Non c’è nulla di particolare nella scuola che non vorremmo per i nostri figli. Non abbiamo particolari riserve per quanto riguarda l’edificio, sebbene auspichiamo che sia sufficientemente vivibile, che vi sia un impianto di riscaldamento funzionante e che magari le classi non siano eccessivamente affollate. Certo, ci aspettiamo che sia dotata di servizi basilari, quali una palestra e una biblioteca, se possibile anche di ausili informatici di livello adeguato, ma non sono queste le nostre principali preoccupazioni. Per intenderci, non è per l’assenza di una Lim che decideremmo di rivolgerci altrove. Se decidiamo di farlo è verosimilmente perché non riteniamo quella scuola in grado di assolvere in maniera soddisfacente al suo compito primario: istruire ed educare.
Una scuola che si lascia condizionare da ideologie di parte non è la scuola che vorremmo. Il che non vuol dire affatto che le ideologie non debbano entrare nei programmi scolastici, semmai che dovrebbero entrarci come oggetto di studio e non come riferimento educativo. Purtroppo spesso ci troviamo a dover lottare proprio perché qualcuno cerca di ideologizzare la scuola, di orientare i programmi per fare in modo che il sapere, quello con la esse maiuscola, ceda il passo a convincimenti privi di fondamento, o che gli orientamenti filosofici vengano imposti e spacciati per verità assolute e inoppugnabili. Ne sanno qualcosa gli studenti dell’Alabama, dove i testi di scienze e biologia contengono un incredibile avvertimento recante la falsa affermazione secondo cui la teoria dell’evoluzione sarebbe “controversa” perché “mai osservata direttamente”. La cosa più assurda è che oggi, nel 2016, il consiglio nazionale dell’istruzione ha deliberato a maggioranza, incalzato dai gruppi cristiani conservatori, che quell’avvertimento deve continuare a rimanere al suo posto, con buona pace di quanti ne chiedevano la rimozione.
Dalle nostre parti la battaglia simbolo da questo punto di vista è quella per l’eliminazione dell’ora di religione cattolica, anche se per il momento non c’è molto altro da fare, dal punto di vista pratico, che lottare perché vengano almeno garantite valide alternative a chi non vuole seguirla. L’effettivo superamento di questo insegnamento confessionale richiederebbe infatti la revisione (bilaterale) o la denuncia (unilaterale) del Concordato tra Stato e Chiesa, ma entrambi i traguardi appaiono al momento irraggiungibili dato l’intreccio di interessi reciproci tra i due enti.
Molto si può fare invece per tutto il resto dell’attività scolastica, di tanto in tanto bersaglio di fanatici non molto diversi dai sostenitori del creazionismo in Alabama. Basti pensare ai consueti appuntamenti con i riti religiosi in occasione delle principali festività cattoliche, o all’immancabile contrapposizione tra i sostenitori del presepe e della laicità dell’istituzione scolastica, o ancora alla pretesa di bandire dai programmi di studio qualunque argomento contrasti con i convincimenti ideologici ora di una parte ora dell’altra, a cominciare da quelli in cui si parla in qualche modo di sfera sessuale e affettiva. La cosa curiosa è che si fa un gran parlare di inclusività quando si tratta di imporre la propria cultura, vedi capitoli “ora di religione” o “celebrazioni natalizie”, salvo poi impedire che questa inclusività sia compiuta effettivamente aprendo a tutte le culture e invocando il principio opposto, quello dell’esclusività, quando il programma non è di proprio gradimento, vedi capitolo “educazione sessuale”. In casi come quest’ultimo occorrerebbe procedere paradossalmente per sottrazione, spogliando la scuola come una margherita con il rischio di rimanere con giusto qualche petalo, se non addirittura con il solo calice.
È proprio questo il genere di scuola che non vorremmo. Vorremmo piuttosto che la scuola fosse realmente inclusiva, che permettesse a tutti di esprimersi, che ammettesse qualunque cultura e qualunque visione del mondo facendo allo stesso tempo attenzione affinché non ve ne sia una che prevarichi le altre, in cui la decisione su cosa è opportuno insegnare non avvenga al netto dei veti ideologici. Non vorremmo una scuola in cui gli studenti ammettono di non studiare la Costituzione e chiedono di fare più educazione civica, come quella emersa nell’indagine dell’Associazione Treelle presentata all’Università Luiss. Vorremmo piuttosto una scuola che se proprio non può essere fiore all’occhiello che almeno non sia simbolo dell’inefficienza, quantomeno non al punto da far diventare i rimbrotti dell’Ocse un appuntamento fisso.
Non vorremmo una scuola come quella di Perugia, che ha dovuto annullare una gita al cinema a vedere Kung Fu Panda 3 per una ragione che ha dell’assurdo: per i genitori di tre dei novanta alunni quel film d’animazione sarebbe veicolo di diffusione della fantomatica “teoria gender”, visto che il protagonista ha due padri. All’origine di questa stupidaggine c’è ancora una volta lui, l’ultracattolico Mario Adinolfi, beniamino delle Sentinelle in piedi, co-organizzatore del Family Day e candidato a sindaco di Roma, che annunciando su Facebook l’appuntamento con la sua trasmissione su Radio Maria ha puntato il dito sul panda con due papà. Di cui uno biologico e uno adottivo, ma forse questo ad Adinolfi non l’hanno detto o non l’ha capito, perché se gliel’hanno detto e l’ha capito la cosa sarebbe da manuale psichiatrico.
Il Garante per l’infanzia dell’Umbria parla chiaramente di clima da caccia alle streghe e annuncia un interpello presso l’Ufficio scolastico regionale, il ministro Giannini ribadisce la “truffa culturale del gender” e la preside si rammarica di non aver potuto nulla contro la mancanza della necessaria unanimità; sarebbe bastato che i genitori dei tre alunni avessero tenuto per una volta i bambini a casa, che è poi quello che ai non cattolici si chiede di fare tutte le settimane durante l’Irc, con l’ulteriore aggravante che in quest’ultimo caso c’è un difetto di pluralismo. Ma non l’hanno fatto, così la gita è saltata e a rimetterci sono stati gli alunni. Tutti e novanta, non solo gli ottantasette i cui genitori non pendono dalle labbra dell’Adinolfi di turno. Purtroppo nella scuola che non vorremmo capita anche questo. Ma il problema vero, alla fine, è che la scuola che non vorremmo non è una tra le tante. È semplicemente, troppo spesso, la scuola italiana.
Massimo Maiurana
“Una scuola che si lascia condizionare da ideologie di parte non è la scuola che vorremmo”
Premesso che non si può che concordare con quanto scrive Maiurana, ho ripreso questo punto perchè, all’atto pratico (nell’effettivo rapporto con gli allievi) è poi estremamente difficile non lasciarsi condizionare da ‘ideologie di parte’. In altre parole, tutto giusto e da perseguire quanto ‘vorremmo’ (e che una scuola veramente laica ‘deve’ volere), ma per questo si dovrebbe contare su una sorta di insegnante più virtuale che reale, in grado cioè di spogliarsi delle proprie convinzioni più radicate, della propria, diciamo, personalità o, se si preferisce, della propria ‘filosofia di vita’ risultando – ammesso e per niente (e per fortuna) concesso che ci riesca – un sorta di marziano proveniente, appunto, ad un altro pianeta, non una persona in carne ed ossa che vive nel suo tempo e nel comune contesto sociale. Certo, si può , anzi si deve, fare appello alla sua onestà intellettuale, al suo ruolo – assieme a quello fondamentale di trasmettitore di sapere – di educatore in grado cioè di contribuire a formare coscienze il più possibile libere, stimolando soprattutto la capacità critica degli allievi…
ma non credo che sia sufficiente. Se l’insegnante è in grado di stabilire un rapporto di fiducia reciproca con gli allievi (a mio parere presupposto fondamentale), dopo non può fingere – come dicevo – di essere una sorta di imparziale dispensatore di sapere, quale che sia la materia che insegna, perchè non sarebbe credibile… o meglio, alla fine risulterebbe proprio poco onesto intellettualmente.
Per esperienza personale, credo che – come dicevo – prima di tutto si debba conquistare la fiducia degli allievi… ma per ottenere e consolidare questa fiducia credo anche che si debba ‘giocare a carte scoperte’ (naturalmente con riguardo all’età degli allievi), e così mostrare come si possa essere di parte e non per questo essere necessariamente un ‘indottrinatore’.
Cosa difficile, certamente, ma quando ci si riesce… non fa rimpiangere di fare l’insegnante di professione.
(Tutto ciò può non essere solo utopistico se naturalmente la scuola pubblica è in grado di garantire quel minimo di agibilità pratica richiamata nell’articolo… ciò che stando così le cose sembra a sua volta ancor più utopistico… ma si può cercare di fare – come si dice – di necessità virtù. Utopia per utopia, meglio puntare sulla prima.)
Sono d’accordo e ho sempre ammirato gli insegnanti che dicevano apertamente il loro punto di vista, sia politico che religioso. Con gli allievi delle medie e delle superiori è utile per farli crescere, per farli sentire maturi; non è consigliabile invece alle materne e alle elementari, dove politica e religione dovrebbero proprio restare fuori dai cancelli.
Penso anch’io che una vera equidistanza sia impossibile.
Però, esistono modi differenti di essere di parte, con varie gradazioni. Per esempio se un insegnante di storia mi cita Cardini o Messori c’è una bella differenza.
E soprattutto insisterei sull’insegnamento dello spirito critico, del metodo di studio, cioè di fornire agli studenti i mezzi per potersi fare una propria visione del mondo.
Però, questo problema riguarda solo alcune materie, in diverse materie non ci sono spazi per le ideologie.
Nel caso americano su evoluzionismo e creazionismo si sta proprio facendo ideologia.
E nel caso della scuola di Perugia non è stato proprio applicato il metodo critico: se avessero visto il film o almeno letto la trama avrebbero trovate ridicole ed ideologiche le tesi di Adinolfi. L’esistenza di un padre biologico (o genitori biologici) da cui per qualche motivo si è stati separati e poi si ritrova e di un padre adottivo (o genitori adottivi) è una cosa che si è verificata e si verifica regolarmente ed è tema di diversi film e racconti: i due padri non sono una coppia. Solo dei fobici ideologizzati e paranoici possono prendersela per una storia del genere come se fosse qualcosa di nuovo e vedere ciò che non c’è. La casa produttrice del film è poi specializzata in film tradizionali: basta guardare tutti i film prodotti.
@ Bruno Gualerzi, Mafalda, RobertoV
Andrebbe comunque precisato che bisogna distinguere tra il singolo docente, che non può in assoluto essere neutrale, e in questo concordo con quanto avete scritto, con l’ISTITUZIONE scolastica, che invece DEVE essere super partes. In questo senso il pensiero sotteso all’autonomia scolastica, e cioè che ogni scuola ha il diritto a darsi un suo orientamento ideologico e culturale, è assolutamente inaccettabile e apre la strada a pericolose forme di intolleranza verso i docenti e di discriminazione fra gli studenti.
La scuola che volessimo….
Ma saressimo poi in grado di farla funzionare come dovrebbimo?
Gli spazi di confronto e dibattito sono pochissimi. Se anche lei, Gualerzi, cede a queste modalità il blog e meglio che chiuda. Basisco che su un tema basilare per le nostre vite, e mii riferisco al post precedente, non ci siano risposte.
Ovviamente nulla ho contro il cazzeggio, ma c e anche la necessita di capire come e quando e quanto farlo.
@ Tiziana
Hai ragione circa il ‘cazzeggio’ penosamente goliardico… ma credevo di potermelo permettere dopo che avevo inviato un intervento perfino troppo ‘impegnato’. Pensavo in questo modo di avere portato il mio contributo ad un tema che mi è sempre stato a cuore. Colpa mia se te ne ho distratto.
@ Tiziana
Scusa, ma trovo assolutamente fuori luogo il rilievo fatto a Bruno Gualerzi.
Stefano ™
Concordo. Giù le mani dal nostro decano!
«… ma c e anche la necessita di capire come e quando e quanto farlo…»
Vale anche per i rimbrotti: facciamo che dopo la terza replica è cazzeggio censurabile?
Bruno Gualerzi, la tua fosserebbe una grande domanda ma come vedi non stiamo capiti.
La scuola che non vorrei è quella che porta i bambini a vedere film di intrattenimento. Credo che se un film bisogna far vedere durante le ore scolastiche si devono far vedere film che gli alunni non andrebbero a vedere da soli o in famiglia. Io mi ricordo che alla medie a scuola mi portarono a vedere Billy Helliot e Grey Owl, che trattavano dei temi abbastanza impegnati. Chiaramente alla scuola dell’infanzia vanno fatti vedere film adeguati all’età, sicuramente kung fu panda è adatto all’età ma è di quei film di intrattenimento che comunque verrebbero visti in famiglia, non ha un vero contenuto didattico.
Chissà che casino avrebbe fatto Adinolfi per Billy Elliott, che, mi sembra di ricordare, trattava di un maschietto che si dedicava al balletto arte “femminile”. Mi sembra che i perugini fossero scolari, forse di un paese… La scuola può offrire anche un momento ludico . quello che mi sembra un problema gli altri genitori silenti davanti ai tre riottosi
Chissà che casino avrebbe fatto Adinolfi per Billy Elliott, che, mi sembra di ricordare, trattava di un maschietto che si dedicava al balletto arte “femminile”. Mi sembra che i perugini fossero scolari, forse di un paese… La scuola può offrire anche un momento ludico . quello che mi sembra un problema gli altri genitori silenti davanti ai tre riottosi
Tiziana
Tra i genitori silenti si annidano sicuramente alleati dei tre riottosi, ma la maggioranza comunque non si esprime perché forse va di moda essere tolleranti. Ecco, questa è una di quelle occasioni in cui essere buoni è controproducente. Mi chiedo dove fossero le insegnanti di quei bambini: troppo tolleranti e intimorite per affrontare quei genitori invasati? Vergogna.
D’accordo, però nel caso specifico la motivazioneera ben altra!
Bella questa, quando si protesta per messe e benedizioni a scuola in orario di lezione i talebani cattolici sbraitano che “non è obbligatoria” e che chi non vuole “non partecipa” o “non manda i figli”, quando si tratta di cose, peraltro innocue, a loro non gradite, bisogna vietarle a tutti.
Mi sfugge cosa possa avere a che fare con l’istruzione la visione di un film d’animazione come “Kung Fu Panda”. Tutt’al più posso scorgerne la funzione di intrattenimento, ma una scuola che faccia istruzione non deve fare intrattenimento, se non eventualmente finalizzandolo (appunto) a qualche tipo di contenuto istruttivo. Attenzione: istruttivo, non “formativo”, ché il concetto di “formazione” è davvero molto, molto vicino a quello di “indottrinamento”, quale che sia l’orientamento della dottrina insunuata tramite contenuti leggeri nella forma ma non necessariamente nella sostanza.
Sento la necessità di precisare che il ragionamento, pur partendo dal caso specifico, va ovviamente considerato nella sua valenza generale. Ad esempio, potreste andare sulla pagina principale di YouTube e tentare una ricerca con la chiave “donald duck war” o “donald duck army”… Allora, la propaganda prendeva una certa piega, adatta a quei tempi, e la gente ci “nuotava” senza neppure farci caso. Oggi la piega è cambiata, i tempi sono diversi, le tecniche più sottili, ma le intenzioni e gli effetti sono gli stessi. Diffidare è prudente.
benjamin
Proprio per questo il ruolo delle insegnanti che hanno fatto questa scelta educativa e didattica è fondamentale: dovrebbero esporsi e difendere la loro proposta. Perché volevano portare i bambini a vedere questo film? Cedere a genitori simili significa dar loro ragione, lascia intendere che lo scopo della visione del film era proprio quello temuto dai 3 contestatori. Se io porto i bambini a vedere “Inside out”, l’obiettivo educativo è chiaro, è l’occasione per iniziare un progetto sulle emozioni a scuola. Ma il film sul panda? Era solo un modo di buttar via due ore o c’erano dei contenuti importanti, e quali? Si facciano parlare le insegnanti.
Nel caso specifico, propenderei per l’ipotesi del “buttar via due ore”. Ipotesi, nè! Chè in effetti non lo so. Tra l’altro, ho letto la trama su Wikipedia e, a occhio, direi che i timori di chi ha contestato per la “duplice paternità” in questo caso sono proprio fuori luogo (sempre che Wikipedia sia attendibile).
P.S. E’ prassi abbastanza comune impegnare le ultime ore prime di un periodo di vacanza con attività di intrattenimento, per evitare di dover “strattonare” alunni riottosi per costringerli a dover affrontare attività didattiche non gradite in momenti di sovraeccitazione prevacanziera. E’ una strategia che può avere valide ragioni, ma non so se si applica al caso riportato nell’ultimissima.
Stiamo parlando di una scuola materna, cioè di bambini dai tre ai 5 anni in età prescolare! Si insegna qualcosa, ma vanno anche intrattenuti visto che ci restano all’asilo per 7 ore o più. Vedere un film insieme e poi parlarne, creare dei giochi.
Assurdo pensare che a dei bambini di quell’età debbano fare per 7 ore e più didattica!
Anche nella scuola primaria i miei figli erano 8 ore a scuola ed hanno visto diversi film “ludici”: studiano e si divertono, non puoi chiedergli di fare didattica per 8 ore. Ed anche un film ludico può essere a quell’età un motivo di discussione di crescita.
Roberto
Ogni ordine di scuola ha i suoi obiettivi e i suoi tempi. Se io perdessi due ore alla primaria per vedere il panda (che dopo un paio di mesi tutti vedono in dvd) non mi sentirei a posto con la coscienza. Quello di Inside out era un esempio di come si dovrebbe usare il cinema a scuola. Se alla materna il film è anche occasione di svago (sempre meglio giocare, ma comunque ognuno ha le proprie idee), ben venga. Le motivazioni che hai dato tu non potevano darle le insegnanti alzando la voce e mettendo a posto i 3 genitori invasati?
E’ chiaro, ma la penso come Mafalda.
Le motivazioni per vedere o per decidere di non vedere più un film potrebbero anche trascendere i contenuti del film: andare al cinema con i compagni non è come andarci con i genitori o come il dvd, è un’esperienza di amicizia e di piccola autonomia, che può contribuire a costruire o rafforzare una certa armonia, se le cose funzionano, ossia se ci si diverte insieme (che non è una cosa banale!).
In questo caso fare muro contro muro, oltre a essere inutile visto con chi si ha a che fare, rischierebbe di danneggiare il clima di classe, e i primi a farne le spese sarebbero proprio i bambini, che potrebbero trovarsi a riprodurre in classe le divisioni tra i rispettivi genitori.
Kung Fu Panda 3 è un film che di contenuti educativi per i bambini (e gli adulti) ne ha a iosa. Il rispetto per l’esperienza e la conoscenza di chi sa più di noi, il sapere che però anche i maestri possono avere lacune e imperfezioni, il migliorarsi non inteso come “cambiare la propria natura” ma come sviluppo pieno delle nostre potenzialità, il mettersi al servizio degli altri con sacrificio e coraggio, l’importanza dell’amicizia, il non perdere la speranza neanche in situazioni disperate… francamente chi ci ha voluto vedere solo “i due papà” è davvero scoraggiante.
E nonostante questo hanno lasciato vincere tre imb. ..li! Non c’è da discutere con questa gente, mi dispiace. I bambini andavano lasciati a casa e i loro genitori si sarebbero assunti l’intera responsabilità del loro gesto.
Ma le figlie di Adinolfi, hanno due papà?
Curioso, sempre tutti a difendere il darwinismo, purchè non sia quello sociale.
MIT, Stanford, Harward, Cambridge, Oxford sono da sempre nelle classifiche
delle scuole migliori. E sono private. E sono selettive. E costano un sacco di palanche. E non ci sono fancazzisti. Ecco la scuola che vorrei io.
*
Che poi il darwinismo non possa essere messo in discussione, quando lo stesso Darwin era molto dubbioso, mi fa sorridere.
Che dire… ♫♫♫ Sweet Home Alabama… ♫♫♫
@ LaR
Il darwinismo deve essere messo in discussione, con argomenti seri, come ogni teoria scientifica. Tra quelle non si comprendono le favole infalsificabili. Se ne hai di buoni pubblica e magari concorri per il Nobel. L’igNobel, invece, è senz’altro tuo.
Se vuoi ti rammento qualche studio fatto in università pubbliche italiane…
Il darwinismo è una teoria scientifica e come tale viene discussa, valutata, criticata e modificata e si evolve. Sempre partendo da presupposti scientifici e di metodo razionali. E non contempla giudizi etici.
Il darwinismo sociale non è una teoria scientifica, non segue assolutamente questi presupposti e queste regole. Nelle scuole private non le hanno spiegato le differenze?
Strano che diversi italiani che hanno studiato nelle “pessime” scuole pubbliche italiane poi vadano all’estero a fare successo.
Le piace la selezione sulla base del censo e delle ricchezze personali?
Tra l’altro leggo che l’università di Cambridge:
“È da notare come l’università ed i collegi abbiano come risorsa principale soldi messi a disposizione dal governo britannico sotto forma di sussidi per la ricerca, dato che Cambridge è a tutti gli effetti un’università pubblica.”
E per Oxford:
Si stima che, nel 2011/12, la ricchezza totale dell’università fosse intorno a 1,016 milioni di sterline, dei quali 361 milioni distribuiti fra i vari collegi; le principali fonti di guadagno sono stati i soldi messi a disposizione dal governo britannico sotto forma di sussidi per la ricerca (£409m), i finanziamenti all’insegnamento (£204m), e le rette scolastiche (£173m).
Tra l’altro c’è anche una differenza notevole di mentalità nei finanziamenti. Provate a chiedere a degli industriali italiani di finanziare la ricerca o delle scuole. Diranno sempre che è lo stato che deve finanziarle. Quanta ricerca si fa presso le industrie italiane?
Mentre in UK e USA le industrie non si fanno problemi a finanziare la ricerca e le università e le scuole perchè ci credono e sanno che ne avranno un ritorno.
Si, mi piace la selezione.
Il “censo”? Ma dove siamo, in un blog o in un feuilleton di fine ottocento?
Ridicolo, esistono le bds PRIVATE che permettono a chi merita di andare avanti.
Gli italiani scappano all’estero? Acqua per il mio mulino: uno può farcela anche in una università italiota, ma corre con una zavorra che appena può se ne libera e poi spesso all’estero prima si fa un bel master in loco.
*
Per quel che ne sapevo io Oxford e Cambridge erano entrambe pubbliche e costavano relativamente poco, poi essendo insostenibile conciliare bassi costi e qualità si è progressivamente aumentato le rette, anche se non a livello “americano”. Magari sono ancora pubbliche de jure, ma non de facto.
Bye.
@LaR
Adesso fammi un elenco delle grandi menti della storia e dimmi se hanno avuto tutti una istruzione privata. O dimmi se davvero pensi che tutti quelli che escono da Oxford, Cambridge e via dicendo sono tutti bravissimi e non hanno bisogno di spintarelle, anche per entrare (altro che selezione). Prova a chiedere a un neolaureato al MIT se è felice di dover restituire il prestito studentesco stratosferico.
Essere bravi docenti non vuol dire che si debba essere strapagati. perché a quello serve la maggior parte di rette e finanziamenti.
@ LaR
Ma davvero? E gli consentono di farlo pur provenendo da una università pubblica italiana? Con quella preparazione? Che indecenza!
LaR
In UK c’è ancora l’aristocrazia e non mi pare che sia così marginale. Negli USA mi pare che le classi sociali abbiano un notevole peso.
Le borse di studio sono accessibili a poche persone, cioè quelle che sono nettamente al di sopra della media. Chi può permetterselo può scegliere le scuole migliori. Così una persona di famiglia povera potrà studiare solo se è un fenomeno, mentre molte persone ricche faranno la scuola senza meriti, solo perchè hanno la disponibilità economica.
Per esempio la Bocconi è piena di figli di industriali: tutti per meriti?
Già nelle università pubbliche è difficile garantire pari condizioni per tutti (se penso al Politecnico di Milano: non ricordo tanti figli di operai come me) visto che le tasse non sono proprio poche, figuriamoci in quelle private.
Come è successo settimane fa a proposito di falliti ricorsi dell’Uaar, sono portato a cercar di capire cosa potrebbe fare l’Uaar, non con dibattiti accademici, ma in positivo e concreto a proposito della scuola, cioè precisare la scuola che vorremmo e come contribuire in tempi non biblici a costruirla. La mia miniproposta è che si provi a realizzare un libro, edito dall’Uaar, da fornire gratuitamente agli insegnanti che desiderino un supporto per l’ora alternativa, impostato sui diritti e doveri di un cittadino in uno stato laico. Per cominciare potrebbe essere rivolto agli studenti tra i 13 e i 16 anni, l’età in cui molti cominciano a distinguere tra la temporanea obbedienza dovuta a chi vuole il tuo bene (per es. i genitori, esperti) e quella cieca richiesta nei confronti di un ignoto da parte di chi vuole manipolarli per tutta la vita. Ma anche indirizzi pratici di scelte di vita, proposte da esperti. Potremmo raccogliere suggerimenti e un elenco di contenuti. Chi vuol fare lo spiritoso si qualificherà da solo e avrà uno spazio molto ridotto.
FrancoA
Il problema dell’ora alternativa sono i contenuti, e che quest’ora effettivamente ci sia. Spesso gli insegnanti vengono utilizzati per supplenze, l’ora va a farsi benedire mentre i ragazzi vengono sbattuti in un’altra classe. Bisogna ottenere gli stessi diritti degli indottrinatori cattolici: loro non fanno supplenza, hanno un programma da svolgere, firmano gli scrutini, danno un voto che va in pagella, mentre chi fa le alternative o lo studio assistito fino all’anno scorso non serviva neanche che valutasse gli alunni. Perché per le alternative non ci sono libri di testo? Forse i genitori potrebbero rendersi conto che hanno contenuti migliori di quelli di religione. Quando si presentano i libri scelti agli interclasse o ai consigli di classe, l’indottrinatore religioso descrive il libro scelto, immaginate se potesse farlo anche l’insegnante di alternative: sarebbe una pubblicità senza prezzo.
@ FrancoA
“Come è successo settimane fa a proposito di falliti ricorsi dell’Uaar, sono portato a cercar di capire cosa potrebbe fare l’Uaar, non con dibattiti accademici, ma in positivo e concreto a proposito della scuola, cioè precisare la scuola che vorremmo e come contribuire in tempi non biblici a costruirla”
Siccome ‘settimane fa a proposito dei falliti ricorsi di UAAR’ ho sostenuto con te un dibattito che contrapponeva (legittimamente, va da sè) chi riteneva che si stavano affrontando solo questioni accademiche e chi invece difendeva determinate scelte considerate tutt’altro che accademiche, mi sento chiamato in causa. Ovviamente come ‘sostenitore’ di ciò che definisci accademia.
Qui si sta parlando di scuola, di ‘quella che vorremmo o non vorremmo’, e credo che confrontarsi – sulla base, almeno per quanto mi riguarda, di esperienze REALI – su quale atteggiamento prendere nei confronti degli allievi con riferimento ai ‘condizionamenti ideologici’, non solo non sia fare dell’accademia, parlare a vanvera, ma al contrario sia entrare pienamente nel merito di ciò che accade quotidianamente, concretamente, nelle aule scolastiche e non certo per rimandare la soluzione dei problemi a ‘tempi biblici’. Confrontarsi, scambiare esperienze, non stabilire più o meno dogmaticamente cosa si dovrebbe o non dovrebbe senz’altro fare, credo sia quanto di meno teorico, astratto, accademico ecc. ci possa essere, ma investa i problemi che ogni giorno ogni insegnante deve affrontare.
In merito alla tua proposta di far circolare un libro redatto da UAAR per supportare concretamente gli insegnanti impegnati nell’ora alternativa… sorge il solito problema dibattuto tante volte nel blog, dove sono emerse, sia pure schematizzando, due tendenze:
chi ritiene (e credo che questo sia la posizione di UAAR) che l’ora di religione c’è, è prevista dal concordato e quindi impegnarsi per abolirla… pur restando ovviamente l’obiettivo di fondo… vada a scapito dell’impegno che comunque conviene sostenere per sfruttare quanto l’ora alternativa rende possibile…
e chi invece ritiene che, così facendo, si finirebbe per’razionalizzare’, con una sorta di legittimazione, l’ora di religione. In altre parole, accettarla di fatto.
Personalmente sostengo questa seconda opzione per due motivi, uno, diciamo, pratico, e (ci risiamo 🙂 ), uno – ciò che ritengo più importante – per una questione di principio, che per me non significa fare accademia. Quello pratico è costituito (per quanto ho potuto constatare) dalla difficoltà oggettiva, per i tanti ostacoli costituiti dal clima che mediamente si respira nelle scuole italiane, nell’organizzazione di un’ora alternativa effettivamente alternativa… ma qui si potrà giustamente obiettare che, a maggior ragione, occorre mobilitarsi per rendere l’ora alternativa veramente operante, per esempio con iniziative come quella da te proposta …
ma ritengo che – proprio perchè stiamo parlando della scuola, cioè del luogo istituzionalmente deputato a formare, attraverso l’acquisizione del sapere, coscienze critiche – le questioni di principio, se ben motivate (e qui rimando a quanto ho scritto all’inizio del post), hanno almeno lo stesso impatto di quelle cosiddette pratiche.
Opinione personale, ovviamente, ma che – anche perchè supportata dall’esperienza di tanti anni di insegnamento – ritengo per niente accademica.
@Bruno Gualerzi
Veramente non considero un insulto etichettare come accademico un confronto di opinioni. Per ragioni anagrafiche sono però portato a dire : cosa posso fare oggi per migliorare anche in misura minima una situazione che viene solo illustrata in negativo con un “non vorremmo”, E a sperare di vedere qualche sia pur minimo risultato nell’arco della mia vita. Propongo di scrivere un libro, (non mi pare una posizione dogmatica, semmai eccessivamente semplicistica, probabilmente solo un’utopia) non di una specifica materia, a disposizione di docenti che possano trasmettere certe idee che spero condivise da qualcuno. Come per un censimento, se non ce ne sarà nessuno, amen. Se saranno pochi, meglio che niente. Non era mia intenzione concentrare l’attenzione sull’ora alternativa. Se qualche docente lo vorrà utilizzare nell’ora alternativa o durante l’ora di filosofia o di storia o di scienze, che importa? O aspettiamo che al prossimo rinnovo del Concordato sia inserita l’ora alternativa, per poi discutere per dieci anni sui contenuti? Se ci fossero proposte dettate dall’esperienza, si potrebbero discutere e sperimentare da parte dei docenti che le condividono.
Questo è un metodo che ho seguito anche durante i miei circa 30 anni di insegnamento, e non me ne pento. Ma non ci saranno.
@ FrancoA
“Veramente non considero un insulto etichettare come accademico un confronto di opinioni”
Sarà perchè mi sono sempre scontrato con l’accademia intesa come chiacchiera inutile, fine a se stessa, pagando il dovuto in quanto anche deferito all’autorità scolastica per le mie iniziative concrete, operative, riguardanti il lavoro quotidiano con gli studenti… che quando sento etichettare come accademiche le mie opinioni… diciamo che la cosa non mi esalta.
Detto questo, sento con piacere che anche tu sei un veterano dell’insegnamento e che, come me, non ti penti certo del tuo operato… il che – divergenza, anche radicale di opinioni a parte – è meno frequente di quanto si creda.
Buona giornata.
Data l’ora, buona notte. (Anche alla mia stupida proposta)
Ho degli amici a Perugia – i quali, ça va sans dire, non tifano per Costanza Miriano, quella che consiglia alle donne di sposarsi e essere sottomesse, ma va in giro per le tv a dire bestialità fondamentaliste invece di badare alla prole, fare il bucato e girare il ragù come le converrebbe per coerenza. Ora, la Miriano è di Perugia. Sarà l’aria, la vicinanza ad Assisi o il fatto che l’Umbria faceva parte dello Stato Pontificio?… Scherzi (amari) a parte, purtroppo simili storie sono tutt’altro che rare, in Italia. Dappertutto. Che si tratti di Ex Stato Pontificio o Neo Stato Pontificio concordatario. Poveri noi! Com’è impari la lotta!…
Va che cattiveria, pensa te, chi ha avuto deve pure ripagare.
E a proposito di restituire il prestito stratosferico: sì, è felice!
– perchè chi esce da quelle scuole guadagna moooolto bene;
– perchè negli States esiste il desiderio e l’orgoglio di non voler pesare sullo zio Sam, anche se so che tu gmd – piccolo parassitello statalista – non puoi capire.
Chi ha avuto la fortuna di vedere quella bella serie di telefilm anni 90
“Northern Exposure” (“Un medico tra gli orsi” per i tamarri), ricorderà le dis-avventure di un medico newyorkese mandato in un paesino sperduto dell’Alaska
(senza medico e dove nessuno mai sarebbe andato ovviamente) per un anno aggratisse per ripagare lo stato dei prestiti studenteschi. Un ottima cosa che svolge pure una funzione sociale (che brutta parola…)
Ah, dimenticavo, l’istruzione pubblica è relativamente giovane, quindi tutte le grandi menti del passato sono state educate privatamente e ad Oxford e Cambridge con le spintarelle finisci solo nel Thames.
Lar
Torna sulla terra, ragazzo. L’istruzione pubblica garantisce un diritto fondamentale, l’uguaglianza. Il privato risponde solo alla regola del guadagno e la qualità è la stessa della pubblica. Magari ti andrebbe bene anche un sistema sanitario privato, dove chi non ha soldi può tranquillamente ammalarsi e morire, senza dare fastidio a chi i soldi li ha, ovvio.
@mafalda
E non è neanche scontato che la qualità del privato sia meglio del pubblico. Vedi le nostre scuole private, che seppur latamente finanziate ogni anno, rimangono qualitativamente inferiori, togliendo però strumenti alla scuola pubblica.
gmd85
Infatti mi riferivo alle scuole private anche di altri paesi. In Italia la scuola obbligatoria pubblica è sicuramente migliore della privata.
@ LaR
Sia X la differenza (il delta) tra la retta di una università privata e le tasse pagate in una pubblica.
LaR, che ha studiato con sommo profitto dalle suore, ci spiegherà la differenza tra il prestare X (da parte dello stato) e poi restituirlo ed evitare questa manfrina.
A proposito, qual è la tua posizione sul finanziamento delle scuole delle suore?
@LaR
Ma sei stato cresciuto a suon di c.azzate?
http://www.unipd.it/ilbo/content/usa-la-trappola-dei-debiti-laurearsi
ht tp://w ww.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2013-06-07/giovani-studenti-superindebitati-scoppia-103235.shtml?uuid=AbVAow2H&refresh_ce=1
P.S. o “piccolo parassita” o “parassitello”. Le suore non te l’hanno insegnato?
la scuola pubblica dopo la riforma del picciddino Renzillo de Renzilli sarà una favolosa sorpresa per voi ateacci della malora 😉 edifici sobri, niente finestre che cadono, niente porte che si rovinano, niente riscaldamento che inquina, niente insegnanti, niente inutile informatica che costa e non insegna nulla, niente carta igienica nei bagni e forse neanche i bagni !!!
Che il censo non conti nulla nelle società capitalistiche (ossia in tutte le società attuali) e non sia essenziale per farsi strada in esse è una c . . . . .a che solo uno come la R, può proferire. Infatti, per uno capace che, pur non avendo mezzi, riesca ad avanzare nella scala sociale, perchè ha trovato qualche sponsor o qualche ricca borsa di studio, ce ne sono 10 che rimangono al palo. La vita non ha ancora insegnato a quel personaggino che oltre le capacità personali, ci vuole la fortuna che le metta in opera?
Poi Harvard, Oxford e Cambridge (che in parte sono pubbliche, come sopra precisato) sono istituti d’eccellenza che, hanno come fine precipuo proprio quello di preparare le classi dirigenti.
Noi qua più modestamente, parliamo della scuola di massa che serve a preparare delle persone di normale o buona intelligenza ad essere dei buoni cittadini, non parlavamo delle elite che formeranno una limitata parte del corpo sociale (il vertice).
Elite cui si accede o per effettive capacità, o per le cospicue donazioni dei genitori alle rinomate università di che trattasi o per essersi fatti notare come campioni sportivi.
Ma come è possibile che la R riesca a riunire tutti i difetti dei cattolici, dei darwinisti sociali, dei più biechi classisti, dei c.f.ni ecc.? Ma come può esistere un tale concentrato di difetti?
PS: Approvo tutto quello che ha scritto Roberto V, tranne la sua critica a Cardini, che ho potuto constatare essere uno storico abbastanza serio e obiettivo (nonostante sia cattolico e non scriva cose sempre condivisibili); non è da mischiare con Messori, R. Cammilleri, J. Dumont e P. Chaunu. Un po’ di obiettività.
Infatti non ha criticato Cardini: ha detto che tra citare Cardini o Messori c’è una bella differenza
– Ahhhhhhhhhhhhhhhhhh!!!
– Ma che ha Adinolfi?
– Hanno riniziato a trasmettere “Lady Oscar” in televisione.
Hai ufficialmente inaugurato il sotto-filone Adinolfi… 🙂
Come ho sempre sostenuto: se proprio bisogna considerarli, perché è questo quello che vogliono, almeno prendiamoli per il cu…. cioè volevo dire per i fondelli.