Aggiornamento in corso… da 30 anni

Nelle laicissime barricate dove ancora si lotta per ottenere il riconoscimento di tutte le istanze LGBT, evitando di rilassarsi dopo l’approvazione della (depotenziata) legge sulle unioni civili a maggio di quest’anno, in questi giorni si sono registrate un paio di piccole novità pressoché trascurate dai media in sovreccitazione per la campagna elettorale in vista del referendum costituzionale.

La prima novità, non scontata ma probabile perché conferma, riguarda il Consiglio di Stato che ha dichiarato “illegittimi” — per incompetenza — gli annullamenti delle trascrizioni delle nozze gay celebrate all’estero da parte dei Prefetti, a Udine e a Milano che avevano fatto ricorso. Prefetti che, bontà loro o meno, avevano agito in ottemperanza alla discutibile circolare che nel 2014 era stata emanata dal clericale Ministro Alfano, per sabotare a suo modo il confronto politico e il dibattito pubblico che ferveva sul matrimonio egualitario.

Nel 2010 era toccato alla circolare del trio ministeriale Fazio, Sacconi, Maroni che dichiarava la non validità dei registri comunali per i testamenti biologici, a essere sostanzialmente trattata come carta straccia dagli stessi comuni. A indicare come non sempre queste circolari ideologiche, questi provvedimenti politici imposti dai governi per compiacere la CEI, rispecchino una corretta declinazione del concetto di giustizia anche sociale. Sulla premessa poi che ancora oggi a distanza di sei anni — venti dal “caso Welby” — non abbiamo una legge sul “fine-vita”, risulta evidente la serie di avvisi riguardo a quanto la nostra classe politica arrivi spesso volutamente a non volersi aggiornare sui cambiamenti del nostro tempo e della nostra società.

L’altra novità arriva da una notizia che qualcuno troverà bizzarra se non paradossale. La Corte di Cassazione ha sentenziato che gli appellativi “omosessuale” o “gay” non sono lesivi della reputazione di nessuno e quindi nemmeno un eterosessuale, potrà mai più ritenersi offeso. Potremmo ancora fare della facile retorica e dell’ottima speculazione sulle contraddizioni bergogliane del “chi sono io per giudicare?” alla luce delle tensioni intercorse tra Francia e Vaticano sul caso del diplomatico Laurent Stefanini rifiutato in quanto gay, o più in generale sul giudizio negativo pressoché unanime che le religioni danno delle persone omosessuali, considerandole “contro natura”, sia chiaro. Laicamente preferiamo non infierire oltre su piccoli uomini fallibili che vengono erroneamente considerati grandi — nonostante ancora ancorati al medioevo — e concentrarci invece sulle motivazioni che hanno portato la Cassazione a questa decisione: il cambio del contesto storico. È infatti attraverso un vero e proprio aggiornamento sui tempi cambiati e sull’oggi che la Suprema Corte ha voluto cancellare quel velo di pregiudizio e quel senso dispregiativo con il quale venivano usati quegli appellativi. Piccoli fatti questi, ben inteso. Ma a questo punto alcune domande sorgono istintive. In che misura la società e il suo tempo presente sono davvero cambiati da poter eventualmente indurre le istituzioni a un aggiornamento del paese? Rispetto ai nostri interessi e ai grandi temi laici di cui la nostra realtà associativa si fa carico, quali attenzioni al cambiamento dovrebbero assumere rilevanza per le nostre istituzioni?

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Come spesso abbiamo sottolineato, l’Italia è un paese abitato da cittadini credenti solo teoricamente. Nonostante le scenate per i mancati presepi o le recite natalizie nelle scuole pubbliche che arrivano puntuali ogni anno in questi periodi sotto la spinta di certa politica interessata, o le imposizioni di simboli religiosi nelle aule istituzionali di questo nostro incoerente paese laico, ai cittadini italiani di quella che fu la “religione di Stato” fino all’ultima revisione del Concordato non interessa praticamente quasi più nulla. Le più recenti statistiche sul fenomeno della secolarizzazione in Italia, dipingono uno scenario che imporrebbe ben più di una banale riflessione sociologica. La disaffezione religiosa degli italiani sta toccando picchi impensabili e a nulla sono valsi finora i tentativi o le strategie pianificate della stessa Chiesa per arginare il distacco dalla pratica da parte dei fedeli. Che si tratti di un giubileo presentato in pompa magna e sovvenzionato con soldi pubblici, o che si tratti di un overload informativo propagandistico su lettori e spettatori che lo subiscono quotidianamente, gli Italiani si dicono cattolici ma a loro modo e non come dovrebbero esserlo secondo la loro stessa dottrina.

Dunque non dovrebbe sembrare casuale se anno dopo anno sempre più individui scelgono coerentemente di abbandonare in modo ufficiale la Chiesa, anche grazie al nostro aiuto e supporto; benché nel 2015 si sia registrato un leggero aumento dei matrimoni, facilitati dalla legge sul cosiddetto divorzio breve si è al contempo registrato un picco di divorzi, e di persone che preferiscono sempre più spesso il rito civile a quello religioso (il sorpasso in alcune regioni è già avvenuto); scende il numero delle vocazioni, checché ne dicano gli addetti ai lavori; aumentano sempre di più nel tempo le percentuali degli italiani che diversamente dai suggerimenti clericali e slogan integralisti, auspicano leggi che riconoscano alle famiglie e ai figli di coppie omosessuali la piena cittadinanza, e il diritto alla dignità di scegliere quando porre fine alla proprie sofferenze; l’insegnamento della religione cattolica (IRC) nelle scuole pubbliche, plateale contraddizione inserita nei i principi fondamentali nella nostra costituzione tra il Principio di Uguaglianza (Art. 3) e il Concordato (Art. 7) che la prevede come privilegio per i fedeli di una sola religione, interessa sempre meno e subisce un forte calo del numero di studenti che se ne avvalgono.

Che la società si sia laicizzata e secolarizzata non ci sono dubbi. Che sia necessario riportare il paese al passo coi tempi, nemmeno. Tutti insieme infatti, questi sono chiari segnali che potevano essere facilmente letti al capitolo “Laicità dello Stato” e quindi opportunamente declinati da parte delle nostre istituzioni, perché imponevano imprescindibilmente un aggiornamento dell’Italia rispetto al contesto sociale autentico odierno. A maggior ragione questi dati devono essere registrati e laicamente interpretati oggi, se a prescindere dal colore della propria casacca politica si vuole far parte di chi vuol ben rappresentare “il cambiamento”. Figuriamoci se non dovrebbero essere presi in considerazione da chi si vuole cimentare con una ennesima — futura — riforma della carta costituzionale. Davvero si ritiene che possano essere ignorati ancora, come si è sempre fatto?

Scusate quindi la vena tra il polemico e l’orgoglioso di questo post, ma sono circa 30 anni (1987-2017) che continuiamo a sottolineare il bisogno di laicità di questo paese. Non è davvero possibile rinviare oltre questo aggiornamento.

Paul Manoni

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30 commenti

dissection

Come si suol dire, questo è cantargliele chiare. Grande Paul!

Francesco S.

Va precisato che la sentenza di cassazione riguarda la semplice parola “omosessuale” e non “gay”, dettagli, ma non riguarda la combinazione di questi con aggettivi e altri epiteti.

Paul

Vocabolari vari ed enciclopedie (unanimi) alla mano, la parola “gay” è sinonimo di “omosessuale”. Addirittura Treccani definisce la parola “gay” come un termine non connotato negativamente e quindi perfino preferibile in alcuni contesti rispetto alla parola “omosessuale”.

A maggior ragione, se per motivare la sentenza in questione la Suprema Corte ha analizzato il cambiamento del “contesto sociale” per riconoscere come non offensiva l’appellativo “omosessuale”.

Effettivamente la sentenza non riporta e non fa riferimento alla parola “gay”.
Puoi dunque denunciare quando vuoi chiunque ti si rivolga con quell’appellativo, per vedere se alla luce di questa sentenza, anzichè chiudere il fascicolo e farti una grassa risata in faccia, un qualche giudice stabilirà una condanna di chi ti ha “offeso”.

Francesco S.

Paul Ho risposto per errore sotto.

Comunque ci tenevo a dire a Dissection, che non è inutile perché stabilisce un confine ma intendevo che epiteti e aggettivi offensivi uniti alla parola omosessuale o peggio sinonimi volgari, non sono inclusi, proprio a tutela di possibili vittime di ingiurie. Semplicemente la sentenza dice che dare dell’omosessuale a qualcuno non si configura come ingiuria, però se ci metti altri aggettivi “connotativi” o usi sinonimi volgari ben espliciti invece lo diventa.

Diocleziano

È curioso come per i più alti livelli di pensiero pensante d’Italia sia chiaro che dare dell’omosessuale a qualcuno che lo percepisce come un insulto (ed è un insulto, in un paese che da millenni è mal educato al machismo e alle paranoie cattoliche) non sia un insulto; mentre invece, parallelamente, è sanzionabile l’insulto a un idolo immaginario, che però è percepito come offensivo dal macho ipersensibile.

Ah, le affinità elettive!

mafalda

La società italiana è sempre più secolarizzata, certo: i giovani non frequentano le chiese, si sposano civilmente, si separano senza sensi di colpa religiosi…e poi fanno frequentare l’irc ai loro figli! E la prima comunione col vestitino bello e il megapranzo con gli invitati? E già che ci siamo facciamo pure la cresima… Gli italiani sono sempre campioni di ipocrisia.

Diocleziano

Ehhh, sono un po’ abitudinari… Dagli tempo e poi vedrai che cominceranno

a buttare via anche il prete insieme all’acqua sporca. 😛

mafalda

Diocleziano
Col tempo se ne vanno i nostri soldi, per pagare i maestri di rc, chiese e moschee. Credo ci vorrà un’altra generazione perché le donne buttino la zavorra pretesca cattolica.

Diocleziano

Cara Mafalda, purtroppo è lo scotto che dobbiamo pagare al tempo, tempo e denaro. Però se guardiamo indietro di solo una cinquantina di anni vediamo l’enorme differenza, impensabile allora, sembra impercettibile oggi.

Tempo fa qualcuno si chiedeva che fine avessero fatto i ‘nostri’ troll… la verità è che si sono esauriti nella stessa crisi delle vocazioni 😛 ; anche il sito che imitava questo ha chiuso bottega. Io ci metterei la firma se si trattasse di una sola generazione per vedere un netto cambiamento di mentalità nella gente. Abbi fiducia, dài!

Francesco S.

Sono riti di passaggio, ogni cultura c’ha i suoi, non è questione di italiani, è incidentale da noi il cattolicesimo ha semplicemente interpretato in chiave cristiana queste esigenze di riti di passaggio.

mafalda

La rc a scuola non è un rito di passaggio, è la paura di non adeguarsi al gruppo, visto che solo pochi genitori hanno la coerenza di lasciare liberi i figli così come loro agiscono con libertà nelle loro scelte.

Francesco S.

Purtroppo la legge non è deduttiva ed molto probabilmente ci farebbero un altro processo fino all’ultimo grado per stabilire che “gay” è sinonimo di “omosessuale”.

Francesco S.

Ops. Rispondevo a Manoni.
Mafalda, mi riferivo ai riti religiosi di “comunione” e “cresima”, di cui personalmente non me ne frega un tubo, essendo pratiche private. L’IRC ovviamente non è un rito e il catechismo si dovrebbe fare in parrocchia non a suola.

Gérard

Arrivato in Italia e benchè cresciuto in un ambiente ” cattolico non praticante ” ho messo lungo a capire cosa fosse la ” cresima ” . Avevo fatto la ” prima comunione ” ( cosi veniva chiamata ) a nove anni e la ” comunione solenne ” ( sic ) a 11, non avevo in ricordo aver partecipato ad una solennità cattolica particolare . Soltanto piu tardi ho capito che si trattava di quello che i francesi chiamano ” confirmazione “, cosa che veniva impartito dal vescovo un anno dopo la comunione . Ebbene, si, questo l’ avevo fatto ma era una cosa che non era accompagnata da una festa : veniva impartita una domenica di pomeriggio, poca gente in chiesa salvo i soliti frequentatori di chiesa e i bambini . Nessuno dei miei genitori : padre al cinema e madre a stirare . E nessuna cena particolare …
Oggi questa ” cresima ” viene impartita fra i 12 e 18 anni ma c’è praticamente piu nessuno che lo fa .
Chiamarlo “rito di passaggio ” è un po una forzatura …

Francesco S.

In Italia di solito si fa la festa e fanno regali. Il nome ufficiale è confermazione comunemente detta cresima ricorda un po’ il bar mitzvah ebraico. Ricorda tanti riti di passaggio, antropologicamente è proprio quello.

Paul

Interpretazione (sic!), cultura, e abitudine, non sono “dottrina” più di quanto tradizione possa essere “fede”. Lo dimostrano empiricamente non solo la totale disaffezione al culto odierna e l’incoerenza che intercorre tra i precetti confessionali e il comportamento quotidiano dei fedeli, ma anche l’analfabetismo galoppante della stragrande maggioranza dei credenti cattolici cristiani circa la loro stessa religione.
Inoltre vi sono fortissime probabilità che con logica la del “si fa così, perché si è sempre fatto”, avremmo continuato a ciondolare dagli alberi alla ricerca di banane.

Tosti Luigi

Quindi da oggi in poi si può dare impunemente del “frocio” ad un Giudice della Cassazione, ad un Pubblico Ministero e al Ministro della Giustizia? Oppure i Giudici faranno in questo caso delle dotte elucubrazioni giuridiche sulla diversa portata offensiva dei termini “volgari” e di quelli “distinti” ed “aristocratici”? Spero che qualcuno crei il caso giuridico per verificare quali sarà il responso degli Ermellini.

Paul

Beh, no. Dare impunemente del “frocio” o del “finocchio” a qualcuno è ancora considerata una offesa, ma perché semplicemente quegli appellativi vengono da sempre e in qualsivoglia contesto sociale, utilizzati in senso denigratorio, dispregiativo e offensivo. Per capirsi, appartengono ancora al tipico lessico omofobico. La Suprema Corte mica ha sdoganato tutti gli appellativi correlati alla parola “omosessuale” in tutti i suoi contesti, e onestamente io non mi cimenterei in una verifica attraverso la creazione di un caso…Specie nei confronti di un Giudice di Cassazione o di un Magistrato. 😉

Adelchi

Non ho fatto studi di giurisprudenza ma, leggendo il testo della sentenza n. 50659/16 della Corte Suprema di Cassazione, Quinta Sezione Penale (vd. ) ho notato che, certo, dire che una persona è omosessuale non è considerabile come «lesivo della reputazione del soggetto passivo» e, dunque, non è un’offesa punibile penalmente (cfr. 3.3.2, p. 4). Ma è comunque un illecito civile, perché è «riconducibile a una lesione dell’identità personale della persona offesa», che è distinta dalla lesione della reputazione (cfr. 3.2 e 3.3.3, p. 3-4).

Quindi, se ho capito bene, una persona che pubbicamente dice a un’altra che è «omosessuale», e quest’ultima non vuole che gli sia attribuita un’immagine di sé contraria a quella che vuole pubblica (eterosessualità), incorre comunque in un reato: civile e non penale. Tra l’altro nella sezione 3.3.1 la sentenza pone una differenza tra «omosessuale» e «altri appellativi che veicolano il medesimo concetto con chiaro intento denigratorio secondo i canoni del linguaggio corrente (cfr. Sez. 5 n. 24513 del 22 giugno 2006, Merola non massimata)» (in quel caso la sentenza riguardava la parola «frocio»). Quindi non sarei tanto convinto che «gay», in quanto sinonimo di «omosessuale», e perciò veicolo del medesimo concetto, gli sia assimilabile penalmente.

Giorgio Pozzo

Le stesse discussioni le sentivo in Germania. Credo però che la situazione là sia leggermente diversa: in sostanza, se la parola in sè possiede una connotazione neutra, non si tratta di insulto. Se invece si utilizza una parola che possiede una connotazione dispregiativa, allora si tratta di insulto.
Per esempio, nel caso specifico, la parola “Schwul” non è un insulto (è sinonimo di “Homosexuell”), mentre la parola “Schwuchtel” lo è. Per la traduzione esatta in italiano non mi pronuncio, in quanto potrebbe essere inaccurata. Sta di fatto che si tratta di un attributo della parola in sè, ed è qui che ci deve essere la differenza: “Schwuchtel” è intrinsecamente un dispregiativo di “Schwul”.
Certo, se ad una parola neutra viene affiancato un aggettivo dispregiativo, allora esiste insulto: a me avevano detto “Scheiβitaliener”, “italiano di me**a”, e il giudice mi aveva dato ragione (avevo denunciato). La parola “Italiener” in sè non può essere considerata insulto, in quanto neutra. Come “Schwul”.
Quello che -credo- sia differente, e anche questionabile, è che il tizio apostrofato non voglia essere chiamato “Schwul”: non ha la minima importanza, o comunque non deve averne, in quanto allora si farebbe un processo alle intenzioni. Se il tizio mi avesse apostrofato “Italiener” non avrei potuto dire nulla, anche se lo avesse detto a denti stretti e con faccia da assassino: parola neutra. Neanche se io avessi voluto passare per tedesco invece che italiano.

Francesco S.

Risulta più chiaro il quadro. Quindi no insulti con epiteti volgari punibili penalmente, ma neanche attribuzioni di sessualità se il soggetto non gradisce, punibile civilmente, infine il fatto che gay e omosessuale siano sinonimi, non vuol dire che le conclusioni di una sentenza per uno si applichino automaticamente per l’altro senza un altro iter ad hoc.

Diocleziano

Al di là di tutti gli arzigogoli, non si capisce il perché qualcuno darebbe dell’omosessuale a qualcun altro, se costui non è omosessuale, se non per offendere.

Adelchi

Dipende da come viene detto. Se uno/una dice a un altro o a un’altra: «Io credo che tu sia omosessuale», oppure «Pensavo che tu fossi omosessuale», dubito si possa percepire un’offesa. Se però ci si sente dire: «Sei solo un omosessuale», la puzza di discriminazione è nell’aria. In ogni modo credo che una risposta a tono sarebbe preferibile a una denuncia.

Engy

scommetto che molti di voi chiamerebbero finocchio credulone un omosessuale credente-cattolico 😉😉😉

Diocleziano

Per me ‘credente cattolico’ sarebbe il massimo dell’insulto.

‘Finocchio’ sarebbe un’attenuante. 😛

dissection

Per me sarebbe solo un misto di ipocrita e masochista. Come già detto in un altro post, un omosessuale affiliato alla CCAR è un po’ come un’anatra iscritta a Federcaccia.

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