L’Uaar al Parlamento europeo per “L’Europa di chi non crede”

Nel 2018 si festeggiano i 70 anni dall’approvazione da parte dell’Assemblea dell’Onu della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, punto di riferimento di tutte le legislazioni seguenti, non ultima la Carta Europea dei Diritti Umani, e l’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (Uaar) ha pensato di cogliere l’occasione offerta da questo anniversario per soffermarsi su un tema tanto poco sviscerato quanto cruciale nel non sempre pacifico dibattito sulle libertà individuali. E di farlo in una cornice prestigiosa ed autorevole come quella del Parlamento europeo.

Il 22 e 23 marzo, a Bruxelles, avrà infatti luogo il convegno “Europa di chi non crede: modelli di laicità, status individuali, diritti collettivi” organizzato dall’Uaar in collaborazione con il Parlamento europeo, il Comitato interministeriale diritti umani, l’European Humanist Federation e la International Humanist and Ethical Union.

Il convegno si propone il non facile compito di tracciare un quadro d’insieme e di sinossi concreta sullo status del non credente all’interno dello spazio europeo e alla luce delle legislazioni nazionali e sovranazionali e si configura come il primo momento di riflessione a livello europeo specificamente dedicato al non credente in quanto tale.

A provare a delineare i contorni, i limiti e i confini di quella libertà di coscienza che si sostanzia nella libertà di non credere saranno relatori da tutta Europa, tra docenti, politici e attivisti.

Tra gli altri parteciperanno: le parlamentari europee Sophie in ‘t Veld e Virginie Rozière; Fabrizio Petri, del Comitato interministeriale diritti umani; il prof. Francesco Margiotta Broglio, dell’Università di Firenze; Giulio Ercolessi (già segretario del Partito radicale) e Julie Pernet della European Humanist Federation; Yvan Dheur, della deMens.nu; la giornalista di MicroMega Cinzia Sciuto.

Per l’Uaar parteciperanno la portavoce e responsabile iniziative legali Adele Orioli, insieme a Massimo Redaelli e Liana Moca.

Oggi più che mai infatti la libertà religiosa, nella sua declinazione tanto di diritto umano fondamentale del singolo quanto di diritto dei gruppi sociali esponenziali, rappresenta più che una certezza normativa una sfida concreta, per i singoli Stati come per le organizzazioni internazionali.

E quale peso e quali diritti sono riservati, se sono riservati, all’altra faccia della libertà di religione, quella della libertà dalla religione? Quale è la posizione giuridica specifica del non credente negli stati europei che, per contro, si dotano pressoché sempre di normazioni ad hoc del fenomeno religioso? Esistono regolazioni dirette o piuttosto è possibile solo un ragionamento sottrattivo, a contrario rispetto alle credenze riconosciute?

Due giorni di approfondimento con esperti da tutta Europa per rispondere a queste e ad altre questioni, fondamentali per il futuro del Continente.

Comunicato stampa

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10 commenti

ateo64

Bene! Davvero una bella iniziativa. Bisogna cominciare a farsi valere e per farsi valere bisogna farsi sentire e per farsi sentire bisogna agire. Purtroppo gli atei, nonostante le varie associazioni che si sbattono per cercare di avere voce in capitolo su numerosi temi che stanno a cuore a molti di loro, continuano ad essere per natura troppo schivi. Chiaramente questo è dovuto al fatto che essi non vivono la loro ateità/laicità alla maniera di un culto religioso. Se questo da una parte è bene dall’altra è un problema. Perchè in un mondo dove ancora c’è molto da fare per rendere dignitosa la vita di milioni di non credenti l’atteggiamento dovrebbe essere un po più caldo. Già le varie organizzazioni religioso/politiche vogliono metterci a tacere se poi lo facciamo noi di nostra spontanea volontà è la fine! Penso che una delle battaglie più importanti da fare è quella di promuovere, almeno in seno della Unione Europea, l’obbligo per tutti gli stati membri di prevedere, al prossimo censimento, un questionario che includa esplicitamente una voce per dichirarsi non credenti. Sarebbe importante cominciare da lì, dalla conta. Sembra banale ma solo con la ragione dei numeri si può sperare di cominciare a poter trattare alla pari ad alti livelli.
La ragione dei numeri permette alla persone di fare più facilmente coming out, dà più sicurezza, permette di pensare a forme organizzative collettive, permette di poter andare ad un tavolo di trattative con maggior peso, permette pian piano l’affermazioni di nuovi esponenti politici più affini e sensibili alle nostre richieste… e via dicendo.

Che dire: un grande in bocca al lupo!

RobertoV

“Are privileges for the faithful in Germany a discrimination for the non-believers in this country?”
Certamente si e non vale solo per la Germania dove ormai le due chiese principali sono scese complessivamente al 54%, ma continuano a drenare soldi e favori dallo stato e a controllare la politica ed i governi. Purtroppo molti degli stati per effetto di retaggi storici, concordati, ecc. hanno legiferato a favore delle religioni e tali privilegi permangono anche nelle legislazioni delle nazioni moderne e non c’è l’intenzione o la capacità di eliminarli. Così succede che i non credenti per ottenere dei diritti debbano seguire le orme di legislazioni fatte ad hoc per le varie religioni, cosa per esempio successa col tentativo dell’UAAR di accedere all’otto per mille o successo recentemente in Germania con l’Associazione umanistica Berlino-Brandenburgo che ha ottenuto il riconoscimento di Corporazione di diritto pubblico che li equipara alle chiese riconosciute e riconosce loro i diritti della Kirchensteuer. Cosa che ovviamente fa storcere il naso a molti non credenti perché rischia di snaturare il movimento ed indebolire i non credenti.

Purtroppo l’accezione libertà di religione viene utilizzata dalle religioni e dai vari politici nella logica di conservare i privilegi delle chiese e di chiederne dei nuovi. Il concetto di libertà dalla religione viene ostacolato e considerato offensivo come fatto recentemente dal Vaticano presso l’ONU. Si cerca cioè di mantenere uno status particolare delle religioni internamente allo stato nonostante molti dei cittadini se ne allontanino e si cerca una presenza in eccesso a livello politico ed economico delle religioni togliendo spazi ai non credenti con pretesti identitari, nazionalistici, di tradizioni e di religioni di stato.

Moderazione

cosa per esempio successa col tentativo dell’UAAR di accedere all’otto per mille

Attenzione: l’Uaar non ha mai chiesto di accedere all’Otto per mille, ha chiesto allo Stato un’intesa ex art. 8 della Costituzione che non è necessariamente finalizzata a ottenere l’Otto per mille.

Gérard

Una domanda pratica : in che lingua/e si svolgera il convegno ? Sono stati mandati inviti ad altri movimenti atei o laici in Europa ?

Moderazione

Il convegno sarà in lingua inglese, mi pare ci sia un relatore che parlerà nella sua lingua ma un servizio di traduzione simultanea lo renderà in inglese. Le associazioni federate a Iheu e Fhe dovrebbero essere informate nei consueti canali, non mi pare siano previsti inviti diretti. Del resto è anche molto difficile che gente proveniente da lontano possa decidere di partecipare.

Gérard

Ci sono 16 treni al giorno da Parigi a Bruxelles e il tempo di percorso è di un ora e mezzo…

ateo64

Ok, ma giusto per curiosità: dopo si può visionare da qualche parte? Grazie 🙂

Frank

Attenzione che il titolo è ambiguo, la manifestazione potrebbe essere invasa da “euroscettici” che hanno capito male. 🙂

Tosti Luigi

E’ vero che l’UAAR non ha chiesto di poter accedere all’8 per mille ma alla stipula di un’intesa con lo Stato italiano, ma è altrettanto vero che la stipula dell’intesa è il presupposto indipensabile e necessario per chiedere poi di partecipare all’8 per mille e, dal momento che l’aspetto discriminatorio principale è rappresentato dall’impossibilità degli atei ed agnostici di scegliere di destinare il proprio 8 per mille alla loro Associazione (UAAR), è evidente che non ci si deve “vergognare” della pretesa di partecipare all’8 per mille ma, al contrario, si doveva e si deve formulare questa richiesta (e farla valere nel ricorso alla CEDH) per sperare di ottenere una condanna dell’Italia che ha negato la stipula “grazie” alla Consulta che ha dichiarato trattarsi di “atto politico” insindacabile dai giudici.

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