definitivamente l’uomo in braccio a dio: di fatto in braccio a quel nulla d’esperienza da cui ha sempre cercato – legittimamente per altro, perché necessariamente, in quanto esigenza ineliminabile della condizione umana – di fuggire. Cioè in braccio alla morte. Definitivamente.
«
Necessaria precisazione.
‘Liberarsi di dio’ è possibile solo se lo si conosce per ciò che rappresenta veramente per l’uomo, soprattutto – è una mia convinzione nel blog continuamente ribadita, anche se non molto condivisa – se ne viene riconosciuta, in considerazione della condizione umana, l’esigenza. Che le religioni si illudono di soddisfare.
Una forma di conoscenza di cosa veramente dio ha rappresentato, e continua a rappresentare, per l’uomo credo sia poi possibile anche con la scienza (soprattutto con le neuroscienze)… ma non credo (se ne è discusso più volte – soprattutto con l’amico Pendesini – ma adesso non sto a richiamarlo) che da sola possa bastare.
@bruno
Con “essere razionalizzati a proprio danno” intendi quell’ insulsa quanto parossistica necessità di rendere razionali le proprie credenze, della quale parlavamo qualche in qualche news addietro? In ogni caso, aspettai un’esternazione del nostro Flo. 🙂
@ gmd85
“Con “essere razionalizzati a proprio danno” intendi quell’ insulsa quanto parossistica necessità di rendere razionali le proprie credenze…”
Sostanzialmente sì. ‘Razionalizzati a nostro danno’, è detto – come tutto il resto – in senso psicoanalitico, che, senza essere ‘ferrato’ più di tanto in materia, in questo caso mi è sembrato particolarmente adatto per offrire una chiave di lettura a quanto intendevo dire. Comunque a rigore – secondo la vulgata psicoanalitica – ‘razionalizzare’ sta a indicare, come si sa, l’impulso inconsapevole a dare una spiegazione padroneggiabile con la ragione (‘razionale’ appunto) a qualcosa che in realtà ci spaventa, ci turba al punto da ‘rimuoverla’ come tale. Quindi propriamente la razionalizzazione è sempre ‘a nostro danno’… ma qui il ‘danno’ consiste più che altro nell’incapacità di cogliere la vera natura di certe nostre mitizzazioni, di accettarle per quello che sono: invenzioni – c he personalmente ritengo dettate comunque da un’esigenza – tendenti ad esorcizzare la paura di vivere. Come le religioni. Il che non esaurisce certo il discorso sul mito, ma in questo caso credo sia pertinente quanto scrissi.
In quanto al nostro Flo, nel caso intendesse intervenire, mi aspetto (forse non solo da lui) un ‘brutto voto’ in psicoanalisi che probabilmente merito per l’uso ancora troppo freudiano che ne faccio, mentre la ricerca in questo campo è andata sicuramente oltre. Però questo è quanto ne so… e siccome si presta particolarmente, come dicevo, a ciò che intendevo esprimere… ben venga il vecchio Freud. Ormai sono troppo vecchio per ‘aggiornarmi’ 🙂
@bruno
Allora, permettimi di riproporre il termine pseudorazionalizzazione. Perché rimandare ciò che non si capisce a non ben delineate o specificate entità superiori di razionale – e razionalizzante – ha poco. Se non altro, perché i significati che si attribuiscono non hanno riscontro. O, meglio, hanno riscontro per chi si convince che ne abbiano. Resta da capire se questa necessità ha origini di tipo prettamente neurologico, come afferma pandesini, o se si tratta di un processo psico/culturale.
“Resta da capire se questa necessità ha origini di tipo prettamente neurologico, come afferma pandesini, o se si tratta di un processo psico/culturale.”
Mio parere personale, più volte espresso… e in genere poco condiviso. Tutto ha origine dalla condizione umana e, in subordine (nel senso di sua ‘conseguenza’), si può analizzare sia in quanto meccanismo neurologico che come processo psico/culturale, in continua ‘evoluzione’ e in reciproco condizionamento. E a mio parere il ‘fenomeno religioso’ è spiegabile prima di tutto in riferimento alla condizione umana, all’esperienza della sua precarietà (Credo di averne già parlato più o meno con tutti, quindi di sicuro anche con te.)
La ‘razionalizzazione’ di cui parla la psicanalisi è sempre un pseudorazionalizzazione, nel senso che in realtà è un espediente per nascondere alla coscienza ciò che – nel caso in questione – è la vera causa della alienazione religiosa: la paura dell’esistenza. Ovviamente – sempre in chiave psicanalitica – rimossa (nascosta alla coscienza) come paura. Non ‘razionalizzare’ questa paura significa averne consapevolezza come tale, e accettarla come tale senza esorcizzarla. Ciò che ad alcuni (parlo di atei consapevoli) riesce ‘naturalmente’, ad altri (in questo caso si cita sempre, giustamente, Leopardi) procura sofferenza.
PS. Scusa il tono ‘didascalico’… ma sono pur sempre un insegante in pensione, che considera propri allievi anche chi sicuramente ne sa più di me 🙂
@bruno
In linea di massima, concordo. Ma peno anche che, in casi estremi, la componente neurologica sia da non sottovalutare. Diverse volte ho avuto a che fare, on line, almeno, con soggetti ai quali potevi rispondere nella maniera più logica possibile – e più volte ci siamo trovati in più di uno a cercare di far capire dei concetti ai soggetti in questione – ma senza sortire alcun effetto. Dimostravano una disarmante incapacità di pensare criticamente. Se poi erano consapevoli dei loro errori, beh, la pseudorazionalizazione di cui parliamo, allora, si stava esprimendo ai suoi peggiori livelli 😛
P.S. Io saperne più di te? Nah 😉
Sono sulla linea di Alessandro Pendesini. In primo luogo, tutte le nostre elborazioni (elucubrazioni?), comprese le presenti, sono solo il prodotto di un organo, il cervello, che si è evoluto a partire da una struttura animale molto simile, anche se, a suo insindacabile giudizio (!!) più semplice (meno evoluta?) e che apparteneva a ominini o giù di lì. Solo un gradino più in là. Niente di mistico lo differenzia. Se esistessero criteri oggettivi indipendenti dall’uomo, si direbbe che tali elaborazioni hanno solo un valore relativo per i nostri comportamenti quotidiani: ovviamente, se il cervello si mette invece al centro dell’universo, per quel tipo di universo è tutto chiaro: spiega, confuta, poi va a letto soddisfatto. Un po’ megalomane.
In secondo luogo, sempre il cervello di alcuni individui (tanti, pochi? Dipende) ha bisogno di qualcosa di soprannaturale per calmarsi quando è agitato o non capisce qualcosa. Acquisire questa calma lo fa stare bene. Uno di questi calmanti si chiama dio, non so se nell’arco di una vita questo postulato costi in media più o meno che altri pannicelli. Però su questa ricerca di quiete si inseriscono interessi manipolativi concreti, ed è poi difficile distinguere l’originale dalla copia. La cosa meno tollerabile è che qualcuno voglia imporre questa calma, in certi tempi e paesi anche con la forza: un po’ come costringerti a drogarti.
http://ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/06/16/elogio-di-una-laicita-possibile/
Segretaria: Santità, perchè non si interessa di teologia?
Papa Ufficiale: Porquè non ne capisco una Valeria top model mi connazional.
Er Profeta: A felicità, come a diceva er Leopardi, è solo nà cessazione der dolore.
Cherubino: Ammazza che pensiero sofisticato.
Er Profeta: E l’ho pure asperimentato de persona.
Cherubino: Davero? E quanno?
Er Profeta: Nà vorta, che me scappava de piscià ma ho dovuto aspettà cinque minuti perchè er cesso era occupato, n’te dico poi quando ebbisi epletato quanno è staTo bello.
Cherubino: A Maomè, sei sempre sensibile.
Qui Maomè è stato veramente profetico a sua insaputa! Il povero Leopardi è ancora da tanti considerato come un disgraziato che in realtà soffriva… perché non poteva ‘piscià’ 🙂
In realtà “sensiBBile” andrebbe con due bi 😉
@Florenskij
Vorrei ricordarle che l’uomo è probabilmente il solo animale che può deliberatamente ignorare le informazioni razionali fornite dal suo cervello, quando le sue passioni l’abitano. Ma è anche l’unico che utilizza l’auto-inganno come un modo per evitare idee sgradevoli per non dire insopportabili, mentre quello degli animali ha la funzione di informarli il più accuratamente possibile e ovviamente non ingannarli ! Créature divine dites-vous ?
P.S. . La macchina più complessa della Terra non può sfuggire alla sua animalità, e neanche semplicemente al fatto che il suo pensiero -o coscienza- non è altro che il prodotto dei suoi circuiti neurali, senza dei quali la coscienza è -tout simplement- impossibile !..Bien à vous
@Florenskij
Dimenticavo che aspetto tuttora la sua risposta su cosa intende dire -o dimostrare- quando allude al « Principio antropico forte e/o debole ! » Sempre sperando che…..Anticipatamente la ringrazio
Facevo una riflessione: ci sono miliardi di esseri umani che nella storia hanno vissuto e vivono senza il dio dei cristiani.
Esseri umani che se ne sono sbattuti altamente di tutte queste menate filosofiche semplicemente perchè sono nati in un altro tempo o in posti in cui il cristianesimo non è riuscito ad attecchire.
Mi chiedo perchè un filosofo occidentale (parlo di quelli atei) debba sempre ricondursi al contesto in cui è nato e/o sviluppato.
Ossia mi chiedo perchè concedere sempre un appiglio o un contentino alla controparte credente.
Perchè legittimare quali interlocutori persone che hanno deciso spontaneamente di abdicare alla propria intelligenza.
Mi rendo conto del fatto che delegittimare sul piano della dialettica e della cultura i credenti significherebbe rendere nudi miliardi di persone e qualche migliaio di pezzi grossi ma questa è la verità.
Ma di cosa stiamo parlando? Ma siamo ancora a parlare di dio?
Una parola talmente vuota che ci si può mettere tutto di niente e niente di tutto?
Se oggi convivessimo invece che con i cristiani con i faraoni e la loro religione saremmo davvero qui a discettare sul dio Horus o chi per lui? Ci sarebbe un Flo che citerebbe qualche scriba e tirerebbe fuori la sacra pergamena di vattelapesca e noi a controbattere?
Purtroppo dio non è morto e bisogna ancora lottare molto alla base per riuscire a creare una società in cui si possa vivere bene anche non credendo a nessun dio, senza quindi essere soggetti ad imposizioni e/o regole da parte di quella società che crede nei fantasmi.
Ma ad un certo livello più alto dovrebbe nascere un nuovo modo di porsi nei confronti di chi crede. E secondo me quel modo non può che essere di delegittimazione.
A certi livelli si dovrebbe guardare il papa e scoppiare in una sonora risata dicendo: “Ma, mi scusi, lei va davvero in giro vestito così a fare dei segni cosà senza provare un minimo di vergona?”
Altro che dialogo…
Sappiamo benissimo che questi non hanno nulla da insegnarci basti vedere le ridicole risposte del papa, nientepopodimenoche, teologo ad Odifreddi.
Cosa abbiamo da imparare da figuri come questi?
Confronti? Dibattiti?
Ma diciamo le cose come stanno e ridicolizziamoli una volta per tutte!
C’è solo una risposta: vuoi credere a dio? Se ti fa bene credici!
Vuoi credere a babbo natale? Idem ma, per favore, basta rompere gli zebedei! E sopratutto quando stai nella società ti devi comportare non da ‘cristiano’ ma da Uomo. Poi per conto tuo puoi continuare a giocare come vuoi e a pregare chi vuoi, i tuoi giocattoli non te li tocca nessuno.
Un po’ sanguigno, ma non hai tutti torti.
Sì… però è anche vero che quando ci vuole ci vuole.
Hai presente quando una persona è sotto attacco di panico/isteria e sta cercando di buttarsi dal balcone?
E dove un paio di sberle servono per farle riprendere coscienza di sè? Mi sembra che qua a mezzo mondo servirebbe una cosa del genere!
Questi continuano ad ammazzarsi e a parlare di morti sciiti, morti cristiani, morti mulsulmani…
Non se ne esce più!
Quanto sangue deve essere ancora versato in nome di questo loro dio?
Dobbiamo ancora dargli credito?
Dobbiamo ancora rispettare le menate e le lezioni di moralità che ci vengono propinate da questi individui retrogadi che se oggi hanno un minimo di presentabilità è perchè a forza di calci in culo gli abbiamo inculcato un minimo di rispetto per i diritti civili elementari?
Questi se ne fregano di ragionare con noi e tirano avanti per la loro strada però pretendono che noi teniamo di conto le loro follie quando esercitiamo il nostro libero pensiero.
Ridicolizziamoli, togliamo loro lo status di persone che meritano rispetto. Il rispetto lo si conquista sul campo.
Un ciarlatano, una volta smascherato per quello che è, non merita rispetto… nell’ambito di quel determinato aspetto naturalmente.
Perchè fino a quando ci saranno persone ossequiose che si rivolgono loro come se stessero parlando con una persona meritevole di stima, la massa vociante dei credenti, continuerà a pensare di stimare/seguire una persona rispettabile.
Ridiamogli davanti…. una risata li seppellirà!
Una bella risata, forse, seppellirà tutte le religioni!