A distanza di quasi 90 giorni dalle elezioni l’Italia ha finalmente un esecutivo, sostenuto da due partiti che, dopo una campagna elettorale che li ha visti decisamente nemici, pare abbiano ora trovato un accordo formalizzato in un apposito “contratto di governo”.
Da un lato la Lega, già Lega Nord, che fa della lotta all’immigrazione il suo cavallo di battaglia e che, dedita un tempo al ripristino del culto celtico-pagano del Dio Po (sic), ha visto il suo leader Matteo Salvini arringare alle folle con in mano il rosario e giurare sulla Bibbia il rispetto degli impegni elettorali. Dall’altro il Movimento 5 Stelle, fondato dall’ex comico Beppe Grillo e attualmente incarnato da Luigi Di Maio, rampante partenopeo che per ringraziare della nomina ha come primo gesto voluto baciare l’ampolla del presunto sangue di San Gennaro. Con queste premesse non stupisce una squadra di governo palesemente filo clericale, a cominciare dallo stesso Primo Ministro Giuseppe Conte, insegnante universitario molto devoto di Padre Pio.
Ma il nome che ha suscitato immediato (e meritato) sconcerto è quello del ministro del novello dicastero della Famiglia (al singolare) e Disabilità. Lorenzo Fontana, 38 anni, leghista, già parlamentare europeo produttore di risoluzioni sulla difesa dei cristiani nei paesi a maggioranza musulmana”, “sulla cristianofobia e la protezione culturale dei beni culturali cristiani in Europa” e “sulla necessità di assistenza specifica per i rifugiati cristiani”. Ferocemente anti-abortista e vicino ai movimenti integralisti dei ProVita, fu a suo tempo contrario alle unioni civili tanto faticosamente ottenute in Italia solo nel 2016 “perché poi chiederanno di sposarsi con il cane”.
Ma per rinfrescarci la memoria solo pochi giorni fa, per festeggiare il nuovo incarico, ha pensato bene di dichiarare che “le famiglie arcobaleno non esistono” (da qui anche il singolare di famiglia di cui sopra). Salvo poi risentirsi per le polemiche, dichiararsi “discriminato perché cattolico” e scrivere un’accorata missiva firmata da ministro e pubblicata da un noto giornale conservatore nella quale afferma che l’odio delle elites (?) non lo spaventa e che lotta senza timore contro la furia relativistica a favore dell’unica famiglia possibile, quella con mamma e papà. Prosegue citando Pio X in conforto al suo auto conclamato integralismo e conclude con la amara constatazione che in questi tempi “battersi per la normalità è diventato un atto eroico”.
A fronte di una situazione ancora precaria per la comunità lgbt, senza stepchild adoption, con episodi di intolleranza omofobica quotidiana che però ancora non sono perseguibili come reato specifico, nel quarantennale della legge sulla interruzione di gravidanza che vede una sostanziale impossibilità in molte regioni di vederla attuata, con una diffusa e sistematica discriminazione del non credente o del diversamente credente, lo sconforto è d’obbligo.
Poco conta ci venga detto, da chi peraltro premette di essere d’accordo con Fontana, che la legge sull’aborto e le unioni civili non sono nel “contratto di governo” e come tali non verranno riformate. L’aria si è fatta decisamente più pesante, il cammino per il riconoscimento di diritti fondamentali ancora più in salita. Staremo a vedere, ma non staremo zitti.
Adele Orioli, Massimo Redaelli
Pubblicato in inglese sul sito della European Humanist Federation l’8/6/18
Mi pare una perfetta conferma di un mio scritto sulla continuità della politica italiana perennemente e tragicamente di stampo fascista. Se a Roma pare dicessero che nessuno poteva salire a capo di Bankitalia, qaundo questa aveva un senso importante, senza il consenso della CCAR, non sarà che anche questo governo sia sttao voluto dalla CCAR?
Ecco qui il mio scfritto (spero che ci stia):
Riflessioni sulla continuità nella politica italiana 4 maggio 2018
(Dopo una entusiasmante rilettura delle opere di Sciascia e con particolare riferimento a 1912+1)
Con la elezione del cardinal Sarto a papa, nel 1903 col nome di Pio X, si crearono le condizioni per superare la direttiva del non expedit, cioè del è proibito, che vietava ai cattolici di partecipare col voto alle elezioni politiche perché il parteciparvi avrebbe significato il riconoscimento dei fatti che avevano condotto alla abolizione del potere temporale dei pontefici. Dunque: lo stato nazionale, lo stato unitario, nacque laico.
Fu allora che, nel 1913 che fu l’anno della introduzione del suffragio universale, relativamente universale, che portò il numero degli elettori da 3.200.000 a 8.500.000, l’avvocato Vincenzo Ottorino Gentiloni, cameriere segreto del papa, “con esercizio” specifica Sciascia: da intendersi mi pare come pratico di una frequentazione assidua e confidenziale con sua santità, fu messo a capo di una Unione Elettorale Cattolica nell’ambito della quale egli escogitò un patto articolato in sette punti che, agli uomini politici di orientamento moderato che lo accettavano e lo sottoscrivevano, assicurava l’appoggio elettorale dei cattolici: pare che siano stati eletti 228 candidati su 230. Fu quello il patto Gentiloni. Fu, quel patto, la fondazione della politica dei cattolici italiani che troverà successivamente articolazione nel Partito Popolare di don Luigi Sturzo e nel partito della Democrazia Cristiana a noi ben nota: definibili partiti, scrive Sciascia, solo parzialmente perché “il resto si intride e discioglie in tutto quel che in Italia è politica, nel non dire e nel fare della politica: con appena qualche residuo, qualche scaglia o cristallo di resistenza”.
Partiti che preferiranno sempre la politica con forti resistenze al vero cambiamento, al progresso sociale e culturale delle masse popolari e forte sudditanza alla chiesa cattolica la quale, con la politica di quei partiti e di quelli con cui fecero comunella, mai ebbe difficoltà nell’infantilizzare il popolo, come ebbe a dire, se non ricordo male, Federico Fellini. Una infantilizzazione del popolo dovuta alla mancanza di spirito critico, alla distruzione che dello spirito critico fanno le religioni: tutte le religioni, perché la distruzione dello spirito critico è lo scopo delle religioni per mantenere la situazione vigente garantendo essa la continuità della gerarchia e del potere. Bisogna dare atto però ai protestanti di avere eliminato, dalle loro pratiche, la confessione che, presso i cattolici, è così rassicurante da dare loro piena e consapevole mancanza di responsabilità personale.
Sciascia fa notare come: “Quello della immaturità degli italiani a fruire di certe libertà, e in definitiva della libertà, è amena e al tempo stesso penosa opinione, se dai vertici che la pronunciano scende a trovar largo consenso alla base…trova suggello nella malinconica constatazione che non siamo ancora maturi. Ma c’è almeno la maturità di aver coscienza di essere immaturi: e se ne può anche imputridire.”
Inutile dire che il patto Gentiloni prevedeva forte considerazione per i temi cari alla chiesa:
“opposizione ad ogni proposta di legge in odio alle congregazioni religiose che comunque tenda a turbare la pace religiosa della nazione”, “che non siano fatte condizioni che intralcino e screditino l’opera dell’insegnamento privato”, “munire di forme giuridiche e di garanzie pratiche ed efficaci il diritto dei padri di famiglia di avere per i propri figli una seria istruzione religiosa nelle scuole pubbliche”, “resistere ad ogni tentativo di indebolire l’unità della famiglia e quindi assoluta opposizione al divorzio”.
Al patto Gentiloni, 1913, seguirono prima i patti lateranensi o concordato tra stato e chiesa, 1922, con i quali il fascismo fece dei temi del patto Gentiloni la politica sostanziale del suo governo rendendo lo stato e la nazione succubi della volontà della chiesa e successivamente, nel 1948, l’inserimento nella costituzione repubblicana, e questo dobbiamo al PCI, dell’articolo 7 che riconosce valore ufficiale a quel concordato. Tradendo la resistenza! E ciò fu, scrive Sciascia, “L’unità o solidarietà nazionale di ieri, con Moro immolato su quell’altare.” Per tacere delle impunità assicurate ai doppiogiochisti che tornarono, maestri al popolo e non solo, a disporre a loro piacimento, come nel passato regime, fra i gangli delle istituzioni della repubblica.
Nella continuità, allora, si spiega bene come mai il parlamento della cosiddetta repubblica democratica abbia dato recentemente stabile valore all’inno di Mameli riconoscendolo in modo ufficiale quale inno della nazione: pur essendo, quell’inno, incomprensibile ai più (tanto da ritenere indispensabile organizzare alla televisione e nientepopodimeno che a 150 anni dalla presunta ma da nulla presumibile unità, una sua spiegazione al popolo tramite un comico -sarà stata ritenuta roba da frizzi e lazzi- perché il linguaggio dell’inno è pretenzioso e non si adatta ad essere il linguaggio del popolo…che è quello che fa la nazione), fortemente retorico, di evidente retorica fascista (ad insaputa dell’autore, come si vedrà), di un fascismo ante litteram e lo hanno fatto pur con la storica esperienza alle spalle di venti anni di ipertrofica retorica fascista della romanità e di schiavitù alla chiesa di Roma, un inno che ha un vuoto ed ipocrita richiamo ad eroi presunti (oggi si viene a sapere che Scipione fu un guerrafondaio che faceva strage tra i popoli vinti dei loro sopravvissuti e ciò se era cosa buona e giusta al suo tempo, non pare qualità da portarlo ad esempio nemmeno nell’elmo, fu eletto console anche se l’età non lo consentiva quindi con legge ad personam alla Berlusconi… nella patria del diritto: dove, scrive Sciascia, “il diritto troppo spesso viene distrutto” e come Berlusconi che è un criminale che “ha una naturale capacità a delinquere” cioè delinque anche se non ne ha bisogno, smodatamente ambizioso e di onori e di denaro) mentre gli eroi veri li abbiamo trascurati quando erano vivi e sovvengono Pasolini e Sciascia, un inno che contiene la ipocrisia della dedizione alla morte per la patria (quando Galeazzo Ciano fece la guerra d’Albania a Bari all’Albergo delle Nazioni: “così ci sono anche le puttane” e Craxi non fece neanche il militare e via discorrendo), un inno per nulla laico ed evidentemente confessionale, scelto per ratificare la condizione di sudditanza che stato e nazione vivono nei confronti della chiesa cattolica storica alleata di ogni regime fascista, un inno scritto da un giovane studente esaltato e ventenne (dal quale altro non si poteva e non si può pretendere e per la giovane età e perché visse in pieno romanticismo quando le esaltazioni idealistiche erano una moda seguita da gran folla e pochi individui, appartenenti alla categoria del genio, del genio onesto e sincero, se ne ritraevano e vengono in mente d’acchito Engels, Leopardi e Marx). Chissà quante altre considerazioni potrebbe aggiungere dello stesso tenore una persona di cultura seriamente intenzionata al tema.
Insomma, il solito trito e ritrito e desolante e triste idealismo!
La conseguenza è, come scrisse P. P. Pasolini, che: “Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia” e si lascia che sia il cittadino a toccare con mano “la volgarità del realismo politico.”
È fatta salva, così, “la nostra tradizione al culto e alle celebrazioni delle apparenze, per l’imperativo di salvarle anche nella decomposizione della sostanza!” È fatto salvo, così, il nostro fascismo tuttora imperante come farsa nell’animo degli italiani educati a opportunismo, qualunquismo, esteriorità, furberia e come tragedia nella politica del paese che quella farsa alimenta. Cosicché ogni necessario e possibile e civile dibattito si abbassa a banale battibecco tra fans di partiti e non facciamo i conti con la nostra storia: motivo per cui mai siamo stati nazione, né popolo.
Quelle cose succedono se l’opinione pubblica le accetta; ma sono i giornali che orientano l’opinione pubblica. Allo stesso modo un regime volgare o corrotto o infame si salva solo se la stampa lo consente…e la stampa lo consentì allora come lo consente oggi. Dove sono i giornalisti onesti? E non vale celebrare quattro gatti che il coraggio l’hanno avuto a loro rischio e pericolo perché la categoria dei giornalisti sia salva. I giornalisti sono tirapiedi di turpe puttanaio oggi qua dediti alle balle del festival biblico per aggiungere falsità a falsità, illusioni a illusioni e là dediti alle espressioni di sua santità gesuiticamente socialisticheggianti per aggiungere ipocrisia ad ipocrisia, idealismo a idealismo: la falsità nelle cose, la bugia nelle parole, l’impostura nei fatti per salvare il regime e i suoi orpelli, così si salvano le sovrastrutture e la struttura.
E si salvano pure i cialtroni e i buffoni.
In tal modo, come ieri non aveva notizie della realtà, il lettore, anche il più assiduo, oggi non può della realtà effettiva avere sentore se non quando la tocca con mano, se non quando qualcosa accade sotto i suoi occhi, qualcosa di grave, di tragico e se ne cerca notizia o non la trova perché censurata o la trova “impudicamente imposturata”.
Mi pare di poter concludere che l’Italia c’è e ci sono pure gli italiani; ma Italia ed italiani non sono quelli che dovrebbero essere a motivo di una classe dirigente sempre non all’altezza dei compiti e con valore di cittadinanza (dallo Zingarelli cittadinanza: appartenenza del singolo a una società organizzata a Stato) inferiore a quello del popolo.
……. Primo Ministro Giuseppe Conte, insegnante universitario molto devoto di Padre Pio……. Dice l’articolo
Ho difficolta ad immaginare cosa possa (o poteva) SERIAMENTE insegnare Giuseppe Conte, quando, contemporaneamente, idolatra un certo Padre Pio….
Con questa brava gente non mi stupisce capire il perché le migliori Università italiane si trovano OLTRE il duecentesimo posto nella classifica mondiale
Da notare che Giuseppe Conte ha affermato di aver seguito un corso specifico per lo sviluppo della legge presso la Yale University (New Haven, 1992), Duquesne University (Pittsburgh, USA, 1992), Internationales Kulturinstitut (Vienna, 1993), Sorbonne University (Parigi, 2000), Girton College (Cambridge, 2001) e New York University (New York, 2008 e 2009), che sono tuttavia oggetto di discussione, così come un sostegno controverso per il metodo Stamina !
La stampa, italiana inclusa, è molto eloquente nei propositi riferiti dal New York Times !
Di fatto Giuseppe Conte ha –fino prova contraria- falsificato il suo curriculum sostenendo di avere seguito degli studi all’Università di New York, contestati dal portavoce della facoltà americana….. Allo stesso modo, la Duquesne University di Pittsburgh, l’Università di Malta e l’International Kulturinstitut di Vienna non avrebbero avuto alcuna traccia di Conte nei loro registri….. Ha anche affermato essere stato nominato come esperto presso il “Gruppo di giustizia sociale dell’Unione europea”, quando, in realtà, questo gruppo NON esiste SIC !!!
Idem per La Sorbona che non ha repertoriato il nome di Giuseppe Conte nei suoi registri ufficiali !
Dobbiamo ammettere che questi opportunisti Baciapile non aumentano di certo il livello di credibilità, onestà e prestigio dei cattopolitici di stampo italiano all’estero. Non fanno altro, come al solito, ridicolizzare il Bel Paese, al punto di vergognarci in certe occasioni –ed è il mio caso- di essere d’origine italiana…..