«Mi sono chiesto: qual è il pensiero dei milioni di italiani che non credono? Come si traduce in pratica? Come vivono? Quali scelte compiono? Perché le compiono? Questo libro è un tentativo di darmi e di darvi qualche risposta. Non vi proporrà un’etica a uso e consumo degli atei e degli agnostici, ma cercherà invece di descrivervi le loro etiche, quelle che modellano vite qualche volta difficili, frequentemente belle, persino entusiasmanti. Non vi dispenserà consigli: semmai l’invito a effettuare scelte consapevoli, corredato da qualche strumento utile allo scopo».
È così che Raffaele Carcano, fino a poche settimane fa segretario dell’Uaar, spiega — nell’introduzione al suo libro Le scelte di vita di chi pensa di averne una sola, in uscita per Nessun Dogma — il senso di questa sua ultima fatica.
Partendo dal presupposto che dove si è liberi dai dogmi si manifestano immediatamente innumerevoli possibilità, Carcano dà la misura di un pluralismo incomparabilmente più ampio di quello di qualsiasi religione, al punto da dire che esistono «forse tanti ateismi e agnosticismi quanti sono gli atei e gli agnostici».
Certo: vivendo in Italia si devono anche fare i conti con istituzioni profondamente clericali, e l’autore, alla guida dell’Uaar per quasi 9 anni, ne sa qualcosa. Seguendo passo passo i non credenti nelle diverse tappe della loro vita, Carcano tratteggia infatti un quadro dell’assenza di laicità in Italia mostrando come quell’assenza abbia pesanti conseguenze sulla vita di ogni giorno di tutti i cittadini e, in particolare, sui cittadini che non sentono alcun bisogno di Dio.
L’autore
Raffaele Carcano è laureato in scienze storico-religiose ed e stato segretario dell’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti dal 2007 al 2016. Ha curato il volume Le voci della Laicità e ha scritto Uscire dal gregge (con Adele Orioli) e Liberi di non credere.
Il progetto editoriale dell’Uaar
Il catalogo di Nessun Dogma — che affianca la traduzione di classici inediti in Italia a opere che affrontano tematiche scottanti con un impertinente approccio laico-razionalista — comprende 22 pubblicazioni. Tra le più recenti segnaliamo: Perché crediamo in Dio (o meglio, negli dèi) di J. Anderson Thomson (insieme a Clare Aukofer); Dio probabilmente non esiste. Un libro sul non credere negli dèi (con illustrazioni di Vanja Schelin) dello svedesePatrik Lindenfors; Crescere figli senza dogmi. La guida di una mamma agnostica di Deborah Mitchell; Homo credens. Perché il cervello ci fa coltivare e diffondere idee improbabili di Michael Shermer; 50 motivi per cui si crede in Dio, 50 ragioni per dubitarne di Guy P. Harrison; Ateismo ragionevole di Scott F. Aikin e Robert B. Talisse; Racconti di scienza. Bugie, bufale e truffe di Darryl Cunningham; Credere alle cazzate. Come non farsi risucchiare in un Buco nero intellettuale di Stephen Law; Libro illustrato di argomentazioni errate di Ali Almossawi.
Comunicato stampa Uaar
“(…)esistono «forse tanti ateismi e agnosticismi quanti sono gli atei e gli agnostici».”
Completamente d’accordo… e anzi toglierei pure il ‘forse’. Si potrebbe dire che ciò vale pure per i credenti, nel senso che si può essere credenti in tanti modi, ma non si potrà mai dire che esistono tante religioni e tanti modi di viverle nella sostanza quanti sono i credenti. Se ci si identifica in una religione seguendone i precetti non si potrà farlo aderendo contemporaneamente ad altre religioni. Questo oltre tutto è un ulteriore carattere che – nonostante il sempre ricorrente denigratorio ritornello – fa dell’ateismo tutto fuorchè una religione. Eppure…
Eppure esistono certi luoghi comuni che possono circolare, più o meno consapevolmente, anche tra i non credenti, e che consistono nell’identificare l’ateismo in uno solo di quei suoi modi di manifestarsi di cui parla Carcano (“(…) quelle etiche che modellano vite qualche volta difficili, frequentemente belle, persino entusiasmanti.”), negando gli altri. Non ho letto il libro, ma sono certo – proprio anche solo sulla base di questo semplice richiamo – che verranno poi illustrati i diversi modi di vivere l’ateismo… ma qui vorrei insistere su uno in particolare, su una sua apparente contraddizione spesso sfruttata come tale dai credenti: la contraddizione che esisterebbe tra la scelta atea e una concezione della vita sostanzialmente negativa, della quale si finisce per sperimentare solo il radicale nonsenso (quel senso che invece la vita avrebbe sempre e comunque per il credente), cioè che possono entrare nel novero delle ‘vite difficili’ di cui parla Carcano. Detto in altro modo, in questo caso la scelta atea non sarebbe in grado di rendere come tale la vita più vivibile. In realtà accade esattamente il contrario! E’ con l’ateismo… cioè col rifiuto di ricorrere a consolatorie illusioni… che si vive la condizione umana per quello che è (che è per chi la esperimenta in questo modo, ovviamente), non svendendo la propria umanità, la propria dignità di uomo, assaporando così, nei limiti concessi da questa condizione, il gusto della libertà. E di una libertà della quale il credente non potrà mai cogliere il vero significato, che non potrà mai vivere con quella pienezza che può consentire la condizione umana.
E che potrà consistere anche nella libertà di rifiutare questa condizione.
@Gualerzi: TOP!
Il punto è proprio quello: dover trovare per forza un senso a ciò che in realtà non ne ha solo perché così ci viene detto di fare e non accettare l’evidenza per cui trovando un senso qualsiasi, se ne può sempre trovare. un altro che va nella direzione esattamente contraria. Questa è in linea di massima la condizione del credente, e nonostante tutto ciò lo porta a negare e denigrare la visione atea semplicemente perché “non può essere…”, tralasciando ovviamente di spiegare perché e tutto il resto. Precludendosi così tutto un mondo. Ma si sa, o almeno noi lo sappiamo, che “atheism is not for the weak”. 🙂
” non si potrà mai dire che esistono tante religioni e tanti modi di viverle nella sostanza quanti sono i credenti.” Questo è certo ma, probabilmente, esistono tante visioni di Dio quanti sono i credenti.
Anche se il tono del tuo commento mi piace molto, tuttavia non riesce a sfuggire ad una sorta di ‘gara’ a chi offre la risposta esistenziale più soddisfacente.
Al di là delle etichette le scelte di vita delle persone sono sempre il frutto di un tormento esistenziale e personalmente trovo qualunque atteggiamento del tipo ‘la mia risposta è più ganza della tua’ poco fertile di conseguenze.
Questo vale anche per il cosiddetto dialogo fra le religioni, che non ha senso se non parte da una sincera consapevolezza che il sentire dell’altro completa il proprio.
Il dialogo in ogni caso ha senso solo se è dettato dal desiderio di approfondire, e dalla convinzione che gli altrui punti di vista possono solo arricchirci. Ovviamente ciò ha come requisito una certa dose coraggio. Per un credente tale coraggio viene dalla consapevolezza che, in ogni caso, nessun punto di vista, nessuna teoria può circoscrivere Dio, e quindi ci sarà sempre spazio di crescita. Anche ascoltando i non credenti.
«… ci sarà sempre spazio di crescita. Anche ascoltando i non credenti…»
Parole sagge, ma nella realtà come funziona? Hai mai letto il sito della parrocchia nostra dirimpettaia? C’è poco da dialogare.
Personalmente penso che ci sia una totale incomunicabilità – simile a quella descritta da Jung tra il tipo estroverso e l’introverso – anche perché in ultima analisi, a prescindere da interessi del tutto soggettivi e idividuali, quello su cui ci si scontra non è quello che dice la chiesa, ma quello che fa.
@ parolaio
“(…) tuttavia non riesce a sfuggire ad una sorta di ‘gara’ a chi offre la risposta esistenziale più soddisfacente.”
Non credo si possa parlare di ‘gara’, in quanto – in linea di principio -“la risposta esistenziale più soddisfacente” per un non credente ha come unico ‘arbitro’ se stesso, non rimanda a ‘terzi’ dai quali dipenderebbe la risposta ‘migliore’… e se mai – come scritto sopra – rivendica la natura della propria ‘soddisfazione’ proprio per ribattere a quanti ne negano la reale possibilità (dovrai riconoscere che – misericordia ‘francescana’ o meno – l’ateo viene pur sempre considerato dalla dottrina, proprio esistenzialmente, ‘in errore’. E’ qui che si differenzia radicalmente la visione del credente da quella del non credente: per il credente, al di là dei modi certamente diversi con cui vive il suo rapporto con dio, la risposta vera ai quesiti esistenziali non può che derivare da dio, cioè da ‘fuori’, in una dimensione che necessariamente trascende la condizione umana. Per tormentata che sia la sua ricerca della ‘risposta’, in quanto credente riterrà di poterla trovare solo ‘altrove’. Altrimenti non sarebbe credente.
Da qualunque parte vengano le risposte la loro attuazione è comunque qui e ora. Il fine inoltre non è un futuro premio Non ben identificato e ancor meno collocato da un punto di vista spazio temporale, ma quanto più vicino alla felicità può esserci qui e ora. Se continui a decidere te cosa pensa un credente cadi nel dogmatismo. Elegante quanto vuoi, ma sempre dogmatismo rimane.
“Il fine inoltre non è un futuro premio Non ben identificato e ancor meno collocato da un punto di vista spazio temporale (…) ”
Sarà anche questa la tua posizione, che ovviamente rispetto… ma non credo che, per un credente, possa esserci una condizione ‘più vicina alla felicità’ di quella che si prospetta dopo la morte, quale che sia il modo di raffigurarsela. Il ‘qui e ora’ credo sia comunque determinato e condizionato dal ‘dopo’. Peccato originale e riscatto (morte e resurrezione) non credo possano essere separati proprio quando si cerca di dare un senso alla propria esistenza… quanto meno per un cristiano.
“Se continui a decidere te cosa pensa un credente cadi nel dogmatismo (…)”
Io non decido ‘cosa pensa’ un credente… mi rimetto semplicemente a ciò che lui dice di pensare (parlo ovviamente per ciò che riguarda i problemi esistenziali). E naturalmente lo valuto da un punto di vista ateo… come il credente valuta da credente ciò che dice l’ateo di sé. Ed è difficile, a meno di rimettere radicalmente in discussione la propria scelta di credere o non credere, trovare… sempre per quel che riguarda i quesiti esistenziali… una convergenza. Si potrà trovare – come stiamo facendo – una comune definizione di questi quesiti… ma poi le risposte non possono che divergere. Il dialogo, per essere vero dialogo, intellettualmente onesto, non può prescindere da questa contrapposizione… il che naturalmente non esclude modi civili di coesistere. Per quanto mi riguarda basandosi sulla comune condizione umana di credenti e non credenti. Ma questo è un altro discorso.
A me pare che un cristiano abbia come fine il futuro premio nell’aldilà, comunque in quel premio ci crede, e questo non l’ho deciso io ma chi crede in quella religione, se non ci credesse sarebbe al più agnostico, non cristiano. Il dogma è d chi ci crede, anzi credo che sia il più importante dogma del cristianesimo.
rispondevo a parolaio
“Il ‘qui e ora’ credo sia comunque determinato e condizionato dal ‘dopo’. ” E questo non è vero, o almeno non nel senso esaustivo per cui tutto l’agire è orientato al ‘dopo’. Per il cristiano (non so per le altre religioni) la vita è una sola, non sono due. Il concetto del ‘patire ora per godere poi’ è stato sdoganato da chi ha usato la religione come strumento di potere, ma non è un concetto cristiano. Il fatto che come dici te ‘la risposta arriva da fuori’, non significa che sposti il nostro agire da una dimensione diversa di quella che ci è propria, cioè quella umana. A me poi non interessa ‘trovare una convergenza’, interessa solo esplorare punti di vista diversi dal mio. Per esempio a me rimane del tutto oscuro come possiate ritenere che lo strumento razionale sia l’unico degno di essere utilizzato quando, lo sperimentiamo quotidianamente, l’essere umano porta con se una sfera arazionale (bada bene, non ‘irrazionale’) oserei dire quasi sempre vincente e preponderante. O come possiate forzare l’attenzione sull’aspetto individuale delle scelte, quando l’uomo è per sua natura un animale sociale, e spesso i limiti ai ‘diritti’ che voi vivete come intollerabili insulti hanno radici storiche e sociali profondissime.
Da qualunque parte vengano le risposte la loro attuazione è comunque qui e ora. Il fine inoltre non è un futuro premio Non ben identificato e ancor meno collocato da un punto di vista spazio temporale, ma quanto più vicino alla felicità può esserci qui e ora. Se continui a decidere te cosa pensa un credente cadi nel dogmatismo. Elegante quanto vuoi, ma sempre dogmatismo rimane.
E poi tutti siamo nell’errore. Perché ognuno può cogliere solo una scheggia della verità. E anche un credente compie una scelta personale quotidiana, della quale è quotidianamente arbitro. Il mondo e la psiche di noi credenti sono più complessi e sopratutto più liberi di come te li sei disegnati. A leggere quello che scrivi la fede sembra una scorciatoia intellettuale a problemi complessi. Non è così.
“A leggere quello che scrivi la fede sembra una scorciatoia intellettuale a problemi complessi. Non è così.”
Quale che sia il significato che si dà a ‘scorciatoia’, per complessi che siano i problemi che affronta, per tormentosa che sia la sua conquista…
la fede resta pur sempre una risposta ai quesiti esistenziali che comporta un ‘andare oltre’ la pura facoltà razionale. La si potrà anche cercare senza trovarla… ma questo è ciò che il credente chiede alla fede.